No Man's Sea (2015, incompleto)

Adoro l'oceano, il mare, le creature degli abissi. Nel 2015, dopo aver visto l'anime di God Eater, avevo avuto un'idea per una storia post-apocalittica basata sull'idea che il phytoplankton avesse iniziato a produrre acidi capaci di corrodere le chiglie delle navi, causando la comparsa di creature marine mostruouse adattate al nuovo pH. La storia seguiva Zina Siborg, una ragazza modificata geneticamente per respirare sott'acqua e sopravvivere agli oceani acidi, e il suo pilota Oliver Eizen, responsabile della missione. Mi sarebbe piaciuta finirla, ma mi sono tristemente reso conto di aver messo i miei personaggi in una situazione impossibile: per salvare gli Oceani, ci sarebbe voluto un miracolo - non una sommozzatrice con le branchie e le mani palmate.
1.
Uno scatto secco, la sicura del fucile inserita. Le dita tastarono il contorno irregolare del caricatore, ne seguirono il profilo con calma innaturale.
“Seicento metri di profondità. Livelli di acidità nella norma. La scocca ha perso solo lo zero punto due per cento di spessore.”
“Bene.”
La mano proseguì l'ispezione, sfiorò uno dopo l'altro i quattro proiettili appesi allo zaino. Il meccanismo di aggancio scattò due, tre volte di seguito, in perfetta sincronia con la pressione del pulsante.
“Il radar è ancora muto?”
Un lungo sospiro in risposta, le spalle scrollate con poca convinzione.
“Al contrario, è fin troppo affollato. Vedi?”
L'operatore puntò l'indice verso il monitor verde acido, verso la moltitudine di sagome scure che si agitavano attorno ad un globo pulsante.
“Il più piccolo misura quindici metri. Il più grande... beh, non vuoi saperlo, vero?”
“Non ne sono così convinta.”
Zina si strinse nell'armatura, serrò i giunti con forza, esercitando la massima pressione. Allacciò la cintura, i pesi, il galleggiante di emergenza. Le scanalature alla base del collo si aprivano e chiudevano ritmicamente, seguendo i movimenti della cassa toracica.
L'operatore distolse lo sguardo dal pannello di controllo.
“Non avevo mai visto una tuta di quarta generazione. Quanto può resistere là fuori?”
La ragazza infilò gli stivali, premette alcuni tasti sull'idroreattore, incapsulato nella suola metallica.
“Circa un'ora prima che l'acido inizi a corrodere il supporto vitale. Non male, se pensi che quella che usavo prima aveva al massimo quindici minuti di autonomia. Riuscivi a piazzare un solo colpo, prima di tornare alla nave per il cambio.”
Il batiscafo continuò a scendere, centimetro dopo centimetro, nel buio più assoluto. Otto fari rivestiti di una guaina trasparente tentavano – inutilmente – di attraversare le tenebre, di tagliare il fitto velo di ombra che sembrava voler celare il mondo esterno ai loro occhi.
“Ho perso di vista Alpha e Gamma, ma non dovrebbero essere troppo lontani. Aspetta, ora attivo gli ecoscandagli...”
“Oh, ottima idea per farci sbranare più in fretta. In fondo, quei mostri non si orientano usando le onde sonore, no?”
“Risparmia il sarcasmo, stavo solo scherzando.”
Il batiscafo rallentò la sua corsa, fin quasi ad arrestarla. Minuscole bolle d'aria si levavano dai reattori posteriori, sfiorando le pareti rocciose che un tempo avevano ospitato innumerevoli forme di vita.
“Okay, abbiamo raggiunto la profondità operativa. Non appena gli altri si fanno vivi, dovrai essere pronta a scattare. Contenta?”
Una rapida occhiata agli indicatori di carica dei proiettili, un sorriso abbozzato sul viso pallido.
“Elettrizzata...”
L'operatore lasciò le cuffie sul cruscotto, squadrò con interesse la sommozzatrice. Capelli corti bianchi, pelle chiara, iridi gialle, pupille sottili, feline. Un corpo muscoloso e ben formato celato da una muta corazzata Pentecost V-4. Era la loro prima missione insieme.
“Hai detto di chiamarti Zina, giusto?”
“Cosa c'entra, adesso?”
Tese la mano verso la ragazza con fare amichevole.
“Non posso lasciarti andare là fuori senza prima presentarmi. Io sono Oliver, piacere.”
Non vi fu risposta. Zina continuò a montare il fucile senza curarsi troppo del suo compagno di sventure.
“...”
Oliver ritrasse la mano, ruotò il sedile, tornò ad occuparsi delle sue attrezzature. Sapeva perfettamente che la ragazza non gli avrebbe mai dato confidenza. Non dopo quello che le era accaduto appena dieci giorni prima.
“D'accordo, saltiamo i convenevoli. Il relitto è proprio sotto di noi.”
“Bene.”
Zina indossò un casco privo di visiera, lo allacciò all'armatura, ne collegò la sezione posteriore al serbatoio di ossigeno. Un tocco dell'indice sulla tempia, una guaina azzurra spessa alcuni millimetri scivolò sul suo volto, fino a coprire completamente gli occhi.
“Sono pronta.”
La ragazza si alzò in piedi, assicurò le cinghie delle bombole, armò il fucile, attaccò il powerhead e la pistola ai supporti, premette un pulsante sul pettorale sinistro della corazza. Linee giallo-arancio si disegnarono sulla superficie nera, ricoprendola completamente di fregi e motivi geometrici.
“Mi preparo al lancio. Attiva la sequenza di apertura.”
“Alpha e Gamma non sono ancora arrivati.”
“Peggio per loro.”
Zina aprì il pannello di controllo del meccanismo di rilascio, spinse a fondo sul tasto meccanico di conferma. Una barriera di metallo spessa alcuni centimetri si sollevò alle sue spalle, isolandola dalla cabina di pilotaggio. Di fronte a lei, una cupola semisferica, opaca.
“Apri il guscio.”
“Non aspetti gli altri?”
Un soffio gelido nel comunicatore.
“Per quanto ne sappiamo, potrebbero essere già morti.”
Oliver ingoiò un grumo di saliva, armeggiò con gli interruttori.
“Come desideri. Cinque secondi al lancio.”
Zina si immobilizzò, i piedi perfettamente paralleli, il fucile stretto tra le mani.
“Quattro.”
Il collegamento neurale innestato, i sensori attivi, tutti i sistemi di guida pronti all'uso.
“Tre.”
I blocchi di sicurezza si sganciarono all'unisono, lasciando filtrare i primi rivoli d'acqua verdastra.
“Due.”
La cupola si sfaldò, rientrando negli alloggiamenti laterali. Il mare prese possesso dello spazio liberato, circondando il corpo di Zina in un abbraccio tutto tranne che dolce e caritatevole.
“Uno.”
La piattaforma incominciò a vibrare, le suole degli stivali si illuminarono a giorno. Zina respirò profondamente, le palpebre serrate, il cuore a mille.
“Zero!”
Gli idroreattori espulsero un getto d'acqua pressurizzata, spingendo la ragazza in mezzo al nero di pece. Zina riaprì gli occhi, regolò l'output, ridusse la potenza, stabilizzò la posizione. Azionò i propulsori laterali, ruotò su se stessa, in modo da poter osservare direttamente il Beta.
“Okay, sono fuori. Da questo momento, sei i miei occhi, le mie orecchie, il mio naso. La mia vita dipende da te.”
I quattro fari visibili dalla sua posizione si spensero per un istante, in segno di approvazione. Zina manovrò agilmente la muta, si avvicinò al rivestimento esterno del veicolo, lo analizzò con cura. Un sottomarino tascabile oblungo, due sezioni semisferiche collegate tra loro da un condotto cilindrico. Dieci metri di lunghezza, circa quattro di diametro. Tre motori principali, due di riserva. Il logo della DSS stampato a caratteri cubitali sul vano posteriore, ormai richiuso. I segni della corrosione erano evidenti, la vernice protettiva bucata in più punti, fori di qualche millimetro di diametro a costellare uniformemente la superficie.
“La struttura è intatta. Tienimi aggiornata sui danni. Se superano la soglia, tagliamo la corda subito, mi sono spiegata?”
“Sì.”
“Bene. Mi dirigo verso il relitto della Crawshant. Avvisami se rilevi qualche movimen...”
Un lamento cupo si diffuse nell'acqua immobile, un misto tra il canto di una balena e il ruggito di un leone. Zina strinse il fucile con forza, fin quasi a sentirne la pressione attraverso l'armatura. A differenza della corazza, le sue componenti non avrebbero resistito per più di mezz'ora. Dopo, sarebbe stato inutile persino come corpo contundente. Alzò lo sguardo, tentando di individuare l'origine di quel suono.
“Dov'è, Oliver? La sua posizione.”
“Più di cinquecento metri da te. Non è il caso di preoccuparsi.”
La ragazza aguzzò la vista, ruotò il capo più volte, senza riuscire ad individuarlo.
“Va bene, ti credo. Se arriva a meno di cinquanta metri, attiva l'allarme rosso.”
“Contaci.”
Zina azionò mentalmente le estensioni per il nuoto rapido. Dagli stivali e dagli avambracci emersero pinne sottili, rinforzate da uno scheletro di titanio. Un rapido cenno d'intesa, il pollice sollevato in direzione delle telecamere, prima di lasciarsi il batiscafo alle spalle.
Prima di scendere nell'abisso.
2.
Gli idropropulsori ronzavano con malcelata insofferenza, spingendo il corpo sempre più in profondità. La mano sinistra controllò meccanicamente le altre armi, sfiorandone il grilletto più volte. Un silenzio insopportabile permeava l'atmosfera, latore di un messaggio disperato. Non un pesce, non un'alga, non un corallo. Meduse e polipi avevano cessato di esistere, persino il plankton sembrava essere scomparso nel nulla. Una stretta allo stomaco, un conato di vomito. Zina respirò profondamente, tentò di calmarsi. Non poteva permettersi di essere agitata. Non in quel momento.
Richiamò la mappa del fondale, individuò la posizione del relitto – o di quello che ne restava.
“È un miracolo che sia ancora intero.”
Solita missione, solito obiettivo.
Le acque cupe si fecero da parte, squarciate dai bagliori della muta, dalle torce incastonate ai lati del casco. Poco per volta, i dettagli del fondale si fecero più nitidi, emergendo lentamente dal muro di tenebra. Una prua rinsecchita, contorta, sciolta a metà. La vernice, la targa col nome, la battagliola... scomparse, divorate dalla furia dell'oceano. Zina ritrasse le pinne, ridusse la spinta degli idromotori, accarezzò lo scafo malconcio con la mano sinistra, la destra tenuta saldamente attaccata al fucile. Per un istante, tentò di immaginare la nave nei suoi giorni di gloria, mentre solcava le onde del mare bizzoso...
“Zina, tutto a posto?”
La voce di Oliver rimbombò nel casco, la strappò a quel sogno ad occhi aperti.
“Sì. Recupero un campione adatto e torno al batiscafo.”
I propulsori la spinsero lungo il fianco del relitto, permettendole di ispezionarne ogni centimetro con relativa tranquillità. Un gorgoglio alle sue spalle, uno scatto repentino.
Zina ruotò su se stessa, guardò a destra, a sinistra, in alto. Niente. L'indice destro si immobilizzò sul grilletto, un grumo di saliva inghiottito.
Un altro gorgoglio, un lamento acuto. Zina sgranò gli occhi, puntò il fucile, tentando di individuare la fonte del rumore.
“Dov'è? Riesci a vederlo sul radar?”
“Vedere... cosa?”
“Una Piovra! C'è una Piovra qui attorno, ne sono sicura! Devi localizzarla, prima che...”
Uno strillo ad altissima frequenza, un colpo di tentacolo allo sterno. Zina fu sbalzata all'indietro, si schiantò contro le paratie della nave affondata, la testa rimbalzò contro il metallo. Perse il respiro per un istante, il fucile affondò lentamente nella sabbia grigia, sollevando una nuvola di polvere. Un cerchio perfetto costellato di denti a sega si fermò a pochi centimetri dal suo volto, gli otto tentacoli acuminati si disposero a raggiera, estendendosi in tutta la loro lunghezza. Lo stomaco della creatura fece capolino dalla bocca, pronto ad estroflettersi sulla preda inerme, mentre la bava di catrame colava lungo le labbra zebrate, disperdendosi nell'acqua.
“Aaaaaaah!”
Zina urlò all'interno del casco, mosse freneticamente la mano sinistra, afferrò la pistola a flechettes, sperando di avere abbastanza tempo di estrarla. Prima che potesse muoverla, uno dei tentacoli le afferrò il polso, lo strinse con forza fino a farle perdere la presa.
La Piovra rigurgitò il suo organo interno, i succhi gastrici sputati sull'armatura. Chiazze rossastre si aprirono sulla superficie, i primi segni di corrosione.
Zina chiuse gli occhi, si augurò una morte rapida, indolore possibilmente. Ma sapeva che erano tutte illusioni. La Piovra l'avrebbe ingoiata viva, non l'avrebbe uccisa subito. Avrebbe sofferto le pene dell'inferno prima di perdere coscienza.
“No!”
Strinse i denti, serrò i muscoli, attivò l'idropropulsore nello zaino. Un getto d'acqua pressurizzata la catapultò in avanti, cogliendo di sorpresa il mostro, scaraventandolo contro il relitto. La Piovra perse la presa, si attorcigliò, riassorbì lo stomaco. Zina atterrò sul fondale, trascinata dal peso dell'armatura, lontano dalla pistola, dal fucile. Afferrò il powerhead con decisione, armò il proiettile, piegò il braccio destro. La Piovra si riprese dall'iniziale smarrimento, raccolse i tentacoli, li agitò alla massima velocità, avvicinandosi in una traiettoria a spirale.
“Merda...”
Zina sollevò il powerhead, tentò di calcolare l'istante esatto a cui azionarlo. Un istante, un istante solo. Un attimo prima, la morte. Un attimo dopo, la morte. Puntò i piedi, concentrò tutto il suo odio sulla punta dell'arma.
Tre.
La Piovra divise i tentacoli in due ampi ventagli, quattro per lato, oscurandole la visuale.
Due.
La bocca spalancata, lo stomaco affiorante.
Uno.
Una raffica di flechettes trafisse il corpo del mostro, trapassandolo da parte a parte.
“Cosa...”
La Piovra rallentò di colpo, le appendici ondeggianti in preda al dolore. Un altro scoppio, tre tentacoli tranciati di netto, proiettili lunghi undici centimetri a straziare la carne nauseabonda. Il mostro distolse l'attenzione dal suo pasto, dimenandosi in preda al dolore.
“Ora!”
Zina attivò gli idropropulsori al massimo, si scagliò contro la Piovra, piantò il powerhead tra i denti nerastri. E premette il grilletto.
I gas compressi si liberarono in una nuvola di bolle, sfogandosi sul corpo viscido, irrorandolo dall'interno. La Piovra esplose, frammenti di materiale organico sparsi in un raggio di cento metri, cellule morte divorate dall'oceano affamato. Un blob di liquido nerastro si formò nel punto dell'impatto. Zina riattivò i propulsori, si allontanò rapidamente dalla nuvola tossica. Sollevò lo sguardo, cercando di individuare il suo misterioso salvatore. Una corazza nera, linee rosse scintillanti, un fucile mitragliatore tra le mani, i caricatori agganciati allo zaino.
Un sorriso celato dalla visiera arancione.
“Aspettarci ti costava così tanto?”
3.
Il nuovo arrivato rimase sospeso a qualche metro da lei, gli idroreattori in posizione di equilibrio, le pinne dispiegate con eleganza. Occhi verde smeraldo, ciocche di capelli castani, lineamenti affilati nascosti dalla pellicola protettiva.
“Avresti potuto rimanerci secca.”
“Lo so, Wreight1. Lo so.”
Zina raccolse la pistola, la agganciò alla corazza, nuotò rapidamente verso il relitto per recuperare il fucile XREP.
“Come mai siete rimasti indietro? Problemi con uno Squalo?”
“Abbiamo perso Alpha.”
Una seconda figura emerse dal buio, linee al neon azzurre scintillavano lungo la sua muta. La cassa toracica si comprimeva ed espandeva in modo aritmico, le pupille ridotte a punti microscopici.
“Sono riuscita a sganciarmi per miracolo, prima che quella bestia divorasse il batiscafo. Subito dopo, gli ho piazzato uno XREP nel cervello ed è colato a picco come un sasso... ma, ormai, Mia era già morta.”
Il tono di voce preda del panico, il fucile stretto tra le braccia tremanti.
“Non... non sono riuscita a salvarla. I denti dello Squalo avevano già perforato lo scafo, l'acqua ha invaso l'interno in pochissimo tempo. E, senza muta, Mia...”
Singhiozzi, lacrime represse, la disperazione riversata nel comunicatore.
Zina si irrigidì per un secondo, portò l'arma al petto, serrò le palpebre con violenza.
“Dovresti tornare in superficie, Monique. In questo stato non ci sei di alcun aiuto. Chiedi a Gamma o Beta di darti un passaggio.”
“Negativo. Rimanere in due sarebbe un suicidio. Monique, vedi di calmarti. Non è la prima volta che succede, non sarà l'ultima. Ora, fai un bel respiro, ricarica lo XREP e coprici le spalle. Vediamo di raccogliere un campione dallo scafo e di levarci di torno il prima possibile.”
Zina annuì in silenzio. Gli ordini di Wreight non potevano essere ignorati. Dopotutto, era il caposquadra. L'unico autorizzato a prendere decisioni. Monique sembrò tranquillizzarsi, il respiro tornò regolare. Con un movimento rapido della mano, staccò uno dei quattro proiettili dallo zaino e lo inserì nel fucile.
Wreight guadagnò il fondale, ridusse la spinta del propulsore.
“Il casino che hai fatto con quel powerhead attirerà parecchie visite indesiderate. Dì al tuo operatore di tenersi pronto alla fuga in ogni momento.”
“Sentito, Oliver? Tieni il motore in caldo.”
“Ricevuto.”
Wreight planò con eleganza fino alla base dello scafo. La Crawshant riposava placidamente sulla sabbia grigia, avvolto in un abbraccio senza tempo. Piccole particelle polverose si staccavano dal relitto, rimanendo in sospensione nel liquido opaco.
“Sembra che tu abbia avuto parecchia sfortuna, Shee. Di solito, le Piovre non si allontanano molto dagli Squali. Vivono a loro spese, come parassiti. Questa deve aver pensato bene di usare il rottame come tana.”
Due pinze retrattili fecero capolino dal polso dell'armatura, strapparono un frammento di vernice dallo scheletro di metallo per poi ritrarsi, riponendo il bottino nel bracciale-contenitore. Zina distolse lo sguardo, concentrandosi con apprensione sul tetro paesaggio sottomarino. La torcia elettrica evidenziò due ampie coste di roccia che salivano a strapiombo sino alla superficie. Decine, centinaia di anfratti scuri si aprivano tra massi e concrezioni calcaree, vuoti corridoi per l'inferno. Scosse il capo con violenza, tentando di ricacciare le visioni da dov'erano venute.
“Dai, sbrigati Wreight. Non voglio stare qui sotto un minuto di più.”
“Come desideri, principessina. Il tempo di prelevare un altro paio di campioni e...”
Un trillo insistente rimbombò nei caschi dei tre, una serie interminabile di bip ripetuti a frequenza costante.
“Qui Gamma. Il radar segnala due forme di vita in movimento verso la vostra posizione. Ventisei metri una, trentadue l'altra. Sembrerebbero Squali. Un Giano e un Encelado, per essere precisi.”
Wreight ripose il fucile a flechettes nello zaino, estrasse lo XREP, lo armò con un proiettile.
“Quanto tempo abbiamo?”
“Un paio di minuti. Stanno procedendo lentamente. Molto lentamente.”
“Un tempo sufficiente a tagliare la corda. Coordinati con Beta per il recupero.”
Monique imbracciò l'arma con poca convinzione. La ragazza si sollevò a mezz'acqua per tenere sotto controllo la situazione dall'alto, tutti i sensi all'erta. Il ricordo ancora vivido della tragedia, il batiscafo aperto in due come un uovo, Mia investita dall'oceano, sbranata senza pietà. Ma non poteva lasciarsi dominare dalle sensazioni, non in quel momento. Richiamò i dati forniti dai sensori di Gamma e Beta, li analizzò rapidamente. I due Squali si stavano avvicinando seguendo un ampio cerchio, riducendo la distanza con lentezza esasperante. Non era un comportamento tipico, in generale si avventavano sulle prede senza lasciare loro il tempo di reagire.
“Strano. Sembra quasi che si stiano tenendo alla larga apposta...”
“Cosa stai dicendo, Monique?”
“Uh? No, niente. Stavo pensando ad alta voce. Qualche volta mi dimentico che l'audio dei caschi è collegato.”
Un tremito, un movimento impercettibile, lo scafo della Crawshant oscillò per un istante. Monique strabuzzò gli occhi, disinserì la sicura, puntò il fucile.
“Gamma, Beta! Ho bisogno delle letture radar! Mandatemele sul visore!”
“Sono ancora lontani, Moni! Non ti...”
“Fai quello che ti ho detto!”
Le immagini si materializzarono sul display celeste, Zina e Wreight indicati come triangolini gialli pulsanti, gli Squali come triangoli rossi, il relitto come una macchia nera estesa. Monique ingrandì l'immagine, si concentrò sulla nave, sulla forma individuata dagli strumenti. Sulle sue dimensioni irreali.
“Mio Dio!”
Lanciò una seconda scansione, analizzò i dati provenienti dai sensori secondari.
“Wreight...”
“Cosa c'è, Monique?”
“La nave...”
La voce tremante, una goccia di sudore lungo la fronte.
“... si sta spostando!”
L'urlo terrorizzato di Zina risuonò nei caschi dei suoi compagni.
“È una Lanterna! Via, presto!”
4.
Wreight azionò l'idropropulsore, si staccò dal fondale alla massima velocità. Zina lo imitò rapidamente, guadagnando metri su metri. Le pinne emersero dall'armatura, aumentandone l'idrodinamica, permettendole persino di superare il caposquadra. Monique mirò al vascello, rimase in posizione. L'indice indugiò sul grilletto, in attesa di un segnale.
Zina le passò accanto come un razzo, tutti i propulsori alla massima potenza, lo XREP pronto a sparare.
La Crawshant si inclinò sul fianco sinistro, torno diritta, scivolò dall'altro lato. Si impennò di colpo, la prua rivolta verso l'alto, la sabbia a scorrere rapidamente sulla membrana ruvida. La punta di un muso monumentale squartò il fondo oceanico, una lancia piatta e lunga. La pinna dorsale tagliò un cumulo di rocce calcaree, mostrandosi in tutta la sua imponenza. Quattro file di denti scintillarono alla luce delle torce, il candore perlaceo di zanne lunghe un metro. Due immensi occhi rossi si spalancarono sotto la chiglia, le pupille strette, fisse sui sommozzatori.
“Ora! Prima che si liberi del tutto!”
I grilletti premuti, i proiettili XREP sparati contro l'enorme bersaglio. Monique e Zina furono scagliate verso l'alto per il rinculo, mentre i siluri impattavano contro la pelle della Lanterna. Il mostro grugnì, mentre i proiettili si agganciavano al suo corpo, scaricando centomila volt direttamente nel suo apparato nervoso. Un grido acuto, rabbioso, un urlo di dolore. Le pupille della creatura rotearono nelle orbite per alcuni istanti, la bocca contratta in una smorfia.
“Un altro, presto!”
Zina staccò il secondo proiettile, caricò il fucile, mirò alla gola, fece fuoco. Il siluro partì, lasciandosi dietro una scia di schiuma e bolle fredde, centrando il bersaglio con estrema precisione.
Monique la imitò, mirò alla narice, premette il grilletto.
La Lanterna vacillò per qualche istante, mentre la batteria dello XREP si scaricava all'interno del suo corpo, compromettendo i sensi, la mente, gli istinti. Il colpo di Monique fendette l'acqua, si infilò nella cavità nasale, rilasciando un voltaggio estremo sulle ampolle di Lorenzini. La Lanterna sollevò il muso, spalancò le fauci, ruggì con tutte le sue forze residue, prima di collassare sul fondo, incapace di reagire.
Wreight abbassò il fucile. Non aveva sparato nemmeno un colpo, non ce n'era stato bisogno. Zina si collegò agli altri due membri della squadra.
“Ecco perché la Crawshant era ancora intatta. L'ha assimilata una Lanterna...”
Wreight rispose con un cenno del capo.
“Quindi il campione che ho raccolto è doppiamente prezioso. Lo porto subito al Gamma, voi salite sul Beta. Ci vediamo in superficie.”
“Aspetta! Ho un nuovo rilevamento! I due Squali hanno accelerato, ci stanno puntando!”
“Si tenevano lontani per la Lanterna?!”
“Così pare.”
“Possiamo ancora raggiungere i batiscafi?”
“Sì, ma poi non faremo in tempo a risalire. Dobbiamo metterli fuori combattimento.”
I tre si raggrupparono, schiena contro schiena. Un triangolo difensivo, tutte le direzioni controllate contemporaneamente, pochi angoli ciechi.
“Oliver! Sam! Attivate gli armamenti, abbiamo bisogno di fuoco di copertura!”
“Sissignore!”
I due sottomarini si posizionarono qualche metro sopra di loro. Le paratie laterali si abbassarono, permettendo a otto tubi lanciasiluri – quattro per lato – di fare la loro trionfale comparsa. I batiscafi non erano attrezzati per affrontare creature di grosse dimensioni, ma i loro missili erano tutt'altro che innocui, persino per un Encelado da trentadue metri.
“Contatto visivo tra dieci... nove... otto...”
La poppa della Crawshant si staccò dal relitto, iniziò a dissolversi come neve al Sole.
“Eh? Cos'è successo?!”
“Non distraetevi!”
“... cinque... quattro... tre... due...”
Wreight socchiuse gli occhi, le pupille guizzavano da una parte all'altra dell'orbita, con foga inumana.
“... uno...”
Uno sbuffo di vapore dalla nave affondata, il ponte crepitò, si spaccò a metà, il metallo divorato dall'acqua in pochi secondi. Wreight alzò il braccio, lo portò davanti agli occhi, per proteggersi dalla nuvola.
“Merda! Non ci vedo più nulla! La nube mi blocca la visuale!”
“Passa alla visione a infrarossi!”
“Fatto!”
“Ma gli Squali...”
Zina agitò il fucile tentò di inquadrare un possibile nemico.
“... dove sono?”
Un cigolio sommesso, il lamento di una bestia morente. Ciò che rimaneva della Crawshant si sfaldò completamente. Liberando un'orda di parassiti.
“Attenti!”
Decine di bocche affamate si gettarono a capofitto su di loro, roteando le appendici come eliche. Zina impugnò la pistola, sparò alcuni colpi, fermando la corsa delle creature più vicine.
“Passate alle flechettes! Sono troppi per gli XREP!”
Wreight lasciò il fucile, sganciò il mitra dallo zaino, iniziò a sparare salve di proiettili verso i mostri spuntati dal nulla. Ripugnanti stelle marine a cinque tentacoli, prive di occhi. Piovre in miniatura, cacciavano in gruppo come piranha. Di solito vivevano alle spese di creature più grosse. Come le Lanterne.
“Moni! Punta su quelli ai lati, io fermo il gruppo centrale.”
Monique annuì, rinfoderò lo XREP, impugnò la pistola a flechettes, fece fuoco. I parassiti trapassati dai proiettili galleggiavano ancora per qualche secondo, prima di venire divorati dai loro simili o dal mare, rallentando la corsa del branco. Nuvole nere, brandelli di carne strappata, stelle impalate. Decine di creature sterminate in alcuni, interminabili secondi.
I superstiti rallentarono, arretrarono, si portarono ad alcune centinaia di metri di distanza, fuori dalla portata delle armi. Sembravano indecisi sul da farsi, zigzagavano senza meta in attesa che avvenisse qualcosa.
Un ruggito tremendo scosse i sommozzatori fino alle ossa.
“Gli Squali!”
D'istinto, Wreight cercò il fucile nell'alloggiamento posteriore. La mano afferrò il vuoto.
“Ma dove cavolo...”
Ricordò il momento in cui aveva estratto il mitra, abbassò lo sguardo in cerca dell'arma mancante, la vide adagiata sul fondale, una decina di metri più in basso.
“Lo XREP!”
“Non fare l'idiota, Wreight! Io e Moni...”
“Sam! Coprimi! Bombarda i parassiti, distraili mentre lo riprendo!”
“Roger!”
Il Gamma ruppe la formazione, si avvicinò al trio, i lanciasiluri pronti. Sam inquadrò i bersagli, fece fuoco con entrambi i dispositivi laterali. I parassiti si spostarono di lato, tentarono di evitare i colpi. Alcuni furono travolti dall'onda d'urto, altri furono centrati in pieno dalle ogive metalliche. Wreight allungò la mano verso il fucile. Tre parassiti lo notarono, si lanciarono contro di lui ad alta velocità. Wreight afferrò la canna dello XREP con entrambe le mani. Zina estrasse la pistola, mirò agli inseguitori. Una pioggia di flechettes trafisse due creature, mancando totalmente la terza.
Wreight attivò i propulsori, lasciò la sabbia seguito dal mostro. Zina tentò di ripetere il centro. Monique le abbassò il braccio con irruenza.
“Non farlo! Potresti danneggiare la muta di Wreight!”
“Monique, non distrarti! Gli Squali...”
Un ruggito feroce le fece trasalire, diffondendosi nel liquido con violenza. Sollevarono entrambe lo sguardo, guidate da un istinto comune.
“Gamma! Sopra di te! Un Giano!”
Dal buio, una sagoma di pece. Ventisei metri di lunghezza, due bocche sovrapposte, due occhi per lato, una lama al centro della fronte. Tre paia di pinne laterali, quattro pinne caudali in sequenza, i denti di una sega.
“Ci siamo!”
Wreight impugnò il fucile, staccò un proiettile dallo zaino, mirò all'abominio. Il parassita si avventò su di lui prima che potesse premere il grilletto, gli azzannanò il polso sinistro. Wreight perse la presa, uno scatto dell'indice, il proiettile sparato, la traiettoria deviata. Lo scoppio di bolle, il siluro in volo in traiettoria curva. Lo XREP centrò lo Squalo nel fianco, si conficcò nella carne, mandò in tilt il sistema nervoso. Il mostro cambiò direzione, si schiantò contro la parete di roccia, risparmiando il batiscafo.
Zina abbozzò un sorriso, inclinò il capo, cercò il compagno con lo sguardo.
“Ottimo lavoro...”
Gli occhi sgranati con orrore.
“... Wreight...?”
Il parassita agganciato al bracciale, i denti, l'acido riversato sull'armatura. Wreight lo afferrò con l'altra mano, tirò con forza fino a strapparlo, a rompere i tentacoli. I resti della creatura dissolti in pochi istanti, il respiro pesante dell'uomo nel microfono.
“Tutto a posto. L'ho ucciso prima che potesse...”
Wreight sollevò la mano sinistra, fissò il polso.
“Merda!”
Un misto di orrore e raccapriccio, di panico e terrore. Uno squarcio poco sotto il pollice, il tessuto sintetico esposto all'acqua. Ancora per poco.
“Merda! Merda! No! Nooo!”
La muta iniziò a sciogliersi. Così come il braccio di Wreight.
5.
“Wreight!”
Zina urlò inorridita alla vista del taglio. Monique fece per attivare i propulsori, per raggiungerlo, aiutarlo forse. Zina la bloccò immediatamente, afferrandola per lo zaino.
“Dove pensi di andare?”
“Ma... ma...”
“Non c'è più nulla da fare.”
Wreight mulinava il braccio ferito, mentre la mano si staccava dal resto del corpo. Urla di dolore trasmesse nel microfono, urla inumane. Zina chiuse gli occhi, trattenne un conato di vomito, urlò più forte che poté.
“Oliver! Sam! Disattivate il suo comunicatore!”
“Ma...”
“Fate quello che vi ho detto!”
“Zina! Aiutami! Aiutami ti prego! Aiu...”
Uno schiocco metallico, le parole tranciate di netto. L'armatura ondeggiava sino a metà dell'omero, ormai priva di contenuto. Wreight si dimenava come un ossesso, una nuvola rossastra emergeva dalla manica tranciata, attirando i parassiti rimasti nei dintorni. A quella vista, gli occhi di Zina si colmarono di lacrime. Con la voce tremante, tentò di parlare, di giustificarsi nei confronti di Monique, dello sguardo alienato nascosto dal visore celeste.
“Anche se riuscissimo a chiudere la falla, morirebbe dissanguato in pochissimo tempo. Non possiamo salvarlo. Solo farlo soffrire meno.”
Zina sollevò la pistola, mirò alla fronte.
“Scusami, Wreight. È per il tuo bene.”
Wreight non fece nemmeno in tempo a rivolgerle il capo. La flechette trapasso il cranio da parte a parte, rompendo la fragile parete di plastica arancione. La testa oscillò per il contraccolpo, i parassiti si allontanarono confusi. I segnali vitali crollarono a zero, Sam urlò qualcosa di incomprensibile nel comunicatore, Oliver chiuso in un silenzio di tomba. Monique allungò le dita in direzione del caposquadra. Un estremo saluto, l'impossibilità di rassegnarsi. In pochi istanti, il cadavere fu consumato dal mare, lasciando solamente un involucro vuoto.
Monique gridò a squarciagola, le mani strette attorno al casco.
“N... no! Non anche Wreight! No!”
“Monique! Concentrati! Concentrati sugli Squali!”
Un urlo rauco, la creatura ferita da Wreight, entrambe le bocche spalancate, la lama frontale protesa in avanti. Zina sganciò il terzo proiettile, caricò il fucile, puntò alla bocca superiore.
“Mira all'altra bocca, presto!”
Monique rispose al rallentatore, ancora in stato di shock. Zina non aspettò oltre, premette il grilletto, il proiettile attraverso l'acqua a tutta forza, entrò nella gola primaria, si piantò nella mucosa. Lo Squalo sgranò gli otto occhi, il cervello attraversato da una corrente spaventosa. Proseguì per inerzia nel suo percorso, senza potersi più controllare. Si schiantò contro la parete opposta, la lama spezzata dal contatto, il muso imbrattato di sangue. I parassiti si gettarono sul mostro intontito, avvinghiandosi al corpo gigantesco, perforandone la carne coi denti neri.
Zina scosse Monique con forza.
“Monique? Moni? Calmati, calmati un attimo. Ho bisogno di te, okay? Qui e ora. Devi coprirmi. C'è una cosa che devo recuperare, altrimenti tutto questo sarà stato inutile.”
La ragazza annuì titubante, lo XREP tenuto stretto, ancora scarico. Zina sganciò un proiettile dal suo zaino, lo caricò nell'arma della compagna.
“Se vedi che si riprende, sai cosa fare.”
Le diede una pacca sulla spalla, poi si tuffò in picchiata, i propulsori al massimo, sfruttando la lotta intestina tra le creature. La corazza di Wreight si era adagiata sul fondo, circondata da una nube ematica rossastra. Zina vinse lo schifo, la repulsione, raggiunse il braccio destro della tuta tattica, sganciò il bracciale in cui era conservato il campione, lo strinse nella mano, manovrò gli idrorazzi, si diresse verso il batiscafo.
Alcuni parassiti si staccarono dal corpo semi dissolto della Lanterna, si lanciarono all'inseguimento, tentando di afferrarla. Il grido di Oliver irruppe come un boato nelle loro menti.
“Monique! Zina! Tornate ai batiscafi, presto! Il secondo Squalo è vicino! Meno di dieci metri da noi!”
“Non riesco a vederlo!”
“Neanch'io!”
“Sam!”
“Zero! Eppure il radar...”
“Dietro di te!”
Le telecamere del Gamma fecero appena in tempo ad inquadrare una bocca di dimensioni colossali. Una sola, questa volta. Ma sufficiente a racchiudere il batiscafo in una morsa letale. Sam fu sballottato all'interno dell'abitacolo, gridò in preda al terrore, attivò entrambi i lanciasiluri, sperando di costringere la bestia a lasciare la presa.
“Muori, bastardo!”
Quattro proiettili lasciarono i tubi di lancio in uno spruzzo di bolle, penetrarono nella mandibola della belva, conficcandosi nell'osso, strappando brandelli di pelle. Lo Squalo reagì serrando ancora di più la presa, senza emettere alcun lamento.
“Merda, no!”
Zina imprecò mentalmente, tentò di prendere il controllo della situazione.
“Oliver! Attiva il protocollo di emersione rapida! Recupero Monique e ti raggiungo appena possibile!”
“Fanculo, io cerco di aiutare Sam!”
Zina lanciò un urlo rabbioso.
“No che non lo farai! Cosa credi, che le tue armi abbiano qualche effetto? Non hai visto? Sam gli ha sparato quattro – dico – quattro siluri direttamente in bocca! E non lo ha nemmeno rallentato! Tu non puoi fare proprio nulla, Oliver! Scappa verso la superficie, è un ordine!”
Monique imbracciò lo XREP, mirò alla testa del mostro.
“Non avrò anche Sam sulla coscienza!”
Lo Squalo la fissò con un occhio, ruotò velocemente il proprio corpo sull'asse, esponendo il ventre aculeato. Uno scoppio violento, decine di coltelli in volo a velocità supersonica. Lo XREP passò in mezzo, colpì il mostro sul naso, centrando le ampolle di Lorenzini. Un voltaggio stratosferico a sconvolgere i sensori, ammutolirli, deviarli. Lo Squalo si contorse, attacchi epilettici, muscoli impazziti, la ragione perduta. Un grido rabbioso, un ultimo guizzo di lucidità. Serrò la mandibola con forza, frantumò il batiscafo, lo schiacciò tra le due arcate di denti. Poi, perse completamente il controllo, si accasciò contro la parete, strisciando sulle rocce aguzze, spargendo fiumi di sangue.
Monique non fece in tempo ad inorridirsi per la morte di Sam, non fece in tempo a scansarsi dopo aver sparato. La pioggia di arpioni la investì in pieno, trapassandole il collo, il petto, le gambe, le braccia, trascinandola fino al lato opposto della gola.
“Moni!”
Zina fermò i propulsori, le iridi tremarono, sul punto di scoppiare in lacrime. Osservò inorridita il corpo trafitto dalle lame, una macabra bambola voodoo a grandezza naturale. Monique scivolò lentamente verso il fondale, mentre l'oceano iniziò a filtrare attraverso gli squarci.
Zina dimenticò tutto. Il suo nome, la sua missione, il batiscafo di Oliver. I volti di Mia, Sam, Monique e Wreight si impressero con violenza nella sua mente, paralizzandone i sensi.
“Zina! Presto! Almeno tu, cazzo! Raggiungi il Beta, ti sto aspettando! Senza di te, non torno su! Non provare a ordinarmelo, perché non ti do ascolto!”
Zina tornò in sé, scosse il capo con violenza. Il bracciale di Wreight stretto ancora nella mano sinistra, il contenuto al sicuro.
“Okay, arrivo. Prepara i motori.”
Prima che potesse riattivare i propulsori, i parassiti le furono addosso.
6.
Otto stelle marine appiccicate alla corazza, i tentacoli in continuo movimento, i denti agitati nel tentativo di agganciarsi.
“No!”
Zina si dimenò, tentò di manovrare, di staccarli dalla tuta. Oliver iniziò a sudare, la fronte fradicia, il cuore in tachicardia, le dita a cercare l'interruttore dei siluri. Un conato di vomito, la mano immobile.
“No, se sparo uccido anche lei! Cazzo, che cosa faccio? Che cosa faccio?”
Zina aumentò la spinta dei propulsori, li lanciò alla massima potenza. I parassiti non avevano il tempo di consolidare la presa, oscillavano come pendoli attorno alla corazza. Solo uno era riuscito ad assumere una posizione stabile, proprio accanto al tubo dell'ossigeno. Allungò due tentacoli, si attaccò alle cinghie dello zaino, affondò le zanne negli agganci, iniziò a vomitare succhi gastrici. Zina sentì il carico staccarsi dalla schiena, collegato ancora al suo casco tramite il tubo.
Oliver alzò la voce, afferrò il microfono con entrambe le mani.
“Vengo a prenderti!”
“Stai dove sei!”
“Ma...”
“Fidati di me!”
L'idroreattore posteriore, ormai fuori asse, spinse la ragazza verso la parete di roccia, il fucile scagliato sul fondo. Il parassita approfittò della confusione, si attaccò al tubo dell'ossigeno, i tentacoli stretti attorno al metallo. Le altre creature consolidarono al presa, i tentacoli si insinuarono tra le pieghe, le giunture, tentando di spaccarle, di esporre la carne viva.
“Vogliono strapparmi la muta di dosso!”
L'armatura cigolò sotto gli strattoni dei parassiti, mentre Zina roteava come una trottola. Spense il propulsore centrale, inviò tutta la potenza agli stivali. Riprese l'assetto, puntò al batiscafo, senza più indugi. Un parassita si accanì sul tasto di sgancio della cintura, premendo con i tutti i tentacoli, un altro si introdusse tra il petto e la spalla, tentando di scardinarla.
La prima creatura incise un foro nel tubo dell'aria, vi riversò il suo acido, ne sciolse un anello.
“Zina!”
La ragazza trattenne il respiro, chiuse il condotto, isolò il casco dalle bombole, attivò mentalmente un interruttore. Lo zaino si staccò dalla sua schiena con uno scoppio fragoroso, trascinando tre parassiti con sé. Gli altri cinque aggredirono la corazza, lo stomaco estroflesso, pronto a sputare il liquido di morte.
Il giunto della spalla muggì disperato, un lamento che poteva significare soltanto una cosa.
Oliver fissò gli schermi, controllò i parametri vitali con apprensione, il battito, gli atti respiratori, il livello di ossigeno nel sangue. Si aspettava di vederlo calare all'improvviso, da un momento all'altro. Ma così non fu. Era straordinariamente stabile.
“Ma come cavolo fa a respirare senza bombole...?”
“Oliver, mi senti? Non posso parlare, ho attivato la trasmittente neurale.”
“Zina? Cosa...”
“Ascolta, la mia muta sta per cedere. Ho solo una possibilità e voglio sfruttarla fino in fondo. Allineati a me e apri il vano posteriore.”
“Come pensi di...”
“Fallo e basta.”
Oliver non se lo fece ripetere due volte. Il Beta ruotò di centottanta gradi, mostrando la poppa alla ragazza. Le paratie iniziarono a ritirarsi, con estrema lentezza, senza sapere se avrebbero accolto o meno un ospite vivo.
Zina sorrise debolmente, si fece coraggio. Strinse le braccia attorno al corpo, lasciando che i parassiti stritolassero le connessioni della muta.
“Mi dispiace, non ho scelta.”
Lanciò con forza il bracciale di Wreight, in direzione del batiscafo. Lo osservò sollevata, mentre vinceva la forza di gravità, galleggiando verso la sua destinazione finale.
“Cosa stai facendo? Perché hai... no! Non te lo permetto!”
“Cosa non mi permetti?”
“Io non lo porto su quel coso senza di te!”
“Oliver...”
Gli occhi chiusi per un istante, un'espressione decisa sul viso angelico.
“... io non ho nessuna intenzione di morire qui.”
“Eh? Che...”
“Fine delle comunicazioni.”
Una deflagrazione improvvisa, l'armatura espulsa in ogni direzione, i parassiti colti alla sprovvista. Il casco, i pettorali, le spalline gli avambracci, gli stivali, fatti a pezzi, dispersi in un raggio di cento metri dal centro.
“Zina!”
Il corpo della ragazza emerse dalla nube di bolle e bollicine, ancora avvolto in una tuta aderente nera. Senza più alcuna protezione, in un paio di secondi sarebbe stato orribilmente dissolto dal mare affamato. Oliver chiuse gli occhi per rispetto, si voltò dall'altra parte, concentrandosi sui radar, sul bracciale di Wreight. Gli occhi si riempirono di lacrime, la triste consapevolezza di non aver potuto fare nulla. Sullo schermo erano chiaramente visibili sia Zina, sia il bersaglio. Lei sarebbe sparita presto, certo. Solo allora si sarebbe concentrato di nuovo sulle telecamere. Solo in quel momento. Ma il momento tardava ad arrivare.
“...”
Il suo cuore ebbe un sussulto, quando il corpo iniziò a muoversi.
Oliver vinse il ribrezzo, vinse la paura, la curiosità ebbe la meglio. Inquadrò lo schermo principale, pronto al peggio. Sgranò gli occhi, senza riuscire a credere a ciò che stava osservando.
Zina riaprì le palpebre, allargò le braccia. Il tessuto nero si stava disintegrando rapidamente, lasciando la sua pelle a diretto contatto con l'ambiente esterno. Senza attendere oltre, iniziò a nuotare in direzione del bracciale. Le mani palmate smuovevano l'acqua, i piedi scivolavano senza attrito nel liquido verdastro. Alla base del collo, le branchie filtravano l'ossigeno, arricchivano il sangue, restituendo al mare solo ciò di cui non aveva bisogno.
“Non è possibile!”
Il suo corpo si muoveva con grazia tra i flutti, completamente illeso. Non una ferita, non una bruciatura. La pelle, i capelli, il viso, le pupille sottili. Esattamente uguali a prima.
Zina scattò in avanti, afferrò il bracciale, un ultimo scatto di reni, la spinta necessaria a raggiungere il batiscafo. Un bip sullo schermo, la conferma dell'attraversamento della soglia. Oliver chiuse immediatamente le paratie, attivò il deflusso rapido dei fluidi, si alzò in piedi. Il respiro pesante, gli occhi fuori dalle orbite, incapace di reagire, di comprendere.
“È solo un'allucinazione. Non può essere successo davvero.”
Attese una decina di secondi, il tempo necessario a svuotare il locale, un tempo interminabile. Quando i monitor gli confermarono la riuscita dell'operazione, premette l'interruttore meccanico. La paratia divisoria si disattivò, liberando la strada.
Un sussulto al cuore, il battito irregolare.
Di fronte a lui, il bracciale di Wreight, intatto.
E una ragazza nuda, sdraiata prona sul pavimento.
“Z... Zina?”
Zina tossì violentemente, sputò più volte, si alzò lentamente in ginocchio, cadde a terra, tentò di rialzarsi, cadde di nuovo. Oliver si avvicinò, la abbracciò con delicatezza, la ruotò in posizione supina. Un sorriso tirato si fece largo sul volto stanco.
“Hai... visto? Non sono... morta.”
Oliver sfiorò con incertezza le branchie, come se stesse toccando un alieno.
“Queste... cosa sono? Come... come hai fatto a sopravvivere là fuori?!”
Si sedette accanto a lei, dopo essersi pizzicato l'avambraccio per essere sicuro di essere sveglio.
“S... sì, insomma... che cosa sei?”
Zina chiuse nuovamente le palpebre, strinse le braccia al petto.
“È una storia lunga... e sono parecchio stanca. Te lo spiego un'altra volta, ti va?”
Sfiorò il bracciale con l'indice.
“L'importante è aver riportato indietro... questo.”
Oliver annuì con un cenno del capo, totalmente sconvolto.
“Già.”
“Senti, Oliver... per te va bene se dormo un po'? Svegliami quando siamo arriva...”
Sprofondò tra le braccia di Morfeo prima ancora di terminare la frase. Oliver si sfilò la giacca, la posò sul suo corpo a mo' di coperta. Poi, si incamminò verso la cabina di comando, con più domande che risposte.
Domande che non avrebbe mai voluto porsi.
7.
“Un campione interessante. Metallo e plastica inglobati da tessuto vivente.”
L'uomo sedette sulla scrivania, un sorriso raggiante sul volto. Capelli neri corti, occhi sottili, fessure aperte su iridi scure.
“Purtroppo, non credo di aver tempo di analizzarlo adesso. Devo terminare una relazione entro domani – roba grossa, capisci. Se non convinco il board che siamo sulla strada giusta, ci tagliano i fondi e finiamo tutti in pasto ai pesci.”
Oliver incrociò le braccia, scrollò il capo con forza.
“Dottor Zenka, abbiamo perso due squadre per recuperare quello stupido frammento! Quattro persone e due batiscafi, oltre a tutte le mute e le armi! Come può non avere tempo?!”
Lo scienziato aggrottò le sopracciglia, posò il mento sul dorso della mano destra.
“Non hai diritto di lamentarti, Eizen2. Tu sei tornato indietro. Tu e quella specie di scherzo della natura che si ostinano a chiamare ragazza.”
Oliver abbassò lo sguardo, i capelli ricci sparsi un po' ovunque sulla fronte. Un silenzio irreale calato nella stanza, il rumore ossessivo delle ventole di aerazione a spezzarlo regolarmente. Le pupille inquadrarono man mano tutto il locale, nel vano tentativo di distrarre la mente. Burette, becher, centrifughe, tutte rigorosamente catalogate e disposte sugli scaffali. Troppo pulite per essere state usate almeno una volta.
Un respiro profondo, le idee raccolte con calma.
“Se non fosse stato per Zina, non avrebbe quella boccetta tra le mani. Io non lo avrei potuto raccogliere col batiscafo. I parassiti e l'Encelado mi avrebbero massacrato.”
Zenka roteò il polso in aria, le dita lasciate oscillare per un secondo.
“Smettila di farmi la predica, Eizen. Credi che Vlienko3 non me lo ripetesse ogni santo giorno? Zina di qui, Zina di là, Zina è una persona, devi rispettarla...”
Chiuse il pugno di scatto, lo strinse con forza.
“Tutte stronzate. Zina è solo uno strumento, è nata come strumento: la usiamo come facciamo coi batiscafi, con gli XREP, con le pistole. Punto.”
Nessuna reazione, gli occhi verdi del ragazzo fissi sulle iridi scure. Zenka sollevò il braccio, un gesto eloquente in direzione dell'uscio.
“Se non hai altro di intelligente da dire, puoi andartene e lasciarmi in pace.”
Oliver annuì senza fiatare, gli rivolse la schiena, camminò lentamente verso la porta del laboratorio.
Si fermò un istante prima di varcare la soglia.
“Forse sarebbe stato meglio se fosse salito lei, su quella nave.”
Zenka spalancò la bocca, la lingua congelata tra le labbra, un abbozzo di reazione. Oliver allungò il passo con decisione, lasciandosi alle spalle l'ambiente asettico.
“La saluto dottore. Vorrei dirle che è stato un piacere incontrarla, ma non è così.”
Oliver percorse il corridoio con decisione, le mani rinchiuse nelle tasche del giubbotto di pelle, una gomma masticata con fare distratto. Odio represso, trattenuto a fatica, contenuto a malapena dai muri biancastri. Le finestre della struttura si aprivano sul mare, lasciando filtrare la luce tiepida del tramonto. Il calore residuo irrorava le pareti, donava loro un guizzo di vitalità. Alcune persone gli vennero incontro, dolore stampato sul viso, empatia forse.
Mani protese, lacrime di coccodrillo, parole di circostanza, tentativi di avvicinamento.
“Oliver! Abbiamo saputo...”
“Cazzo, quando mi hanno detto di Wreight...”
“Non sai quanto mi dispiace...”
Accelerò il passo, tagliando a metà la selva di condoglianze.
“Grazie ragazzi. Non ora. Ci vediamo al bar più tardi, se ne avete voglia.”
Se li lasciò alle spalle, proseguendo nel suo percorso solitario. La gomma aveva perso gran parte del suo sapore, ma non c'erano cestini nelle vicinanze. Oliver continuò a ruminare meccanicamente, lasciando il controllo della mandibola ai muscoli involontari.
Un'ampia porta sulla sua sinistra, una targhetta appesa a poca distanza. Un'occhiata rapida, parole stampate su plastica trasparente. La mano destra estratta dalla tasca, le nocche a battere ritmicamente sul metallo lucido. Una voce femminile in risposta.
“Chi è?”
“Eizen. Posso entrare?”
“L'orario di visita è finito da un pezzo.”
“Ah.”
Oliver premette il palmo sulla superficie liscia, il capo leggermente chinato in avanti.
“Volevo solo sapere come sta Zina. Quando siamo tornati a riva, l'avete portata di corsa qui e...”
“La signorina Siborg4 è già stata dimessa.”
“Dove si trova adesso?”
Silenzio. Nessuna risposta aldilà della parete.
“Ehi? C'è nessuno?”
Niente.
Un sospiro sconsolato, la schiena appoggiata all'intonaco, lo sguardo diretto al soffitto. Un colpo di tosse, la cicca quasi ingoiata. Oliver estrasse un fazzoletto di carta, sputò l'ammasso gommoso, lo richiuse con ribrezzo. Un paio di secondi per riprendere fiato, raccogliere le idee. Tornare a passo svelto in camera, forse. Cena veloce e poi birra al bar. Forse.
Gli amici lo avrebbero subissato di domande. Sempre che di amici si potesse parlare.
Si staccò dalla parete.
Un passo, un altro passo. Un lento incedere verso gli alloggi, lontano da tutti, da tutto, isolato dal mondo esterno. Il giorno successivo lo avrebbero mandato di nuovo là sotto – carenza di personale, dicevano. Nuova immersione, nuova squadra. Altri cinque sconosciuti da veder morire davanti ai suoi occhi. Se avesse avuto la fortuna di sopravvivere.
“È come lanciare una moneta: non saprai mai se uscirà testa o croce. Puoi solo sperare di aver puntato sul segno giusto.”
La voce di Wreight rimbombò nella sua mente, l'ultima frase prima di immergersi, il benvenuto cordiale nel team. Il sorriso di Monique, l'occhiolino di Mia, il quieto timore di Sam. Un brivido lungo la schiena, il capo scrollato con violenza.
Archiviò nella mente i volti dei defunti, li richiuse nel cassetto, buttò la chiave.
“Hai detto di chiamarti Oliver, giusto?”
Sollevò lo sguardo dal pavimento. E incontrò i suoi occhi.
8.
Oliver rimase paralizzato. Il contatto con le iridi gialle, una scossa elettrica attraverso il corpo. Un blackout nella mente, lo shock inatteso. Un istante per recuperare coscienza, riprendersi dalla sorpresa. Riconquistare la consueta lucidità.
“Esatto.”
Zina abbozzò un sorriso, portò le mani dietro la schiena, inarcò leggermente il busto. Giacchetta scura, maglia a collo alto, guanti larghi, jeans comodi, un paio di All Star sgualcite. Una ragazza ordinaria, nessun segno particolare. Almeno in apparenza.
“Cosa ci facevi in infermeria?”
Oliver sospirò rumorosamente.
“Stavo venendo a cercarti. Volevo sapere come stavi.”
Zina appoggiò la schiena alla parete, a pochi centimetri di distanza da lui.
“Solo questo? Dai, che poi ti cresce il naso.”
“Volevo delle risposte.”
“Ecco, questo è lo spirito giusto.”
Zina abbandonò la sua postazione, raggiunse il centro del corridoio.
“È quasi ora di cena. Ti andrebbe di farmi compagnia?”
Oliver scrollò le spalle, le mani nelle tasche.
“Immagino di non avere scelta.”
I due si diressero con calma verso il refettorio, in silenzio. Zina si guardava attorno, di tanto in tanto, facendo attenzione a non incrociare gli occhi di nessuno. Oliver contemplava il pavimento, una patina nera liscia ricoperta di polvere e cartacce. La mensa era gremita, quasi tutti i tavoli occupati. Zina si mise in coda di fronte al bancone, tentando di mantenere un profilo basso. Le teste dei presenti si girarono quasi all'unisono, inquadrando la nuova arrivata con fare interrogativo. Discorsi interrotti, occhiate sospette, parole sottovoce. Zina afferrò un vassoio, un velo di indifferenza glaciale, sofferenza interiore contenuta. Oliver la seguì a breve distanza, ignorando completamente le dita puntate, il brusio di fondo. Un rapido controllo al menu, al volto scavato del cuoco. Oliver si schiarì la voce, abbozzò un tentativo di sorriso.
“Cordon bleu di pollo con patatine. Niente male...”
“Io preferisco una minestra di verdure.”
“Vegetariana?”
“Solo quando non ci sono bistecche al sangue.”
Riempirono i vassoi, pagarono il conto, adocchiarono un tavolo vuoto. Oliver si accomodò sulla sedia di plastica rossa, Zina prese posto di fronte a lui.
“Ti sei ripresa in poco tempo.”
“Avevo solo bisogno di un controllo. Nulla di grave.”
Oliver infilò la forchetta nell'impanatura, senza distogliere lo sguardo da Zina, dal maglione a collo alto che nascondeva la sua vera essenza. Puntò il dito verso le sue clavicole.
“Quando pensavi di dirmelo?”
“Mai, credo. Non sono molto fiera del mio corpo. Se non le avessi viste, avrei fatto finta di niente...”
Il cucchiaio emerse dal brodo bollente, pezzi di carote e zucchini galleggiavano pigramente sulla superficie increspata.
“... ma raccontami un po' di te, Olli. Il tuo accento fa acqua da tutte le parti. Non sei inglese o americano, vero?”
“Hai un buon orecchio.”
“Di dove sei?”
Oliver si concentrò sul piatto, tagliò a metà il cordon bleu, masticò di gusto qualche patatina.
“La mia famiglia è originaria di Auckland, ma io sono nato a Brisbane. I miei nonni hanno lasciato la Nuova Zelanda quando è diventato chiaro che nessuno li avrebbe aiutati. Hanno preferito vendere tutto e fuggire in Australia, prima di essere obbligati a sloggiare.”
“Eizen sembra un cognome tedesco.”
“Può darsi. Non ho mai studiato la storia dei miei avi. Arrivo giusto ai bisnonni.”
Oliver ingoiò un boccone, ripulì la bocca con il tovagliolo.
“Quando ho detto a mio padre che volevo arruolarmi, mi ha preso per scemo. Diceva che il mare aveva già mangiato, che non era necessario dargli in pasto altra carne. Io non l'ho ascoltato. Sono stato ammesso alla sede australiana della WSRO5... ed ora, eccomi qui, a seimila chilometri da casa.”
“Tuo padre era solo preoccupato per te. Come biasimarlo? Al posto di Sam e Mia, avresti potuto esserci tu.”
Oliver sgranò gli occhi, tentò di scacciare il pensiero dalla mente.
“Ti piace rigirare il dito nella piaga?”
“No, stavo solo pensando. Mi sento in colpa.”
“Perché sei sopravvissuta?”
“Forse.”
Zina affondò avvicinò le labbra al bordo del piatto, sorseggiò lentamente il brodo, le mani attraversate da un leggero tremore. Oliver rimase in attesa, evitò di terminare il suo pasto. La metà rimasta del cordon bleu lo fissava con aria di rimprovero.
“Ora è il tuo turno di rispondere.”
Zina si immobilizzò, il tremore si fece più marcato. Oliver si schiarì la voce, un respiro profondo per raccogliere le idee.
“Che... cosa sei, esattamente? Perché l'acqua non ha corroso la tua pelle?”
“Vorrei saperlo anch'io.”
Zina sfilò uno dei guanti, portò alla luce la mano palmata, le sottili membrane distese tra le dita, fino all'inizio della seconda falange.
“Sono nata così. Completamente glabra, mani e piedi da rana e quelle... cose alla base del collo. Almeno, mi sono cresciuti i capelli. Pelata sarei ancora più rivoltante.”
Oliver allungò l'indice, sfiorò una delle membrane. Zina ritrasse la mano di scatto, la nascose sotto al tavolo, infilandola rapidamente nel guanto.
“Non farlo mai più.”
“Ti dà tanto fastidio?”
“Non immagini quanto.”
Oliver incrociò le braccia, stravaccato sullo schienale di plastica.
“Come hanno reagito i tuoi genitori?”
“Non ho avuto genitori. Sono stata creata, costruita. Un bel giocattolino per l'esplorazione dei fondali, nulla di più. Zenka non fa altro che ripetermelo.”
“Zenka è uno stronzo. Se lo sotterrassimo in un campo di patate, lo fertilizzerebbe per secoli.”
Zina strinse le palpebre, gonfiò le guance, cercò di trattenersi. Invano. Scoppiò in una risata fragorosa, di cuore. Alcuni avventori si voltarono istintivamente, tentando di cogliere il motivo di tanta ilarità. Non capendolo, tornarono ad occuparsi delle loro pietanze.
Zina si asciugò le lacrime, tentò di recuperare la serietà.
“Questa non l'avevo mai sentita! Oddio, ora come faccio a guardarlo in faccia senza pensarlo mezzo impantanato nella terra?”
Oliver addentò l'ultimo boccone rimasto, ripulì il suo piatto con calma.
“Non ne ho idea. Ogni volta che lo incontro, vorrei pestarlo a sangue. Poi, ricordo perché sono qui.”
“Sei troppo controllato.”
“Dici? Può darsi, ma non lo vedo come un difetto. Odio le persone che scattano alla minima provocazione. Reagisco sempre con indifferenza, le lascio sfogare, gridare, aspetto che finiscano e affondo la stilettata. Molti credono che alzare la voce sia sinonimo di avere ragione. Io la vedo esattamente al contrario. Quando se ne accorgono, invece di provare a calmarsi, aumentano ancora di più il volume. Gli dà fastidio il fatto che io non reagisca come vogliono loro, la mia tranquilla non resistenza gli impedisce di ragionare con lucidità. Con Zenka non è diverso.”
Zina scolò il brodo residuo, ripose la scodella sul vassoio.
“Mi ha fatto molto piacere parlare con te. Ne avevo proprio bisogno...”
Oliver la fissò con attenzione, iridi verdi e gialle a contatto diretto.
“Vai già via?”
“Sembra quasi che ti dispiaccia.”
Oliver inarcò un sopracciglio.
“Ti sembra così strano?”
“Sono un mostro, lo hai visto anche tu.”
“D'accordo, sei diversa, e allora? Giochiamo nella stessa squadra, la mia vita – là sotto – dipende da te. È normale che cerchi di conoscerti un po' di più, no? Secondo te, mi importa qualcosa se chi mi salva il culo è bianco, nero, giallo, gay, etero... o ha le branchie e i piedi palmati?”
Zina lo squadrò con fare interrogativo, si alzò dalla sedia, un occhiolino di complicità.
“Purtroppo devo andare ora. Ho qualche faccenda da sistemare... ma, se vuoi, possiamo vederci domani mattina.”
Girò attorno al tavolo, si portò a qualche centimetro da lui.
“Ti andrebbe di accompagnarmi in un posto?”
9.
“... e questo è tutto. Ci sono domande?”
Le luci si accesero in sala, brusio diffuso tra i presenti. Targhette multicolori, nomi stampati in ogni lingua e idioma conosciuto. Nessun applauso, silenzio irreale.
Colpi di tosse imbarazzati, borbottii, sguardi severi. Arturo Zenka passò in rassegna i volti, uno ad uno, fissandoli negli occhi senza timore.
“Avanti, non siate timidi. Sono pur sempre i vostri soldi, quelli che sto spendendo.”
Uno dei membri della commissione si alzò dalla sedia.
“Spendendo? Dica pure che li sta sprecando!”
Zenka alzò le mani aperte, un sorriso sornione sul volto.
“Su, si calmi. Non è il caso di reagire in questo modo.”
Il rappresentante tornò a sedersi, il viso crucciato.
“Dottor Zenka, parliamoci chiaro... abbiamo investito denaro a fondo perduto nella WSRO. Non abbiamo mai – e dico mai – messo in discussione il nostro supporto. Abbiamo fornito uomini e mezzi, tutti i sacrosanti aggeggi di cui dicevate di aver bisogno...”
Un secondo per riprendere il fiato, rielaborare i pensieri.
“... per cosa? Niente. Nessun risultato! Il mare continua a sciogliere gli scafi delle barche, gli Squali infestano ancora le poche tratte navigabili e gli attacchi di Piovre e parassiti si sono moltiplicati!”
Un coro di voci in supporto, battiti di mani, fischi, urla. Zenka rimase impassibile.
“Signori miei, devo ricordarvi di chi è la responsabilità? La situazione attuale non si è generata da sola.”
Parole congelate, lineamenti bloccati, paralisi indotta.
“È forse colpa nostra se avete deciso di ignorare le avvisaglie per i primi cinque anni? Siamo stati noi a liquidare la relazione della dottoressa Vlienko come... un momento... ah, sì! Stupidi allarmismi privi di fondamento? E vogliamo parlare di quanto tempo avete trascorso a negare l'evidenza? Ci sono ancora alcuni di voi che si ostinano a dichiarare in pubblico che gli Squali non esistono. Quindi, fatemi capire... io dovrei portarvi risultati con cui farvi belli di fronte alle televisioni? Così da poter dire guardate, abbiamo risolto il casino che abbiamo combinato? Prego, spiegatemi bene come funziona. Sono estremamente curioso.”
Il silenzio calò nuovamente nella sala, nessuna reazione. Marionette senza fili, burattini privi di direzione. Il rappresentante insorto allargò il colletto della camicia con l'indice, deglutì rumorosamente.
“Credo... credo ci sia stato un malinteso. Volevo solo...”
Zenka si leccò le labbra, uno scatto improvviso della lingua.
“Certo, sono io ad aver capito male. Non si preoccupi, capita. ”
Si voltò verso la lavagna luminosa, il capo chinato leggermente in avanti.
“Ad ogni modo, non è vero che non siamo riusciti a concludere nulla. Uno degli ultimi esperimenti ha prodotto risultati... inaspettati.”
“Che genere di risultati?”
“Non ne sono ancora sicuro, ma...”
Le palpebre serrate, gli occhi a formare una fessura.
“... forse abbiamo trovato la chiave.”
Silenzio assoluto, per un istante. Brusio di sottofondo, gli sguardi attoniti dei presenti. Zenka passò in rassegna la platea, senza aggiungere altro. Un minuto interminabile, l'attesa per la rivelazione. Zenka si schiarì la voce.
“Come ricorderete, non abbiamo mai catturato una Creatura viva, né abbiamo mai potuto raccogliere campioni di DNA. Al momento del decesso, la loro struttura cellulare collassa rapidamente e il fattore rigenerante perde efficacia. L'intero tessuto vivente viene corroso in venti-venticinque secondi scarsi, un tempo non sufficiente a prelevare una quantità apprezzabile di materiale. Sfortunatamente, la corrosione agisce a tempo di record anche su cellule e frammenti di pelle strappati alla Creatura per mezzo di arpioni, ami e via dicendo. Insomma, non abbiamo mai avuto modo di studiare come questi esemplari si siano riusciti ad adattare ad un ambiente così ostile...”
La mano fruga nella tasca del completo scuro, ne estrae una boccetta di vetro.
“... almeno fino a oggi.”
Un mormorio diffuso, agitazione, sgomento. Zenka taglia corto, interrompe teatralmente la pausa.
“Una squadra di sommozzatori è stata inviata alle sei di questa mattina per verificare l'integrità di un relitto. Il campione che ho qui dentro è un frammento di vernice proveniente dallo scafo.”
“Un relitto? Ma come...”
“Sì, anch'io ho reagito così, quando me l'hanno detto. Un relitto ancora intero. In una delle zone più acide del globo.”
Zenka giocò con la bottiglietta, la lasciò scivolare nella tasca.
“Ovviamente, era una trappola. Una Lanterna aveva assimilato lo scafo prima che fosse corroso, riproducendolo alla perfezione sulla parte superiore del suo cranio.”
“Quindi...”
“Quindi, questo frammento di vernice è in realtà pelle di Lanterna, in perfetto stato di conservazione. Studiandola, potremo riuscire a ricostruire il fattore rigenerante ed applicarlo alle nostre navi...”
Un'interruzione studiata, l'espressione crucciata del volto.
“... sempre che abbiamo abbastanza tempo per farlo.”
Una cartina geografica comparve alle sue spalle, puntini luminosi pulsanti disposti su mari e oceani.
“Recentemente, abbiamo scoperto che l'acidità complessiva di alcune zone è diminuita in modo sensibile, ma il fattore corrosivo è aumentato esponenzialmente.”
“Non siamo tutti scienziati qui! Parli in modo più semplice!”
Zenka ruotò gli occhi nelle orbite, trattenne un sospiro sconsolato.
“C'è meno acido disciolto, ma è più aggressivo. Stiamo ancora studiando il meccanismo, abbiamo già un'idea su come ciò sia possibile.”
L'immagine sullo schermo mutò improvvisamente, mostrando microrganismi di varie forme e dimensioni.
“Il phytoplankton mutato ha iniziato una sorta di... guerra intestina. Se prima l'acido prodotto non era in grado di sciogliere le loro membrane cellulari, adesso sembra che alcune sottospecie siano capaci di sintetizzare sostanze pericolose per le altre. I dati che abbiamo raccolto indicano una riduzione apprezzabile della densità di phytoplankton, con trend negativo. Ora, questo fenomeno si è verificato in aree ristrette e può essere considerato come un'anomalia isolata... ma non per questo da sottovalutare: considerato che almeno metà dell'ossigeno che respiriamo è prodotto da queste simpatiche creaturine, se la nuova mutazione prendesse piede...”
Zenka scosse il capo, evitò accuratamente di guardare i presenti negli occhi.
“... be', il succo del discorso è chiaro, no?”
10.
Il Sole dell'alba si stagliava in tutto il suo pigro splendore sull'acqua tranquilla. Minuscole onde si infrangevano sul bagnasciuga, con ritmo regolare. Alcuni gabbiani sguazzavano indistrubati, altri si tuffavano in picchiata, nel vano tentativo di catturare qualche pesciolino.
Oliver si accomodò sul pagliolo, la mano destra a proteggere gli occhi dal gigante di fuoco appena sorto dalla superficie del mare. La barchetta oscillava con quieta tranquillità, in un'atmosfera sospesa tra realtà e sogno.
“Non credevo che esistesse ancora un paradiso del genere...”
Oliver ruotò il capo, un sorriso divertito stampato sul volto.
“Come l'hai trovato?”
Schizzi d'acqua gelida, Zina riemerse dall'azzurro profondo. Si passò le mani tra i capelli umidi, li arricciò con fare distratto.
“Sssst! È un segreto!”
Sparì nuovamente tra i flutti, esibendosi in un tuffo elegante. Oliver respirò a pieni polmoni. L'odore di morte e decomposizione sembrava non aver mai raggiunto quel giardino segreto, lasciandolo intatto come testimonianza di un passato ormai lontano.
Oliver scrollò la t-shirt impregnata di salsedine, i pantaloni corti intrisi di umidità. Ruotò su se stesso, poggiò le braccia sul bordo del gozzo.
Zina fece capolino poco lontano, agitò le braccia in direzione della barca.
“Ehi, perché non ti tuffi anche tu?”
“Non so nuotare.”
“Non è vero. Vai in piscina ogni giorno.”
“Qualcuno deve rimanere sulla barca. Se scendiamo entrambi e finisce alla deriva...”
“Io sono molto veloce, non preoccuparti.”
Un lungo sospiro.
“D'accordo, d'accordo. La verità è che ho paura.”
“Paura?”
La mano a pochi centimetri dal liquido trasparente, nessun desiderio di sfiorarlo.
“Paura di morire. Di essere sciolto dall'acido.”
“Qui il mare non è corrosivo. Per un gioco di correnti e densità, questo golfo è sicuro. Credi che i gabbiani vivrebbero qui, se fosse pericoloso?”
Oliver ritrasse le dita, alzò gli occhi al cielo, verso lo stormo di uccelli biancastri.
“Non lo so. È la prima volta che li vedo. Credevo fossero piccioni troppo cresciuti.”
“Cosa mi dici dei pesci, invece? E delle alghe? Credi che potrebbero resistere? Dai, non farti così tanti problemi! È sicuro al cento per cento!”
Un lungo sospiro. Oliver abbassò lo sguardo, incrociò le iridi gialle.
“Tu non hai questo problema, Zina. Che ci sia acido o no, cosa cambia per te? Non capisco nemmeno perché indossi la muta, quando sei in missione.”
Zina si rabbuiò, strinse le braccia attorno al proprio corpo, le palpebre semichiuse.
“Forse perché ho ancora un po' di senso del pudore?”
Oliver si grattò i capelli, aggrottò le sopracciglia.
“Detto da una che non indossa nemmeno un bikini...”
“Cretino!”
Zina colpì l'acqua con violenza producendo una marea di schizzi bluastri.
“N... no! Ferma!”
Oliver fu centrato in pieno dall'ondata, scivolò all'indietro, cadde di schiena sul pagliolo. Si passò la mano sulla fronte, sulle membra inumidite, temendo il peggio. Niente. Nessuna reazione. La pelle era ancora al suo posto.
“...”
“Ora ci credi che è sicura? O devo infilarti la testa sott'acqua per convincerti?”
Oliver si alzò in ginocchio.
“No, grazie. Preferisco continuare a guardarti.”
Zina rispose con una linguaccia.
“Sai che non suona molto bene? Sembrano le parole di un maniaco.”
“Non ti ho obbligato io ad invitarmi.”
“Già...”
Un sorriso appena abbozzato, le braccia agitate in ampi movimenti per restare a galla. La ragazza si diede la spinta coi piedi, raggiunse il gozzo, si aggrappò al bordo dello scafo.
“... ma la tua risposta... oddio, non so come spiegarlo. So che è incredibile, ma mi sono quasi messa a piangere dalla commozione quando mi hai risposto.”
Oliver si sporse in avanti, fissò Zina negli occhi.
“Cosa avrei detto di così profondo?”
“Sì.”
“Uh?”
“Hai detto... sì. Hai risposto così. Una sillaba soltanto.”
“Non è un po'... banale?”
“Se analizzi solo le lettere di cui è composta, sì, è banale. Ma è il contesto ad avermi emozionata. Quando ti ho chiesto se ti andava di accompagnarmi in un posto... tu non hai esitato. Hai risposto subito, senza chiedermi dove, come, perché. Hai solo detto sì. E quel sì non significava solamente va bene: con quella risposta, mi hai detto vengo con te, ovunque tu voglia portarmi, perché mi fido. E non mi interessa se sei uno scherzo della natura: per me sei un essere umano come tutti gli altri...”
Un sospiro, una pausa di qualche istante per riprendere fiato.
“... e, credimi, erano le parole più belle che qualcuno avrebbe mai potuto rivolgermi.”
Oliver la osservò in silenzio, ammirò i lineamenti delicati, contemplò l'insicurezza celata in quel corpo bizzarro. Aprì le labbra, tentò di parlare, ma senza successo. Lo sguardo trasmise tutte quelle sensazioni che le parole non sarebbero state sufficienti a veicolare.
Zina ruppe l'imbarazzo, si issò a bordo della barchetta con uno scatto di reni.
“Si sta facendo tardi, il Sole è già alto nel cielo. Forse è meglio tornare a riva.”
Si accoccolò sul pagliolo, le ginocchia premute contro il petto, le braccia a cingere le gambe. Oliver si sedette al suo fianco, le posò un grosso asciugamano sulle spalle. Zina lo sistemò in modo da nascondere le branchie, incurante di svelare altre parti del suo corpo. Subito dopo, serrò le dita delle mani e dei piedi, le membrane contratte tra le falangi, quasi invisibili.
“Grazie...”
“Chi altro è a conoscenza della tua vera natura, oltre a me e a Zenka?”
“... tutti.”
“Eh?”
“Wreight, Monique, Sam, Mia... gli infermieri e le infermiere del centro di primo soccorso... il comandante in capo. Tutti.”
Si strinse nell'asciugamano, incrociò le braccia.
“Non hai notato come mi guardavano, mentre cenavamo? Non hai notato come hanno smesso di parlare quando sono entrata? Lo sanno tutti. Tutti sanno che devono evitarmi.”
“Stupida.”
Zina sgranò gli occhi, spalancò la bocca.
“C... come, scusa?”
“Ho detto che sei una stupida.”
Oliver si alzò, aprì una borsa frigo, ne estrasse due lattine di birra.
“Apri la mano.”
“Perché sono... stupida?”
“Apri la mano, poi ti spiego. Fidati di me.”
Zina lasciò con riluttanza il lembo dell'asciugamano, ruotò il palmo verso l'alto, separò le dita. Oliver vi posò una lattina, sfiorò le membrana tra l'indice e il medio con delicatezza. Zina si ritrasse con uno scatto, il volto paonazzo.
“Ti avevo chiesto di non farlo mai più.”
“Sono stupido anch'io, allora. Anche se non quanto te.”
Oliver strappò la linguetta con decisione, si sedette nuovamente accanto a lei. Sorseggiò qualche centilitro d'alcool, posò la bevanda sul pagliolo.
“Cosa ho di tanto stupido?”
“Hai mai provato a relazionarti con gli altri?”
“Eh?”
“Ti sei chiusa a riccio nella tua diversità. Ti sei riempita di spine. È naturale che gli altri si tengano alla larga.”
Zina iniziò a tremare, portò la lattina alle labbra, bevve un lungo sorso per placare l'agitazione.
“C... cosa vuoi dire?”
“Che la persone attorno a te non ti evitano solo perché sei diversa. Ti evitano perché tu vuoi essere evitata. Non sono loro che non vogliono avere contatti con te, sei tu che non vuoi averne con loro. È per questo che sei stupida. Credi davvero che io sia speciale, che solo io sappia vedere oltre le differenze?”
Zina sputò sulle assi, gli occhi ridotti a fessure.
“Sei troppo ingenuo, Olli. Non sai cosa ho sofferto. Non ne hai la minima idea.”
“Va bene, va bene. Time out.”
La lattina sollevata al cielo, sotto i raggi del Sole ormai nato.
“Cosa ne dici se per oggi la finiamo qui e la chiudiamo con un brindisi?”
Zina mimò il gesto con un sorriso.
“Mi sembra un'ottima idea.”
“La prossima volta, magari mi spiegherai qualcosa di più.”
“Sempre che ci sia una prossima volta.”
Un brivido gelido lungo la schiena, le immagini dei compagni morti. Oliver scacciò via i pensieri bui, colpì con forza la lattina di Zina.
“Ci sarà, non preoccuparti. Te lo prometto.”
“Non fare promesse che non puoi mantenere.”
Il tintinnio del metallo, le bevande portate alle labbra.
Zina scolò la bibita tutta d'un sorso, lasciò che l'alcool entrasse in circolo, si sdraiò supina sul fondo della barca, ad osservare le nuvole. Un vago torpore si impadronì delle sue membra, un senso di stanchezza propagatosi in tutto il corpo.
Oliver la imitò, chiuse gli occhi, si lasciò cullare dal dondolio della barca.
Voleva registrare ancora un momento di pace prima dell'immersione, un ricordo sereno da portare con sé negli abissi.
Per ricordarsi che accanto all'inferno più nero poteva ancora esistere un paradiso.
11.
“Ripetimelo, per favore. Dobbiamo rischiare la vita per un uovo di Nebula?”
“Il nido X-67 è quasi completamente incustodito. Secondo gli strumenti, il branco è in caccia a qualche miglio da qui. È un'occasione unica.”
Il cigolio degli argani interruppe il discorso. L'ascensore per la baia d'imbarco iniziò lentamente a scendere.
Sei persone accomodate sulla pedana, tute corazzate di ultima generazione. Tre sommozzatori. Tre piloti.
Zina tirò le cinghie dei guanti, le strinse con forza fino alla chiusura completa. Un'occhiata dubbiosa al volto del comandante, ai capelli rossi lisci, alla pelle scura. Un colpo di tosse imbarazzato.
“Tutto a posto, Zina?”
“Credevo che gli Squali fossero ovovivipari.”
“Non tutti. I Nebula depongono intere covate. Non hai letto i rapporti?”
“Ero troppo impegnata a sopravvivere.”
L'uomo la guardò di sottecchi, uno sbuffo sospeso tra compassione e seccatura.
“Scusami. So bene cosa è successo ieri. Sono solo nervoso, tutto qui.”
“Nessun problema. È naturale.”
Le luci al neon scintillavano nella cabina, riflesse dalle pareti metalliche. Fuochi fatui, spiriti evanescenti.
Oliver fischiettava con noncuranza, vestito della sua comoda divisa d'ordinanza. Un motivetto tranquillo, ripetuto. Un modo come un altro per abbassare la tensione. Il comandante lo fissò negli occhi, due paludi grigie specchiate in laghi verde smeraldo.
“So che avreste diritto ad un po' di riposo, ma ho subito pressioni da Zenka. Voi non dovreste essere qui, adesso. Mi dispiace.”
“Smettila, Grigorij6.”
“Uh?”
“Zenka è il responsabile scientifico, ma sei tu che organizzi le squadre. Se avessi deciso di lasciarci a terra, l'avresti potuto fare.”
Grigorij abbassò il capo, strinse il fucile al petto.
“Avevo bisogno di tre squadre per questo recupero. Non avevo molta scelta.”
Zina trasalì, ingoiò un grumo di saliva.
“Siamo... siamo rimasti solo noi?”
Grigorij non rispose. Si limitò a guardare in avanti, senza voltarsi.
Un bip acuto, clangore metallico, la piattaforma traballò per un istante. Le porte dell'ascensore si aprirono, un coro di luci rosse lampeggianti ad accogliere i nuovi arrivati.
Grigorij lasciò a malincuore la sicurezza della cabina, si fece largo verso il bacino di immersione. Gli altri lo seguirono a ruota, diversi livelli di apprensione. Tecnici e operai affollavano l'ampia sala rettangolare, le sei vasche aperte, circondate da solide recinzioni. Gru e impalcature montate tutto attorno, i batiscafi sospesi a qualche metro dall'acqua. Oliver notò il Beta, ancorato saldamente a quattro piloni laterali, un gancio di sicurezza a sostenerlo dall'alto. Le postazioni di Alpha e Gamma desolatamente vuote, le targhe con il nome ancora appese all'estremità superiore dell'argano. Oliver chiuse gli occhi, strinse i pugni, inspirò profondamente.
“Come si chiama questo?”
Una voce femminile lo scosse dal suo stato di contemplazione. Accento britannico perfetto, come mai l'aveva sentito – nessuna inflessione, nessuna alterazione dialettale. Ruotò istintivamente il capo, tentando di inquadrare la ragazza. Incrociò due occhi azzurri come il cielo, incastonati in un viso ancora acerbo ma già adulto. Capelli biondi lunghi, una cicatrice sulla guancia destra, tratti est europei, corporatura esile, armatura tattica già indossata. Il terzo sub.
Oliver sollevò l'indice destro.
“Questo qui? Beta. È il mio batiscafo.”
“Ba-ti-sca-fo. Perfetto, grazie.”
Oliver incrociò le braccia, la fissò per un lungo istante.
“Non ci siamo ancora presentati. Io sono Oliver, qual è il tuo nome?”
“Alessia. Alessia Ilianevna Aemillia7.”
Oliver allungò la mano, la ragazza la strinse dopo un attimo di esitazione.
“Prima immersione?”
“Sì. Solo esperienze al simulatore. Ero una riserva.”
“Fino ad oggi.”
“Fino ad oggi.”
Alessia raccolse i capelli, li convogliò nel colletto della muta.
“Non sono mai scesa là sotto, avrei voluto aspettare di più. Però avevano bisogno di una sommozzatrice, dopo aver perso Wreight e Monique. Ero l'unica disponibile tra le reclute. Le altre sarebbero morte in dieci minuti.”
Oliver socchiuse le palpebre, la squadrò dall'alto in basso.
“Cosa ti fa pensare di essere pronta?”
“Non lo sono, infatti. Non so se tornerò a galla, ma non ha importanza.”
Un cenno di saluto, un abbozzo di sorriso.
“Devo raggiungere il mio ba-ti-sca-fo. A dopo.”
Si voltò senza aggiungere altro, allontanandosi di gran carriera. Oliver rimase a guardarla, immobile, mentre la ragazza si avvicinava all'Epsilon.
“So cosa stai pensando, Olli. E te lo confermo.”
Grigorij comparve alle sue spalle, il casco tenuto sotto il braccio.
“Alessia ha solo sedici anni. In circostanze normali, non le avrei mai permesso di immergersi.”
“Sedici anni...”
Oliver abbassò lo sguardo, il volto impassibile.
“Da quando arruolano delle bambine?”
Grigorij scosse il capo, lasciando ondeggiare la chioma rossastra.
“Non farmi domande, ne so quanto te. L'unica persona a conoscere tutta la storia è Kamila8, la sua pilota. È stata lei a firmare il nulla osta.”
“Non le ho mai incontrate in mensa.”
“Neppure io. Se ne stanno sempre in disparte.”
“Uh-uh...”
Grigorij lo fissò dritto negli occhi.
“Ascoltami bene, Oliver: il comando delle operazioni è sotto la mia responsabilità. In caso non fossi più in grado di dare ordini, la palla passa a Demian, poi a Zina, infine a te. Kamila e Alessia hanno l'ordine di risalire in superficie immediatamente al primo segnale di squilibrio o agitazione. Una recluta, per quanto brillante, non è molto utile se si fa prendere dal panico.”
“D'accordo. Altre indicazioni?”
Una mano sulla spalla, le iridi tremanti.
“Non morire.”
Oliver annuì con un cenno del capo. Un'espressione sollevata sul volto di Grigorij.
“Bene. Prima di fare di testa tua, avvisami. La nostra vita dipende da voi e dai vostri sonar. Siete i nostri occhi, le nostre orecchie. Vedi di ficcartelo bene in testa, perché non ho voglia di tirare le cuoia.”
“Farò del mio meglio.”
I due uomini si allontanarono in direzioni opposte, verso le rispettive postazioni. Zina aspettava seduta su una scaletta di metallo, il fucile XREP già agganciato allo zaino.
“Finalmente. Credevo non arrivassi più.”
Oliver si aprì in un sorrisetto malizioso.
“Sono stato trattenuto.”
“Guarda che è troppo piccola! Non è nemmeno maggiorenne.”
“E a te cosa importa? Se è consenziente...”
Zina accarezzò il calcio della pistola a flechettes, senza distogliere lo sguardo.
“In generale, ho una buona mira... ma gli incidenti capitano. Non si sa mai, potrei colpire il Beta per errore, là sotto.”
Oliver la superò con noncuranza, salì nella cabina di comando, sfiorò il monitor.
“Però devi ammettere che è una bella ragazza.”
Zina si accomodò nel vano posteriore, allacciò la cintura di sicurezza.
“Ho anche un fucile. Non dimenticarlo.”
Oliver prese posto, si agganciò allo schienale, inserì le mani nelle fessure di guida.
“Come potrei?”
Le sirene risuonarono con forza, i portelli di accesso sigillati. Una voce gracchiante dagli altoparlanti, il movimento rapido dei tecnici.
“Attenzione. Sgancio dei sommergibili tra dieci secondi. Tutto il personale si allontani dalle vasche.”
Una folla di operai, file ordinate, uno sciame di formiche in migrazione. Quattro batiscafi sospesi, tre attivi. I supporti laterali ritratti nella carlinga, la fune d'acciaio srotolata.
“Cinque secondi.”
Kamila accomodata sulla seggiola, i contatti neurali attivi, Alessia seduta in silenzio alle sue spalle.
“Tre.”
Una goccia di sudore sulla fronte di Demian, il pacchetto di sigarette nascosto nella giacca.
“Due.”
Le recinzioni abbassate, le vasche aperte. Trenta centimetri all'acqua.
“Uno.”
Una preghiera sottovoce, accento di Brisbane. Un controcanto inudibile in ucraino.
“Zero.”
I ganci si aprirono di scatto, i sommergibili in caduta libera, l'impatto con il mare.
E la lenta immersione negli abissi.
12.
Le dita battevano furiosamente sulla tastiera, un ticchettio incessante intervallato da imprecazioni. Gli occhi fissi sullo schermo, sulla serie interminabile di dati e analisi chimiche. Il frammento di Lanterna scansionato in tre dimensioni, un controllo completo e preciso. Uno sguardo al contenitore, alla capsula di metallo sospesa a pochi centimetri da un dewar ricolmo di azoto liquido. Il ticchettio rallentò, ritmo irregolare, un ringhio gutturale.
Silenzio, all'improvviso.
Il ronzio del disco rigido a farla da padrone.
“Tutto questo non ha senso!”
Zenka colpì la scrivania con forza. Un respiro. Un altro respiro. Il tentativo inutile di recuperare la calma.
“La Lanterna è morta, il campione non può... continuare a rigenerarsi.”
Chiuse lo schermo con un impeto di rabbia, si alzò dalla sedia, camminò verso il cucinino. Tapparelle chiuse, stanza quasi completamente in ombra. Una debole lampada al neon rischiarava il piano cottura, mostrando macchie di grasso e unto che sembravano aver impregnato l'acciaio inossidabile fino alla radice. Zenka spalancò il portello del frigorifero, ne estrasse un cartone di succo di frutta. Un bicchiere riempito di essenza di pesca, le labbra irrorate di freschezza, un istante di pace interiore. Appoggiò la schiena al muro, lo sguardo perso nel vuoto.
“Natassia non aveva... no, è assurdo... eppure...”
Scivolò fino al pavimento, si rannicchiò in posizione fetale.
“Quel pesce è morto. È morto, altrimenti la nave non si sarebbe dissolta. Tutte, tutte le osservazioni confermano che quando uno Squalo o una Creatura muore, le sue cellule perdono il fattore rigenerante e vengono distrutte in pochi secondi dall'acido. Ma allora... perché? Perché questo frammento, lontano dall'organismo originale, continua a tentare di riprodursi? Natassia...”
Il capo piegato in avanti, il tetra-pack lasciato cadere.
“... cosa devo fare? Cosa posso fare? Io non sono te...”
Un ghigno tagliò il volto a metà.
“... per fortuna.”
Una risata fragorosa, folle, sadica, forte, lenta, sempre più lenta, un singhiozzo. Lacrime.
“Cosa... cosa sto dicendo?”
La mano deterse gli occhi, stropicciò le palpebre.
“Devo essere stanco. Forse, passare tutta la notte a scrivere il programma di analisi non è stata una buona idea.”
Lasciò il cucinino alle spalle, raggiunse il computer a passo svelto, riaccese lo schermo.
“Se riuscissero a recuperare anche soltanto un uovo di Nebula, potremmo studiare per la prima volta un esemplare vivo. Invece di... uh?”
Un led rosso lampeggiante sul serbatoio di contenimento.
Zenka richiamò una finestra sul desktop, la ripresa della microcamera ad occupare lo schermo.
Sgranò gli occhi.
“Merda!”
Il led iniziò ad accendersi sempre con maggior frequenza, un vago tremore nella capsula.
“Merda, merda!”
Zenka armeggiò rapidamente coi controlli, attivò l'argano, aprì il serbatoio di azoto liquido. La capsula scalpitava, vibrazioni sempre più intense, il coperchio spinto verso l'alto, la telecamera perse il segnale, un'immagine nera fissa sul computer. Il cavo si srotolò all'improvviso, lasciando precipitare il contenitore nel liquido criogenico. L'azoto ribollì, gorgogliò per qualche istante, vapori incolori emersi dalla superficie. Il contenuto della capsula si agitò, premette contro le pareti, si espanse, si contrasse, perse il suo impeto, si acquietò.
Zenka trasse un sospiro di sollievo.
Si avvicinò con circospezione al dewar, un passo alla volta. Il fluido trasparente aveva completamente avvolto la capsula, ormai immobile. Una contromisura riuscita.
“Non posso credere che...”
La mano portata alla bocca, un conato di vomito trattenuto.
Il coperchio era stato sfondato. Una massa informe e bluastra fuoriusciva dalla spaccatura, tentacoli viscidi, protuberanze, appendici immobili.
Zenka corse al pannello di controllo, premette il tasto di chiusura, il dewar sigillato, riempito fino all'orlo. Un crepitio inumano, raggelante.
Il led nuovamente verde.
Zenka crollò in ginocchio, si lasciò andare. Una pozzanghera maleodorante riversata sul pavimento, il sapore pungente in gola. Una, due volte, nemmeno il tempo di raggiungere il bagno.
Si asciugò la bocca con un fazzoletto, tentò di rialzarsi in piedi.
Un singulto improvviso, il corpo piegato nuovamente in avanti.
“Che... schifo...”
Afferrò malamente un rotolo di carta da cucina dal tavolino, ne strappò diversi fogli, li gettò sui suoi succhi gastrici, tentando di assorbirne almeno una parte. Il tanfo nauseabondo lo fece tentennare.
“Se non lo pulisco ora, questo posto puzzerà più di un cimitero...”
Camminò lentamente fino al cucinino, tirò fuori uno straccio e una conca dall'armadio, svitò il tappo del detergente.
Tentò di distogliere la mente, di non pensare a quanto visto alcuni secondi prima. Senza successo. Un brivido gelido percorse il suo corpo.
“Quell'affare... stava crescendo ad una velocità pazzesca. Neanche un tumore...”
Un'epifania improvvisa, la sensazione di aver collegato i pezzi.
“... quindi, l'acido...”
La mano stretta al manico della scopa, i muscoli irrigiditi.
“... cazzo...”
Un ringhio inumano, lo straccio passato con violenza per terra, i pensieri ripuliti dal detergente. La macchia verdastra colpita ripetutamente, circoscritta, assorbita. Due, tre passaggi, l'acqua sporca riversata nella conca, il pavimento aggredito dall'odore di detersivo. Zenka afferrò le maniglie di plastica, svuotò il recipiente nel gabinetto, tirò l'acqua. Il tanfo di morte si disperse nello stanzino, sovrastato dal deodorante per ambienti.
Zenka tornò in laboratorio, si lasciò cadere sulla sedia, gli occhi chiusi. Il desiderio improvviso di dormire, dormire e non risvegliarsi, lasciarsi tutti i problemi alle spalle.
“Perché ho insistito per analizzarlo da solo? Non potevo chiedere agli altri di aiutarmi? Mi sento così... stupido.”
Uno sbuffo d'aria compressa, l'apertura della porta automatica. Zenka spalancò le palpebre, ruotò il capo verso l'ingresso.
“Chi è?”
Nessuna risposta. Zenka si alzò in piedi, tentò di inquadrare il nuovo arrivato. La semioscurità della stanza celava i dettagli della figura. Delle figure. Quattro sagome scure, prive di lineamenti, completamente avvolte dalle tenebre.
“Contiamo tutti su di te, Arturo.”
“Devi riuscirci.”
“Se ti arrendi, chi prenderà il tuo posto?”
Zenka rimase paralizzato, scosse il capo più volte.
“Chi siete? Cosa volete da me? Non...”
La figura più alta si discostò dal gruppo, un luccichio rossastro all'altezza delle iridi.
“Zenka... noi siamo morti per portarti quel frammento...”
Il volto di Wreight emerso dalla pece, uno sguardo terribile, inquisitivo.
“... non deluderci.”
Un urlo agghiacciante, le mani nei capelli. Zenka si svegliò di soprassalto, sgranò gli occhi, respirò profondamente. Era seduto di fronte al computer. Non si era mai alzato.
“Un incubo. Uno stupido... incubo.”
Il battito esagerato del cuore, la cassa toracica espansa e compressa. Alcuni secondi di puro terrore, qualche istante per riprendersi.
Zenka si piegò in avanti, portò le dita a contatto con la tastiera. Un ghigno compiaciuto si disegnò sul suo volto, la voce stridula riecheggiò nella stanza.
“Non è un mio problema, Wreight. Avresti dovuto stare più attento.”
Una risata isterica accompagnò le parole, le frasi rivolte a chi non poteva rispondere.
“Sì, avresti dovuto cavartela, Wreight. Tu e Monique eravate i migliori. Ora, chi è rimasto? La ragazza-pesce. Puah! È tutta colpa vostra. Dovevate sopravvivere. Non sapete in che casino mi avete lasciato.”
Un click nervoso del mouse, gli occhi spalancati, pupille ridotte a punti microscopici.
“Fortuna che ci sono io. Non posso proprio fidarmi di nessun altro! Eh già!”
Il ticchettio incessante, un luccichio sinistro nelle iridi.
“Ti dimostrerò che avevi torto, Natassia. Io sono migliore di te. Lo sono sempre stato.”
(Non) fine
1Pronuncia: Ràit
2Pronuncia: Àizen
3Pronuncia: Vliéenko
4Pronuncia: Sìborg
5World Sea Restoration Organization
6Pronuncia: Grìgori
7Pronuncia: Alessia Ilianefna Emiglia
8Pronuncia: Càmila