Metroid – Odissea (2011, incompleto)

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Ero stato stregato da Metroid Fusion, dopo averlo visto giocare da mio fratello (io sono abbastanza una capra con giochi di quel tipo). Metroid Prime Hunters mi aveva colpito persino di più, introducendo personaggi come Weavel, Sylux e Trace. La mia curisotià verso l'Impero Kriken, una parte della lore di Metroid mai esplorata, mi aveva spinto ad iniziare a scrivere una storia ambientata dopo Fusion. Nella storia, Weavel, l'ultimo leader rimasto dei Pirati Spaziali, viaggia per lo spazio sulla sua astronave Socratis, con i supersititi della sua specie, mentre la Federazione cerca di stringere un armistizio con l'Impero Kriken. Nel frattempo, Samus è scomparsa e Sylux le sta dando la caccia. Nonostante un paio di scelte orribili che tornando indietro non farei (Weavel appassionato di filosofia terrestre? SERIAMENTE?), alcune scene mi rimangono nel cuore ancora dopo molti anni - specialmente quelle ambientate su Cylosis prima dell'invasione della federazione (qualcuno ha detto "origini di Sylux"?), su Kriik (il pianeta dei Kriken) e su una stazione spaziale in disuso esplorata da due Pirati Spaziali. Metroid - Odissea non verrà mai completato, ma non caricarlo non avrebbe avuto senso, vista la sua storia nella mia crescita personale come autore.


1. Apèiron


Il silenzio infinito del vuoto. Una sensazione irreale. Impossibile abituarcisi. Nessun essere vivente dotato di udito potrebbe trovare familiare un ambiente privo di suoni e rumori. Certo, restano le immagini, ma non sempre questo è un vantaggio. Perché è vero, la luce si muove più in fretta di qualunque onda sonora, ma finché non senti il boato dell'esplosione, non ti muovi, non cerchi di fuggire. Il tuo cervello reagisce in ritardo. Un ritardo di un paio di secondi, sia chiaro, ma sono quei due secondi che possono salvarti la vita. Le vetrate della nave erano una finestra sul niente, un nulla scintillante, che ribolle di stelle, fornaci galattiche che bruciano idrogeno ed elio, fari immensi ma microscopici nella totalità dell'universo, unica fonte di vita per molte creature. Un movimento nel silenzio. Un asteroide. Quello che ne resta almeno. Perché loro li sfruttano e poi li abbandonano, privi di risorse e vita. Morti. Sassi vaganti nel buio cosmico. Ne aveva già incontrati parecchi. Spesso li minavano, prima di lasciarli. Qualche volta li avevano addirittura fatti saltare in aria con alcuni di loro sopra. Chiuse il pugno. Viscidi vermi. Codardi per natura. Non cercavano mai il confronto diretto, quei maledetti. Kriken. Creature scarlatte, insetti troppo cresciuti. Fisicamente deboli. Ottimi cecchini. Solo quello. Nessuna dote umana. Esseri ributtanti, parassiti a capo di un impero in estensione. Il nemico numero uno per la Federazione. E il più grande ostacolo alla loro sopravvivenza. Un manipolo di seicento individui. Ciò che restava di una grande civiltà di conquistatori. Distrutta da una sola persona. La Cacciatrice. Weavel si allontanò dalla paratia. Quella visione non faceva per lui. L'unico generale rimasto doveva pensare alla sua specie, alla sua salvaguardia, non alle stelle e alla loro filosofia. Si mosse lentamente verso il ponte di comando della sua nave. L'Arca. I piloti stavano effettuando il cambio di turno. Ogni sei ore dovevano alternarsi. Era la regola. La regola che aveva imposto lui. Non poteva rischiare colpi di sonno improvvisi. La nave non doveva modificare la sua rotta. La precisione era fondamentale, a quelle velocità.

“Com'è la situazione?”

La sua voce sintetizzata e fortemente metallica squarciò l'operoso silenzio che albergava nella cabina di comando. Uno dei due piloti si alzò.

“Abbastanza tranquilla, signore. Abbiamo appena evitato il contatto con un ex-colonia abitativa.”

Weavel osservò gli indicatori.

“I bioscanner? Hanno rilevato qualcosa?”

La creatura scosse la testa.

“No, nulla. Anche REDO me lo ha chiesto, signore, ma...”

“Torna alle tue mansioni.”

Un ordine secco e perentorio. Il pilota obbedì immediatamente, come un soldatino telecomandato. Pirati spaziali. Per molti popoli, quel nome significava minaccia, terrore, depravazione. Creature simili ad astici bipedi, privi di coda. Una razza fiera. Il principale nemico della Federazione Galattica dei Pianeti Uniti. Fino a sei anni prima. Weavel era diverso. Non assomigliava alla tipica immagine che si poteva avere di un pirata spaziale. Tanto per cominciare, non aveva chele. Sembrava un essere umano, sia come morfologia, sia come modo di fare. Il suo volto era coperto da un casco con visiera luminosa. Un artificio biomeccanico che gli permetteva di parlare, vedere, sentire e muoversi. Una spiegazione c'era, a ben vedere. Weavel era stato ucciso dalla Cacciatrice e salvato dai suoi compagni in extremis. Trasformato in una specie di cyborg. L'unica possibilità che aveva per continuare la propria esistenza. Non ne era contento, ma così stavano le cose. Non aveva senso cambiarle per un suo capriccio, né sarebbe stato possibile.

La sua voce metallica risuonò nella stanza.

“REDO! Ti lascio il controllo dei sistemi di autoguida.”

Per un po' non accadde nulla. Poco per volta, un ronzio sommesso fece la sua comparsa. Il rumore crebbe di intensità molto velocemente. Era una sorta di brontolio, di ruggito trattenuto. Lo stridore culminò in una voce. La voce del capo.

“Come vuoi, Weavel. In effetti, il comando dovrebbe spettare a me. Questa marmaglia non è in grado di decidere autonomamente.”

“Proprio per questo motivo chiedo il tuo aiuto, REDO.”

“Non chiamarmi REDO! Usa il mio nome! Non sono una cosa! Io sono il generale Ridley! Lo hai già dimenticato?”

Quel nome causò una reazione di tutto il comparto. Non c'era più un membro dell'equipaggio seduto al proprio posto. Erano tutti schierati in piedi, in attesa di ordini. Weavel si guardò attorno.

“Impressionante. La tua autorità è notevole... ad ogni modo, devo ricordarti che senza il sottoscritto, tu non saresti che un mucchio di rottami privi di qualsiasi forma di autocoscienza?”

Un ruggito. Un ruggito di rabbia.

“No. Non devi. Lo so. Non sono stupido.”

“Non ho altro da aggiungere. A dopo.”

Il brontolio cessò lentamente. REDO doveva smaltire il suo nervosismo. Un acronimo, ecco cos'era. Ridley Emulator – Digital Organism. In poche parole, una ricostruzione virtuale del vero generale Ridley. Un computer capace di pensare come lui. Era una necessità. I pirati spaziali seguono un leader, non sono abituati a decidere da soli. Ma non basta un condottiero qualunque. È necessario un certo carisma, unito ad una notevole intelligenza. Ridley era il soggetto perfetto. Peccato che fosse stato ucciso più di una volta (in totale tre, se aveva fatto bene i conti) dalla Cacciatrice. Creare un elaboratore con la sua mente poteva sembrare una scelta azzardata, ma più il tempo passava e più Weavel si convinceva di aver fatto la scelta giusta. Non era riuscito ad ottenere la fiducia incondizionata di tutto l'equipaggio. Ridley, invece, era rispettato da chiunque. Molti avrebbero sacrificato la propria vita per lui. Era il leader per antonomasia, l'unico vero simbolo di unità e coerenza nella mitologia privata dei pirati spaziali. Weavel cercò di ricordarne l'aspetto. Un lucertolone alato di colore rosso, con la coda uncinata. La miglior descrizione possibile.

“Generale? Posso avere un attimo di attenzione?”

Si voltò. Davanti a lui un suo simile in assetto da esplorazione.

“Dimmi, Zjaree.”

“I nostri scanner hanno rilevato una struttura... anomala. Qualcosa che ad una prima analisi risulta essere simile ad un laboratorio abbandonato. Si trova su un asteroide qui vicino. Potrebbe essere utile dare un'occhiata, cosa gliene pare?”

Ci pensò un attimo.

“Come fate ad essere sicuri che si tratti di un laboratorio?”

“È una costruzione schedata nei nostri archivi. Un edificio della Federazione. Un fabbricato standard. Sono uguali dappertutto nell'universo.”

“Quanto dista?”

“Un paio di cicli di viaggio.”

Weavel chinò il capo. Chi lo conosceva, sapeva che quello era un segnale. Significava: è una decisione difficile, ma qualcuno deve prenderla. E quel qualcuno sono io. Rimase a lungo in silenzio, imperturbabile, lontano da ogni percezione, diviso dal mondo reale. Il tutto per rispondere con un monosillabo. La sua voce fece breccia come il rombo di un tuono nella pesante cappa di nulla che avvolgeva i due.

“Sì.”

“Come, scusi?”

“Vale la pena controllare. Due esploratori raggiungeranno la struttura, scatteranno un paio di foto, entreranno a dare un'occhiata, poi subito indietro. Uno sarai tu, Zjaree, l'altro sarà Zambusa.”

Un profondo inchino accompagnò quelle parole.

“Sissignore. Eseguirò quanto prima.”

“Attendete che l'avvicinamento sia completato. Ridley!”

Una voce metallica e acuta rispose a quell'appello.

“Sì?”

“Ordina ai piloti di avvicinarsi al laboratorio. Potrebbe contenere qualcosa di interessante.”

REDO non rispose. Weavel attese con apprensione.

“Allora?”

“Secondo me è una perdita di tempo. Non ne vale la pena.”

Il generale rimase teso come se tutti i suoi muscoli fossero in contrazione. Se Ridley non eseguiva i suoi ordini, neppure l'equipaggio lo avrebbe fatto. Doveva imporsi.

“REDO. Chi è attualmente a comando di questa nave?”

Dieci secondi per una risposta.

Attualmente tu.”

Bene. Esegui i miei ordini, allora. Invia il mio messaggio.”

Altri dieci secondi di silenzio. Un brontolio sinistro, un ruggito preistorico, acuto, penetrante. Un urlo di rabbia.

Come vuoi.”

Poi nulla. REDO si era arreso all'evidenza. Weavel non poté che emettere un sospiro di sollievo. Ogni giorno che passava, il rischio di ammutinamento era sempre più elevato.

La nave modificò la propria rotta, orientandosi verso un piccolo asteroide ricoperto da edifici in rovina. Se qualcuno avesse potuto prendere una carta stellare e unire i due punti con una curva tangente alla direzione di movimento, avrebbe ottenuto una retta perfetta. I motori muggirono. Il booster si avviò con violenza. Entro un'ora, il vascello avrebbe raggiunto quel luogo dimenticato da ogni essere vivente.

Io mi ritirò nei miei alloggi, Zjaree. Non appena sarà raggiunta la posizione di equilibrio attorno all'asteroide, venitemi a chiamare.”

La creatura non rispose. Sembrava inquieta.

Zjaree?”

La risposta si fece attendere. Lentamente, l'esploratore espresse i propri timori.

Cosa troveremo là, signore?”

Sembrava seriamente preoccupato. Una paura intrinseca, irrazionale, verso l'ignoto.

Ah, non ne ho la minima idea. Chi sono io per risponderti?”

Un sospiro.

Ha perfettamente ragione, signore. Scusi se ho avuto l'ardire...”

Un cenno del capo. Zjaree lo interpretò come un riposo, soldato e lo prese alla lettera, tranquillizzandosi all'istante. Il generale si allontanò lentamente, verso la sua cabina. Aprì lo sportello. Un ambiente di tre metri per quattro, per ancora tre e mezzo di altezza. Un cubicolo in cui si distinguevano chiaramente una branda, una scrivania e una piccola credenza piena... di libri. Cartacei, non in formato digitale, con copertina, pagine e tutto il resto. Raccolti in angoli sperduti della galassia, su pianeti abbandonati da tempo. La culla della Federazione. Nei pochi metri quadrati, anche un bagno. Ma a lui non serviva. Era quasi completamente artificiale. Non aveva bisogno di eliminare le sostanze nocive. Diede una rapida occhiata al resto del locale. Era una specie di cella. No, un momento. Era una cella. Una cella con vista sull'infinito. Weavel contemplò quella visione.

L'apèiron...”

Per un istante, la sua mente si perse nel vuoto cosmico, nella sublime visione della galassie a spirale, che danzavano tra stelle e meteore, tra pianeti e satelliti, seguendo un ritmo esasperatamente lento, una rotazione totale, globale, capace di coinvolgere porzioni immense di materia ed energia. Un tutto di fronte al quale nessun essere vivente poteva dirsi indispensabile. Il ruggito degli otto propulsori Enchelon lo riportò alla realtà. Si guardò attorno. Tutta la stanza stava tremando. Tutti i suoi pochi effetti personali. Tutto, dalla prima vite dello schermo di controllo, all'ultimo bullone della porta. Il pavimento stesso sussultava con ritrovato vigore. Il soffitto sembrava dover cadere di colpo senza dargli tempo di reagire. Weavel si sdraiò sulla branda e allacciò le cinture di sicurezza. Non era salutare dormire senza. Si rischiava di trovarsi per terra, magari con il contenuto degli scaffali sulla propria testa. Osservò i libri alla sua sinistra, nel piccolo vano ricavato all'interno del muro. Il peso del comando era logorante, alla lunga. Doveva distrarsi un po'. E quello era probabilmente l'unico modo che aveva per farlo, in quel momento. Scorse molto velocemente i titoli dei volumi, fino a quando il suo indice non si fermò su un vecchio tomo rilegato, con la copertina ispessita e imponente. Avrebbe sorriso, se avesse potuto. Platone gli sembrava un compagno adeguato per il viaggio. Il Fedone lo accolse come un vecchio amico, in attesa di un'amichevole chiacchierata. Due parole in libertà su argomenti molto leggeri... come l'immortalità dell'anima. Weavel si immerse nelle pagine ingiallite. Non avrebbe avuto bisogno di altro nei due cicli successivi.


2. Guerra


Un'altra esplosione, questa volta più vicina. Le schegge, i frammenti di lamiera accartocciata gli passarono accanto ad altissima velocità.

Giù!”

Si lanciò a terra, assieme alla sorella. Un autoveicolo saltò in aria quasi nello stesso momento, deflagrando in un assordante rombo di tuono. Lapilli incandescenti dall'alto. Una maledetta pioggia di lava e fuoco. Si mise in ginocchio, respirando a fatica, poi si voltò in cerca della sua compagna di fuga.

Arima! Tutto bene?”

La ragazzina si stava rimettendo in condizione di camminare. Sembrava scioccata. Era scioccata. Chi non lo sarebbe stato, nella loro situazione? Le bombe continuavano a cadere. Non smettevano. Era come un temporale, una tempesta di grandine, come spesso ne avevano viste dalle finestre della loro casa. Una parola che non esisteva più. Era solo un cumulo di macerie, macerie che avevano ucciso i loro tutori.

Arima!”

La bambina rispose. La sua voce era debole.

Voglio tornare indietro...”

Non possiamo farlo! Cerca di capire! I soldati atterreranno fra poco! Ci uccideranno!”

La piccola scoppiò in lacrime.

Cerca di stare calma, sorellina, ok? Vedrai che ce la caveremo. Siamo sopravvissuti finora, no?”

Si guardò attorno. L'unica possibilità era raggiungere l'uscita della città. Nelle distese innevate, nessuno li avrebbe trovati. L'unica via di fuga. L'unica. E doveva portare Arima con sé. Doveva farla ragionare. Alzò la testa. Centinaia di punti luminosi in cielo, quasi come stelle. Bombardieri della Federazione. Stavano punendo il suo pianeta. Lo stavano radendo al suolo. Prese la mano della bambina e si fece strada tra i lampioni caduti. Lo sguardo fisso verso le navi. Verso i loro confetti. Confetti che festeggiavano un funerale. In due ore, avevano distrutto il 90% dei centri abitati del pianeta. Neanche i bunker erano serviti a qualcosa. Spazzati via, sciolti dal calore, come neve. La neve perenne... i ghiacci. Erano tutto il suo mondo. E quel mondo... stava per essere spazzato via. Solo perché loro non si erano piegati alla Federazione. Alle loro richieste assurde. Non avrebbero mai rinunciato all'indipendenza. In fondo, erano umani anche loro. Coloni, a dirla tutta. Da ormai molto tempo, da prima che la Federazione stessa esistesse. Non aveva senso aderire a quell'organo di governo illegittimo. Sorrise. Erano un popolo fiero. Abitavano un pianeta completamente ricoperto da ghiaccio e neve, sottoposto a tormente incessanti per tre quarti del periodo di rivoluzione. La breve stagione del risveglio riportava la luce e la vita, sciogliendo parte della cappa bianca e mostrando all'universo il vero volto di Cylosis. Un corpo celeste di rara bellezza. La stessa Madre Terra delle leggende antiche non avrebbe potuto competere. Sylux ne aveva la certezza. Accarezzò i capelli a caschetto di Arima, di un bel colore viola-fucsia. I suoi... no, non era il caso di pensarci in quel momento. Doveva muoversi. Doveva salvarsi.

A terra!”

Una bomba a pochi passi da loro. L'esplosione li scaraventò ad una decina di metri di distanza. Un boato sordo e cupo seguì di pochi attimi la luce. In circostanze normali, una persona non dovrebbe essere in grado di accorgersi del ritardo. Le cose cambiano, se ti trovi sotto una pioggia di morte e anche differenze di pochi centesimi – forse millesimi – di secondo diventano apprezzabili. Cerchi di vivere ogni attimo, ogni singolo respiro di vita. Perché temi che possa essere l'ultimo. Sylux assunse posizione eretta. Aveva fatto scudo del proprio corpo. Diversi tagli ed escoriazioni avevano fatto la loro comparsa attraverso gli strappi della tuta.

Non gliene importava nulla.

Aiutò Arima a rialzarsi. Sembrava illesa. Per fortuna.

Senti, Arima! Non possiamo perdere altro tempo! Dobbiamo correre fino alle porte della città, va bene? Correre! Stammi dietro! Non possiamo perdere altro tempo!”

La bambina annuì. Sembrava che i due volessero emulare i venti che spazzavano le piane del loro pianeta. Più o meno ogni due secondi, schegge di metallo rovente facevano la loro comparsa nel gelo della mattina. Sylux osservò inorridito quello che restava dei palazzi. Dov'erano le luci? Era tutto spento. E dove non c'era luce... non c'era vita. Solo allora notò i cadaveri sparsi attorno a loro. Decine di corpi immobili, alcuni in stato pietoso. Chiuse gli occhi. Era uno spettacolo orrendo. Un eccidio!

Arima...”

Stava per dirle non guardare!, ma si era bloccato in tempo. Quando dici una cosa del genere, ottieni sempre l'effetto contrario. Specie con i bambini della sua età. Trattenne un conato di vomito. Non riusciva più a pensare ad altro che alla morte. Solo quello. Davanti ai suoi occhi... la vita aveva miseramente perso la sua battaglia. L'esercito era stato spazzato via subito. Quello che ne era rimasto, difendeva la capitale. Non si potevano sprecare uomini per i borghi di provincia. Quelli potevano anche essere rasi al suolo, tanto l'importante era che sopravvivessero i governanti.

Guarda! Ci siamo!”

Le porte del distretto 7! Le porte! Erano ad un passo dai cancelli! Potevano già sentire il soffio del vento gelido sulla loro pelle, attraverso le brecce causate dalle deflagrazioni. Erano vivi! Ed erano salvi! Erano...

Si fermò. Un silenzio irreale attorno a loro. Solo il gelido rumore del vento. Una voce di morte mascherata da speranza, nel freddo della notte polare. C'era qualcosa che non andava. Le fiamme raggiungevano ormai i piani più alti dei grattaceli e il crepitio delle vampe ardenti contrastava con l'azzurro metallico delle facciate distrutte. Poteva addirittura udire i lamenti dei feriti. Strano, troppo strano. Dov'erano finiti i fischi delle bombe? I motori delle astronavi? E le esplosioni? Cosa diavolo stava succedendo?

La risposta non si fece attendere.

Una luce dall'alto. Molte luci. Fari. Abbaglianti. Sylux alzò gli occhi al cielo, per l'ennesima volta. Non erano i bombardieri. Erano navi più piccole. Nel buio della notte non era difficile distinguerle dalle stelle. Erano molto, molto più luminose. Diventavano sempre più grandi... sempre più grandi... Sylux era rimasto quasi incantato davanti a quella vista. Non riusciva a muoversi.

“Sylux! Dobbiamo andare! Lo hai detto tu!”

Ma Sylux non riusciva a scollare lo sguardo da quei puntini bianchi. Voleva capire cosa fossero. Migliaia di informazioni attraversarono la sua mente in un intervallo di tempo infinitesimo. Aveva già visto qualcosa del genere. Ma dove? Dove? Do...

Sgranò gli occhi. Erano i filmati dell'invasione di SK-47. Stessa scena. Stessi punti luminosi nella notte. Navi da sbarco.

Ma certo! Come ho fatto a non capirlo prima?”

I famigerati troopers della Federazione stavano per atterrare. Non dovevano trovarli lì. Prese la mano della sorella.

Seguimi in silenzio, Arima. In silenzio, capito? Non dire nulla.”

La bambina annuì. Sylux si mosse lungo il perimetro del cancello. Ovviamente i controlli elettronici erano saltati. Non si sarebbero aperti se non tramite un interruttore meccanico. Perché doveva essercene uno. C'è sempre un sistema di apertura di emergenza.

Dov'è la leva? Dov'è? Maledizione!”

Perché la cerchi? Scappiamo da uno dei buchi!”

Lascia fare a me! Poi ti spiego!”

Sollevò le macerie con un ritmo forsennato. Doveva fare in fretta. Una botola.

Sì!”

Afferrò la maniglia. Un ultimo sguardo ai corpuscoli luminosi, sempre più grandi e minacciosi. Il vento gli sferzava il volto. Il gelo penetrava nelle sue ossa attraverso gli strappi della sua tuta. Un forte strattone. Un altro. La botola sembrava non volersi aprire.

Stanno arrivando! Sylux, ti prego! Scappiamo!”

No! Ci prenderebbero! Lasciami ancora due minuti!”

Tutta la sua forza si concentrò nelle sue mani. Il rosso divenne il colore dominante sul suo viso. La serratura cedette di schianto, rivelando una cavità. Al suo interno, una leva. Sorrise amaramente.

Ci siamo!”

Tirò la leva, fino a fine corsa. Un ingranaggio incominciò a girare. E i cancelli si aprirono.

E ora?”

Ora seguimi.”


Le navi atterrarono, rigurgitando centinaia, migliaia di soldati in uniforme bianca, luccicante. Scintillavano nel buio della notte. I fari delle cruiser da sbarco si riflettevano sugli inserti metallici degli elmetti e dei fucili. Erano vestiti di una corazza che terminava in un casco dello stesso materiale, provvisto di visiera azzurra. Macchine da guerra. Incapaci di provare sentimenti umani. Si riversarono per le strade, rastrellando tutti i sopravvissuti, infierendo sui cadaveri. Tre di loro si avvicinarono al cancello del distretto 7. Lo vedono aperto, si avvicinano. Lo varcano. Qualcuno è fuggito. È fuggito nella notte artica di Cylosis. Parlano tra loro, mugugnano qualcosa, fanno sbarcare le jeep. L'ordine è di fare piazza pulita. E un soldato esegue. Non se ne chiede il motivo. Esegue gli ordini e basta. Per cui sale sull'auto cingolata e si dirige verso l'esterno. La notte fa loro paura in effetti. E la notte di Cylosis non perdona. Meno dieci gradi all'aperto. Due di loro scherzano, ma è naturale scherzare in situazioni del genere. E cantano. Cantano per nascondere il timore. In fondo anche loro sono uomini. Uomini dominati da istinti animaleschi, ma pur sempre uomini, con i loro sogni e le loro speranze. Il soldato diventa come il cacciatore. Uccide per automatismo, perché rischia di non vedere il giorno dopo. Devono concentrarsi sul presente, con tutti i sensi all'erta. Vedono nel buio un loro nemico, concentrano le loro percezioni su di esso. Così non li vedono, nascosti dietro il cancello. Pensano che siano scappati. Li inseguono nel vuoto. Li inseguono a vuoto. Perché in realtà non hanno preso quella strada. E le fauci della notte si chiudono su di loro.

Sylux era raggiante.

“Li abbiamo fregati! Ora possiamo fuggire! Non ci troveranno mai nella tundra!”

Arima sembrava non ascoltarlo.

“Guarda... cosa stanno facendo?”

Si voltò nella direzione indicatagli dalla sorella. Sylux cercò di mettere a fuoco la scena. I trooper stavano schierando gli ostaggi in fila. Volti noti, volti famigliari. Bambini, vecchi, uomini nel pieno delle forze, donne... gente che fino a quella mattina rappresentava tutta la sua vita. Amici di infanzia, compagni di corso... tutti riuniti per uno strano scherzo del destino. Il capitano disse qualcosa. Probabilmente aveva impartito un ordine, o almeno così sembrava.

“Cosa ha detto?”

“Non lo so. Siamo troppo lontani per...”

Non riuscì a terminare la frase. Era bastato un secondo per comprendere le loro intenzioni. I soldati alzano i fucili.

“Non guardare!”

Un cenno del capitano. Una pioggia di metallo, una salva di proiettili, incessante per l'immensità di un battito di ciglia. Sylux non vuole distogliere lo sguardo. Il suo mondo è morto con quelle persone.

I trooper si divisero in cerca di altri sopravvissuti. Non c'erano molte altre possibilità. Dovevano fuggire ora. Non riusciva a non osservare i cadaveri. Un conato di vomito fece la sua comparsa impietosa. Lo trattenne. Non era né il tempo né il luogo adatto. Prese la mano di Arima e strisciò attraverso un'apertura del muro di cinta. Da quel punto di vista, i bombardieri avevano fatto un ottimo lavoro. Non esisteva più un centimetro quadrato di quella struttura che non fosse stato danneggiato. La bufera imperversava, immensa e terrificante. Quali sarebbero state le loro chance di sopravvivenza là fuori? Quasi zero. Bene, molte di più di quelle che abbiamo a restare qui... Arima si nascose nel cappuccio della sua tuta. Sylux cercò il suo. Le sue mani tastarono il vuoto. L'ultima esplosione aveva divelto anche quella minuscola speranza di poter proteggere almeno il proprio volto. Pazienza. Ne avrebbe fatto a meno. Lentamente, uscirono dalla frattura, una finestra sul vuoto gelido della realtà. La neve scendeva dalle nuvole con rinnovato vigore, oscurando completamente la visuale. Solo un abitante di Cylosys sarebbe stato in grado di orientarsi in mezzo a quell'inferno bianco.

Ora cosa faremo?”

Sylux sorrise. Il suo sguardo fu attirato da uno dei piccoli fiori di ghiaccio che emergevano timidamente dal manto perlaceo di cui il suolo era ricoperto. Lo raccolse e lo sistemò tra i capelli della sorella.

Non dimenticare mai il tuo pianeta, va bene? Qualunque cosa accada, Cylosis sarà sempre la nostra casa, ok?”

Anche lei sorrise, ma era un sorriso nervoso, forzato. Sylux guardò in direzione della tundra, poi fece un cenno con il capo. Arima prese la sua mano e annuì a sua volta.

Le loro tracce si persero nel muro bianco della tormenta.


3. Abbandono


Sembrava un'immensa fabbrica, con tutte quelle ciminiere e cisterne. Un edificio enorme, imponente. Zjaree non poté fare a meno di ammirare la razionalità della struttura. Tutto sembrava studiato per garantire il massimo dell'efficienza con il minimo dispendio di energia. Rumori indistinti in sottofondo, ronzii... forse era ancora attiva? La creatura accese il comunicatore.

Generale Weavel? I biosensori indicano qualche genere di attività?”

Una voce sorpresa lo accolse con una risposta scontata.

Dovresti essere tu a dirmelo. Vi abbiamo mandato in esplorazione proprio per questo.”

Zjaree deglutì rumorosamente.

I nostri indicatori sono fissi sullo zero, ma qui sembra che buona parte del complesso sia in funzione... che sia una struttura automatizzata?”

Non credo. Non è nei loro standard costruttivi. Date un'occhiata dentro, ma al primo segnale di pericolo – e ripeto, al primo segnale di pericolo – tornate immediatamente alla nave, sono stato chiaro? Immediatamente! Non possiamo permetterci di perdere nessuno di noi. Siamo già troppo pochi.”

Roger.”

Zjaree fece segno a Zambusa di seguirlo. Il percorso sembrava decisamente agevole, per un qualche strano motivo. Un tracciato impossibile da non notare. Forse era ciò che restava di una strada carrabile. Zambusa si guardò attorno, disorientato.

Zjae, non ti sembra strano?”

Che cosa?”

Sembra che questo posto sia stato abbandonato in fretta e furia non più di otto cicli fa. Secondo te cosa è successo?”

Diciamo che non mi pongo la domanda.”

Un passo dopo l'altro, con lentezza esasperante e circospezione, gli acceleratori galvanici carichi. Astroveicoli parcheggiati tutto attorno al tracciato principale. Alzarono lo sguardo al cielo, se così si poteva chiamare. Piccoli frammenti di pulviscolo stellare esplodevano come fuochi d'artificio prima di raggiungere la superficie. Sembrava che l'intero asteroide fosse circondato da un campo di energia o protetto da uno scudo spaziale. Non c'era altra spiegazione. Quel sasso non poteva avere un'atmosfera. Non aveva le dimensioni adatte. Era uno sputo di terra proiettato nello spazio da una qualche collisione tra corpi celesti. Zjaree esaminò i codici dei veicoli nelle vicinanze. Accese il computer della tuta spaziale per inserirvi i dati. Digitò il numero di telaio del primo alla sua sinistra, una specie di container dotato di cabina di pilotaggio e motori. Voleva verificare un suo sospetto. Premette il tasto di conferma. Migliaia di righe di codice emersero in tutta la loro monotonia. Dopo un'interminabile secondo, il risultato apparve sullo schermo. Erano veicoli speciali per il trasporto di materiali ibernati. Solo i laboratori avevano accesso a quel genere di astronavi. In effetti, erano parecchio costose. Ne producevano giusto due, tremila ogni macrociclo. Non di più. Zambusa raggiunse il portone d'accesso. L'assenza di gravità rendeva difficile ogni movimento. Uscire in EVA era un dramma in più atti, consumato con lentezza infernale.

Come entriamo, Zjae?”

Prova a premere il pulsante verde. Direi che è ancora attivo.”

Non se lo fece ripetere. Il gate si aprì a ventaglio, rivelando un corridoio interno piuttosto lungo. I due esploratori vi entrarono con cautela. Particelle di polvere e corpi senza vita di piccoli organismi fluttuavano a mezz'aria. Gravità zero e assenza di atmosfera. Un cocktail letale. Il locale era buio, in effetti. Molto buio.

Come si chiude quest'affare?”

In generale, è automatico. Attendi ancora qualche milliciclo...”

Meno di quindici secondi dopo, lo sportello li sigillò all'interno. All'improvviso fu un festival di luci scintillanti e neon. Una sensazione opprimente di peso li colpì senza preavviso. La polvere cadde per terra a velocità impressionante. I suoni incominciarono a propagarsi.

Una camera di decompressione...”

Zjaree controllò gli indicatori sul computer. Si poteva respirare liberamente, però decise di non togliersi il casco. Era meglio non correre rischi. In fondo, sentiva ancora un campanello d'allarme, da qualche parte nella sua testa. Un bip soffuso e prolungato. Non riusciva a capirne l'origine. Da dove proveniva? Ripassò mentalmente la mappa della strumentazione. Non era l'allarme ambientale, e neppure il rilevatore chimico. Ebbe come un sussulto. In teoria quello era l'ultimo sensore che doveva attivarsi in quella situazione, ma tra teoria e pratica c'era, come al solito, l'abisso.

Zambusa! Attiva il tuo biosensore!”

Perché? REDO ha detto...”

Non me ne frega nulla! Tu attivalo!”

L'altro sbuffò, poi eseguì diligentemente. All'inizio nulla. Nessun segnale. Niente di niente.

Secondo me hai preso un granchio e...”

Stai zitto e ascolta bene!”

Zambusa si incupì. Zjaree non aveva diritto di trattarlo in quel modo, e poi...

Sobbalzò. Un segnale. Debole, ma pur sempre rilevabile.

“Come è possibile?”

“Ho una spiegazione. Probabilmente, le pareti esterne di questo laboratorio schermano i segnali vitali, un po' come le nostre tute da attività extraveicolare.”

“Può essere. Cosa ne dici, comunichiamo la notizia al centro di comando?”

“Perché? Non lo hai ancora fatto?”


Un suono intermittente e squillante rianimò l'equipaggio del ponte principale. Era una comunicazione. Weavel fece cenno al tecnico di attivare gli altoparlanti della cabina.

Qui è il ponte di comando. Parla pure, Zjaree.”

Un ronzio prolungato accompagnò il messaggio degli esploratori.

Abbiamo un tracciato vitale, signore. Debole, in effetti. C'è qualcuno qui dentro. Proseguiamo?”

Un lungo silenzio. Weavel non avrebbe voluto mettere i suoi compagni in pericolo, ma il proposito della spedizione era accertarsi dell'effettiva presenza di esseri viventi. La decisione spettava a lui soltanto e doveva farsi carico di quella responsabilità. Riprese la parola.

Sì, ad una condizione. Dovrete sempre essere pronti a fuggire. In ogni momento. Mi sono spiegato bene?”

Agli ordini.”

Fine delle comunicazioni. Siate prudenti.”

Ad un cenno, il tecnico spense i macchinari. Solo in quel momento fu possibile udire il sibilo acuto e penetrante della voce metallica di REDO.

Ci sono problemi, generale Weavel? Hai paura di perdere dei soldati?”

No. È tutto a posto.”

Incominciò a camminare avanti e indietro nervosamente. Cosa doveva fare? Richiamarli sulla nave? Forse sarebbe stata la scelta più prudente. Ma se ci fosse stato qualche superstite? Un sopravvissuto della loro specie? Non valeva forse la pena di salvargli la vita? Scosse la testa, sconsolato. Non esisteva una scelta giusta. Dipendeva tutto da quanto aveva intenzione di rischiare. Solo ed esclusivamente da quello. Lentamente, tornò a sedersi, accanto al ricevitore. Forse non poteva garantire la sicurezza totale, ma aveva un'idea per avvicinarsi molto a quella condizione.

Rolden, attiva la visione remota dei loro sensori. Voglio controllare tutto in tempo reale. Dalle rilevazioni ambientali potremo farci un'idea più precisa della situazione.”

Subito, signore.”

I monitor si riempirono di scritte, numeri in continuo cambiamento e luci lampeggianti. Solo una di quelle righe era importante. Quella relativa alla scansione dei segnali vitali. I parametri scorrevano senza un preciso ordine. Indicavano solamente che lì dentro c'era effettivamente qualcosa o qualcuno in grado di respirare ed emettere calore. Toccava a quei due scoprirne l'identità.

Zambusa si fece strada tra i portelloni automatici. Ogni elemento della struttura era perfettamente funzionante. Più si avvicinava, più i segnali erano nitidi e distinti.

Allora?”

Dai dati in mio possesso, direi che abbiamo a che fare con un essere di modeste dimensioni. Non posso valutarne il grado di pericolosità, però. Non è dalla grandezza che si giudica una creatura, dopotutto.”

Si sta muovendo?”

Zjaree sembrava preoccupato.

No, per niente. È ferma. Dovremmo raggiungerla tra poco.”

Deglutì rumorosamente.

Speriamo che non sia...”

Zambusa si bloccò di colpo.

Insomma, Zem... non vorrei che ci stesse aspettando... con quel suo braccio cannone puntato alle nostre teste...”

Il gelo fermò entrambi.

... sai a chi mi riferisco, vero? Questo sarebbe il posto adatto per un agguato.”

L'aria si fece pesante e tesa.

Sai una cosa, Zjae? Io non sono più così curioso di scoprire l'identità del misterioso sopravvissuto...”

Io neppure. Ma gli ordini...”

... Quello che vuoi, ma pensaci un attimo! Se fosse la Cacciatrice, noi saremmo morti. Se non lo fosse, lo saremmo lo stesso. Ci farebbe uccidere REDO!”

Un lungo respiro, prima della decisione. Una decisione sofferta.

E va bene. Andiamo.”

I due si fecero precedere dai loro GA1. Non volevano correre rischi. La probabilità che la Cacciatrice fosse lì, in quel momento esatto, era particolarmente bassa, ma per quanto infima era pur sempre una probabilità. Non incontrarono nulla per parecchio tempo. Solo nuovi corridoi illuminati, qualche cumulo di ferraglia e macerie varie, computer evidentemente non in grado di funzionare correttamente.

Zjae... quanto dista? La creatura, intendo.”

Poco. Se i miei conti sono giusti, è oltre quella porta.”

Allungò il braccio e indicò lo sportello automatico che si parava davanti ai loro occhi. Zambusa si avvicinò con circospezione. Aveva molta paura. Aveva affrontato la Sterminatrice già una volta. Ne era uscito illeso solamente per miracolo, solo perché era fuggito a gambe levate piuttosto che combatterla. Sembrava essere l'unica possibilità. Respirò a fatica. Ogni passo verso la porta era un calvario. La raggiera si aprì come la corolla di un fiore su un ambiente poco più grande di una cella. Zjaree si fermò, stupito.

Zem... è qui? Io non vedo nulla!”

Zambusa si fece coraggio e varcò la soglia. Forse Lei era lì, appallottolata in quella strana, maledetta sfera luminosa che i loro scienziati avevano tentato inutilmente di emulare per anni. E li stava aspettando. Le gambe gli tremavano. Avanzò. Poco per volta. Fece un passo. Poi un altro. Puntò il GA a destra, a sinistra, di nuovo a destra. Niente. Nessun movimento. Non era finita. Non poteva abbassare la guardia. Il suo battito cardiaco era fortemente accelerato. Tachicardia. Allo stato puro. Guardò verso l'alto. Niente. Verso il basso. Un sussulto.

L'ho trovato!”

Cos'è?”

Non lo so. Rimani indietro.”

Cercò di capire cosa avesse davanti. Un essere di dimensioni ridotte. Aveva la pelle di un colore tra il bianco e il rosa, coperta di stracci. Due braccia. Due gambe. Quattro arti in tutto. Una testa, di forma all'incirca ovoidale. Capelli. Biondi. Moderatamente lunghi. Due occhi. Un naso. Una bocca.

Zem?”

Silenzio!”

Cercò di connettere i risultati della sua analisi. Aveva già visto qualcosa del genere. Schioccò la chela.

Ci sono! È una bambina umana!”

Una bambina?”

Lo stadio larvale degli umani di sesso femminile.”

Ah.”

Zjaree si avvicinò con circospezione. Effettivamente, l'organismo che giaceva di fronte a loro sembrava innocuo.

Respira?”

Il biosensore la rileva.”

Cosa ne facciamo?”

Zjaree scosse la testa.

Non siamo venuti qui per fare da balia ad un umano. Io la ucciderei. Di loro non ce ne importa nulla, no?”

Sono d'accordo... ma non dobbiamo decidere noi. Dobbiamo solo eseguire gli ordini.”

Zambusa attivò il contatto radio.

Pronto, comando? Qui è Zambusa. Abbiamo trovato solo un essere umano allo stadio larvale. Ripeto. Un essere umano allo stadio larvale. Cosa dobbiamo fare?”

La creatura sgranò gli occhi.

N... ne è proprio sicuro?”

Annuì nervosamente, come se il generale fosse lì davanti a lui.

E... eseguo.”

La comunicazione terminò. Zambusa sembrava scioccato. Farfugliava qualcosa di incomprensibile, senza riuscire ad articolare una frase sensata. Zjaree ruppe gli indugi.

Allora? Quali sono gli ordini?”

La risposta fu scandita da una voce tremante ed insicura.

Dobbiamo portarla sulla nave.”

Deglutì.

E deve arrivarci viva.”


4. Impero


Chiunque pensi alla capitale di un impero, la vede come una città maestosa, decorata da centinaia di monumenti, sfarzosa, simbolo stesso del potere, simbolo di forza, immensa e unica. Una roccaforte eretta da mitologici colossi in ere antiche, fondata da semidei o più semplicemente il centro di una cultura. Ralkia non era nulla di tutto questo.

Un enorme formicaio in terra rossa, percorso da migliaia di gallerie sotterranee, strette, cupe, prive di illuminazione. Un mondo in continua espansione, una torre di sabbia vermiglia brulicante di creature viscide dello stesso colore, intente a portare a termine i loro compiti come tanti soldati ammaestrati. Strisciano muovendosi con le loro chele anteriori, la testa collegata da un collo invisibile. Hanno solo tre zampe. Due concentrati di morte racchiusi da forme sinuose unite ad un artiglio posteriore lungo e affilato. Un occhio solo, al centro del volto, privo di tratti somatici. Tre corna. Un esoscheletro resistente e durevole, capace di proteggerli dagli acidi e dalle pressioni estreme. Triskelion. Creature immonde, note in tutto l'universo con un altro nome. Un nome che negli ultimi tempi come non mai era salito agli onori delle cronache galattiche. Il nome dell'Impero Kriken.

Ralkia era il centro di un pianeta desolato, ricoperto di deserti, devastato da continue tempeste di sabbia che tingevano il cielo dello stesso, odioso colore. Le gallerie della capitale raggiungevano approssimativamente ogni zona di quel mondo così inospitale e remoto. Un mondo popolato da migliaia di specie pericolose. Molto pericolose. Predatori, per la maggior parte. Poca vegetazione. Solo piante grasse. Qualche sottospecie di muschio o di felce. Sempre la solita legge, ovunque si cerchi nel cosmo. L'erbivoro si nutre delle piante, il carnivoro dell'erbivoro, il triskelion di entrambi. Parassiti senza pietà. Si riproducono proprio come certe vespe, che avvelenano le loro prede, paralizzandole, e vi depongono le uova dentro. Il resto è storia. Per fortuna, non volano. Non possono volare. Ma hanno inventato le astronavi. E questo è un male. Un cancro inestirpabile, una malattia contagiosa, mortale. Una malattia da estirpare alle radici. Questo era la linea dominante all'interno della federazione. I Kriken dovevano essere fermati ad ogni costo, con ogni mezzo. Tentare la via della diplomazia non era così sbagliato, dopotutto. In quel modo si sarebbero potute salvare le vite di molti soldati, di entrambi gli schieramenti.

La navetta consolare si sganciò dalla mothership Gaia. Dopo alcuni interminabili secondi di caduta libera, i motori si accesero, stabilizzando il veicolo e portandolo in assetto di volo. Era una manovra pericolosa, ma necessaria. La Gaia era una vecchia nave, prossima alla rottamazione e non era equipaggiata con un ponte di lancio per le unità più piccole. Il motore a ioni raggiunse la sua massima coppia motrice mentre i timoni di coda impostavano la rotta, assieme ai micropropulsori teleguidati. Il veicolo si mosse alla volta del gigantesco termitaio, l'unico accesso esistente al cuore dell'Impero. Dopo alcuni minuti, la navetta raggiunse l'imboccatura dell'imbuto e virò bruscamente, per entrare al suo interno. I motori ausiliari si attivarono all'improvviso, riducendo la velocità di caduta. Contemporaneamente i booster posteriori si spensero. Le alette di bloccaggio fecero la loro comparsa e si estesero in tutta la loro minuscola magnificenza. La nave ridusse ulteriormente la propria spinta, portandosi parallela al suolo. La sezione inferiore si aprì, rivelando il carrello d'atterraggio. I getti di aria compressa facilitarono le manovre e dopo alcuni secondi, la nave toccò terra. Dal nulla comparve un portellone scorrevole sulla fiancata sinistra del mezzo. Quasi contemporaneamente, una scaletta unì l'uscio così creatosi a terra. Alcuni timidi passi in avanti. Un soldato in uniforme bianca fu il primo essere vivente ad abbandonare la sicurezza dell'astronave. Tastò il terreno con un piede, prima di scendere dalla passerella. Accertatosi della concretezza di quel suolo rossastro e minaccioso, fece un cenno con la mano. Un altro soldato raggiunse il primo. Entrambi erano armati. Imbracciavano un fucile a energia.

Può raggiungerci, ambasciatore Debrevič. È tutto tranquillo.”

Una figura slanciata fece capolino dallo sportello. Era un alto funzionario della Federazione. Un umano di mezza età che negli anni si era occupato di risolvere alcune tra le crisi peggiori dell'universo. C'era bisogno di lui. Lì, in quel momento, in quella situazione. Era la persona giusta al posto giusto.

Molto bene, caporale.”

Debrevič scese a terra, scortato dai due militari. Si guardò attorno, evidentemente disgustato.

Questa loro la chiamano capitale? Non hanno il minimo senso estetico. Ad ogni modo... dov'è il corpo diplomatico Kriken?”

Contemplò la propria solitudine.

Dovevano accoglierci qui. Hanno forse intenzione di...”

Un sibilo acuto e stridente lo fece sobbalzare. I soldati agitarono i fucili, cercando di inquadrare la sorgente di quel rumore mostruoso.

Benvenuto, ambasciatore. Mi mostrerò a lei quanto prima.”

Il sibilo si era trasformato in una voce pungente, come una lama di ghiaccio nella schiena. Stridori improvvisi. Movimenti nel buio. Una delle guardie non riuscì a trattenere il disgusto.

Che... che schifo!”

Decine, centinaia... forse migliaia di triskelion attorno a loro, in cerchio. Si muovevano uno sull'altro, travolgendosi a vicenda, senza alcun rispetto per i loro simili. Uno spettacolo orribile. Debrevič ebbe un conato di vomito, ma si trattenne. Non poteva cedere. Per ragioni diplomatiche. La trattativa sarebbe terminata prima ancora di cominciare. Si limitò a distogliere lo sguardo.

Ganz, parla a bassa voce. Un solo termine fuori posto e qui salta tutto. Evita queste espressioni di disappunto. Sono diversi, te lo concedo, ma penso che possiedano una discreta intelligenza. Non bisogna essere così prevenuti nei loro confronti. Ora siamo qui per ratificare la pace. Vedila in quest'ottica.”

Fece due passi in avanti, senza muovere gli occhi. Doveva sembrare sicuro. Non poteva mostrarsi debole di fronte alla persona con cui doveva discutere. Prima regola di ogni manuale.

Ambasciatore Exktero, posso sperare che si mostri in tempi brevi? Io la sto aspettando.”

Il sibilo si ripeté identico.

Non dovrà attendere ancora a lungo. Io sono già qui.”

Uno dei triskelion si distaccò dall'ammasso brulicante. Le sue dimensioni aumentarono velocemente. La parte inferiore del ventre si biforcò, provocando la comparsa di due gambe. La creatura assunse posizione eretta.

Piacere. Sono Krazce Exktero. Lei dovrebbe essere Mathias Debrevič. Mi corregga se sbaglio.”

Era accaduto tutto in una frazione di secondo. Nessuno degli inviati della Federazione aveva avuto il tempo anche solo di pensare ad una risposta soddisfacente. La creatura si esibì in un ampio gesto, indicando la galleria centrale.

Desolato di essermi presentato con questo aspetto, ma vedete... strisciare nei corridoi di Ralkia con questo corpo risulta essere particolarmente difficile.”

Il volto di Debrevič era cereo. Non aveva mai assistito a nulla di così orripilante nella sua vita. Un profondo senso di oppressione lo pervase, penetrando in ogni atomo del suo corpo. Fremiti incessanti attraversavano i suoi organi interni. I nervi inviavano in continuazione segnali di pericolo al cervello. Vattene. Vattene finché sei in tempo. Scosse il capo. Non voleva dar credito alle sue sensazioni. Exktero doveva essersi accorto del suo disagio. Forse stava sorridendo. Forse no. Difficile rendersene conto. Non aveva bocca. O meglio, l'aveva, ma non era visibile. Doveva essere da qualche parte nello stomaco, o qualcosa del genere. Non aveva studiato l'anatomia di quegli esseri. Non ne aveva avuto il tempo.

Mi segua. Le faccio strada.”

Il suo cervello era in blackout, ma doveva reagire. Dare una parvenza esteriore di normalità. Normalità... no, non aveva senso. La situazione era tutt'altro che normale. Exktero si fece strada tra i suoi simili ed imboccò un corridoio laterale, abbastanza largo per permettere il passaggio di una persona. I triskelion si fecero da parte al passaggio della delegazione. La creatura si voltò verso l'ambasciatore.

Prego. Dopo di lei.”

Indicò una pedana mobile, dotata di piccoli motori. Debrevič si fermò a pochi centimetri dalla piattaforma. Istintivamente, controllò la stabilità del mezzo di trasporto con un piede, prima di salire. Il Kriken lo osservava, celato dalla propria inespressività. Era impossibile capire a cosa stesse pensando. Debrevič si fece coraggio e posò anche il secondo piede. Exktero lo raggiunse. I soldati si mossero di conseguenza. Raggiunsero il bordo del mezzo flottante, ma le paratie si chiusero prima che potessero salire a bordo.

Dolente. Non siete ammessi al colloquio. Rimanete qui fino al nostro ritorno.”

Debrevič si voltò di scatto.

Cosa diavolo significa, Exktero? Negli accordi...”

Gli accordi si possono modificare. Sono sinceramente stupito dalla sua ignoranza in merito.”

La piattaforma si attivò, sollevandosi da terra, quasi senza emettere rumore. Exktero allungò un braccio. Il pavimento si aprì e comparve uno schermo. Il Kriken lo toccò più volte con delicatezza. La piattaforma ruotò molto lentamente, fino all'ennesimo tocco di Exktero. Erano in prossimità di un immenso tunnel rossastro. Decine di mezzi simili al loro si stavano muovendo al suo interno, a velocità relativamente bassa. Exktero toccò un'ultima volta lo schermo. Il computer scomparve nel giro di un istante attraverso il foro nel pavimento.

Il luogo che dobbiamo raggiungere non è particolarmente vicino. Ne approfitterò per mostrarle la grandezza dell'impero Kriken.”

La piattaforma si inoltrò nel canalone. Debrevič si guardò attorno, smarrito. Sembrava un animale in gabbia. Le pareti ed il soffitto del tunnel erano ricoperte quasi completamente da triskelion. Erano dappertutto. Non era possibile trovare un metro quadrato della struttura che non ne ospitasse almeno uno. Uno sciame letale. L'ambasciatore soffriva di vertigini. Nonostante ciò, preferì rivolgere il proprio sguardo verso il basso piuttosto che assistere a quello spettacolo ripugnante. Presto si pentì del suo gesto. La situazione sul pavimento era identica, se non peggiore. Ammassi disordinati di creature vermiglie si spostavano utilizzando ogni appiglio, ogni scanalatura. Erano ovunque. Ricoprivano completamente la struttura. Una grandiosa opera costruttiva data in pasto agli insetti. Il tunnel si sviluppava in altezza per circa venti metri. Sembrava essere l'unica arteria di cui disponeva la capitale. Doveva essere stato progettato per consentire l'utilizzo di mezzi di trasporto, considerata la dimensione delle gallerie utilizzate di norma dai Kriken. Era una sorta di anomalia. Debrevič chiuse gli occhi e si sedette. Exktero lo fissò con il suo occhio.

Ma come? Ne ha già abbastanza? Non le ho ancora mostrato nulla.”

Siete... così tanti?”

Exktero emise un grugnito perplesso.

La vostra concezione di magnitudine non è assimilabile alla nostra. Le sembrava che quei triskelion fossero realmente un numero considerevole?”

Debrevič sbiancò. Il suo omologo continuò senza curarsene.

Erano ancora disposti su un solo strato. Se questo l'ha impressionata, pensi che in generale, nelle zone più affollate, ci sono quattro strati di triskelion sovrapposti.”

Una visione orribile. Creature viscide in movimento sopra creature ancora più viscide, che si spostavano su loro simili, sostenuti da altri mostri che avevano il privilegio di poter toccare la terra rossa e polverosa. Exktero sembrava avere ancora qualcosa da dire.

Questo è solo l'antipasto, Debrevič. Fra meno di venti etzha inizierà la sua guerra.”

Guerra?”

Dovrà convincermi a ratificare la... pace.”

Pronunciò quella parola con difficoltà.

Deve sapere che per noi non esistono le mezze misure. Solo due alternative sono concesse. Successo pieno o fallimento totale. Inutile dirle che la seconda opzione si ha quando la prima non è soddisfatta al cento percento. Per noi, il 99% di completamento di un compito è assimilabile ad una sconfitta. Anche la pace è assimilabile ad una sconfitta. Significa che il nostro glorioso esercito non è riuscito ad annientare il nemico. È un'onta, e come tale, deve essere lavata. I responsabili devono essere puniti, in base alla percentuale di successo mancante.”

Debrevič deglutì rumorosamente

Qual è la pena in caso di fallimento totale?”

Exktero distolse lo sguardo. Il tono della sua voce si fece, se possibile, ancora più freddo ed acuto.

Non credo che lei voglia veramente saperlo.”


5. Gravità Zero


Le operazioni di trasporto non sarebbero state semplici. Era necessario agire con cautela, un passaggio alla volta. Per fortuna non era il caso di affrettarsi. Le tute avevano una scorta di ossigeno sufficiente per almeno altri otto cicli – un'eternità. Zjaree si diresse verso la stanza di decompressione, prima dell'uscita. Il suo compagno era rimasto con il minuscolo essere vivente che aveva definito

“bambina”. Era stato particolarmente contento di quella scelta. Quella creatura lo rendeva nervoso. Era... diversa. Non esisteva un termine migliore per definirla. Troppo diversa. Odiosamente debole. La sua struttura corporea non sembrava essere adatta né alle grandi profondità, né allo spazio aperto. Poteva solamente colonizzare pianeti solidi di medie dimensioni. Scosse la testa. Voleva avere a che fare il meno possibile con gli umani. La loro nemesi era un'umana. La Cacciatrice. Spietata, inarrestabile. Un mostro. Come tutti i suoi simili. Il portellone si aprì a raggiera, come all'andata. Un sibilo annunciò l'avvio dei macchinari. Quasi istantaneamente la camera si svuotò dell'aria e della gravità artificiale. Una seconda porta si illuminò e si schiuse, permettendo all'esploratore di uscire dal complesso. Un paio di passi. Nel vuoto. Senza gravità. Attivò tutti i sensori, nessuno escluso. Si guardò attorno più volte. Il pericolo più grande sarebbe stato essere catapultato nello spazio aperto da qualche frammento di meteora. In tal caso, per lui sarebbe stata la fine. Nessuna speranza. Nessuna seconda possibilità. Era un'eventualità da tenere in considerazione.

Lentamente si avvicinò alla navetta di sbarco. Doveva prendere una delle tute di ricambio e portarla dentro. Era probabilmente l'unico modo per salvare quella... quella cosa che giaceva svenuta accanto a Zambusa. Il generale era stato categorico.

Tornate con lei o non tornate.”

Perché? Perché dovevano rischiare le loro vite per un essere così inutile? Weavel doveva essere impazzito. Colpa di quella sua strana ossessione per i... libri. Carta. Un mezzo primitivo. Superato da secoli, forse da millenni. E cosa contenevano quei volumi? Nulla che non potesse essere memorizzato in una scheda a visualizzazione digitale. Il comandante si era appassionato ad una disciplina chiamata filosofia... o qualcosa del genere. Non che gli interessasse. Era solo una perdita di tempo. Sgombrò la sua mente da ogni pensiero. Doveva concentrarsi sul momento corrente. Percorse goffamente i pochi metri che lo separavano dalla Zenith. Era particolarmente difficile coordinarsi in una situazione del genere. Dopo alcuni tentativi, raggiunse il pulsante di apertura del vano di emergenza. Un comparto si aprì nel silenzio del vuoto. Zjaree entrò nella stiva ed esaminò la dotazione. Non gli fu difficile individuare le tute. Erano segnalate da una targhetta gialla fluorescente. Con estrema attenzione, disattivò il primo dei tre blocchi di sicurezza. Una luce verde si accese sullo schermo di stato del magazzino. Premette un secondo pulsante. Un led giallo fece compagnia a quello precedente. Fece un profondo respirò, poi tirò la leva di sgancio. Un led rosso si accese quasi contemporaneamente. La tuta poteva essere portata via senza problemi. Slegò i collettori dello zaino e lo portò davanti a sé. Lo aprì, poi afferrò la tuta e la ripose all'interno, assieme ad una bombola da venti decicicli. Non era necessario prenderne una più grande. Richiuse lo zaino e lo rimise in spalla, poi si avviò verso il laboratorio, imprecando in modo gratuito contro il generale che gli aveva imposto un ordine del genere.

Zambusa si prodigò per rianimare la piccola. Tra i sopravvissuti, lui era uno dei pochi ad intendersi di xenobiologia e xenopatologia. Se c'era qualcuno che poteva rimetterla in sesto, quello era lui. Non che ne avesse intenzione. Gli era stato ordinato. La bambina doveva arrivare viva sulla Socratis. E gli ordini non si discutono. Controllò nervosamente il timer. Zjae doveva essere ormai sulla via del ritorno. La Zenith non era così lontana, dopotutto. Passò in rivista gli indicatori. La pressione sanguigna era sufficientemente elevata, così come la saturazione. Era sana come un pesce. Sembrava solamente addormentata. Si asciugò il sudore dalla fronte. Per operare meglio si era tolto il casco, tanto l'atmosfera era più che respirabile. Non sembrava esserci bisogno di un defibrillatore, né di una respirazione artificiale. Sarebbe bastato attendere che si svegliasse. Si sedette, approfittando della gravità artificiale. Poteva permettersi di aspettare il suo compagno senza troppi problemi. Osservò ancora una volta quel corpicino. Avrebbe potuto ucciderla in qualsiasi momento. Questo lo rassicurava in modo notevole. Si concentrò sulle sue mani. Erano provviste di cinque estensioni tattili, di cui una opponibile. Nulla a che vedere con la sua chela. Una rozza struttura cornea senza un minimo di delicatezza, adatta solamente a spezzare, non ad afferrare o maneggiare. Ebbe un sussulto. Una delle dita si era mossa. Poi un'altra. La creatura si stava risvegliando. Zambusa si avvicinò titubante. Lentamente, in modo impercettibile, le palpebre si aprirono, svelando due iridi azzurre. Un principio di coordinazione. Si mise a sedere, a fatica, molto lentamente. Negli istanti successivi, si guardò attorno, confusa, in cerca di qualcosa di noto, di qualche appiglio. Solo allora notò Zambusa. Il suo volto divenne bianco per lo spavento. La bambina aprì la bocca come per urlare, ma nessun suono si diffuse nell'aria. Cadde a terra. Si rialzò. Aveva paura. Il pirata sorrise maliziosamente. Quando gli altri esseri ti temono, ti senti onnipotente, anche solo per il tempo di un attimo.

Molto bene. A quanto pare sei viva.”

La piccola era nuovamente caduta. Zambusa perseverò nel suo monologo.

Ti va bene, per questa volta. Abbiamo l'ordine di portarti sulla nostra nave viva. Il generale Weavel si è raccomandato di avere il massimo riguardo nei tuoi confronti.”

Il pirata allungò la chela, come segno di amicizia. Un'amicizia finta. Doveva sembrare degno di fiducia, altrimenti non sarebbero riusciti a portarla fuori di lì.

Avanti, lo so, sono diverso da te, ma in questo momento sono la tua unica speranza di sopravvivenza. Quanto pensi di poter sopravvivere da sola qui dentro? Lo sai che non c'è nessuno?”

La bambina scosse la testa, come a negare l'evidenza.

Te lo garantisco! I sensori hanno rilevato solo te.”

La piccola sgranò gli occhi.

Cos'è? Perché non parli? Sei troppo spaventata?”

All'improvviso, sollevò il braccio. Cercava di indicare qualcosa alle spalle del suo interlocutore. Zambusa si voltò di scatto. Il suo corpo si mosse prima di poter pensare qualsiasi cosa. Si lanciò al suolo, senza preoccuparsi di atterrare in modo indolore. Un raggio laser di colore rosso scarlatto gli passò ad alcuni centimetri dalla testa, causando una potente esplosione. Rotolò per terra, verso la porta. Si rialzò di scatto e sparò una sventagliata con il GA. Si abbassò quasi immediatamente. Un secondo lampo squarciò il muro alle sue spalle, sollevando enormi quantità di detriti. Piegò le sue gambe come molle e si lanciò verso il lato opposto, dove si era rintanata la bambina. Un terzo raggio, sparato da un'altra angolazione, trafisse una trave del soffitto con immensa potenza. Zambusa prese la piccola sottobraccio, poi sparò al comando di apertura del portellone. L'uscio si aprì quasi subito, il tempo di scaricare un'intera batteria del GA contro il suo misterioso avversario. Un urlo acuto echeggiò nella stanza. Lo aveva colpito. Approfittò del momento per indossare il casco della tuta, poi caricò le gambe e saltò fino all'uscita, portandosi dietro la minuscola creatura. Uno stridio d'inferno raggiunse i suoi padiglioni auricolari. Un grido di dolore, una sorta di imprecazione contro il fuggitivo. Zambusa premette immediatamente il pulsante di chiusura, sigillando il locale da cui era appena uscito. Forse quella stanza aveva una seconda uscita, ma per trovarla il misterioso cecchino avrebbe perso parecchio tempo. Il pirata si sentì insultare in una lingua sconosciuta. Il suo avversario sbatté violentemente i pugni – o qualunque cosa fossero – contro il portone chiuso. Il colpo di GA aveva distrutto il congegno elettronico per sbloccare la serratura dall'interno. Un rumore ben noto raggiunse il suo cervello. Sembrava che qualcuno stesse cambiando il caricatore di un fucile. Non gli ci volle molto tempo per rendersi conto della situazione. Si lanciò nuovamente a terra, proteggendo la bambina con il suo corpo. Un raggio scarlatto perforò il tenue profilo della porta, scagliando frammenti di metallo bruciato ovunque. Pezzi di lamiera fumanti urtarono il suolo a gran velocità. Zambusa si voltò e osservò il foro. Era troppo piccolo per permettergli di mirare, ma valeva anche il contrario. Chi stava sparando in quel momento non avrebbe potuto vederlo né tantomeno passare attraverso quel buco. Strisciò fino alla prima svolta, poi imboccò un condotto laterale. L'ennesimo fascio di luce rischiarò a giorno i corridoi grigi immersi in un'oscurità irreale. Lo stridio si fece insopportabile. La creatura stava cercando disperatamente di liberarsi dalla sua prigione. Zambusa emise un sospiro di sollievo. Non era più in linea di tiro. Doveva comunque sbrigarsi. Non sapeva quanto potesse ancora resistere quella maledetta porta. Corse fino alla sala di decompressione. Doveva attendere l'arrivo di Zjae. Per fortuna era già lì, con la tuta di riserva in mano.

Cosa è successo Zem? Sono qui da tre decicicli e...”

Non ho tempo ora. Aiutami a farle indossare la tuta. Dobbiamo fuggire. Il prima possibile.”

Zjaree non riusciva a capire. La stanza di decompressione era abbastanza lontana dal centro dati, dove avevano trovato la bambina. Non aveva sentito gli spari.

Zjae! Dobbiamo fare in fretta! C'è un cecchino nascosto qui nella struttura! Ha cercato di freddarmi!”

Zambusa sembrava aver riacquistato il suo proverbiale sangue freddo. Zjaree rimase in silenzio. Fece un cenno di assenso con il capo ed incominciò a vestire la bambina, che nel frattempo sembrava essere decaduta al rango di burattino. Si faceva manovrare da entrambi i pirati senza opporre resistenza. Forse aveva capito che le conveniva comportarsi in quel modo. La tuta era due volte più grande di lei, ma non avevano molte altre alternative. Quando tutto fu pronto, Zambusa aprì la porta della stanza di decompressione. I tre entrarono con circospezione. Lo sportello si richiuse alle loro spalle. Uno stridio lontano li fece trasalire. Era il cecchino. Si stava avvicinando a gran velocità. I compressori incominciarono ad aspirare l'aria. Contemporaneamente, il rotatore che gestiva la gravità artificiale iniziò a rallentare. Passi. Rumore di passi. Un rumore sempre più nitido. Il controllo dell'avanzamento segnava il 45%. Zjaree scalpitava per uscire.

Quanto ci mette? Quanto?”

Il cecchino si era fermato. Stava caricando.

Muoviti! Muoviti!”. 80% di completamento. Il click di un grilletto. Zjaree chiuse gli occhi, attendendo la propria fine. Nessun lampo di luce. Solo il click. Il fucile doveva essersi inceppato. Imprecazioni tremende alle loro spalle. 100%. La porta di fronte loro si aprì. Zjaree fluttuò in aria trascinandosi dietro la bambina, seguito da Zambusa. Il pirata sparò due colpì di GA contro il pannello di controllo della porta, danneggiandolo seriamente, poi si voltò e si diresse al massimo della velocità – per quanto quel massimo fosse davvero basso in assenza di gravità – verso il modulo di atterraggio Zenith. Nonostante la vicinanza, sembrava lontano anni luce. Zambusa sembrava più tranquillo. Nel vuoto, il verso inumano della creatura non poteva essere udito. I suoi timpani erano salvi, perlomeno. Un bagliore rosso riportò a galla le sue paure. Il gate di accesso principale era segnato da un foro di diversi centimetri di diametro. Schegge impazzite volarono in ogni direzione, a velocità pazzesca. Non esisteva un'atmosfera in grado di frenarle. Se anche uno solo di quei frammenti li avesse colpiti, non avrebbero avuto il tempo nemmeno per pensare. Zjaree raggiunse finalmente l'ingresso della navetta. Premette il pulsante di apertura. Un secondo bagliore vermiglio balenò nel buio cosmico, provocando una pioggia letale di detriti. Per fortuna era troppo lontano per costituire un reale pericolo. Zambusa fu il primo a salire sulla navetta, seguito dalla bambina. Zjaree li raggiunse alla svelta. Le paratie si bloccarono. Un rombo infernale salutò l'accensione dei motori ed il decollo della Zenith. La navetta si staccò da terra e si diresse verso la mothership, salutando con i gas di scarico l'asteroide abbandonato.

Se nel vuoto si fossero potuti propagare i suoni, gli urli striduli del cecchino avrebbero sovrastato il fracasso dei propulsori al plasma delle navette di mezzo universo. Il primo round era terminato.

Il risultato era un fallimento totale.


6. Negoziato


Devo ammettere che è difficile giudicare la situazione in modo oggettivo.”

Debrevič fece una pausa, poi riprese.

In buona sostanza, ci stiamo massacrando a vicenda. Vorrei conoscere le vostre motivazioni per portare avanti questa guerra sanguinosa e priva di un reale vincitore.”

Exktero si alzò dal suo posto.

Per ora, ambasciatore.”

Per ora? Siate realisti. Le forze in campo sono pari. Statisticamente, il numero di battaglie vinte da entrambi gli schieramenti è lo stesso. Non ha molto senso continuare in questo modo. Stiamo portando avanti un conflitto dispendioso e inutile. Che vantaggi avete ottenuto da tutto ciò? A che pro sacrificare ogni giorno centinaia di vite? È per questo motivo che la Federazione ha chiesto di poter negoziare la pace. È per questo motivo che sono qui. A voi la parola.”

Exktero non se lo fece ripetere due volte. Si portò al centro della sala, un auditorium di terra rossa ricavato in una caverna più grande delle altre. Osservò i volti dei suoi simili. Lo fissavano tutti con aria inquisitoria. Doveva far valere il loro punto di vista. Il punto di vista del conquistatore. Exktero si pronunciò in un profondo inchino, poi si rivolse ad Debrevič.

Illustre omologo, perdoni la mia ilarità malcelata... ma questo è esattamente il discorso che mi sarei aspettato dal rappresentante degli sconfitti. Ciò non vi fa onore. Le sue parole non hanno fatto altro che rafforzare la nostra convinzione di poter vincere questa guerra senza troppi problemi, a dir la verità.”

Sconforto sul volto dell'uomo.

Lei ha citato la morte di molti nostri simili nei combattimenti per convincerci dell'inutilità del conflitto. Un argomento che noi Kriken non prendiamo nemmeno in considerazione. Noi nasciamo per combattere, per lavorare o per governare. Non siamo soggetti a retaggi ancestrali come il valore della vita. È qualcosa che per noi non ha assolutamente senso. Chi muore viene rimpiazzato. E la storia finisce qui.”

Un silenzio pesante come una sentenza calò all'interno della sala. Exktero osservò soddisfatto i risultati della sua arringa, poi rincarò la dose.

Spero che lei non sia venuto qui solamente per sottoporci la sua patetica supplica. Ha delle altre argomentazioni da opporre?”

Debrevič raccolse le forze e tentò il contrattacco.

Siamo ragionevoli. Questa guerra non ha solamente ripercussioni umanitarie, ma anche e soprattutto economiche. L'embargo impostovi potrebbe presto sfociare in sanzioni più severe. Le materie prime che utilizzate per costruire le vostre navi e le vostre armi...”

Exktero lo interruppe bruscamente.

Le estraiamo qui. Il nostro pianeta è ricco di ogni genere di risorsa. Non abbiamo bisogno di importare o esportare nulla. Il cibo non è assolutamente un problema. Chi non ce la fa, diventa nutrimento per gli altri. Le vostre sanzioni non possono in alcun modo limitare il nostro potenziale bellico.”

L'ambasciatore riprese il filo del proprio discorso, per nulla turbato dalle obiezioni del suo omologo.

Potreste avere ragione. Da questo punto di vista, non mi sento di darvi torto. Tuttavia, mi permetto di farle notare il rapporto di forze.”

Si fermò. Un silenzio studiato. Doveva mettere il suo avversario in soggezione. Era l'unico modo per vincere. Exktero fu spiazzato da quell'ultima constatazione.

Si spieghi meglio. Non riesco a seguire...”

Un sorriso fece la sua comparsa sul volto del diplomatico.

Molto bene. A quanto mi risulta, l'esercito Kriken consta di circa trecento milioni di soldati. Mi corregga se sbaglio, ogni obiezione sarà ben accetta.”

Continui.”

Avete inoltre a disposizione circa un milione di astronavi, tra caccia, trasporto, corazzate e quant'altro.”

Esatto.”

Dove voleva andare a parare? Quei numeri erano noti ad ogni essere vivente che si trovasse in quella stanza.

Posso sapere a quanto ammontano le vostre stime sulle dimensioni del nostro esercito?”

Bisbigli, sussurri, grida, mugugni. Tutta la platea si era come animata di fronte a quella domanda imprevista. Lo stesso Exktero si guardò attorno perplesso, cercando di incrociare lo sguardo di qualcuno che potesse rispondere. Dopo un paio di minuti di caos completo, il Kriken riprese controllo di sé.

Poniamo il caso che io non sappia rispondere alla sua domanda. Cosa cambierebbe?”

Una marcata espressione di disappunto fece la sua comparsa sul volto dell'uomo.

Ma come? Volete dirmi che avete iniziato una guerra contro la Federazione senza nemmeno conoscere la forza del vostro nemico?”

Non spetta a me il compito di gestire gli affari esteri. I nostri generali avranno basato le loro scelte su dati oggettivamente favorevoli.”

Perfetto. Ecco i vostri dati oggettivamente favorevoli.”

Debrevič mostrò lo schermo del suo terminale portatile. Exktero fu scosso da un sussulto improvviso.

Questi numeri sono corretti. Sono facilmente verificabili da chiunque. Cosa ne dite?”

Uno dei membri del corpo diplomatico si alzò dal posto.

Leggili ad alta voce, Exktero. Abbiamo diritto di sapere.”

Il Kriken si voltò verso i suoi simili.

Loro dispongono di tre miliardi e mezzo di soldati e di circa trenta milioni di astronavi. Più di dieci volte il nostro potenziale bellico.”

Sul volto di Debrevič, la vittoria. Non avrebbero osato opporsi ad un esercito così grande e ben organizzato. Avrebbero cercato di ottenere le migliori condizioni di pace e di ridurre al minimo le sanzioni. Non avevano oggettivamente altra possibilità. Qualunque creatura di buon senso avrebbe accettato la resa. Un vuoto silenzio accolse i suoi pensieri di trionfo. Non un grido, non una voce. Solo un rumore flebile, un mormorio prolungato. Sempre più forte. Sempre più nitido. Sempre più umiliante. Era una risata. I Kriken stavano ridendo. Stavano ridendo di lui. Lo sconforto lo assalì. Cosa poteva essere andato storto? La voce gelida e acuta di Exktero lo colse impreparato.

Solo dieci volte? Da voi mi aspettavo di più. Però devo ringraziarla. Prima d'oggi credevamo che il numero delle vostre unità fosse molto più elevato, dell'ordine dei cento miliardi. Interessante. Se consideriamo che ogni nostro soldato vale come dieci dei vostri, abbiamo la perfetta parità.”

Debrevič non riusciva a capacitarsi di quelle dichiarazioni.

Lei sta scherzando, non è così? Per quale motivo non avete esposto prima del mio intervento le vostre stime?”

Vuole veramente saperlo? È ovvio, se ci pensa un attimo. Se avesse saputo l'ordine di grandezza del nostro valore atteso, avrebbe semplicemente confermato le nostre aspettative, occultando i dati di fatto. In tal caso, sarebbe stato molto difficile convincere i miei colleghi a non firmare. Ora le cose sono cambiate. Siamo certi di poter porre termine al conflitto con le armi... a meno che lei non abbia qualche altra argomentazione da sottoporre a questo direttivo.”

Debrevič stava sudando per l'agitazione. Era una pistola scarica, non aveva più cartucce da sparare. Doveva inventarsi qualcos'altro? O tornare a riferire e tentare un negoziato meno aggressivo? Le possibilità non erano molte. Aveva solo quelle due alternative. Si asciugò la fronte con un fazzoletto. La situazione era maledettamente complicata.

Allora? Vuole aggiungere qualcosa?”

Doveva rispondere. In fretta. Tempo. Ecco cosa mancava. Non aveva più tempo. Improvvisamente, la sua mente fu attraversata da un lampo. Un'idea folle, ma come tutte le idee folli sembrava poteva funzionare.

Sì, in verità. Voglio porvi una domanda.”

Doveva formularla in modo corretto, senza dar segni di debolezza. Li avrebbe presi in contropiede.

Abbiamo iniziato a combattere per difenderci da voi. Non abbiamo aperto noi le ostilità. Ora vorrei sapere quali sono le vostre motivazioni. Penso che sia un mio diritto.”

Exktero lo osservò disgustato per una decina di secondi prima di parlare.

Non è ovvio? Vogliamo espanderci. Non esiste un altro motivo. È una questione di orgoglio. Una volta, tutta la galassia era controllata dall'Impero Kriken. Sfortunatamente, non eravamo così ben organizzati, all'epoca. Voi vi siete eretti a paladini del bene e avete intrapreso una sorta di Guerra Santa per liberare ciò che era nostro dal nostro dominio. Nessuno di noi conosceva la Federazione Galattica. Nessuno di noi vi aveva mai arrecato danno. I pianeti che avevamo conquistato... erano nostri. Di diritto. Il vostro intervento militare non era previsto né preventivato. Non aveva assolutamente alcun senso. Ci avete barbaramente attaccato, senza un motivo sensato. Perché, ne converrete con me, non ha senso prodigarsi per aiutare i deboli. Coloro che soccombono non meritano la vita. Questo è il nostro punto di vista, che le piaccia o no. Se vogliamo essere più precisi... ora siamo noi a sentirci in dovere di liberare i popoli che opprimete con la vostra finta democrazia. Cosa ve ne pare? Suona credibile come pretesto?”

Un mare di applausi. Krazce Exktero si guardò attorno trionfante. Aveva colpito e affondato il suo nemico con una facilità impressionante. Debrevič rimase in silenzio a lungo. Solo quando i Kriken smisero di festeggiare sembrò rianimarsi.

A questo punto, chiedo ufficialmente di poter avere un secondo colloquio. Devo discuterne coi miei superiori.”

Exktero lo osservò con aria incredula.

Come? Se ne va di già?”

Le porte dell'auditorium si aprirono, permettendo a decine di triskelion di riversarsi nella sala, come un fiume in piena, un torrente rosso e viscido.

Pensavamo che avesse intenzione di rimanere di più, cosa ne so... un paio di macrocicli.”

Debrevič assunse un'espressione stupita.

Cosa intende dire?”

Oh, non ci faccia caso. Nessuno può sapere con certezza...”

L'uomo si bloccò improvvisamente. Cadde a terra, completamente paralizzato. Solo nel corpo, però. La sua mente era attiva e riceveva ogni cosa. Un triskelion si avvicinò, con il veleno che colava ancora dal suo pungiglione sinistro. Una neurotossina molto potente. Capì immediatamente la situazione. Il suo cervello urlò allo sfinimento. Exktero riprese la parola.

Come dicevo prima, nessuno può sapere con certezza... quando si schiuderanno le uova. Sarà un gradito ospite per la cena delle nostre larve, ambasciatore Debrevič.”

Exktero si mosse verso la porta dell'aula, seguito dai suoi colleghi.

Non si preoccupi, la deposizione non sarà così dolorosa... sarà molto peggio dopo. Arrivederci, mio illustre omologo... o forse dovrei dire addio?”

Una risata gelida chiuse la conversazione, mentre l'uomo poteva vedere con i suoi occhi la nutrice che si avvicinava velocemente. Avrebbe voluto chiudere gli occhi.

Non ne avrebbe mai più avuto l'occasione.


7. Ricerca


Tardi. Era troppo tardi. Sylux lanciò il fucile per terra, con un gesto malcelato di stizza. Non c'era più nulla in quel laboratorio. Chiunque fosse arrivato prima, aveva portato via tutto ciò che poteva essere oggettivamente ritenuto interessante. La struttura non ospitava più alcun essere vivente. I biosensori erano muti da troppo tempo. Eppure la sua astronave era molto vicina all'asteroide. Come avevano fatto a raggiungere la struttura con così largo anticipo? Non esisteva una spiegazione plausibile. La rabbia offusco la sua mente per un lungo istante. Aveva assistito impotente al decollo di una navetta Kriken. Molto probabilmente, il suo occupante aveva ucciso o portato via la creatura celata all'interno delle celle di contenimento.

“Maledizione!”

Si mosse all'interno della costruzione. Non aveva intenzione di andarsene senza aver comunque controllato ogni anfratto. Forse avrebbe trovato qualcosa di utile, qualcosa per cui valesse la pena perdere tempo. Controllò accuratamente gli interruttori delle porte. Una buona metà era stata distrutta da colpi di folgoratore. Strano. Segni di battaglia. Qualcuno aveva sparato diversi colpi di arma da fuoco. Esaminò con attenzione i fori nei muri. I più grandi erano senza dubbio riconducibili all'Imperialist del cecchino Kriken, gli altri, più piccoli, non potevano essere associati con sicurezza ad alcuna delle armi che conosceva. Era un calibro troppo comune. Poteva essere il Volt Driver così come un acceleratore galvanico. Scosse la testa. Inutile preoccuparsene in quel momento. Ignorò le altre tracce dello scontro e si diresse verso l'interno del laboratorio. Perché di laboratorio doveva trattarsi. RU-846 era uno scoglio alla deriva nel cosmo, un sasso vagante di al massimo settanta chilometri di diametro. Interessante solamente per un unico aspetto. Era un frammento di SR-388.

Un frammento dell'habitat che aveva generato i parassiti X, una delle specie più letali dell'universo. Estinti. Anche loro, come i pirati spaziali. Sterminati dalla Cacciatrice. Cancellati dal cosmo.

Sylux strinse il pugno. Samus Aran. La sua più mortale nemica. La sua nemesi. L'oggetto del suo odio più profondo. Il suo bersaglio. Era lì per quello. Samus doveva essere su quello sputo di terra. Doveva esserci. I documenti ufficiali che aveva rubato davano per certa la sua presenza. Ma allora... dov'era? Perché non si era ancora fatta vedere? Perché? Domande senza risposta, nel silenzio del vuoto.

Trattenne la rabbia repressa. Non era quello il momento di sfogarsi. Aveva un intera struttura da passare al setaccio prima di poter trarre conclusioni. Era necessario mantenere la calma. Imboccò un lungo corridoio illuminato che sembrava essere stato risparmiato dalla sparatoria. Chiunque lo avesse preceduto, non aveva percorso quella strada. Poco ma sicuro. I sigilli degli accessi di massima sicurezza erano ancora integri. Un fremito di eccitazione pervase il suo corpo e la sua mente. Forse c'era ancora qualcosa all'interno. Forse il Kriken si era accontentato di portare via le briciole. Il vero segreto era ancora celato nei meandri più profondi del dedalo. Si tranquillizzò. In effetti, aveva tutto il tempo necessario per agire con cautela. Estrasse un congegno di modeste dimensioni. Sembrava uno schermo dotato di cavi di interconnessione. Lo applicò al dispositivo di riconoscimento che controllava l'accesso ai piani inferiori e digitò qualcosa sul touchpad. Il display si tinse di un colore verde acceso. Era il segnale di via libera. Le difese erano state scardinate. Riavvolse le minuscole terminazioni all'interno del dispositivo, poi premette il pulsante di autenticazione. Un tenue ronzio metallico permeò l'atmosfera artificiale. Un liquido azzurro luminoso riempì in breve tempo le tubazioni che circondavano il gate di accesso. Quasi istantaneamente, la porta si aprì a raggiera. Apertura idraulica. Ingegnoso. Funzionava anche in assenza di corrente. Sylux si fermò per un attimo ad esaminare il meccanismo di sblocco. Solo per un attimo, però. In quel momento non era la cosa più importante su cui concentrare la propria attenzione. Si addentrò lentamente nel corridoio. Per fortuna, le luci erano accese. Non vi erano segni evidenti di guasti. La sua discesa verso l'inferno sarebbe stata agevole, dopotutto. Un passo dopo l'altro, con calma, tranquillità e l'indice sempre pronto a premere il grilletto. I biosensori tacevano, ma nulla impediva ad un eventuale cacciatore di indossare una tuta schermata come la sua. Controllò il livello del segnale. Il contatto con la sua navetta era costante e la ricezione ottima. Per fortuna, sotto quell'aspetto, la Vorecod – Landau 824 rappresentava un grande passo avanti rispetto alla Delano 7. Certo, anche il suo attuale mezzo di trasporto era un prototipo acquisito in modo

“non proprio legale”, ma almeno aveva già superato la fase di beta testing. Osservò con attenzione gli indicatori del suo fucile. I condensatori erano carichi e il serbatoio del plasma pieno. Disponeva di una potenza di fuoco sufficiente a distruggere l'intera stazione. Il mitragliatore a percussione ZXK-37 era un'arma sperimentale che in teoria non doveva essere messa in commercio per l'elevato potenziale bellico. Ma tra la teoria e la pratica esisteva un abisso. E nell'abisso c'era Sylux. Il fucile era stato modificato in modo da poter entrare in modalità Shock Coil in qualsiasi momento, senza il minimo preavviso, con la sola pressione di un pulsante situato sul lato sinistro del caricatore. Non esisteva creatura vivente in grado di opporsi ad un assalto così violento. Non aveva motivo di preoccuparsi di visite inaspettate.

Raggiunse un ascensore. Era aperto, in attesa di uno o più passeggeri. I pulsanti al suo interno indicavano solamente il piano terra e il livello -1. Sylux premette il secondo. Un ruggito metallico salutò l'avvio del motore e la chiusura delle porte. Il vano iniziò a scorrere all'interno del grande condotto cilindrico, diretto verso il basso, verso la base. Il tempo di un paio di respiri e il piano sotterraneo si mostrò davanti ai suoi occhi nella sua immensità. Sylux uscì dalla cabina e si avviò verso l'interno. I macchinari erano perfettamente attivi, i generatori sibilavano e stridevano. Ma non vi era anima viva. Solo suoni e rumori nel vuoto. Nessuno scienziato, nessun assistente. Neppure i soldati. Quella struttura era stata desolatamente abbandonata senza un motivo apparente. Osservò attentamente il locale in cui si era addentrato. Era un'immensa sala circondata da una miriade di porte. Ogni porta era dotata di una targhetta con sopra indicato il codice dell'esperimento in corso al suo interno. Si avvicinò incuriosito all'uscio etichettato dal termine Serra. Doveva essere una sorta di vivaio contenente piante e vegetali appartenenti a diverse specie. Utilizzò nuovamente il suo congegno, acquisito tramite un raid in un laboratorio di ricerca, per sbloccare la serratura. Lo schermo si illuminò del consueto colore verde brillante. Sylux premette la maniglia ed entrò. L'interno della sala era buio. Cercò di trovare l'interruttore a tastoni. In vano. Sembrava che per qualche strano motivo quel locale non disponesse di illuminazione artificiale. Attivò il visore notturno e si guardò attorno. Era proprio come aveva immaginato. Fiori e semi da tutto l'universo conosciuto, schedati per pianeta, in ordine alfabetico. Istintivamente, passò in rivista la lettera C. Scorse molto velocemente i nomi dei vari corpi celesti, fino quasi a raggiungere la D. Poco prima di perdere le speranze, lo trovò. Cylosis. Un nome che significava casa. Un nome che significava odio e vendetta. Sotto la targhetta, una vaschetta contenente alcuni fiori di ghiaccio. Ne prese uno e lo contemplò. Quando era stata l'ultima volta che lo aveva visto? Non riusciva a ricordarlo. Era passato troppo tempo. In un impeto di rabbia, ne strappò i petali, lanciandoli con forza verso il terreno, poi distrusse lo stelo in mille pezzi.

Tornò sui suoi passi rapidamente. Voleva dimenticare. Doveva dimenticare, se voleva che la sua vita avesse ancora senso. Chiuse la porta, senza voltarsi e si diresse verso il computer centrale. Voleva esaminare con calma la pianta dell'edificio. La richiesta di un username e di una password non avrebbe costituito un problema per gli strumenti che aveva in dotazione. In meno di due minuti ottenne l'accesso. Per prima cosa, controllò i file di log. Forse tra le ultime registrazioni avrebbe trovato la risposta a molte delle sue domande. Esaminò accuratamente la memoria del disco rigido, senza tuttavia ottenere alcuna informazione. Sembrava che quell'elaboratore fosse utilizzato solamente per la gestione delle attività di ricerca. Decise di studiare la pianta del piano interrato. Richiamò il file, poi con un paio di tocchi sapienti, visualizzò sullo schermo l'elenco delle porte ed il loro stato. Scorse molto velocemente i codici e i nomi. Ventitré elementi senza importanza, ventitré insiemi vuoti di dati inutili. Ovviamente la porta della serra risultava l'unica non sigillata. Nessuna informazione in più. La sua attenzione fu improvvisamente attirata dall'ultima voce della lista. L'accesso alla stanza numero ventiquattro sembrava essere permesso. L'ultimo accesso risaliva a dieci cicli prima. Entrò in modalità avanzata e verificò i parametri dell'ambiente. Sembrava che non fossero disponibili. Sylux si allontanò dal terminale, muovendosi verso l'oggetto del suo interesse. A prima vista, non differiva molto dalle altre porte. Dopo un attento esame, concluse che non differiva per nulla dalle altre porte. Ma era aperta. Per qualche strano motivo. Inoltre, non aveva nessuna targhetta affissa a lato. Nulla che indicasse cosa si stesse effettivamente studiando al suo interno. Premette la maniglia e spinse. Apertura manuale. A quanto pareva, qualcuno la utilizzava ancora nel cosmo. Quello della serra non era un caso isolato, dopo tutto. Forse quei retrogradi della Federazione lo ritenevano un sistema sicuro per permetterne il funzionamento in caso di mancanza di energia. Entrò con circospezione e cautela. Non aveva idea di cosa potesse essere celato in quel compartimento. Un'esplosione lo colse di sorpresa. Si lanciò a terra con un balzo per evitare di essere colpito dalle schegge metalliche che sfrecciavano a pochi centimetri dal suo corpo. Un altro sparo. Sylux si nascose dietro un pilastro particolarmente voluminoso. Il folgoratore lo fece comunque a pezzi, incrinando la struttura portante. Sylux caricò molto velocemente il mitra a percussione. Il suo avversario non avrebbe avuto vita facile. Scattò di lato, mirò verso l'alto e sparò una raffica prima di poter essere visto. Un rombo infernale accompagnò la caduta di alcune travi e diversi pezzi di intonaco. La lamiera muggì, squarciandosi e squagliandosi per il calore sviluppato dalla deflagrazione. Qualcosa cadde per terra. Le esplosioni cessarono. Sylux attese ancora un paio di minuti. Doveva assicurarsi di aver disattivato il sistema di sicurezza. Perché di un sistema automatico doveva trattarsi. Nessun essere vivente avrebbe sparato senza essere sicuro di colpire il proprio bersaglio, in una struttura in cui ogni centimetro quadrato era prezioso o economicamente rilevante. Inoltre, la traiettoria dei proiettili era approssimativamente diagonale, dal soffitto verso il pavimento. Solo una torretta o un droide di guardia avrebbe sparato in quel modo. Lentamente uscì dal suo nascondiglio ed esaminò l'oggetto che aveva ingloriosamente terminato la propria esistenza su quelle piastrelle. Era un microcannone dotato di una miriade di sensori all'infrarosso, o almeno, quello che ne restava. In sostanza, era programmato per colpire qualunque cosa si muovesse all'interno della stanza. Ora non poteva più fare nulla.

Si rialzò dopo aver ricaricato il fucile. Potevano esserci altre trappole nascoste, chi poteva saperlo? Cercò l'interruttore della luce. Per fortuna, era a portata di mano, vicino al cadavere della torretta. Lo premette con il calcio del mitragliatore. Gli indicatori segnalarono un'intensa attività elettrica. Per fortuna, il manico dell'arma era schermato. Sorrise. Un sistema ingegnoso. Chiunque avesse tentato di accendere la luce, avrebbe ricevuto una scossa da diverse centinaia di volt, rimanendo folgorato. Le lampade fecero la loro timida comparsa nel buio opprimente che inglobava la stanza, permettendo a Sylux di scorgere alcuni dettagli delle apparecchiature così gelosamente custodite. Lasciò cadere il fucile per terra.

“E questo cosa diavolo significa?”

Davanti a lui un magazzino completamente stipato di capsule criogeniche. Capsule criogeniche attive.


8. Ella


La Zenith si agganciò ai blocchi di sicurezza, rientrando lentamente nell'hangar principale della Socratis. Le paratie della nave madre si chiusero, separando gli occupanti del modulo di esplorazione dalla visione infinita del vuoto. Quasi contemporaneamente, due enormi braccia meccaniche sollevarono la navetta e la portarono a contatto con i binari di stazionamento. I servomotori impressero un'accelerazione costante, muovendola all'interno del percorso previsto, fino al gate di accesso contrassegnato dal numero uno. Gli artigli di metallo liberarono la Zenith dalle loro grinfie, permettendo al gancio di scorrimento di aprire il portellone principale. Il primo a scendere fu Zjaree, visibilmente affaticato. Si tolse il casco e lo gettò a terra con violenza, imprecando senza un particolare motivo e corredando il tutto con gesti eloquenti. Zambusa lo seguì a ruota. A differenza del suo compagno, sembrava particolarmente tranquillo. In realtà, era solamente felice di non essere stato centrato dal cecchino appostato nel laboratorio. La sua vita sarebbe terminata in modo doloroso e scenografico. Sembrava già tutto deciso. Il pirata entra nella stanza, non si guarda attorno e all'improvviso... ZAM! Un raggio rosso lo trapassa e lui cade a terra stecchito come un insetto. Per fortuna non era andata così. Lei lo aveva salvato. Si voltò verso la navetta e la prese per un braccio. Quella creatura minuscola e indifesa gli aveva permesso di tornare sulla Socratis vivo. Certo, era strana. Molto diversa. Forse addirittura mostruosa. Eppure... non poteva essere troppo nociva. Dal canto suo, la bambina era rimasta in silenzio per tutto il tempo. Non una parola, non un suono. Forse non capiva la loro lingua. Zjaree smise di gridare efferatezze irripetibili e si rivolse al suo compagno.

“Zem. La prossima volta che mi viene l'idea di esplorare una struttura abbandonata... fermami, ok? Mi sono spiegato? Non ho intenzione di ripetere questa esperienza per nulla al mondo. Nulla, capito?”

“Neanche se te lo ordinasse REDO?”

Zjaree fu ammutolito da quelle poche parole. Un silenzio di tomba permeò l'atmosfera artificiale per alcuni istanti. Non molti. Il tempo necessario a raccogliere le idee.

“No, se me lo ordinasse lui, andrei. Non si discutono gli ordini di Ridley. Anche se mi chiedesse di partecipare ad una missione suicida...”

si fermò per un attimo, come per chiamare a sé tutte le forze residue.

“... io lo farei.”

La creatura osservò la piccola.

“Piuttosto... cosa ne facciamo di lei? La portiamo al generale Weavel?”

Zambusa annuì.

“Gli ordini sono questi.”

“Va bene, allora cosa stiamo aspettando? Forza!”

Zjaree si diresse verso il meccanismo di sblocco della porta. Prima che potesse mettere la punta della chela sul sensore, il cancello si aprì, rivelando diverse figure ben note.

“Non è necessario, Zjaree. Sono già qui.”

Weavel fece la sua entrata in scena, accompagnato da una decina di sottoposti. I due esploratori si misero sull'attenti. Il generale pose la sua mano destra sulla spalla di Zambusa.

“Sono contento di vedervi vivi e in salute. Le registrazioni dei vostri discorsi ci hanno fatto preoccupare. Abbiamo temuto per voi, se devo essere sincero fino in fondo.”

Subito dopo, rivolse lo sguardo verso l'essere vivente che aveva attivato i biosensori dei due pirati. I suoi sottoposti la stavano liberando della tuta.

“Così è questa la creatura di cui mi avete parlato.”

Si avvicinò per osservarla meglio. Il suo visore si illuminò per un attimo e il suo braccio scattò all'indietro, senza motivo. Scosse la testa e riprese il controllo del suo subconscio. Quell'essere... gli ricordava forse qualcuno? Se sì, chi?

Forse era solamente un gioco malato della sua mente.

No, non forse. Sicuramente.

Premette un pulsante sulla sua corazza. Il visore si illuminò. Raggi infrarossi e X attraversarono per un attimo il corpo della piccola. Weavel memorizzò i dati, poi spense lo strumento.

“Non riporta fratture o lesioni di sorta. La temperatura sembra ottima, circa trecentodieci gradi sopra lo zero assoluto. In poche parole, è a posto. Avete già provato a comunicare con... ella? È una femmina, giusto?”

Zambusa si fece avanti.

“Sì, signore. Confermo quanto ha detto. Ho proceduto ad un primo contatto, con esito negativo. Sembra che non capisca ciò che le dico e che non riesca in alcun modo a sostenere una comunicazione basata su suoni.”

“Qual'è la sua età stimata?”

“Non lo so, signore. Non ho avuto tempo né modo di verificarlo.”

Weavel si allontanò pensieroso. Se veramente quella creatura non poteva comunicare, come diavolo avrebbero fatto a interrogarla? Soprattutto, ne valeva veramente la pena? Cosa poteva saperne una creatura in stadio larvale della struttura in cui era probabilmente ospitata? Doveva trovare una soluzione.

“Abbiamo un traduttore, REDO? Qualcosa che mi permetta di parlare la lingua ufficiale della Federazione?”

Il sibilo acuto e penetrante della voce metallica rimbombò all'interno della stanza.

“Sfortunatamente no, generale. Sono veramente spiacente.”

Weavel si appoggiò al muro, con le braccia conserte.

“Dunque... non resta che un'alternativa...”

Osservò nuovamente la bambina, ricambiato. Sembrava incuriosita dal suo aspetto. Non era spaventata. Non troppo, perlomeno. Celava molto bene le sue emozioni. Weavel cercò di rammentare i rudimenti di lingua straniera che aveva imparato durante la convalescenza. In qualche modo, doveva pur passare il tempo, mentre gli risaldavano le braccia e le gambe che aveva perso nell'esplosione della base di Zebes. Conosceva a stento circa un centinaio di vocaboli e sapeva formare brevi frasi di senso quasi compiuto. Sperava che bastassero. Si allontanò dalla paratia e si diresse al centro della stanza. Zambusa lo raggiunse.

“Signore, cosa dobbiamo fare? Tra di noi nessuno è in grado di parlare la sua...”

Il visore si illuminò. Parlare? Aveva detto... parlare? E se... Weavel premette un tasto sul lato sinistro della propria testa, richiamando i file di scansione. Ingrandì la sezione relativa alla gola e alle corde vocali. Allocò l'immagine in un'altra partizione della memoria esterna e le trasferì allo schermo del display portatile. Sfilò l'apparecchio dalla tasca e lo porse a Zambusa.

“Tu hai studiato medicina e xenobiologia, giusto?”

“Sì, signore.”

“Esamina queste lastre e dammi un responso. Dimmi se quelle sono le corde vocali e se sono in salute. Un particolare così piccolo potrebbe essermi sfuggito.”

Zambusa esaminò accuratamente l'immagine, osservandola da diversi punti di vista. All'improvviso capì.

“Signore... aveva ragione. Anche volendo comunicare, non potrebbe farlo. Non è in grado di emettere suoni. È muta.”

“Questo semplifica le cose.”

Nessuno dei presenti capì. Come poteva essere un miglioramento? Zjaree si guardò attorno per incontrare qualche volto meno sorpreso del suo.

“Non è logico? Eppure la soluzione è semplice.”

Uno stridio allucinante annunciò l'intervento di REDO. Zambusa si coprì le orecchie per non rimetterci i timpani. La bambina lo imitò.

“Stai pensando al linguaggio dei gesti, non è così?”

“Esatto. È uno dei pochi linguaggi standard intergalattici. Lo ha creato la Federazione, ma lo abbiamo imparato anche noi in passato.”

“Mi sembra ovvio. I loro soldati lo utilizzavano per darsi indicazioni senza essere sentiti o intercettati. Ognuno dei nostri aveva l'obbligo di imparare a decifrare le loro comunicazioni.”

Weavel era soddisfatto. Poteva gettare un ponte tra due civiltà. E probabilmente era l'unico a poterlo fare. I suoi simili non avevano dita, solo chele. Lui disponeva di due mani perfettamente articolate, con tanto di pollice opponibile.

“Me ne occuperò io. Zjaree tradurrà i segni in parole.”

Il generale si inginocchiò accanto alla piccola, assicurandosi di guardarla negli occhi. Occhi che aveva già incontrato. Freddi e inespressivi, quelli che ricordava. Rapidi e pieni di curiosità, quelli che erano davanti a lui in quel momento. Iniziò a muovere mani e braccia, sperando di ottenere dei risultati apprezzabili. Zjaree strinse le palpebre, osservando con attenzione.

“Il generale ha detto alla bambina che lei è al sicuro. Che non le faremo nulla di male.”

I membri dell'equipaggio si scambiarono occhiate preoccupate. Il vecchio doveva essersi rammollito. O forse era solo una tattica? Alla peggio potevano utilizzarla per esperimenti medici o come riserva di cibo. Non sembrava realistico trattarla come un essere degno di rispetto e attenzione. Lo stridore di REDO si impose sui discorsi.

“Silenzio! Lasciatelo provare! Senza discutere!”

Non una voce, non un sussurro. L'autorità del capo. Del vero capo. La risposta si fece attendere. Sembrava che la bambina non avesse la minima intenzione di comunicare. Weavel rimase fermo, pronto a ricevere ogni segnale o cenno. Finalmente le mani della creatura si mossero. Zjaree scandì ad alta voce.

“La... cosa ha detto che ci capisce.”

Un sospiro di sollievo. Si poteva continuare. Quell'essere doveva avere un nome, o qualcosa che ci assomigliasse. La sua domanda successiva toccò proprio quell'argomento. Questa volta la risposta fu più rapida. Weavel scosse la testa, sicuro di aver capito male e le fece cenno di ripetere. La bambina si esibì meccanicamente nella stessa sequenza di simboli. Weavel si voltò verso Zjaree.

“Puoi aiutarmi? Non credo di aver compreso. Mi sembra una serie di lettere e numeri senza senso.”

“Credo che volesse comunicare proprio quella. Io ho trascritto l'intera sequenza. SC-849233-ELLA.”

Il generale annuì.

“Va bene, ma non possiamo rivolgerci a lei così. Perderemmo troppo tempo. La chiameremo Ella. Non so cosa significhi questa sigla, ma non credo di poter fare altrimenti.”

Weavel comunicò la sua decisione alla creatura. La bambina annuì. Sembrava incerta sul da farsi. Forse i ricercatori utilizzavano davvero quel nome per rivolgersi a lei e l'idea di un diminutivo non la entusiasmava. Peggio per lei. Avrebbe dovuto farci l'abitudine. Weavel si alzò.

“Zambusa. Prendi Ella e portala in uno degli alloggi vuoti. Esegui un check up medico completo ed un esame del DNA. Per ora la conversazione è terminata. Devo riorganizzare le idee... ah, già che ci sei, prendi una tuta dal magazzino e riadattala per lei. Con quegli stracci addosso, non so quanto potrà resistere al freddo.”

Il soldato annuì. Weavel gli diede le spalle e si diresse verso la sua stanza. Doveva riflettere sugli ultimi avvenimenti. Troppi frammenti di un rompicapo che sembrava ancora molto lontano dalla soluzione.

Primo, la struttura. Il laboratorio sembrava in perfetto stato, quasi come se fosse stato abbandonato non più di venti cicli prima. Inoltre, non vi erano segni di vita né di lotta. Non vi erano tracce di sangue, né cadaveri. Qualcosa di molto strano doveva essere accaduto là dentro. Ma cosa?

Secondo. Ella. Chi era in realtà quella bambina? Perché si trovava lì? Chi ce l'aveva portata? E a che proposito? Era forse la figlia di uno dei ricercatori? No, non aveva senso. Il suo nome era una sigla. Era più probabile che facesse parte di un esperimento. Ma quale esperimento?

Terzo. il cecchino. Cosa stava cercando?

Tutti quei pensieri ruotavano all'interno della sua testa a velocità impressionante. Era una situazione atipica e preoccupante. Forse sarebbe stato meglio uccidere la creatura e non pensarci più. Se c'era una cosa di cui non aveva bisogno in quel momento, erano altri problemi. Da lui dipendeva la sopravvivenza di un'intera specie. O di quello che ne restava.

Scosse la testa. No, non doveva ragionare in quel modo. Perdere le speranze significava la fine. La vera fine. Alzò la mano per aprire la porta del suo cubicolo. Un bip prolungato lo fermò. Era il comunicatore privato. REDO voleva contattarlo. Il suono continuò a lungo. Weavel era turbato. Una chiamata sulla linea protetta significava grane. Sospirò, poi premette a malincuore il pulsante di risposta.

“Ridley? Cosa succede?”

Il computer rispose in modo secco.

“Raggiungi subito il ponte di comando. È un'emergenza.”

Un breve silenzio di intervallo. Weavel strinse il comunicatore nella mano. La voce metallica e stridente continuò imperterrita.

“Abbiamo visite.”



9. Ironia


I motori della Vorecod – Landau 824 rombarono, emettendo grandi quantità di plasma incandescente. Peccato per il vuoto. Il celestiale suono dell'innesco si perdeva nell'impossibilità di trasmettersi là dove non c'era materia. Gli ugelli puntarono verso il terreno, fornendo alla piccola astronave una spinta sufficiente a separarsi dall'asteroide, proiettandola verso l'infinito. Il sistema di propulsione ausiliario si esibì in un folle muggito che preannunciò la successiva accelerazione brutale. In pochi secondi, il laboratorio fu soltanto un ricordo lontano, un ricordo sbiadito con cui non avere più nulla a che fare. I thruster si bloccarono, permettendo al sistema di navigazione fine di prendere il controllo dei sistemi di guida. Sylux inserì la rotta nel computer di bordo. La sua destinazione era obbligata. L'unico luogo nell'universo in cui poteva trovare le risposte che cercava. Premette con frenetica velocità i pulsanti della tastiera, settando con precisione ogni particolare. Non era semplice. Avrebbe dovuto evitare di passare troppo vicino alle fasce di asteroidi, poteva risultare problematico collidere contro uno di essi. Era un rischio inutile che non poteva permettersi di correre. La mano tremò. Chinò il capo. Doveva concentrarsi. Arrendersi in quel momento significava tradire tutto ciò in cui credeva. Scosse la testa. Un po' di ansia era comprensibile, dopotutto. In fondo, aveva appena superato un shock. Si voltò verso il trofeo. Una sorta di reliquia. L'aveva raccolta nel locale delle capsula criogeniche. Per terra. Incrinato. Un pallido fantasma. Lo aveva portato via con sé, senza un particolare motivo, e lo aveva riposto sul cruscotto della nave, accanto ad un fiore di ghiaccio spezzato e ad una vecchia foto. Una foto cartacea. Sviluppata con le sue mani molti anni prima, per gioco, per divertimento. Arima e Sylux. Insieme. La mano tremante raggiunse il pezzo di carta lucida. Ricordava quel giorno per filo e per segno. Aveva scoperto che la luce della loro stella poteva impressionare alcune pellicole utilizzate per le lastre mediche. L'idea era quella di scattare una foto in quel modo così antiquato e affascinante, dimenticato da tutto e da tutti. Ed eccola lì. Sylux e Arima. Insieme. Sorridono, stampati su quella superficie liscia. Un passato perfetto. Rovinato. Nell'arco di un giorno. Sylux si allontanò dai suoi ricordi. Non aveva tempo. Doveva concentrarsi sulla rotta. Una sorta di eccitazione innaturale pervase il suo corpo, mentre digitava le coordinate. Stava tornando a casa. A casa! Cylosis...

Perché solo su Cylosis avrebbe trovato le risposte, le risposte alle troppe domande che affollavano la sua mente. Ricapitolò gli ultimi avvenimenti. Samus Aran si dirige su RU-846. Atterra e raggiunge il laboratorio. Sylux trova i documenti che ne attestano la presenza e si dirige nello stesso posto. Ed ecco l'imprevisto. Qualcosa va storto. Che cosa, non si sa. L'unico dato certo è la scomparsa di tutto il personale. Non ci sono segni di vita. A questo punto, entra in gioco l'esploratore Kriken. Entra nella struttura e combatte con qualcuno, forse proprio con la Cacciatrice, poi fugge, senza aver concluso nulla. Sylux raggiunge la struttura e la esplora. I livelli superiori sono crivellati di colpi. Segni di una sparatoria. Non si arrende, scende in profondità. Trova un magazzino di capsule criogeniche. Tutte operative, tranne una, rotta. Il suo occupante svanito nel nulla. Decide di tornare indietro, alla navetta. Non c'è più nulla da fare. Proprio in quel momento, inciampa in qualcosa. Qualcosa che ha già visto. Lo raccoglie e lo porta con sé. Fine del refrain.

O forse no? C'era ancora qualcosa da riportare alla mente?

Certo, il particolare più significativo. Il rottame orbitante attorno al laboratorio. Lo aveva raggiunto in un batter d'occhio, grazie ai potenti motori della sua navetta. Era un caccia, classe Hunter Ship. Arancione. Vetrate verdi, incrinate. Sembrava aver ricevuto danni pesanti. Forse la sua proprietaria l'aveva portata al laboratorio per farla riparare.

Tutti i cacciatori tengono al loro mezzo di trasporto personale. E Samus Aran non fa eccezione.

Sylux aveva riconosciuto subito il profilo di quella stramaledetta astronave. Avrebbe voluto farla saltare in aria, disgregando anche la sua occupante, in uno scintillio muto di fuochi e pezzi di lamiera incendiati. Un bello spettacolo. Uno spettacolo inutile. Lei non era a bordo. Non poteva esserlo, per una serie di ragioni che non era il caso di elencare in quel momento. Aveva abbordato la nave e vi era salito sopra. I sistemi erano in stand-by e, come previsto, a bordo non c'era anima viva. Il computer di bordo segnalava un guasto ai motori. Sylux aveva cercato di ottenere le informazioni relative all'ultimo viaggio effettuato. Il cuore era entrato in tachicardia quando aveva scoperto che l'ultima destinazione nota era Cylosis.

Samus era stata sul suo pianeta natale. Samus, la nemica, aveva camminato sul suolo di Cylosis. Aveva sfiorato le sue nevi eterne, accarezzato i suoi fiori di ghiaccio, tastato le rovine delle città, osservato la sua stella azzurra. Aveva osato raggiungere la sua casa. E aveva deturpato quel luogo. Con la sua sola presenza. Un affronto intollerabile! Avrebbe dovuto essere punita anche per quello, ma forse non avrebbe più avuto l'occasione di farlo di persona.

Troppe domande, nessuna risposta.

Impostò la rotta con precisione, ogni dubbio svanito. Doveva solo avere la forza di premere un pulsante. Chiuse gli occhi e avviò i motori. Presto avrebbe raggiunto il luogo dove tutto aveva avuto inizio. Dove tutto avrebbe avuto fine.

La Vorecod – Landau non si fece pregare e si lanciò a massima velocità nella direzione impostata. Alle sue spalle, un flash improvviso, lo scoppio frizzante e istantaneo di un fuoco d'artificio. Frammenti di vetro smeraldo percorsero il tragitto tra l'asteroide e la sua attuale posizione, accompagnati da schegge di metallo color sabbia. Sorrise. Certamente non aveva senso, non era servito a nulla, ma lasciare una bomba a tempo sulla sua navetta era stato particolarmente appagante, a livello morale. Si voltò solo per un attimo a contemplare la visione dei frammenti scagliati in ogni direzione, frammenti di quello che una volta era un caccia interstellare. Abbassò una leva e aggiunse potenza ai propulsori. Ogni spettacolo ha una fine, e gli applausi del pubblico sono la naturale conclusione. Ma anche gli applausi terminano. E dopo? La gente esce dall'auditorium, diretta verso casa. Proprio quello che aveva intenzione di fare in quel momento.

Ironia della sorte. La Cacciatrice ora era preda. E non si sarebbe potuta nascondere ancora a lungo.

Tenne stretta la cloche di comando. Il viaggio non sarebbe stato dei più brevi. Venti cicli, se i calcoli del computer di bordo erano corretti. Venti interminabili cicli. Forse avrebbe dormito un po'. L'autoguida della Vorecod – Landau era un gioiello di automazione. Poteva fidarsi dei sistemi della navetta e scaricare su di lei tutte le complicazioni del caso. Sì, avrebbe fatto così. In fondo, riposarsi sarebbe stato un toccasana per la sua salute. Si alzò dal sedile e si diresse verso la parete sinistra della nave. Lo spazio era molto ridotto, in effetti, ma era stato possibile inserirvi una branda a scomparsa, dotata di cinghie di sicurezza. Controllò gli indicatori, esaminando minuziosamente ogni numero, ogni cifra. Sembrava tutto regolare. Premette un pulsante a ridosso degli schermi. La branda fece lentamente il suo ingresso, accompagnata da un ronzio persistente e a tratti fastidioso. Sylux ne tastò la consistenza. Nonostante l'aspetto, sembrava possedere una certa dose di morbidezza. Sylux vi si sdraiò sopra e allacciò le cinture. Un segnale sonoro lo avrebbe avvisato al raggiungimento dell'orbita di Cylosis o in presenza di problemi gravi, ovvero in quei casi in cui la IA della nave non era in grado di formulare una decisione sensata e il buon vecchio istinto del cacciatore di taglie tornava prepotentemente alla ribalta. A questa categoria di avvenimenti appartenevano l'incontro con una corazzata della Federazione, il passaggio all'interno di un campo minato, la presenza di una navetta in coda. Per quanto avanzato, il computer che guidava la sua astronave, non era in grado di rivaleggiare con un pilota biologico per quanto riguardava la fantasia nelle manovre evasive. Si limitava ad eseguire le operazioni di routine, le schivate da manuale e così via, senza particolare efficacia. Da quel punto di vista, la Delano 7 era molto meglio. Scosse la testa. Non aveva deciso autonomamente di cambiarla. Era stata danneggiata in modo pesante dall'attacco di una fregata federale. Ripararla costava molto di più che rubarne una nuova. Sarebbe stato un inutile dispendio di crediti. Crediti che scarseggiavano, in quel periodo. Sembrava che nessuno avesse più bisogno di un buon bounty hunter, in quell'epoca di finta pace. Il conflitto con i Kriken era stato nascosto ai più. Secondo i notiziari, andava tutto bene in tutta la galassia. Non c'erano morti, non c'erano guerre. Tutte balle. Aveva assistito impotente ad un confronto tra la Federazione e gli stessi Kriken. Sembrava un gioco al massacro. I Fed Trooper2 avanzavano a stento sotto il fuoco dei cecchini vermigli. Il loro Imperialist perforava le corazze come se fossero state di burro. Se nelle battaglie campali i mostri insettoidi avevano la meglio, non si poteva dire lo stesso nei conflitti astronavali. Qui la supremazia tecnologica della Federazione era evidente. La flotta Kriken era stata spazzata via per ben tre volte, salvo poi ritornare completamente rigenerata e in forze. I due contendenti si equivalevano e ogni giorno era segnato da migliaia di morti, in entrambi gli schieramenti. Non ci sarebbe stato un vincitore. Solo due sconfitti.

Sylux si rigirò nel letto. Era una situazione disperata. Probabilmente, la Federazione si sarebbe rivolta alla sempiterna Samus Aran, affidandole il compito di conquistare Kriik da sola, sterminando gli insetti e macellando il loro imperatore Krezos Trakles II. Sembrava essere la soluzione migliore. Vuoi vincere una guerra intergalattica? Rivolgiti a Samus Aran! Farà lei tutto il lavoro sporco e tu prenderai glorie e onori al posto suo! Uno slogan pubblicitario di quel genere era un'efficace rappresentazione della vita della sua nemesi. Amata e odiata, venerata e temuta, criticata ed elogiata. Molti si chiedevano se fosse in grado di provare emozioni. Alcuni avevano ventilato l'ipotesi che in realtà fosse un automa. Altri ancora, l'avevano associata ad un vecchio esperimento fallito. Miti e leggende sulle sue origini si sprecavano. Era un personaggio controverso. Alcuni ritenevano impossibile che fosse una donna. L'universo cambia, i popoli si evolvono, ma i vecchi pregiudizi continuano a sopravvivere, ripresentandosi più forti di prima. Magari si sbagliava sul suo conto e in fondo non era la principale colpevole di... Sylux scosse la testa, in modo violento. Il suo corpo fu scosso da tremori. Stava delirando. L'effetto della sua medicina doveva essere in via di esaurimento. Prese la siringa e si iniettò una sostanza brunastra nelle vene. L'effetto sarebbe stato quasi immediato. Chiuse gli occhi. Per un lunghissimo istante, non accadde nulla, poi, finalmente, la consueta freddezza riprese possesso della sua mente. Così come l'odio per lei. La Cacciatrice non meritava né compassione, né rispetto. Meritava solamente di morire. Rivolse lo sguardo alla reliquia che aveva raccolto.

“Sì. Deve morire. Non sei d'accordo anche tu?”

Il casco rosso della Cacciatrice non poté rispondere. Gli oggetti inanimati non avevano il dono della parola.


10. Contatto


Uno degli addetti alle comunicazioni sospirò. La FSS Esmeralda non era un ricognitore. Era semplicemente la nave più prossima a RU-846. Non erano equipaggiati per rilevare segnali molto deboli, le apparecchiature non erano in grado di distinguerle dal rumore di fondo, ma erano comunque gli unici abbastanza vicini da intercettare un segnale di SOS in tempo utile. Sbuffò. Da troppo tempo il trasponder della navetta era muto come un pesce. L'ultimo ping era stato registrato tre cicli prima. Poi, il nulla.

Momenti di isteria collettiva, allarme rosso, qualcuno aveva gridato. Allarme rosso. Il comandante aveva fatto eco a quell'urlo semplicemente irrazionale. Se ne era chiesto il motivo, ma gli ordini non si potevano discutere. Diligentemente aveva diramato il messaggio a tutta la nave, dichiarando un'allerta 5, il grado più alto di pericolo. Una precauzione inutile. In fondo avevano semplicemente perso il contatto con una navetta monoposto.

È una follia. Perché un livello così elevato?

La domanda era sorta spontanea dopo aver eseguito il suo compito come da manuale. Il comandante aveva risposto con un tono che non ammetteva repliche.

Tu, ovviamente, sai a chi appartiene quella navetta, vero?

No, non lo sapeva, ma non poteva far altro che fingere di saperlo. Non poteva – o forse non voleva – dare l'impressione di non essere informato sui fatti.

Certo che lo so. E allora?

Il comandante era parso particolarmente seccato da quella risposta.

Torna al tuo posto ed esegui una scansione di spettro su ogni frequenza nota.

Ed era quello che stava facendo da mezz'ora, senza sosta. Ventidue scansioni complete in meno di trenta minuti. E il silenzio del cosmo suonava come una pietra tombale.

Sempre che di silenzio si potesse parlare.

Radiazione di fondo mescolata a rumore bianco casuale, imprecisioni dovute ad errori di progettazione degli strumenti. Il risultato era un crogiolo di segnali di bassa intensità che rendevano praticamente inutilizzabile buona parte della banda di trasmissione.

La FSS Esmeralda non era una nave-radar. Era una semplice corvetta esplorativa dotata di armamento leggero e strumenti adatti a rilevare asteroidi e piccole astronavi, ma non con la precisione che era stata loro richiesta. L'addetto sospirò e attivò nuovamente gli strumenti, per la ventitreesima volta, preparandosi all'ennesima delusione.

Attese in vano.

Un bip luminoso era comparso sullo schermo di controllo dell'eco radar. Sgranò gli occhi. Era chiaramente un oggetto di dimensioni notevoli. Non certo un astronauta o una sonda. Si stava parlando quantomeno di un caccia stellare. Lasciò lo strumento acceso ed attese un secondo segnale per valutare la velocità dell'oggetto. La risposta non si fece attendere. Il puntino luminoso si era mosso di due tacche, nel tempo di un rilevamento.

L'uomo prese il proprio palmare e fece due conti. Due tacche in un secondo. Una tacca corrisponde a circa mille chilometri. Dunque...

Sprofondò sulla sedia. Qualunque cosa fosse, si stava muovendo ad una velocità stimata di duemila chilometri al secondo. Una nave in iperguida.

“Signore... noi non dovevamo trovare questo, vero?”

Il comandante lo raggiunse di corsa.

“Questo cosa?”

“Il puntino luminoso che...”

“Quale dei tre?”

Tre? Cosa...

Il segnale luminoso si era fermato, ma nel frattempo altri due puntini avevano fatto la loro comparsa sullo schermo.

“Cosa diavolo sta succedendo?”

Il comandante rimase ammutolito. Ogni secondo che passava, nuovi oggetti si aggiungevano a quelli precedenti. Dopo dieci secondi, il contatore segnalava sessantaquattro oggetti non identificati in avvicinamento. Il numero continuava ad aumentare.

“Io lancio un SOS.”

L'addetto pose la mano sul trasmettitore.

Il comandante gli afferò il polso, lo strinse con forza.

Non senza un mio ordine.”

L'artiglio di metallo ferì leggermente l'uomo.

Prima dobbiamo capire con cosa abbiamo a che fare.”

L'addetto lasciò il posto alla creatura, una macchina andromorfa in cui era ben celata l'intelligenza di un essere umano senziente. Un generale pluridecorato della Federazione. Uno esperto, insomma. Ci sapeva fare. Ma allora, perché impedirgli di lanciare un messaggio?

Non hai notato qualcosa di particolare in questo schema?”

Se devo essere sincero...”

Osservalo meglio e grafica le velocità dei singoli punti. La loro distribuzione non è casuale, presenta un pattern ben definito.”

L'uomo eseguì l'ordine. Il risultato andò aldilà di ogni aspettativa.

Signore... perché una gaussiana così stretta? Non ha molto senso. O meglio, avrebbe senso se in realtà...”

... quei punti rappresentassero lo stesso oggetto. È una sola nave, occultata con un sistema ingegnoso. Un sistema utilizzato dai pirati spaziali.”

Non dovrebbero essere estinti?”

Il comandante gli pose una mano sulla spalla.

Nessuno ha creduto all'esistenza del cigno nero fino a quando non è stato effettivamente trovato. Direi che siamo di fronte ad un caso analogo. Dirama uno stato di massima allerta. Tutti i soldati si preparino a combattere se necessario. Spero di non dover arrivare a questo punto, ma è meglio essere pronti al peggio.”

L'addetto annuì e diffuse il messaggio. Le sirene rimbombarono all'interno della Esmeralda, risvegliando ogni essere vivente eventualmente assopito e preparando il terreno per i minuti successivi. Il comandante osservò nuovamente lo schermo. Doveva trattarsi di una nave di grandi dimensioni. Molto grandi. La loro corvetta non raggiungeva un decimo della stazza di quel mostro di metallo e carbonio.

Signore, tutti i pezzi sono carichi e funzionanti. Siamo pronti a difenderci.”

Quanto fosse grave la situazione era sottolineato da quel termine, pronunciato forse involontariamente dal secondo ufficiale. Difenderci. Loro dovevano difendersi da quella nave, non avevano minimamente preso in considerazione l'ipotesi di attaccare per primi. Gli uomini si schierarono in riga, in attesa di essere passati in rivista.

Dunque non abbiamo alternative...”

Si alzò dalla sedia e raggiunse i suoi soldati. La sirena di allarme continuava imperterrita a permeare l'ambiente pressurizzato del reparto abitativo. Quel suono aveva un che di macabro e spettrale. Sembrava di essere tornati al periodo dei bombardamenti a tappeto.

Può spegnere quel dannato allarme, tenente? Dubito che qualcuno non l'abbia ancora sentito.”

L'uomo annuì e si portò verso la postazione di controllo. Premette qualcosa su uno degli schermi touch, con sicurezza. L'allarme sembrò non rendersene nemmeno conto. Fu scosso da un sussulto. Reinserì la sequenza di disinserimento. La sirena continuò imperterrita ad emanare il suo carico di terrore. Per la terza volta tentò di dialogare con il sistema di spegnimento, senza risultato. Tirò un pugno contro il pannello.

Vuoi spegnerti, maledetta figlia di...”

Solo in quel momento notò un indicatore giallo lampeggiante a fianco del quadro comandi.

Signore...”

Il comandante lo raggiunse in fretta.

Non posso spegnere l'allarme. Loro stanno cercando di comunicarci qualcosa... o almeno credo.”

Si voltò di scatto.

Tutti gli addetti alle comunicazioni al proprio posto! Immediatamente!”

Un attimo dopo, i ventidue tecnici della nave erano pronti a rispondere alla chiamata. La sirena si spense di colpo, causando di fatto un tremendo silenzio, rotto soltanto dal ronzio dei macchinari. Chiunque in quel momento avrebbe potuto udire chiaramente il proprio battito cardiaco. Dovevano agganciare il segnale di chiamata e rispondere al più presto. Nel linguaggio standard galattico, un silenzio equivaleva ad un trattative cessate. Lo schermo in tessuto a cristalli liquidi visualizzò un'immagine sfocata. Il comandante fu profondamente sollevato da quella vista. Con lentezza esasperante i contorni della figura si fecero sempre più nitidi. Era un volto ben noto quello a cui si stava trovando di fronte il comandante Adam Malkovich, se di volto si poteva parlare. Un visore giallo corredato da una coda di capelli neri fece la sua comparsa. Il volto di un cacciatore. Il volto di Weavel. La figura incominciò a parlare in uno stentato linguaggio federale, di cui non dimostrava assolutamente padronanza.

Mi avrete riconosciuto. Vengo in pace. Non combatteremo.”

Il robocomandante Malkovich rispose con un cenno di assenso. Il suo omologo si stava sforzando di essere comprensibile, con evidente fatica. Ora era il suo turno di fare altrettanto.

Dove siete diretti?”

Stiamo cercando un pianeta abitabile.”

Per quale motivo?”

Per viverci.”

Adam scosse la testa. Cosa diavolo significa? La comunicazione non poteva proseguire in quel modo. Dovevano parlarsi di persona.

Dobbiamo incontrarci. Avete un interprete?”

Qualcuno che parli la lingua? Solo io. Ma REDO può tradurre. Non si può muovere. Dovete venire voi.”

Il comandante annuì. Chiunque fosse Redo, era l'unico essere in grado di fare da tramite tra lui e il cacciatore. Doveva correre il rischio di salire su quella nave. L'immagine si sfocò e lentamente scomparve, permettendo al silenzio di essere di nuovo padrone del ponte di comando. Un silenzio rotto solo dalla voce del capo. Una voce che non ammetteva repliche.

Tenente Wood, attrezzi la Elsinore e la prepari alla partenza. Dobrais, Corriban. Attivate tutte le capsule di evacuazione e tenete i motori in preaccensione. Jervis. Devii tutti gli strumenti verso la loro nave. Voglio un monitoraggio costante.”

Si voltò verso gli uomini-radar.

Tra di voi c'è qualcuno in grado di tradurre o anche solo capire il linguaggio dei pirati?”

Il tecnico delle comunicazioni che aveva intercettato il segnale si alzò.

Soldato Kovalski a rapporto. Ho combattuto in prima linea fino a due anni fa.”

L'unico braccio rimasto era una testimonianza diretta dell'accaduto.

Ho studiato la loro lingua. Sia ben chiaro, non la so parlare, solo comprendere.”

Il comandante annuì.

Mi segua.”

Il comandante Malkovich si diresse lentamente verso l'hangar di decollo. La Elsinore lo stava aspettando. Una navetta a tre posti di colore bianco luccicante, nuova di zecca. Motori a ioni di ottava generazione garantivano una velocità di crociera elevata, unita ad un'eccellente autonomia. Malkovich la accarezzò con la mano meccanica. Wood e Kovalski lo seguirono a ruota. Gli sportelli dell'elegante mezzo si aprirono in silenzio, permettendo agli uomini di prendere posto all'interno dell'abitacolo. Le barre di protezione sigillarono l'uscio, precludendo la possibilità di un ripensamento. Malkovich attivò i comandi manuali e afferrò saldamente la cloche.

Qui Wood. La Elsinore è pronta per partire. Aprite la paratia quattordici.”

Con lentezza, il fianco della Esmeralda si aprì a livello del ventre, permettendo alla navetta di sfiorare il vuoto con la sua delicatezza. Malkovich attivò la sequenza di accensione. Pochi istanti dopo un proiettile bianco fu sparato nel nulla assoluto, verso l'ignoto.

Verso la Socratis.


11. Terra rossa


I segnali vitali dell'ambasciatore Mathias Debrevič sembravano regolari. Il battito cardiaco era leggermente accelerato, ma non era un segnale preoccupante. Chiunque al suo posto sarebbe stato agitato. Olirence Van Neyther ne era assolutamente certo.

Sorseggiò nuovamente il suo caffè, mentre controllava i monitor di stato. In caso di morte dell'ambasciatore, il comandante sarebbe stato immediatamente avvertito. Quest'accorgimento avrebbe permesso di portare la Gaia in un posto più sicuro. Il cucchiaino girò più volte all'interno del bicchiere, in cerca di qualche rimasuglio di zucchero da mescolare. Sospirò. Stava controllando la situazione da più di tre ore e non sembravano essersi rivelate anomalie di sorta. Come ufficiale medico di bordo, era tenuto a visionare ogni parametro e a tenere in debita considerazione ogni possibile alterazione degli stessi. Diede l'ennesima rapida occhiata alla schermata. Pressione... ok. Battito... 95. Ce n'è d'avanzo... sensore di movimento... no, dev'essere guasto... accidenti!

Si stropicciò gli occhi e ricontrollò il dato. Debrevič era fermo – o meglio, immobile – da almeno dieci minuti. Le sue coordinate non variavano di un decimo di secondo e i dinamometri non segnalavano alcuna forza o spostamento. Eppure tutto il resto... Lanciò una scansione dei sensori, ma il risultato ne confermò l'ottimo funzionamento. Il bicchiere gli cadde di mano. Una terza verifica non lasciò adito a ulteriori dubbi. L'ambasciatore era perfettamente immobile. E non stava dormendo. Sganciò il ricevitore e compose il numero del ponte di comando. L'interfono rispose con un silenzio di tomba. È guasto? Maledizione! L'uomo corse verso il ponte di comando, più in fretta possibile. Se avesse atteso ancora un secondo, avrebbe osservato impotente le sue apparecchiature spegnersi in un mugolio disperato, seguite dalle luci. Se ne accorse una volta arrivato a destinazione. Il comandante Farrow era cereo. Sembrava molto agitato e gesticolava in continuazione.

Signore, abbiamo un problema! Debrevič...”

Olirence, abbiamo problemi ben peggiori di qualunque cosa tu stia per riferirmi! Siamo stati colpiti da un impulso EM di media intensità e non c'è un solo strumento che funzioni come si deve! Siamo passati ai comandi manuali, ma dubito che la Gaia possa rimanere stabile a lungo. Ho già ordinato l'evacuazione. Le prime scialuppe sono già state raggiunte. Per fortuna, sono provviste di un dispositivo di sgancio idraulico.”

Van Neyther cadde dalle nuvole.

Un impulso EM? Questo significa...”

Che dobbiamo battercela. E in fretta.”

Farrow osservò il primo guscio di salvataggio separarsi dal corpo di Gaia, diretto verso il pianeta rosso. Un lampo scarlatto lo perforò, causando una tremenda esplosione. Le grida degli occupanti furono soffocate dal fracasso infernale provocato dallo scoppio dei serbatoi di carburante. Un fuoco d'artificio cosmico illuminò a giorno il cielo di Kriik. Farrow si portò istintivamente un braccio davanti agli occhi, per proteggersi. I sistemi della nave si rianimarono senza preavviso, restituendo la vista e l'udito al gigantesco vascello.

Annullare l'evacuazione! Ripeto! Annullare l'eva...”

Un secondo lampo scarlatto raggiunse il ponte di comando, troncando di fatto l'ultimo messaggio del comandante. I vetri pressurizzati si frantumarono in mille pezzi, facendo fuoriuscire l'aria. Non era un problema, sotto un certo punto di vista. Gli occupanti erano passati a miglior vita. Una nave spaziale rossa come il sangue fece la sua comparsa, troneggiando sul cadavere morente della Gaia, ormai priva di guida e allo sbando. In mezzo minuto, il vascello federale entrò in rotta di collisione col pianeta. Gli ultimi sopravvissuti dovettero attendere ancora sessanta interminabili secondi prima di morire.

Un'esplosione allucinante, in grado di illuminare a giorno il pianeta. La Gaia non aveva nemmeno raggiunto la superficie. Si era semplicemente disintegrata nell'atmosfera, aveva preso fuoco. I serbatoi di carburante avevano fatto il resto. Krazce Exktero fu molto soddisfatto dello spettacolo. Le navi fantasma di classe Krozan erano particolarmente efficienti quando si trattava di eliminare vascelli di medie dimensioni. Non erano armate in modo pesante, ma il dispositivo di camuffamento ottico, la struttura portante in grado di assorbire o deviare le onde radar e il cannone ad impulsi EM le rendevano capaci di colpire e sparire. Le Krozan erano gli assi nella manica dell'esercito Kriken. Anche nei conflitti più violenti e distruttivi, riuscivano a mettersi in salvo. Non ne avevano persa ancora una in battaglia. O meglio, non negli scontri diretti contro la Federazione. In effetti, Exktero aveva nascosto al consiglio direttivo e all'Imperatore stesso che una della fregate esplorative inviate per tastare il terreno non era tornata. Era scomparsa nell'orbita di Cylosis. Scomparsa senza lasciare traccia. Forse non era il caso di occuparsene. Non al momento, almeno. C'erano pratiche più urgenti da svolgere.

Comandante Zachkard, atterri. Voglio verificare la presenza di eventuali superstiti.”

Il Kriken ai comandi annuì con un tenue cenno del capo e inserì i comandi, pianificando la discesa. Di cosa dovevano preoccuparsi? L'esplosione era stata tremenda. Era francamente impossibile che qualche debole umano fosse riuscito a scamparla. La prudenza non è mai troppa. Già. Valeva la pena dare almeno un'occhiata. La stessa cosa valeva per Cylosis? In effetti, poteva semplicemente trattarsi di un guasto, uno stupido guasto ai comunicatori di bordo. No, a chi voleva darla a bere? Tacevano da troppo, troppo tempo. Zachkard orientò i motori della nave ed inizializzò la sequenza di attivazione. Troppo tempo. Esisteva la possibilità che la nave fosse stata abbattuta, e ciò era seccante. Molto seccante. L'unico motivo per cui la Federazione non aveva ancora cancellato la flotta Kriken dallo spazio esterno era una sorta di sudditanza psicologica. Il mito dell'imbattibilità delle Krozan. Ogni volta che erano intervenute, i generali nemici avevano cambiato tattica, cercando di evitare il confronto diretto con quegli spettri invisibili e letali. Se una di esse fosse stata veramente abbattuta dai nemici... no, non voleva pensarci. Sarebbe stata una tragedia. Il timore reverenziale verso le loro navi di elezione sarebbe completamente svanito. Perché? Semplice. Se una, una sola viene abbattuta, allora non sono più invincibili. No, la notizia doveva rimanere segreta. Solo lui e un paio di ufficiali dell'esercito ne erano a conoscenza. Più un esploratore. Un esiliato. Uno che non sarebbe potuto tornare su Kriik prima di aver conquistato un pianeta. Inutile dire che non avrebbe mai rimesso piede sul suolo natio. Non era un periodo facile per conquistare, quello. Un fallito, certo. Uno che nella sua misera vita non era riuscito a dare lustro alla razza che lo aveva generato. Uno di cui era difficile fidarsi, visti i risultati della sua missione nel sistema Alimbico. Non sarebbe stato il caso di assoldarlo, proprio no... ma era l'unico a conoscere direttamente la Nemica o la Cacciatrice, come preferivano chiamarla i Pirati Spaziali. Una razza debole ed estinta di cui anche le ultime, patetiche tracce stavano lentamente svanendo. La Nemica era l'asso nella manica della Federazione. Era solo questione di tempo. Presto l'avrebbero coinvolta nel conflitto... e lì sarebbero iniziati i guai. Un essere umano da solo, per quanto potente e ben armato, non avrebbe potuto vincere una guerra, ma l'effetto sul morale delle truppe federali si sarebbe manifestato in brevissimo tempo. A quel punto, vincere la guerra sarebbe diventato praticamente impossibile. La Nemica era un baluardo. La sua sola presenza avrebbe rincuorato i Fed Trooper e li avrebbe galvanizzati al punto da renderli molto più pericolosi ed efficienti.

Non possiamo permettercelo.”

Le parole dell'imperatore Trakles non potevano essere più chiare.

Non possiamo permettercelo. Mettila sotto sorveglianza. Tutti i mezzi saranno considerati leciti.”

Ed ecco sorgere un secondo problema. Nessun Kriken aveva mai incontrato la Nemica.

Nessuno tranne Trace.

Era seccante. Spaventosamente seccante. Doversi rivolgere ad un Kriken rinnegato e buono a nulla come lui... ma figuriamoci! Eppure... non c'era altra soluzione. Un cacciatore di taglie, dotato di una navicella propria, con una buona conoscenza dello spazio lontano da Kriik. Non credo di avere altre alternative. Exktero si era arreso all'evidenza e lo aveva contattato. In cambio del Perdono, Trace avrebbe raccolto informazioni sulla Nemica. Una bella ricompensa, non c'è che dire. Troppo per uno come lui. Quando gli avrebbe portato il primo rapporto? Quella sera stessa? L'arrivo dell'ambasciatore umano gli aveva fatto dimenticare tutto il resto. Sì, entro una decina di cicli avrebbe conosciuto i risultati del suo azzardo.

Signore? Siamo sulla verticale del relitto. Non penso sia saggio atterrare ora. Se avessero avuto a bordo qualche arma batteriologica?”

Exktero fu come risvegliato da quelle parole.

Qual è il vostro grado di autonomia, comandante?”

Tre, signore.”

Notevole come, nonostante un livello tanto infimo, lei sia stato in grado di pensare ad una cosa del genere. In effetti il rischio esiste.”

Il Kriken si portò di fronte agli schermi del ponte di comando.

... ma in fondo non è il caso di preoccuparsi. Basterà inviare due soldati con autonomia zero dotati di un rilevatore biochimico. Se il rilevatore darà esito positivo, li uccideremo per non propagare l'infezione. Se darà esito negativo, ci limiteremo ad atterrare.”

Come desidera.”

Ora devo sbrigare alcune faccende nel settore comunicazioni. Avvertitemi quando avete i risultati.”

Exktero si allontanò dal ponte di comando e si diresse verso gli schermi radar. Gli addetti ai sensori stavano analizzando i segnali tramite connessioni cerebrali. Gli strumenti della Krozan scandagliavano continuamente lo spazio attorno alla nave nel raggio di cento unità di distanza, con una discreta sensibilità. Solo navi più piccole di un veicolo individuale potevano pensare di sfuggire al suo apparato ricettivo. Exktero si avvicinò ad uno dei neurocontrollori.

Avete avuto qualche notizia dalle altre Krozan?”

No, signore. Non ci sono navi di questa classe a distanza di rilevamento.”

Avete qualche segnale sui radar?”

Prego, signore? Specifichi meglio la domanda. È troppo vaga.”

Exktero alzò l'occhio al cielo. Autonomi di classe due. Perfetti per svolgere compiti elementari, perfetti per essere sacrificati. Totalmente inutili per il resto.

Intendevo dire: avete rilevato navi stellari di qualunque natura?”

Sì, signore.”

Il Kriken tornò a svolgere il suo compito, noncurante dell'espressione stupita del suo superiore – se di espressione si poteva parlare.

Una nave Kriken?”

Sì, signore.”

Il copione si ripeté esattamente uguale. L'addetto ignorò completamente il suo superiore e incominciò a premere alcuni pulsanti. Krazce Exktero perse la pazienza.

Le farò una domanda molto precisa. Che nave è? Da dove viene? Se è monoposto, chi la guida? Può rispondermi in modo esaustivo almeno questa volta?”

Il Kriken si voltò verso di lui.

Caccia monoposto classe Krome, in arrivo dal settore S. Il pilota si è identificato come Trace. Dovrei aver risposto in modo esauriente.”

Exktero sibilò qualcosa di incomprensibile. Trace non era atteso. Non in quel momento. Era arrivato troppo presto.

Il pilota sta stabilendo un contatto.”

Lascia la tua postazione. Voglio parlargli io.”

Exktero si fece avanti e collegò il microfono e i neurosensori. I suoi pensieri furono invasi da una marea di informazioni mascherata da un leggero ronzio, un rumore di fondo insopportabile. Quel marasma generale gli fece capire perché solo Kriken con autonomia di classe due o inferiore venivano destinati alle comunicazioni. Un autonomo tre non avrebbe resistito nemmeno dieci millicicli a quella tortura e si sarebbe rifiutato di continuare. Exktero era un autonomo di classe sei. Una voce gracchiante emerse dall'altro capo del ricevitore, netta, distinta dal caos casuale.

Qui è Trace. Ho trovato la nave.”

Una pausa. Alcuni, interminabili secondi di silenzio. Poi, le parole che Exktero non avrebbe mai voluto sentire.

Quello che ne resta, almeno.”


12. Generali


La porta automatica si aprì in uno sbuffo di vapore, rivelando l'accesso ad un ambiente scarno e spartano. Macchine antidiluviane per il controllo della pressione, contatori analogici, termometri graduati ad espansione di liquido. Paratie metalliche, di un grigio scrostato e contorto, poche luci giallo opaco.

Sembra una cartolina d'epoca.”

L'attacco era avvenuto senza problemi, nonostante il sistema di aggancio e di radioguida fosse particolarmente obsoleto ed inefficiente. La nave dei pirati, la Socratis, sembrava un residuato bellico prossimo alla dismissione, un immenso rottame flottante. In realtà, era una prigione orbitale, un ex-carcere riconvertito alla navigazione stellare. Fino a pochi anni prima, doveva essere gremito di ribelli in attesa di giudizio. Come se contemplassero qualche alternativa alla pena di morte... Un macabro trucco psicologico. L'idea di un processo creava una flebile scintilla di speranza nei cuori dei prigionieri. Una scintilla destinata a spegnersi con violenza e brutalità. A memoria d'uomo – o di pirata – nessun procedimento si era concluso con l'assoluzione dell'imputato. Nessuno.

Comandante? Potremo fidarci di loro?”

Malkovich annuì con decisione.

Ad un primo esame frettoloso, mi era sembrata una nave da guerra. In realtà è poco più che un ferrovecchio ambulante equipaggiato male ed armato peggio. Se si verificasse qualsiasi genere di problema, un colpo diretto ai motori e questa nave è bella che andata. Persino la Esmeralda potrebbe sistemarla senza troppa fatica.”

Vuol dire che abbiamo sopravvalutato il nemico?”

Non necessariamente. La mole della nave, la sua stazza, la sua presenza scenica... è bastato questo per indurci a trattare, ad entrare in un regime di sudditanza psicologica. E loro lo sapevano. Erano perfettamente consci che non saremmo stati in grado di valutare le attuali condizioni del loro veicolo dall'esterno. Hanno giocato bene le loro carte.”

Il passo pesante dell'androide rimbombò nei corridoi vuoti dell'hangar principale. Kovalski mugugnò qualcosa di indistinto.

Non mi aspettavo un'accoglienza in pompa magna, ma almeno uno di loro ad attenderci...”

Prima che potesse terminare la frase, la porta si chiuse di scatto alle loro spalle. Malkovich fece segno di restare fermi. Uno stridio allucinante si fece strada nell'atmosfera rarefatta, penetrando attraverso le cuffie antirumore, fino a far vibrare il timpano. Wood e Kovalski si portarono le mani alle orecchie, doloranti. Malkovich attivò il filtro per eliminare le alte frequenze. Una voce acuta emerse da quel suono d'inferno, una voce nota, mai dimenticata.

Vorrei darvi il benvenuto sulla Socratis, ma non ne sono in grado. Gli uomini della Federazione sono solo sporchi vermi che non hanno mai ammesso i propri errori, viscide creature ributtanti. E voi non siete da meno. Se dipendesse da me, vi avrei già lasciati morire asfissiati, ma non sono io a comandare questa nave. Non... ancora.”

Le ultime parole erano state pronunciate quasi in un ringhio, rivelando un astio malcelato. Un ruggito tremendo fece vibrare le porte, le piste, l'hangar intero. Poi, il silenzio. REDO si ammutolì. Adam scosse la testa. Non aveva capito una singola parola, era un linguaggio completamente oscuro. Si voltò verso Kovalski, in attesa di una risposta. Il soldato deglutì rumorosamente.

A quanto pare, non siamo ospiti graditi, signore.”

Come sospettavo.

Quella voce... puoi confermarmi che si tratta di...”

Uno sguardo di intesa. Non fu nemmeno necessario pronunciarne il nome. Wood portò istintivamente la mano alla fondina, dimenticando di essere disarmato.

State calmi. Sanno benissimo di avere un vantaggio esiguo. Sono perfettamente coscienti che l'armamento della nostra nave è pienamente sufficiente a mandarli in avaria e a condannarli ad una morte lenta nello spazio. Stanno solo cercando di innervosirci.”

Malkovich alzò la voce, in modo che chiunque fosse in ascolto lo potesse udire con precisione.

Generale Weavel, io sono venuto qui per negoziare. Se questo è il suo benvenuto, posso chiamare la Cacciatrice e sentire cosa ne pensa lei.”

Avrebbe sorriso, se avesse potuto. Aveva calato il jolly. Nessun pirata sarebbe rimasto indifferente di fronte a quella minaccia. La risposta non si fece attendere. Una porta si aprì, sul lato opposto a quello dove si trovavano loro.

E il generale fece il suo ingresso in scena.

Un cigolio metallico, il passo pesante dell'esoscheletro terapeutico rinforzato, l'unico braccio integro munito di generatore di lama a energia, l'altro rigido, riparato di fresco, la coda di pseudocapelli, il volto inespressivo. Il biglietto da visita di Weavel. Due pirati di basso rango – aragoste troppo cresciute, secondo un tipico punto di vista federale – lo seguirono a ruota, trascinando con loro una terza creatura, più piccola, imbragata in una tenuta molto più larga di lei. Adam non se ne curò. La sua attenzione era diretta verso il visore verde acido del suo omologo.

“La Cacciatrice no. Siamo già troppo pochi.”

“Dal suo punto di vista, siete ancora troppi.”

Poche parole studiate. In assenza di un interprete, sarebbe stato impossibile comprendersi reciprocamente senza rischiare fraintendimenti.

“Il vostro REDO può attivare la traduzione dalla mia lingua?”

Weavel scosse la testa.

“REDO non può.”

“Allora era tutta una farsa? Lei mi aveva detto che REDO avrebbe tradotto.”

“Una bugia. Non sareste venuti, altrimenti.”

Weavel trascinava le parole, le pronunciava lentamente, arrancando sugli accenti, elidendo le doppie, mescolando continuamente fonemi tipici dell'idioma dei pirati con termini del dizionario intergalattico standard. Una scena da grottesco show preserale. Un bambino di sei anni avrebbe padroneggiato la lingua molto meglio.

“REDO non è capace di farlo. Nemmeno io. Ma lei può... spero.”

Un cenno ai due sottoposti. Zjaree si avvicina, porta con sé la creatura, disattiva la valvola di sicurezza, le toglie il casco di protezione. Una cascata di capelli biondi si riversò sulla tuta termica, suscitando una reazione di sorpresa nei tre umani. Adam fu il primo a riprendersi dallo stupore.

“Dove l'avete trovata?”

“RU-846. Laboratorio della Federazione. Abbandonato.”

Weavel abbassò lo sguardo, incrociando un mare placido e tranquillo nelle pupille della piccola.

“Non parla. Usa i segni. Vi capisce. Noi sappiamo capire solo alcuni segni.”


(Non) fine



1Galvanic Accelerator (acceleratore galvanico), un'arma utilizzata spesso dai pirati spaziali.

2Soldati in forza all'esercito federale.