Lacrime di Luna (2015, incompleto)

Pierrette e Cambrien sono l'archetipo della mia ossessione per "protagonista con un piccolo animale parlante". Cambrien è un limulo, un granchio ferro di cavallo. Pierrette è una commediante per spiriti, per le anime dei defunti che non sono ancora trapassate e estisce un teatro al margine della realtà, senza essere morta. Avrei voluto completare questa storia, introducendo creature che divorano gli spiriti come antagonisti. Invece, quello che rimane è solamente un concept di 2200 parole, senza un prosequio degno di questo nome. Ed è un peccato, perché questi personaggi se lo meriterebbero. Chissà che prima o poi non mi decida a dargli una seconda chance.
1.
Il bambino sgranò gli occhi, contemplando la magia del momento. Le stelle vorticavano in una danza sfrenata, un cielo di cartapesta a fare da sfondo. Una falce di luna dominava la scena, venata da rigagnoli neri come la pece, due occhi piangenti disegnati sulla roccia luminescente. Una sagoma scura attirò l'attenzione del piccolo, una figura esile, frapposta tra lui e l'astro d'argento. Una capriola all'indietro, poi un'altra, in rapida successione, senza mai perdere l'equilibrio. Un maglione candido, troppo corto e troppo largo, ondeggiava ad ogni movimento del corpo, generando un contrasto difficile da non notare ma tutt'altro che sgradevole alla vista. Le membra della giovane seguivano docili il ritmo delle acrobazie, cullate da una voce delicata e sognante.
“Un tempo ormai antico, in un luogo lontano,
divisi dal fato da un vasto crepaccio,
due piccoli paesi volevan stringersi per mano...
ma nessuno sapeva risolvere l'impaccio.”
I pantaloni erano invece proporzionati e si adattavano perfettamente al profilo delle gambe, così come le scarpette scure, prive di lacci, calzavano perfettamente due piedi agili e aggraziati.
“Un diavolo – furbo – si fece poi avanti,
smanioso di fare e ricevere pegno,
il ponte promise di costruir lesto
al costo di un'anima, usando il suo ingegno.”
La ragazza si sollevò sulla mano destra, il palmo ben piantato a terra, i capelli biondi riversati all'ingiù come una cascata d'oro, quasi a coprire l'intero viso.
“Fu notte di lampi, e di tuoni, e di vento
i bimbi svegliati dal cupo fragore,
nessuno che esca, che ne abbia l'ardore,
nessuno che noti il gran cambiamento.”
L'altro palmo appoggiato sul legno marcio, il braccio destro a far compagnia alle gambe, iridi eterocromatiche a fissare la platea.
“Sorpresa e stupore, la mattina appresso,
il ponte, comparso dal nulla, riluce.
Sorpresa e stupore – un po' di sgomento,
e, tutto ad un tratto, la natura tace.”
Una piroetta in avanti, i piedi puntati a terra, la spinta, il salto mortale. Una capriola elegante la proiettò nel cielo di carta, fino a raggiungere la luna posticcia. Sì agganciò alla punta con la scarpa destra, la gamba sinistra piegata a triangolo, l'intero corpo trasformato in un pendolo. Uni le mani sotto al mento delicato, allargando i gomiti e intrecciando le dita.
“Il diavolo attese, nascosto nell'ombra,
l'alma pattuita del primo passante,
ma il sindaco scaltro, la mente feconda,
trovò – sollevato – una buona scusante.”
Il corpo della ragazza oscillò a destra e a sinistra per alcuni secondi, accompagnando le strofe con grazia e bellezza. Le stelle ruotavano nell'azzurro finto, rincorrendosi come in una partita di acchiapparello.
“Un vecchio caprone lasciò scorrazzare,
da un lato all'altro del ponte sospeso
il diavolo vide, comprese e – sorpreso,
da sua ricompensa dovette scappare!”
A quelle parole, la luna aprì gli occhi di scatto, riversando lacrime di catrame, inzaccherando il cartone pressato. La giovane inarcò il busto, oscillò all'indietro, prese la spinta, roteò in aria e atterrò al centro del palco, in perfetto equilibrio. Le stelle si spensero una ad una, svuotando il firmamento, e le tenebre ripresero lentamente possesso del loro dominio.
Il bagliore di un riflettore solitario, un'ultima luce accesa, puntata sul volto dell'acrobata.
Una mascherina nera scintillò tra le particelle di polvere sospesa, accompagnata da un berretto bianco come la neve.
Poi, il buio, l'abbraccio tetro del sipario rattoppato. E il silenzio.
Un timido battito di mani, in quarta fila, la scintilla che scatena l'incendio. L'applauso crebbe di intensità, si rinvigorì, rafforzato dai cori, dalle grida, dal suono di decine di dita ossute che cozzavano una contro l'altra.
“Brava!!!”
“Brava Pierrette! Bis! Bis!”
Una folla variegata, chi in piedi, chi seduto. Uomini, donne, bambine, bambini, anziani. Perfetti sconosciuti accomunati dal destino, riuniti nell'anticamera di un nuovo percorso, senza avere il coraggio di compiere l'ultimo passo.
I drappi strappati si aprirono all'unisono, lo sfondo scomparso, le quinte rimosse. Pierrette si esibì in una profonda riverenza, poi si sfilò maschera e cappello e li lasciò cadere a terra.
“Grazie! Grazie a tutti!”
Alzò le braccia al cielo, unì le mani, tentò di allungare i muscoli della schiena. La maglia, che arrivava già a stento all'ombelico, si sollevò ancora un po', scoprendo leggermente gli addominali. Non era un modo convenzionale per chiudere uno spettacolo, ma per lei non aveva nessuna importanza: essere convenzionale era l'ultima delle sue preoccupazioni.
Gli spettatori abbandonarono lentamente i loro posti, ritirandosi attraverso le uscite, svanendo nella nebbia che permeava ogni poro dell'atmosfera notturna. Alcuni di loro erano rimasti all'interno della sala e sembravano non voler abbandonare la platea. Il bambino che aveva innescato lo scroscio di applausi cercò istintivamente lo sguardo di Pierrette. La ragazza si era sdraiata supina sul proscenio e contemplava il soffitto con scarso interesse.
“Ma è vero che i tuoi capelli sono la coda di una cometa?”
Pierrette si alzò di scatto e si mise a sedere sull'orlo del palcoscenico, scalciando come se le sue gambe fossero state immerse nelle acque di un lago immaginario.
“Chi mette in giro queste voci?”
“Mamma mi diceva sempre che gli angeli rubavano le code alle comete per coprire le loro teste calve.”
Pierrette sorrise divertita, fissando con mutevole inquietudine l'occhio vispo accanto all'orbita scura.
“No, la verità è ancora più eccitante! Io ero una cometa!”
“Eh? No, non ci credo!”
“Ero una stella vagante, mai ferma, sempre in moto! Vagavo tranquilla per il cosmo, con la mia corta chioma dorata. Non era né folta, né morbida o setosa, ma era per me motivo di vanto e orgoglio.”
La ragazza sollevò entrambe le braccia, le mani a mo' di artigli, le sopracciglia inarcate quasi a mimare un lupo cattivo delle fiabe.
“Un giorno, comparve dal nulla una creatura bellissima. Ali piumate, un manto lucente, occhi di smeraldo e capelli lunghissimi. Era un angelo!”
“Un angelo?”
“Sì! E voleva la mia coda! Voleva accrescere ancora la sua capigliatura, nonostante fosse già splendida. Aveva abbandonato la via della virtù ed era guidato unicamente dalla vanità.”
“E tu cosa hai fatto?”
“Ovviamente, non volevo cedergli ciò che avevo di più caro! Lottai con tutte le mie forze, senza mai arrendermi! Alla fine non solo riuscii a tenermi la coda, ma gli strappai tutti i capelli e li intrecciai con i miei!”
Il bimbo rimase in estasi per un secondo, tentando di immaginare la scena, lo scontro furibondo tra un angelo e una cometa. Pierrette spazzolò la chioma con un pizzico di civetteria, preparando la piazza per il gran finale.
“L'angelo, nuovamente calvo, tornò in paradiso a lamentarsi con il suo creatore, affinché spegnesse per sempre quella piccola insolente che aveva osato umiliarlo... ma Egli, colpito dalla forza di volontà della piccola stella, decise invece di premiarla, concedendole forma umana.”
La ragazza si esibì in un ampio rotazione del braccio, dall'interno all'esterno, con studiata teatralità.
“... e, così, eccomi qua.”
Il bambino saltello allegramente, ciocche grigiastre ondeggiarono sulla parte destra della fronte.
“È per questo che hai anche delle ciocche azzurre? Sono i capelli dell'angelo?”
La mano sinistra a mo' di pistola, un occhiolino di intesa.
“Esatto, piccolo! Però è un segreto, non dirlo a nessuno, eh! Altrimenti, l'angelo calvo viene a riprenderseli!”
Il bambino annuì con un cenno del capo.
“Va bene, quando arriverò lassù non dirò nulla! Se lo incontrerò, farò finta di niente!”
Il piccolo mulinò la mano in un saluto sincero, poi via, verso l'uscita. Verso la nebbia.
Scomparso anche l'ultimo spettatore, Pierrette rimase da sola nel teatro decadente, ancora fasciata nei suoi abiti di scena. Il suo sguardo era fisso sull'ingresso dell'edificio, ma la mente vagava senza meta aldilà del portale, perdendosi tra la fitta bruma autunnale.
“Torneranno anche domani?”
“Me lo chiedi ogni volta. E ogni volta ti do la stessa risposta.”
Un limulo strisciò sulle assi di legno marce, districandosi a fatica tra le fessure delle assi scostate. La corazza ruvida e ammaccata risaltava sul fondo piatto, così come la coda lanceolata. Si accoccolò accanto alla ragazza, ficcando i suoi minuscoli artigli nelle venature di quello che un tempo era un magnifico abete. Il limulo si schiarì la voce, due colpi di tosse per esprimere meglio il concetto.
“Torneranno ogni giorno, fino a quando ne avranno forza.”
“È frustrante. Non posso fare nulla per aiutarli.”
“Li aiuti a sorridere.”
Una risata sarcastica, i canini leggermente accentuati in bella mostra.
“Già, che stupida! Un compito importantissimo! Hai ragione, Cambrien, potrei scriverlo nel curriculum! Pierrette Mondestrane, ventitré anni. Professione...”
Un luccichio nell'iride celeste.
“... commediante per spiriti.”
2.
Pierrette lasciò il teatro così com'era, senza nemmeno cambiarsi. Serrò il pesante portone di mogano con un lucchetto arrugginito, due giri di chiave prima di tuffarsi nelle vie della città dormiente. Lampioni elettrici illuminavano il percorso, mascherati da vecchie lampade a gas in ferro battuto. Un tiepido chiarore solare irrorava il blu notturno, facendosi largo tra la fitta foschia.
“Anche per stasera abbiamo finito, Cambrien. Si va a nanna!”
Il limulo non rispose, si limitò ad accovacciarsi sulla sua spalla destra, agganciando gli artigli ventrali al tessuto sottile. Pierrette accarezzò il guscio della bizzarra creatura, prestando attenzione a non sfiorarne gli occhi.
“Sì è già addormentato...”
Pierrette coprì Cambrien con il suo berretto bianco, poi discese quatta quatta una scalinata dissestata, tentando di evitare scossoni e sussulti. La luna la osservava muta, seminascosta dalle nuvole, ghignando soddisfatta. Una falce scintillante circondata da stelle, regina d'argento dalle due facce. Ogni mese esigeva un tributo di sangue, dolore, patimenti e cambi di umore repentino. Per Pierrette era un appuntamento fisso, regolare. Non potendo sottrarsi all'influenza dell'astro, accettava pacatamente la propria situazione.
Passo dopo passo, si immerse nella nebbia, attraversando muri bianchi e caliginosi con estrema disinvoltura. Lo sguardo vagava a destra e a manca, passando in rassegna le mura scrostate dei palazzi.
“Dovrebbe essere qui... ah, eccola!”
Fissò con eccitazione l'insegna di un vecchio pub, appesa ad un braccetto di metallo scuro. Una sirena con le ali da farfalla ammiccava con malizia, le forme voluttuose celate da lunghi capelli ramati. Accanto all'illustrazione, un orologio a lancette e un termometro al mercurio montavano buona guardia. Il legno era scolorito, le scritte quasi illeggibili, il vetro incrinato e sporco, ma – nonostante l'aspetto – funzionavano ancora perfettamente.
Pierrette estrasse un cipollone dalla borsetta, confrontandone l'ora con il collega più anziano ed esperto.
“Lo sapevo, è indietro di tre minuti.”
Armeggiò con la rotellina laterale, tentando di riprendere possesso del tempo perso. Soddisfatta dell'intervento, diede un'occhiata svogliata alla temperatura. Sedici gradi, freddo autunnale. Forse per gli altri, non per lei. Pierrette era insensibile al caldo e al freddo: avrebbe potuto correre nel deserto indossando un piumone invernale o gettarsi in costume da bagno nella neve fresca, ma il suo corpo avrebbe reagito esattamente allo stesso modo. Ovvero, nessuno. Per lei era comodo, poteva sopravvivere per tutto l'anno con un numero ridotto di capi di abbigliamento, senza lo stress del cambio di stagione.
“Ehi! Cosa succede? Dov'è finito il mondo?!”
La voce squillante di Cambrien la prese alla sprovvista, facendola sobbalzare.
“Cambrien! Ma non stavi dormendo?!”
“Come faccio a dormire se continui a parlare da sola a voce alta?!”
Pierrette gli sfilò il cappello, lo ripose nella borsa assieme all'orologio.
“Scusa! Non credevo di averti svegliato!”
“Fa niente.”
Il limulo si guardò attorno, usando tutti e sette gli occhi.
“Perché siamo usciti dal teatro?”
“Perché avevo voglia di fare due passi per la città, prima di infilarmi sotto le coperte.”
“Che ore sono?”
“Manca venti a mezzanotte.”
Cambrien borbottò sottovoce, mulinando la coda aculeata lungo la schiena della ragazza.
“... è già troppo tardi. Rischiamo di incontrarli.”
Pierrette scrollò le spalle con noncuranza, obbligando il limulo ad agganciarsi alla sua maglia per non essere disarcionato.
“Piano! Non che se ho una corazza sono indistruttibile!”
Una carezza delicata sul guscio chitinoso.
“Scusa, non l'ho fatto apposta. Non ci ho pensato.”
Cambrien roteò cinque dei sette occhi, lasciando immobili quelli compositi.
“Guarda che lo so dov'è la tua mente, adesso. ”
“Forse nei tuoi sogni, Cambrien.”
Pierrette aguzzò la vista, tentando di attraversare la barriera candida con lo sguardo, di scorgere anche solo il lembo di uno spirito.
“Piuttosto... non hai notato nulla di strano nel pubblico?”
“Eh? Cosa c'è che non va?”
“A quanto ne so, è più facile diventare uno spettro vagante che smettere di esserlo. Quindi, in teoria, ogni sera dovrei avere più clienti...”
Un movimento tra le nuvole biancastre, un bambino seduto su un muretto diroccato.
“... ma, in pratica, il loro numero non aumenta mai di molto.”
“Saranno sempre gli stessi. Magari i nuovi arrivati non hanno interesse ad assistere al tuo spettacolo.”
“L'ho pensato anche io, ma non è così. Ogni notte incrocio volti mai notati prima... e perdo di vista visi familiari. Tutto ad un tratto, senza preavviso.”
Il bambino ruotò il capo in direzione della strana coppia, agitò il braccio con fervore in segno di saluto. Cambrien lo squadrò per un istante, fissò l'orbita destra vuota, le ciocche arruffate di capelli color topo, la pelle a metà tra un pallido rosa e un macabro grigio.
“Credi che sia colpa loro?”
“Non lo so, non li ho mai incontrati durante le notti di luna crescente. Di solito, me ne sto buona buona nel mio teatro...”
La mano frugò nella borsetta, tastò uno stelo morbido, fragile.
“... ma questa volta ho un'ottima ragione per uscire.”