Full Metal Idol (2017)

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Hatsune Miku, ma con un fucile e mandata al fronto come unità speciale. Non credo di poter spiegare meglio la figura di Celeste Ayami, la Full Metal Idol del titolo. Un racconto breve, probabilmente l'ultimo racconto completo che ho scritto in Italiano, prima di passare alla lingua di Albione. Non è esattamente un capolavoro e non è memorabile come Zener o Storia di una Creatura da Incubo, per me, ma l'idea di avere una vocaloid che canta canzoni pop dopo aver centrato un headshot ha uncerto charme.


Full Metal Idol

La cosa che mi innervosisce di più è il silenzio. Sì, quello stramaledetto silenzio che precede la tempesta, quello che ti si appiccica ai vestiti, che rimane lì, a guardarti con un sorriso sornione. Un silenzio osceno, di quelli che ti lasciano sola con te stessa, ad ascoltare il battito del tuo cuore, il ritmo indiavolato del tuo respiro.

Appoggio la nuca alla cassa di legno, chiudo gli occhi, conto i battiti a mente. Ottanta, novanta al minuto. Non male, ma neanche troppo bene. Scosto i capelli, mi sono d'intralcio. Dovrei tagliarli, vorrei tagliarli. Peccato non poterlo fare... ma pazienza, ci sono abituata.

Una folata di vento, un cumulo di polvere e terriccio sollevata dal maestrale. Inforco gli occhiali, stringo i denti. Un cenno dall'altro lato del magazzino. È il tenente, lo riconosco dai led azzurri sul casco. Fa segno con la mano, rispondo con il capo, sollevo la mascherina.

La nube scura si placa, liberando la visuale. Decine di casse e container dismessi. Maersk c'è scritto. Non ho idea di cosa significhi, ma non è la prima volta che lo vedo. Quand'ero bambina, mio nonno mi portava a vedere le navi merci attraccare, le gru che scaricavano il loro prezioso carico, posandolo delicatamente a terra, con lo stridio allegro dei gabbiani in sottofondo. Mi manca, il nonno. Avrei voluto poterlo salutare ancora una volta.

Accarezzo il caricatore, osservo l'indicatore sul lato. Completamente pieno, bene.

Il tenente unisce l'indice e il medio, fa cenno di muoversi, di lasciare la copertura. Un soldato alla mia sinistra si alza, i led rossi sul casco simili a bagliori d'inferno. Afferro la sua manica, li faccio capire di tornare seduto. Lui si irrigidisce, si volta verso di me, come per dirmi qualcosa.

Ed è lì che il silenzio si infrange.

Avete mai visto una testa esplodere? Quando siete nel buio della vostra camera, a giocare ad uno sparatutto in prima persona o a guardare un film di guerra, non immaginereste mai cosa può fare un proiettile sparato da un cecchino. La scatola cranica si apre come un fiore, sprizzando materia cerebrale da ogni dove, in una macabra fontana scarlatta.

I led rossi brillano ancora per un attimo, mentre il corpo si accascia a terra al mio fianco. Trattengo un conato di vomito, l'ennesimo, imbraccio l'AK-47, tolgo la sicura. Dall'altro lato del corridoio si scatena il pandemonio. Il silenzio, il mio tanto odiato silenzio, è stato sostituito da un ritmo incessante, il piombo che si conficca nel terriccio arido, sollevando polvere e detriti. Il tenente risponde al fuoco, la luce azzurra dei fari marca la sua posizione, mi da coraggio. Un'altra testa salta in aria, a pochi metri da me, altri led rossi che si spengono. Alzo lo sguardo, chiudo e riapro la palpebra tre volte, attivo lo ScanMan, analizzo il piano superiore in cerca di fonti di calore, senza abbandonare la mia postazione. All'improvviso, lo vedo, il figlio di puttana.

Lascio la sicurezza della cassa, mi lancio dietro una colonna, seguita da due soldati. L'unità del tenente avanza a fatica, centimetro dopo centimetro. Corro a lato del cortile, io e gli altri ci copriamo a vicenda, passando da colonna a colonna, protetti dal calcestruzzo.

Un'altra testa. Quello stronzo si sta dando da fare. Digrigno i denti, prendo posizione. Ce l'ho in pugno, non ci ha visto arrivare. Era troppo distratto dal tenente, il pivello. Eccolo che prende la mira, che punta ai led azzurri, dopo aver cambiato caricatore. L'indice accarezza il grilletto, probabilmente si aspetta di fare il colpo grosso, ammazzando il tenente. Se glielo chiedessimo, potrebbe spiegarci per quale motivo combatte, se prova gusto ad uccidere o lo fa solo per non essere ucciso a sua volta. Beh, non lo saprò mai.

Tempo di premere il mio di grilletto e il novellino si accascia, crivellato dai colpi di mitragliatore. Prendo possesso del suo fucile, mi sdraio a terra, protetta dai miei commilitoni, scosto le mie trecce, evito che i capelli mi ostruiscano la visuale. Prima che gli altri cecchini possano accorgersene, li ho già nel mirino. Bang. Bang. Bang. Tre colpi, tre centri. Niente più fuoco di copertura.

Sotto, si scatena il putiferio. Il nemico è in rotta, si ritira, passo dopo passo. I nostri cecchini prendono il controllo della zona, fanno piazza pulita dei soldati. il tenente mi rivolge un cenno di assenso, rispondo con un pollice alzato.

Osservo, dalla postazione che ho guadagnato. Le armature bianche scintillanti sono ormai tinte di rosso e nero, i superstiti fuggono a gambe levate. Alcuni tentano di tenere la posizione, ma la maggior parte si dà alla fuga disordinata. I pochi rimasti sono circondati, arrendetevi dice loro il tenente. Ma è inutile, lo sappiamo già. Finirà come ogni volta. Con fiumi di porpora, capsule esplosive nei denti.

Piuttosto che farsi catturare, si fanno saltare in aria la faccia. E, come ogni volta, ho ragione. Il tenente e gli altri ragazzi dovranno ripulire un gran bel casino.

Ora è tempo di mettere su il solito teatrino. Sollevo gli occhiali, abbasso la mascherina, lascio che i miei lunghi capelli verdi oscillino al vento. Un soldato mi passa un megafono. Mi ripulisco la fronte dalla polvere, apro le cerniere della mia divisa, mostrando porzioni del mio intimo bianco. Alzo il megafono al cielo, di fronte ad una folla festante.

“Signori, 0K-7 è nostra!”

Un coro festante di applausi, il tenente si toglie il casco, rivelando una folta chioma biondo cenere. I nostri occhi si incontrano per un lungo istante, un leggero rossore tinge le mie gote. Ricaccio i sentimenti nel profondo, lo show è iniziato.

“Abbiamo vinto al prezzo di molte vite umane. Fratelli, sorelle, amici, compagni. Non possiamo dimenticarli. Mai potremo! Mai e poi mai!”

Un altro scroscio di applausi, i miei commilitoni si rilassano, alcuni si lasciano cadere a terra. Altri, si chinano sui cadaveri.

È a loro che dedico la mia canzone, Lullaby for you! Che le mie parole possano accompagnarli verso un mondo migliore, libero da questa inutile, insulsa guerra che siamo costretti a combattere!”

Di fronte alla folla in delirio, getto via la giacca della divisa e incomincio a cantare per gli eroi del nostro reggimento... e per il mio amore segreto.

Il mio nome è Celeste Ayami.

Sono una Full Metal Idol.

Fine