Distortionverse: Chapter 6 - Uptune! (2015)

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Tra il 2014 e il 2015 ho scritto sei romanzi brevi che assieme formano il ciclo di Distortionverse, raccogliendo storie, spunti e personaggi da giochi e altri racconti mai completati. Per molto tempo, questi romanzi brevi sono rimasti disponibili solo su Amazon Kindle e tramite Createspace come copie fisiche. Dieci anni dopo, voglio archiviarli sul mio sito personale per evitare che vengano perduti per sempre. "Uptune!" è l'ultimo racconto ufficiale di Distortionverse, una storia che termina le vicende di EiN e Michelle e mette la parola "fine" a tutto il ciclo... fino alla venuta di Schwarzerblitz. Oh, a questo proposito: nel primo capitolo, potreste trovare una figura famigliare dal gioco – un certo squalo rapinatore che è diventato un po' il simbolo dei miei giochi di mazzate, alla sua prima comparsa...


2063 – Aubépine, Benelance

 

1. Preludio

 

“Fermi tutti! Che nessuno si muova!”

Pistole puntate al soffitto, il proiettile in canna. Grida, voce attutita dalla cupola di vetro, pupille gialle scintillanti, come fari nel buio.

“Se non l'avete capito, questa è una rapina. Ora fate i bravi e sdraiatevi a terra, mentre svuoto la cassa.”

Armatura nera, borchie dorate, spalline appuntite, la testa racchiusa in una campana semitrasparente. Gli stivali percuotono il terreno, il grilletto premuto. Uno sciabordio di scintille, il muro costellato di fori. Panico, urla, i clienti in coda accovacciati, premuti contro il pavimento.

Uno solo rimasto in piedi.

Le pupille roteano sotto il casco, l'indice puntato con fare accusatorio.

“Ehi tu! Sì, dico a te! Sei sordo o cosa? Ho detto a terra! Mi sembra piuttosto chiaro, no? O sei troppo scemo per capirlo?”

 

**

 

Pagare le bollette ogni santo mese è una vera seccatura. I soldi guadagnati onestamente in trenta giorni di duro lavoro si dimezzano tutto d'un tratto, a causa del contributo per le centrali a distorsione. Non avete idea di quanto questo mi dia fastidio.

Ma se c'è una cosa che proprio non sopporto, è fare la coda. Un'inutile perdita di tempo, inutile ed evitabile. Pagare online è comodo, certo... ma provate a spedire una lettera via Internet. Una lettera vera, dico. Di carta.

Il sistema più sicuro contro le intercettazioni.

Ed è per questo che sono qui, ora, ad osservare la vecchietta davanti a me mentre tira fuori le monete dal portafoglio, contandole una ad una con lentezza esasperante. Sarei tentato di prenderla a calci, ma non voglio grane.

Non oggi.

 

**

 

Un uomo alto, il colletto nero sollevato. Giacca di pelle scura, jeans dello stesso colore. Capelli castani, occhi sottili. Le mani nelle tasche, il piede batte il tempo di un ritmo silenzioso.

La canna agitata con fare spavaldo, il caricatore scatta all'interno dell'arma.

“Forse non sono stato abbastanza chiaro. Lascia che ti dia una dimostrazione.”

Il rapinatore in posizione, la pistola puntata al bersaglio, il mirino laser acceso.

Un attimo dopo, lo sparo.

 

**

 

In fondo, la colpa è solo mia. Sarebbero bastati un paio di click e mi sarei risparmiato questa tortura.

Sito della banca, click. Bonifico, click. Casella di posta elettronica, click. Scrivi, invia.

Facile, no?

La verità è che non mi fido troppo dei computer, della rete, specie se voglio essere sicuro che nessuno – tranne il destinatario – legga il contenuto della missiva. Sono un tipo all'antica, forse, ma è il risultato quello che conta.

E questa volta conta davvero tanto.

Questione di vita o di morte.

 

**

 

Un foro largo un centimetro nel legno del bancone. Un colpo di avvertimento.

“Ora, butta la faccia a terra o ti buco il cervello, capito?”

Nessuna risposta, l'uomo immobile, calma innaturale. Un luccichio nell'occhio distratto.

“Sono qui per spedire una lettera. Ed è il mio turno. Se cerchi rogne, caschi male.”

La seconda pistola estratta, entrambe puntate al viso.

“Smettila di fare l'eroe! Non ne guadagnerai niente! Sai chi sono io? Lo sai?”

I denti allineati perfettamente in un sorriso di sfida.

“Un palombaro che ha seguito le indicazioni sbagliate? Guarda che il mare è dall'altra parte.”

Il meccanismo rintocca, i proiettili nel caricatore.

“Io sono Underwater, il tormento degli abissi! Il criminale più temuto dell'intera Britannia!”

“Ah, perfetto.”

Scariche elettriche azzurre, scintille bluastre attorno al corpo sottile.

“E, dimmi... cos'altro vuoi che scriva sulla tua lapide?”

 

**

 

Dicono che gli uffici postali siano i più rapinati, negli ultimi tempi. Dicono anche che i pazzoidi stiano lentamente aumentando. Questo depone largamente a favore del mio punto di vista: la merce più importante del mondo è la sanità mentale. Prima la propria, poi quella degli altri.

Ora, cosa provereste per un esperimento fallito della RealLifeAnime, uno pseudocattivo che avrebbe dovuto recitare in uno show da prima serata?

Compassione?

Certo, lo hanno creato dal DNA di uno squalo, gli hanno dato un cervello, due gambe, due braccia, le pistole e la cultura di un attore di film d'azione americani anni '90. Doveva essere il protagonista di una serie, avere una linea di pupazzetti a sua immagine, entrare nell'immaginario nerd... ma lo hanno scartato per questioni di share. E si è riciclato come farabutto a tempo pieno.

No, mi dispiace, non riesco a compatirlo più di tanto.

In questo istante, provo solo un vago istinto omicida.

 

**

 

Il corpo scagliato in aria, una piroetta, rotazione rapida, lo schianto contro la parete.

Il vetro spaccato, il muso da squalo in bella mostra, i denti affilati, la pinna piegata dietro al collo.

Il terrore negli occhi.

“Ma che diavolo...”

L'ufficio illuminato a giorno, energia impazzita, incontrollata. Il leone azzurro evanescente, sovrapposto alla figura snella, un paio di manette mostrate con fare annoiato.

“Dunque... hai tre possibilità. Numero uno: te ne vai sulle tue gambe e te ne torni da dove sei venuto. Numero due: non opponi resistenza e ti lasci arrestare.”

“E... e la numero tre?”

Un ghigno compiaciuto.

“Stasera sushi.”

 

**

Però! Non avevo mai visto un pesce scattare così velocemente! Deve aver fatto i cento metri in dieci, undici secondi netti. Un record notevole, per un pinnipede. Mi sento sollevato. Dico, alla fine ha scelto la numero uno. Se sceglieva la due, mi toccava portarlo in centrale e perdere il posto in fila. Se sceglieva la tre, dovevo aspettare il medico legale.

Pazienza.

Meglio così.

 

**

 

I clienti scioccati, muti, la commessa nascosta dietro il bancone. Solo un bambino osserva estasiato, una luce eccitata nelle iridi.

“Come ha fatto a trasformarsi, signore?”

L'uomo si china in ginocchio, incrocia lo sguardo del piccolo, una pacca amichevole sulla zazzera bionda.

“Sei ancora troppo piccolo per saperlo. Quando sarai cresciuto di almeno mezzo metro, vieni a trovarmi.”

Il tacco della scarpa sbattuto per terra, i capelli spazzolati con cura.

“Okay, ora che è tutto finito... cosa ne dite se riprendiamo a far funzionare questo ufficio? Devo spedire una lettera importante.”

Il gomito puntato sul bancone, le manette riposte nella tasca della giacca. Una timida protesta, le mani tremanti dell'operatrice.

“M... ma... il muro... i tavoli della sala d'attesa...”

“Mandate il conto a Yard. Hanno un fondo speciale per questo genere di danni.”

L'indice a picchiettare sul legno, un'espressione seccata sul volto.

“Ora, per cortesia, può aiutarmi a mandare questa dannata raccomandata? Il destinatario è sede centrale ESPDeC, B-64192 Aubépine, Francia, Benelance.”

 

**

 

Va bene, forse ho un tantinello esagerato, ma il fine giustifica i mezzi.

Quale fine?

Beh, come vi sentireste se la vostra ragazza vi aggredisse durante la notte, cercando di strapparvi un braccio a morsi? Se diventasse un mostro assetato di sangue senza alcun preavviso? Se aveste un'unica camera da letto da condividere con lei? Se l'unica struttura in cui ricoverarla si trovasse a più di mille chilometri di distanza?

Ecco. Questa è esattamente la mia situazione.

E – credetemi – non vedo l'ora di risolverla.

 

2. Burocrazia

 

“Interessante...”

Cartacce sparse per l'ufficio, foto, schede personali, rapporti da firmare.

La vita del capo.

“Questo imprevisto potrebbe essermi d'aiuto, dopotutto.”

Immagini olografiche, visi tridimensionali, età differenti.

Una scritta in comune. Rossa.

Uno sguardo distratto al ritratto incorniciato sulla scrivania, al soggetto. Un uomo seduto, i gomiti puntati sul tavolo, le mani intrecciate. Unghie dipinte di nero, a dita alterne. Occhi verdi penetranti, domande senza risposta.

“Sai Bertrand? Ora ho capito per quale motivo non uscivi mai dall'ufficio. Anche tu avevi tonnellate di ciarpame da firmare, controfirmare, bollare, rispedire e catalogare accuratamente, non è così?”

Una sedia afferrata al volo, la schiena sprofondata nel velluto.

“Sì, come no. Chiedere consigli ad una foto. E magari pretendere pure che mi risponda. Devo essere proprio stanco.”

Un lungo sospiro, una busta aperta osservata con interesse, carta biancastra ad emergere dall'interno. Grafia tremolante, da bambino, inchiostro nero sbavato.

“Non credevo che si sarebbe fatto vivo di nuovo...”

 

**

 

Sono ad un passo dalla porta. Un passo. Venti centimetri scarsi. Eppure, non ho il coraggio di bussare. Non ho il coraggio di afferrare la maniglia. Sarà la centesima volta che mi fermo qui, da quando ho terminato la cura con lo psicologo. Cento tentativi di andare oltre, superare le ritrosie, abbassare il capo... e chiedere aiuto. Chiedere aiuto alla persona che odio di più, ad un viscido verme che ha scalato i ranghi grazie ad un omicidio. No, no, cosa c'entra? Cerco una giustificazione, sì, sto disperatamente cercando una giustificazione per tornare indietro, ancora una volta, per riempirmi i polmoni con un allettante 'la prossima sarà quella buona'.

Comodo, no? Una soluzione rapida, nessuna fatica e il tuo animo è in pace. Volto le spalle alla porta, giro i tacchi.

Poi, ripenso a quello che ho visto ieri, durante l'addestramento congiunto con le reclute di Gabriel.

E capisco che non ci sarà una prossima volta, se non trovo il coraggio di varcare questa soglia adesso.

**

 

Caro/a responsabile, ho bisogno di un enorme favore che – sono sicuro – non vorrete negarmi. Entro una settimana sarò da voi. Una persona a me molto cara ha qualche problema e vorrei la vostra consulenza...

Uno sbuffo annoiato, la tentazione di gettare tutto nella pattumiera.

Prima di arrivare all'ultima riga.

“... uh?”

Le frasi lette di nuovo, a velocità supersonica, dall'inizio alla fine. Gli occhi ridotti a fessure, il foglio strappato a metà, accartocciato, gettato a terra.

“... a cosa sono servite le mie raccomandazioni... ?”

“Con chi stai parlando, capo?”

Un uomo in piedi, a poca distanza dalla pallina di carta. Altezza media, corporatura esile. Capelli lisci, castani, a ricadere sulla fronte in ciuffi disordinati. Braci ardenti come iridi, le vampe di un drago sputafuoco.

“Buongiorno, Raphaël. Non usa più bussare alla porta?”

 

**

 

Incontro i suoi occhi gelidi, il suo sguardo inespressivo. Uno specchio insensibile, una crosta azzurra impossibile da incrinare.

In un istante, tutta la mia risoluzione inizia a giocare a nascondino con la mente. Devo ritrovarla in fretta, se voglio ottenere qualcosa. Se voglio salvare Gabriel.

Ingoio la saliva, mi faccio forza.

Il mio piccolo cigno bianco mi prenderebbe a schiaffi, se potesse vedermi.

Stringo il pugno, i neuroni agguantano il fuggitivo, lo riportano all'ordine. A malincuore, capisco che la salute mentale di Gabriel non è il vero, il primo motivo per cui sono qui.

Ma dovrà sembrarlo, almeno per i prossimi cinque minuti.

 

**

 

“Sono molto impegnato, come puoi notare. Esponi la ragione della tua visita in modo breve e conciso. Non ho molto tempo da perdere.”

Raphaël schiarisce la voce, tossicchia due o tre volte, recupera l'usuale contegno.

“Per farla breve, io e Gabriel vorremo essere assegnati nuovamente a missioni operative.”

Un incrocio di sguardi, ghiaccio secco riflesso in pozze di lava.

“Non credo tu abbia bisogno di farmelo sapere. Sono i capisezione ad organizzare le squadre.”

Una risata nervosa, il ciuffo castano a coprire in parte l'occhio destro.

“No, non è questo il punto. Ho... abbiamo bisogno di aiuto. Dobbiamo trovare un terzo elemento per il gruppo. Qualcuno che possa contrastare...”

Un grumo di saliva inghiottito, la sensazione di aver parlato troppo.

“... sì, insomma, che abbia una frequenza complementare alle nostre... in modo da evitare sovraoscillazioni impreviste.”

La mano a massaggiare il mento, il collo leggermente ruotato.

“Interessante. Quale sarebbe il mio ruolo in tutto questo?”

“Selzionare il candidato adatto.”

Un balzo in piedi, la sedia lasciata a se stessa, il braccio prodotto in un ampio gesto.

“Vedi tutti questi incartamenti, Raphaël? Trascorro circa ventisei ore al giorno evadendo burocrazia e richieste. Come potrai sicuramente comprendere, non ho anche il tempo di gestire un talent-show a vostro uso e consumo. Non è un po' troppo facile così?”

La voce virata sul lamentoso, una parodia del tono di Raphaël.

Voglio tornare in azione! Però siamo solo due! Dai, chiediamo a Babbo Natale di trovare un nuovo membro!

Un istante di vuoto assoluto, per marcare meglio il concetto.

“Io non sono Babbo Natale e tu non sei più un bambino. Regolati di conseguenza.”

Raphaël appoggia la schiena al muro, le mani tremano nelle tasche dei pantaloni, finta calma sul viso angelico.

“Mi deludi, capo. Credevo fossi più sensibile alla causa...”

Una vampa scarlatta nelle iridi, un'esplosione violenta di fiamme.

“... dato che è solo colpa tua.”

 

**

 

Calma. Devo solo aspettare. Raphaël riuscirà a convincerlo, ne sono certo. Devo esserne certo. Ne va del mio equilibrio psichico. Non posso continuare a lavorare solo come istruttore. Avere a che fare con bambocci idioti col complesso del divino e ragazzine sedicenni che si atteggiano da cubiste è estremamente frustrante. I primi vorrei ammazzarli. Le seconde... ugh, meglio se cambio discorso. No, il punto è semplice: devo trovare una valvola di sfogo, devo tornare operativo.

Altrimenti, inizio ad aver fame.

Molta fame.

E per saziarmi impiego troppo, troppo tempo.

Perché non posso tornare alle origini, ai momenti di gloria del nostro trio?

Gabriel Ravel, Raphaël Arnout e...

Bah, non riesco nemmeno più a pronunciare il suo nome.

Certi ricordi meglio lasciarli nel cassetto.

Adesso è più importante ricominciare.

 

**

I capelli d'argento sistemati con grazia, le palpebre interrompono il contatto visivo.

“Non raccolgo le tue insinuazioni.”

“Quindi, devo tradurlo come un no?”

“Quanto sei perspicace. Si vede che sei un agente scelto.”

La mano serrata alla maniglia, un gesto eloquente in direzione dell'uscita.

“Ora scusami, ma ho altro da fare. Se ci saranno novità, ti farò sapere.”

“Ma...”

La porta sbattuta in faccia, Raphaël paralizzato, rigido di fronte al metallo lucido.

I muscoli contratti, il braccio sollevato, il gomito in carica, la molla scatta, il pugno esplode.

Per fermarsi ad un centimetro dal bersaglio.

“Figlio di puttana.”

Rassegnazione, autocontrollo, il ritorno all'origine, un giro completo di trecentosessanta gradi. Insulti a bassa voce, le nocche risparmiate da un impatto mai avvenuto. Un fruscio inatteso.

“Uh?”

Una pallina stropicciata, frammenti di un documento gettato a terra in un moto d'ira. La carta spiegata, la grafia irregolare, orribile, macchie d'inchiostro ovunque.

Caro/a responsabile...

Venti secondi per leggere il frammento.

Venti secondi per ardere d'odio.

Venti secondi per tornare indietro. Il guanto bianco si accanisce sull'alluminio, bussa sino allo spasmo.

Un rumore aritmico, ripetuto, profondo.

“Avanti.”

La porta spalancata con foga, la lettera in mano.

“Sei veramente un bastardo! Uno sporco bugiardo! Ho troppo da fare, sbrigatela da solo!

Le cinque dita artigliate al tavolo di radica, l'inferno nelle pupille, la bocca deformata in una smorfia di dolore.

“E questo... cosa dovrebbe significare?! Esigo una spiegazione!”

Gli occhi sgranati, un velo di disperazione a smorzarne la luce.

“Perché... perché lui sì ed io no?!”

 

3. On the Road

 

Cavalli imbizzarriti, il motore scalpita, risuona cupo nel silenzio della campagna. Rombo assordante, l'acceleratore a manetta, valigie ben salde, agganciate ai lati. Due ruote, cromature di pregio, il buio divorato, squarciato dal fanale anteriore. Sella comoda, riscaldata, cintura magnetica di sicurezza.

“Ci siamo quasi, petite.”

Una figura minuta, abbracciata al guidatore. Presa stretta, le mani giunte, la visiera abbassata. I piedi saldamente ancorati alla pedana, agganciati ai sostegni.

“Fra poco saremo a... casa.”

 

**

 

“Perché?!”

Il pugno sbattuto con forza, il tavolo oscilla, vibra sotto il colpo inferto. Furore nelle iridi scure, vampe inestinte, calore d'inferno.

“Non mi sembra il modo migliore per intavolare una discussione, Raphaël.”

Respiro pesante, affannato, il cuore batte fin quasi a scoppiare.

“N... no, infatti.”

Raphaël si accomoda, la sedia scricchiola, i capelli castani smossi con nervosismo, i gomiti puntati sulla plastica ruvida. Un'espressione seria a rispondergli, occhi cerulei luccicanti nella penombra.

“Ora, cosa ne dici di ripartire da capo ed espormi le ragioni del tuo malcontento?”

 

**

 

Alberi bassi, strada di campagna. Le tre corsie sono solo un ricordo. Una notte in tenda, nel fitto del bosco. Poi, la partenza. E la Luna ad illuminare il cammino.

“Sei sicuro che là riusciranno a curarmi?”

Una risata sprezzante, rauca. Una risata di cuore.

“Oh, ne sono certo! Sono tizi in gamba, il tuo caso non è troppo complicato. In questi anni, hanno compiuto ben più di un miracolo.”

“Per esempio?”

La mano sinistra allenta la presa sul manubrio, il pollice sollevato.

“Hanno sistemato me.”

 

**

“Hai... hai autorizzato tu questa farsa?”

Un frammento di carta comune, gettato con ribrezzo.

“Non ancora, ma credo che lo farò.”

Dita sottili la afferrano, la portano a qualche decina di centimetri dal viso.

“In fondo, ho solo ricevuto una richiesta.”

“La richiesta di un idiota che se n'è andato lasciandoci di punto in bianco, senza giustificazioni!”

“Ha contribuito a migliorare il nome dell'ESPDeC nel mondo. È anche merito suo se Yard recluta sempre più spesso ex-agenti formati nelle nostre strutture.”

Una scintilla d'astio represso, sarcasmo puro.

“Questo non significa che abbia smesso di essere un idiota.”

 

**

 

La notte lascia il posto all'alba, il timido Sole sorge oltre le colline. Un profilo squadrato in lontananza, le quattro torri di iniezione a dominare la vallata. Una rapida occhiata all'indicatore, il serbatoio mezzo pieno. Tirata unica da Calais, viaggio tranquillo su moto a noleggio.

“... mi ero ripromesso di non tornarci più.”

“Hai detto qualcosa?”

Un ringhio imbarazzato, il capo scosso con forza.

“Niente, niente. Pensavo ad alta voce, tutto qui.”

Lo sguardo concentrato nuovamente sulla strada.

“... tutto qui.”

**

 

Dicono che sia difficile prendere decisioni impopolari o contrarie al senso comune.

Io non la penso così.

Ogni caso va valutato separatamente, non esistono regole generali. I precedenti sono soltanto spettri sfumati, sfocati dal tempo: per quanto due situazioni possano sembrare simili, esisteranno sempre, sempre, delle minuscole differenze, dei piccoli dettagli all'apparenza insignificanti, in grado di cambiarne radicalmente il senso.

Raphaël può sbraitare quanto vuole, può alzare la voce, oscillare su un piano di realtà diverso, se lo desidera, ma questo non mi farà cambiare idea.

Specie perché non ha letto la seconda parte della lettera – e, forse, è meglio così.

Per entrambi.

 

**

 

Un edificio imponente, otto piani di vetro, cemento e metallo, dipinto di un bianco scintillante. Tetto piatto, qualche scrostatura sull'intonaco, giardini rigogliosi a contornare la struttura.

Gli agenti si accalcano fuori dal portone, reclute curiose, qualche veterano, pochi membri d'élite. Non capita spesso di vedere turisti o estranei, nessuno va a visitare una centrale a distorsione. Non di sua volontà. Dieci, venti giovani vestiti di divise acquamarina ad osservare i nuovi arrivati.

La moto lasciata in disparte, sul cavalletto, il guidatore scende. Giacca scura di pelle, casco integrale nero, un uno stampato sul fianco, squarciato da un leone azzurro. Il passeggero lo segue a ruota, un balzo ed è a terra. Stesso abbigliamento, in formato ridotto, un'aerografia differente – una volpe a tre code, verde scintillante.

Il pilota slaccia la chiusura, libera il capo.

E i capelli castani incorniciano un sorriso spavaldo.

“Ciao a tutti, vi sono mancato?”

 

**

 

Io lo pesterei a sangue.

Odio il suo modo di fare, la sua sicurezza.

Odio la sua mancanza di tatto, il suo razzismo, la sua mentalità.

Odio la sua forza, la sua preparazione, il suo successo con le donne.

No, non ha senso continuare questo stupido elenco.

È più facile ricordare cosa non odio di EiN: nulla.

 

**

 

Raphaël in piedi, di fronte alla coppia, le braccia incrociate.

“Hai un bel coraggio a farti rivedere qui, specie dopo quello che hai combinato. Non ti senti nemmeno un po' in colpa, Lorenz?”

“Vedo che sai ancora come sputare veleno. Comunque, ciao Raphaël. Anche tu mi sei mancato.”

Ombre alle sue spalle, altri agenti di lungo corso. Un uomo alto, occhi verdi, capelli castani lisci, la fronte libera, una cicatrice sulla palpebra destra. Uno sguardo d'intesa con Raphaël, sentimenti contrastanti verso il comune nemico.

“Non sei il benvenuto, qui. E lo sai bene.”

Un inchino raffazzonato, ironico.

“Certamente, monsieur Ravel! Ma non ritiene poco educato assalire un povero disgraziato, reduce da un tour on the road della Francia settentrionale, di fronte alla sua dolce metà?”

 

**

 

Avevo dimenticato quanto potessero essere sgradevoli quei due. Non ci siamo mai visti di buon occhio, nemmeno dopo un paio di missioni congiunte. Forse erano solo invidiosi delle mie capacità – come si fa a non esserlo, dopotutto?

Se fosse stato per me, non avrei rimesso più piede qui... ma per lei posso fare un'eccezione.

Per lei sono disposto a tutto.

 

**

Chiacchiere, parole al vento, discorsi tra le reclute. Gabriel affiancato a Raphaël, quindici centimetri di differenza in altezza, tensione palpabile nell'aria. EiN sostiene la sfida, non arretra, fissa entrambi senza abbassare il capo.

“Comprendo il vostro discutibile punto di vista, ma non avevo scelta. La mia compagna ha bisogno di cure... e questo è l'unico posto in cui potevo venire.”

Gabriel scrolla il capo, incredulo.

“Dolce metà? La tua... compagna?”

La ragazza si avvicina ad EiN, il casco ancora indossato. Un gesto elegante, il capo scoperto. Capelli biondi lunghi fino alla base collo, una frangia a coprire l'occhio destro, le tre cicatrici. Il sorriso stampato sul volto, la mano protesa in segno di saluto.

“Molto piacere, mi chiamo Michelle Dumas! Sono veramente onorata di fare la vostra conoscenza!”

 

**

 

Un buon capo deve saper prendere decisioni difficili.

Decisioni che vanno contro il senso comune.

Decisioni che vanno contro la logica.

Belle parole, certo.

La verità è che non ho deciso col cervello.

La verità è che ho deciso col cuore.

 

**

 

Pallore funebre sul volto dei due agenti, sguardi incrociati, pupille dilatate.

Un colpo di tosse imbarazzato, un cenno nervoso col sopracciglio.

“Non abbiamo altro tempo da perdere, qui. A differenza di voi, abbiamo un lavoro da portare a termine.”

Raphaël gira sui tacchi, diretto verso l'interno.

E una lacrima scende lungo la guancia, nel silenzio più assordante.

 

4. Scommessa

 

“Non dirò che è un piacere incontrarti di nuovo, perché non è vero. Tuttavia, sono molto contento che tu sia venuto qui per risolvere il problema.”

Tono freddo, gelo artico. Onestà nelle parole, nessuna ipocrisia o retorica. Le dita giocano con la penna, la ruotano come il bastone di una majorette. EiN seduto alla scrivania, gli stivali ripuliti dal fango, una t-shirt in luogo del giaccone, la mano a mo' di pistola.

“Ho avuto parecchi dubbi, prima di rivolgermi a te, ma anch'io sono contento. Sei l'unico per cui ho ancora un po' di rispetto. Quando ho saputo che il nuovo capo eri tu, non ho avuto dubbi.”

Lo sguardo scandaglia le pareti, osserva le foto, le immagini dei precedenti direttori.

“Quando me ne sono andato, c'era ancora Bertrand. Sai mica dov'è, ora? Vorrei tanto salutarlo.”

“Bertrand è morto tre anni fa.”

“Cosa?!”

Incredulità nello sguardo, la bocca spalancata.

“Perché... perché nessuno me lo ha detto?”

 

**

 

Sono un po' disorientata. È tutto così... nuovo, qui! Decine di volti, di persone mai viste. Parlano tutti in francese, per fortuna, altrimenti mi sarei sentita ancora più estranea! Alcuni di loro sono gentili, altri non mi considerano affatto. Adesso, devo cambiarmi, indossare la loro divisa: mi stanno aspettando per un addestramento, vogliono insegnarmi a controllarmi.

All'inizio ero scettica, non volevo lasciare New Langdon per un timore infondato.

Baal ha smesso di chiamare la Notte, non risuono più alla sua frequenza.

Eppure, EiN è sicuro che ho ancora bisogno di cure, anche se sto benissimo, sul serio.

Sospiro, mentre abbottono la camicetta azzurra.

Non sono proprio capace di mentire a me stessa.

 

**

 

“La notizia è rimasta segreta, per evitare... problemi. Un tacito accordo con EXODUS, se capisci cosa intendo.”

“Da quando stringete accordi con la feccia?”

“Da quando non possiamo farne a meno.”

EiN trattiene la rabbia, digrigna i denti, serra le labbra, scioglie i muscoli, torna tranquillo.

“Non voglio cercar grane, avrai avuto i tuoi buoni motivi. Da quando ti conosco, hai combinato un solo casino. Bello grosso, certo, ma uno solo. E ora sei qui.”

Nessuna risposta, solo un fugace contatto visivo, il riflesso del ghiaccio.

Ghiaccio puro.

 

**

 

Una sala ampia, i muri grigi solcati da strisce arancioni. Numeri e cifre impressi sulle pareti, sensori multipli impiantati in ogni angolo. Un solo accesso, nessuna finestra, il ronzio dell'impianto di condizionamento in sottofondo. Un uomo al centro, l'indice scorre sul palmare.

“Michelle... Dumas, giusto?”

Un cenno di assenso, un abbozzo di inchino.

“Sì.”

Un sorriso divertito in risposta. Capelli blu appuntiti, spazzolati con estrema cura, una fascia rossa a tenerli in ordine, annodata dietro la nuca. Iride scarlatte, tizzoni bizzosi in perenne movimento, più brillanti, meno cupe di quelle di Raphaël.

“Io sono Roke van Gaal, il tuo istruttore personale. Le alte sfere mi hanno raccontato del tuo problema. Sono sicuro che lo risolveremo in quattro e quattr'otto!”

L'orologio da polso scosso con forza, le lancette a segnare le otto e quindici.

“Dovrebbe essere un addestramento congiunto con un'agente d'élite. Come al solito, è in ritardo.”

Uno sbuffo rumoroso.

“Non ci si può proprio fidare di quella lì...”

 

**

 

Aaaah! Non è possibile! Perché quella dannata sveglia suona solo quando le pare?! Roke mi ammazza se non arrivo in tempo neppure questa volta! È colpa mia se ieri ho avuto una notte... movimentata? Okay, sì, è colpa mia! È proibito fare certe cose in camera, ma se non avessi sfruttato l'occasione... no! Basta, basta! Se continuo a pensare, non corro! Se non corro, arrivo ancora più in ritardo! E se arrivo più in ritardo, la prossima volta mi mandano ad ispezionare il bunker!

Perché devono essere tutti così dannatamente fissati con gli orari?! Perché?!

 

**

 

Le spalle scrollare con estrema calma.

“Pazienza. Inizieremo senza di lei.”

Roke si accomoda su una sedia, Michelle lo imita.

“Dunque... puoi raccontarmi cos'è successo l'ultima volta che hai subito un overtune?”

 

**

Che poi, non ho avuto neanche modo di leggere i dettagli! So solo che oggi è in programma una riabilitazione! E che il mio caporeparto ha insistito perché partecipassi anch'io! Ma che senso ha? Io sono un solo, non necessito di un partner per stabilizzare la mia oscillazione! Che vantaggio potrebbe comportare la mia presenza?

Controllo ancora una volta i bottoni della mia divisa, la zip dei pantaloni, i lacci delle scarpe. Non voglio dare l'idea di essermi svegliata dieci minuti fa... anche se è la pura verità!

Magari, la recluta è carina e posso combinarci qualcosa! In questi casi, è la prima impressione quella che conta!

No, non posso fare brutta figura.

Non me lo posso permettere!

 

**

 

EiN dondola sulla sedia, uno sguardo annoiato al mobilio dell'ufficio, alla foto panoramica di Neo Helsinki, alle medaglie appese. Uno sbadiglio poco convinto, il ritorno alla serietà.

“Scommettiamo che indovino perché hai deciso di aiutarmi?”

“Ho smesso di scommettere, EiN.”

“Be', io non ho mai iniziato. È solo un gioco, non vederla come una provocazione.”

L'indice tamburella sulla superficie di legno, un ritmo casuale, senza capo né coda.

“Allora, giochiamo. Raccontami la tua versione.”

“Secondo me, quando hai visto il nome del mittente, sei stato tentato di stracciare la lettera e buttarla nel tritacarte. Leggendo le prime righe, forse hai addirittura rimpianto di averla aperta.”

“Poniamo che sia vero. Perché saresti qui, allora?”

Le mani incrociate, il sopracciglio inarcato.

“Perché hai un disperato bisogno di me.”

 

**

 

Iniziare con un approccio morbido. È questo l'unico modo per gestire i traumi. Un tono di voce amichevole, due parole per gettare un ponte comunicativo, tentare di arrivare al punto senza essere troppo diretti. Ho una certa esperienza in questo campo, mia sorella Ylena potrebbe confermarvelo – devo psicanalizzarla praticamente ogni sera. Roke, sono troppo imperfetta. Roke, mi sento un mostro. Roke, perché tutti mi guardano? Oh, Roke, ho qualcosa che non va?

Un inferno.

Se non altro, un po' è migliorata: è più sicura di sé e anche più aperta, non sono più l'unico con cui parla. Sarebbe un'ottima notizia, se non fosse che la persona con cui ha più confidenza è Theia, quella stessa Theia che non arriverebbe in orario neppure al proprio funerale.

Un brivido lungo la schiena.

No, è più forte di me.

Ogni volta che penso a quella ragazza, mi si gela il sangue nelle vene.

 

**

 

“Eccomi! Eccomi!”

Theia in posizione di saluto, la mano parallela alla fronte, i capelli viola ben rassettati, iridi dello stesso colore, finestre aperte su un viso pallido, sottile.

“Agente Theia Aropoulos a rapporto. Comandi, signore!”

“Alla buon'ora.”

Un cenno del capo, Roke fa segno a Michelle di avvicinarsi.

“Theia, lei è Michelle Dumas. È qui per risolvere un problema di overt...”

“M... Michelle Dumas?!”

Uno scatto della testa, gli occhi fissi sulla ragazza minuta, sorpresa, timore, sollievo, tutto assieme.

Un abbraccio improvvisato, commozione palpabile, gioia sprizzata da tutti i pori.

“Miss Dumas! Non... non posso crederci! Non sai da quanto tempo aspettavo di stringerti... di nuovo!”

 

**

 

“Dove vuoi arrivare?”

“Non fare il finto tonto.”

Il palmo aperto premuto sul tavolo, i muscoli contratti.

“Credi davvero che non abbia letto le notizie? Che non sappia nulla di quello che è accaduto qui?”

Scontro di sguardi, di menti, di volontà. Le iridi azzurre scintillano nella luce fioca dello studio.

“Oh. Inizio a vederci chiaro, adesso. Quindi, è questo il tuo vero proposito.”

“Chi lo sa? Non sarò certo io a scoprire le mie carte per primo...”

Un ghigno mascherato da sorriso di circostanza, le pupille affilate, la determinazione del cacciatore.

“... caro Orviandre.”

 

5. Tempo

 

No, non ci siamo.

Proprio per niente, eh?

Sai, Ylena? La nuova arrivata ti piacerebbe. Ha un carattere estremamente simile al tuo: insicura, impacciata, ma dotata di un'energia mostruosa, dinamite sul punto di esplodere. Quando entra in gioco questa sua caratteristica, c'è da scappare.

Letteralmente.

Poi, c'è Theia. E qui mi fermo.

Certo, sorellina, proprio quella Theia, quella con cui ti ho sorpreso a parlare più di una volta. Non devi darle ascolto, Yle, è mezza pazza. E la sua follia risuona con l'ambiente circostante.

Sì, dev'essere così.

Altrimenti, non riuscirei a spiegarmi l'overtune.

 

**

 

“Insomma, volete dirmi per una buona volta cosa è successo?”

Il medico si sposta a destra, a sinistra, impedisce il passaggio.

“Nulla di grave, stiamo solo effettuando accertamen...”

Un colpo secco, l'uomo schiacciato contro la parete, una mano a premere il cranio contro l'intonaco, la guancia spiaccicata sul bianco polveroso, capelli neri oleosi sparpagliati lungo il camice.

“Dovranno farli a te, gli accertamenti, se non mi lasci entrare.”

“Gnnnnnn...”

“Come dici? Non ho sentito.”

“Prima... porta... a deshtra!”

EiN allenta la presa, libera la vittima. Un sorrisetto ironico.

“Vedi che basta poco per essere gentili?”

 

**

 

E che overtune, poi. Un'emissione di rumore così elevata è anomala.

Sì, Yle! Emissione di rumore!

Non era una semplice risonanza incontrollata, l'indicatore segnava oltre venticinque shannon!

Da non credere, eh?

Penso che l'abbiano portata in infermeria.

Sì, mi dirai, non che potessero fare molto altro.

 

**

 

Uno sguardo rapido ai letti, tutti vuoti.

Passi, passi nervosi, gli occhi ruotano, si spostano da un giaciglio a quello successivo.

“Dov'è?”

Le suole consumano il pavimento, scavano nella gomma sterilizzata.

Una ragazza sdraiata. Una coperta candida.

“Michelle!”

Falcate enormi, metri divorati in decimi di secondo. Le dite afferrano il lenzuolo, un movimento netto, rapido, l'ansia, l'adrenalina a mille.

Una smorfia orribile dipinta sul viso.

“Ma che cazzo...”

 

**

 

Ora ti va se parliamo di altro?

Non ne posso più di ripetere questa storia. Orviandre mi ha già fatto il terzo grado.

Cosa posso aggiungere? Michelle si alza, io mi avvicino, Theia la abbraccia, cerca di sbaciucchiarla ed ecco che – all'improvviso – la piccoletta bionda oscilla e si trasforma, senza apparente ragione.

Poi, la parte in cui ho dovuto ricorrere alla mia uptune per fermarla è piuttosto noiosa e banale, non credo tu voglia sentirla, dico bene?

Dai, ora mi dedico solo a te, fin quando non crolliamo tutti e due a nanna, ti va?

“Ti voglio bene, fratellone!”

Anch'io, sorellina.

Non sai nemmeno quanto.

 

**

 

Il volto celato da capelli viola, corti. Iridi dello stesso colore.

“Chi diavolo è questa?”

“EiN?”

Una voce alle spalle, una figura esile, in lacrime.

Petite! Cosa è successo? Perché...”

La fronte appoggiata sul petto di EiN, le mani sulle spalle, in cerca di conforto, comprensione.

“L'ho... l'ho fatto di nuovo.”

 

**

 

Ah, scusa! Prima che me ne dimentichi... in infermeria ci hanno portato Theia, non Michelle.

Sai, si è messa in mezzo tra me e lei, penso abbia tentato di proteggerla.

Di proteggerla da me.

No, questa è pura follia.

Quella ragazza ha qualche ingranaggio fuori posto.

 

**

 

“È... è stato orribile! Ho sentito il mio corpo, la mia esistenza, la realtà attorno a me vibrare vorticosamente, ho perso coscienza, la mia mente si è spenta all'improvviso! Quando sono tornata padrona di me stessa, Theia era a terra, l'avevo scaraventata contro la parete... e Roke mi stava stringendo con forza. Non ricordo niente di quello che è accaduto in mezzo, sul serio!”

Le braccia cinte attorno al corpicino tremante, il calore del contatto.

“Michelle...”

I sottili capelli biondi accarezzati con delicatezza, le cicatrici sul viso dolcemente sfiorate.

“Sistemeremo tutto, vedrai. È solo questione di tempo.”

 

**

 

“Tempo. Proprio quello che non abbiamo.”

“Non esistono alternative. Agendo troppo presto, rovineresti tutto.”

Un pugno sferrato con violenza, la scrivania scossa fino ai sostegni.

“Eppure conosci anche tu la verità su... su...”

Un conato di vomito trattenuto, la mano portata alla bocca dello stomaco.

“Bah, non riesco neppure a pronunciarne il nome. È troppo ripugnante.”

Un orologio stretto tra le dita, la lancetta immobile, il vetro incrinato.

“Pazienta ancora un po'...”

Lo sguardo perso nel vuoto, le pupille lucide, dilatate.

“... non abbiamo alcuna fretta.”

Un sospiro, un singhiozzo silenzioso in risposta.

Non è vero. Io non ho alcuna fretta... ma tu, Gabriel? Quanto potrai resistere ancora in questo stato?

 

**

 

Dopo le vicende di New Langdon mi ero detto ehi, ora è tutto a posto, sul serio! Posso vivere la mia tranquilla esistenza assieme alla mia ragazza.

Magari, la aiuto a trovarsi un lavoro, a farsi degli amici, ad ambientarsi qui, in Inghilterra – perché chiamarla Britannia mi fa schifo, onestamente.

Sì, ho davvero pensato di poter convivere con la mia piccola volpe dagli occhi azzurri, senza l'influsso di quell'odioso fantasma non-morto.

Sono state sufficienti due settimane per farmi ricredere.

E uno squarcio da quindici centimetri all'altezza del petto.

 

**

 

“Signor Kristhhoffer?”

Un altro colpo secco, il medico afferrato per il collo.

“Allora dillo che vuoi essere menato!”

“B... ben lungi da me! Vo... volevo solo chiederle gentilmente di lasciare l'infermeria! T... tutto qui!”

Pupille affilate come lame, si infrangono sullo specchio degli occhiali scuri.

“La prossima volta, eviti di chiamarmi in quel modo. Le risparmierà spiacevoli conseguenze, dottor...”

“Z... zojimbo! Zvonimir Zojimbo!”

“Bene, dottor Zojimbo. Le lascio la mia ragazza, effettui tutti i controlli che ritiene opportuni. Solo, eviti di commettere errori.”

Il pollice mosso in orizzontale, un gesto eloquente.

“Potrebbe non essere salutare.”

 

**

 

Mi siedo un po' accanto a Theia, aspetto che si risvegli.

Mi sento in colpa, per quello che è accaduto. Non volevo ferirla, non volevo ferire nessuno. EiN cerca di tranquillizzarmi, di farmi sentire normale... ma è inutile. Io sono rotta. Qualcosa, dentro di me, si è spaccato.

Forse, se mi addormentassi sarebbe meglio per tutti.

Certo, potrei addormentarmi e non svegliarmi più. Comodo, no? Tutti i problemi risolti.

Mi sdraio accanto a questa enigmatica ragazza dai capelli viola, questa ragazza che non ho mai visto, non ho mai incontrato prima d'ora.

Questa ragazza che mi ha abbracciato, come se ci conoscessimo da anni.

“Michelle? Non è opportuno rimanere qui, specie dopo quello che è successo. Per il tuo bene, dovresti essere trasferita in una camera isolata.”

Mi volto di scatto, cerco il contatto visivo. Non è la voce del medico, di quel petulante imbecille così fissato con le sfere e la perfezione geometrica, no. È fredda, quasi impersonale. Non è carica d'odio, di apprensione. È solo... piatta.

“Quindi... non potrò rimanere con EiN questa notte?”

Incrocio i suoi occhi azzurri, occhi privi di scintilla.

Privi di vita.

 

**

 

“Va bene, ammettiamo che tu abbia ragione, che non abbiamo alcuna fretta. In tal caso...”

Il pugno premuto contro la guancia, un'espressione di finta calma, a celare il tumulto interiore.

“... quale dei due sarebbe il primo bersaglio?”

I denti serrati, un macabro sorriso squaliforme.

“Il mostro, ovviamente.”

 

**

 

“Questa è una base militare, non un motel.”

L'uomo si volta, torna da dove è venuto, immerso nel buio del corridoio.

“Darò disposizioni affinché la tua sistemazione sia confortevole, non ti preoccupare. Uno dei miei agenti ti mostrerà la tua stanza.”

“Grazie per le premure, signor...”

Un grugnito misto ad un sospiro, i capelli d'argento intrecciati con noncuranza.

E una risposta sottovoce, attutita dal rumore dei passi.

“Davvero non ricordi il mio nome, petite? Eppure, ne abbiamo passate tante, insieme...”

 

6. Ricordi

 

Alla fine, mi sono addormentata in infermeria. Nessun agente è venuto a prelevarmi, nessuno mi ha sbattuto in cella d'isolamento. Che sia stato solo un sogno?

Mi stiracchio un po', tento di scrollarmi di dosso il sonno residuo.

Se il medico dà l'okay, oggi mi tocca riprendere la riabilitazione con Roke.

Sbadiglio con tranquillità, sistemo la divisa. Chissà come sta Theia?

“Ben svegliata, miss Dumas! Tutto a posto?”

Ed ecco la risposta alla mia domanda.

 

**

 

“Ehi, Raphaël, hai visto? Per Neo Helsinki hanno deciso di mandare solo due di noi.”

“Solo due? Ma il nostro è un gruppo da tre persone! Siamo in mutua risonanza, non possiamo separarci!”

Il capo scosso con forza, Gabriel scorre l'indice sul foglio stampato.

“Non è la notizia peggiore. Sembra che abbiano scelto solo Michelle. L'altro membro sarà un solo.”

“Un solo?!”

Raphaël balza in piedi, strappa il documento dalle mani.

“Dimmi che non hanno selezionato...”

Il rumore della carta tracciata, l'urlo rauco della cellulosa compressa, squarciata in un istante d'ira.

E il fuoco inestinguibile negli occhi vitrei.

 

**

 

Theia seduta sul letto, in vestaglia bianca da convalescente, il vassoio con la colazione poggiato sulle gambe. Qualche cerotto, garze strette attorno al polso destro, un sorriso imperturbabile.

“Le mie ferite sono già guarite, erano solo graffi superficiali. Mi sento fresca come una rosa!”

Timore, ansia, un pizzico d'apprensione.

Difficoltà nel trovare la domanda giusta, di sfogare i dubbi.

“Ci... ci siamo già incontrate, prima di ieri?”

 

**

 

Non ricordavo l'odore delle colline, dei boschi, ma è sempre piacevole. Aubépine non è cambiata per niente, dalla mia ultima visita. Stesso paesaggio, stessi alberi. Anche il rifugio d'emergenza è ancora al suo posto. I massi che ostruivano l'entrata sono stati rimossi, il tunnel d'aerazione riaperto. Cammino lentamente, sfioro la porta d'ingresso di questo guscio così antico... ed inutile. Le paratie ti possono proteggere dal fallout, dalle radiazioni forse, ma non dall'esplosione di una centrale a distorsione. E neppure dall'influsso costante di oscillazioni dimensionali. Ormai, può servire solo come meta turistica per allegre famigliole in gita domenicale.

Almeno, questo era quello che pensava mio papà.

 

**

 

Lo sguardo basso, il cucchiaino mescola il latte nella tazza.

“S... se è uno scherzo, non è divertente, miss Dumas.”

Michelle incrocia le braccia, i capelli biondi a coprire le cicatrici.

“Non so di cosa tu stia parlando. Io non sono mai stata ad Aubépine prima d'ora, ma sembra che tu mi conosca perfettamente.”

Occhi viola sgranati, il cucchiaino tintinna sul piatto, le dita perdono la presa.

“Davvero... davvero non ricordi nulla?”

Le spalle scrollate, il ciuffo oscilla.

“Cosa dovrei ricordare? Sono cresciuta in un orfanotrofio a Calais, mi sono diplomata in ragioneria, ho lavorato in piccolo centro contabile fino all'anno scorso, poi mi sono trasferita a New Langdon. Fine della storia. Questa è la mia vita in due parole.”

I muscoli contratti, il tessuto della vestaglia ghermito con forza.

“No. Non ha senso! Non è possibile!”

 

**

 

Be', in realtà era solamente uno stupido magazzino militare, costruito durante la guerra. Un edificio pensato per conservare provviste ed utensili, dotato di acqua corrente e poco altro.

Eppure, per me, per la mia fantasia di bambino, era un bunker antiatomico. Punto.

Come dimenticare l'eccitazione della scoperta, davanti al quadro comandi, ai vecchi generatori a gasolio, all'ingresso trionfale per i superstiti dell'olocausto nucleare?

Quand'ero piccolo, ci sballavo per queste cose...e mio papà lo sapeva.

Dopo il divorzio, mamma mi ha lasciato a lui, perché non ce ne aveva le palle di crescere un figlio. Meglio così, tanto non la sopportavo, non l'ho mai sopportata.

Non pensavo a lei, in quel momento, non pensavo a nulla. Semplicemente, mi godevo il panorama, tastavo le mura incrinate, giocavo al sopravvissuto, mentre il mio vecchio mi teneva d'occhio.

Scatole accatastate, bombole di gas, kit di primo soccorso, un condotto secondario bloccato da rocce e detriti polverosi. Per me era quasi meglio di un parco divertimenti. Ricordo ancora quell'istante, l'ultimo momento di felicità della mia infanzia.

Certo, nessuno mi aveva mai detto che il tempo corrode tutto, persino il più solido dei portelloni. E la più sicura delle valvole.

Neanche tu lo sapevi, vero papà?

Lo abbiamo scoperto assieme, purtroppo.

 

**

 

“Ti giuro che è così! Io non ricordo di essere mai stata qui.”

Theia solleva lo sguardo, incrocia l'unico occhio mostrato dai capelli biondi. Una risata crudele, cupa, una punta di disperazione.

“Certo, come no? Come ho fatto a non pensarci prima? Eppure, era così semplice!”

Michelle arretra, scuote il capo, si allontana dal letto.

“Siete uguali. Avete lo stesso viso, gli stessi occhi. Lo stesso nome, addirittura... ma tu non sei lei. Non sei il mio piccolo cigno bianco.”

Le unghie strette con forza alle coperte, venuzze in rilievo sul dorso delle mani.

“Theia...”

“Bene. Devo solo mettermi il cuore in pace...”

L'iride viola scintilla, un luccichio scarlatto su sfondo blu intenso. La lingua scivola sulle labbra, accarezza gli angoli della bocca.

“... o forse no?”

 

**

 

Mi ero ripromesso di portarti dei fiori, se mai fossi tornato qui. Sfortunatamente, me ne sono dimenticato. Mi dispiace, papà, sarà per la prossima volta.

Però ti ho portato la mia ragazza. È carina sai? Non assomiglia per niente a mamma. Ah, è francese. Sì, lo so come la pensi sui francesi, ma questa è diversa, okay? Anch'io non riesco a sopportare nessuno, figuriamoci i francesi! E gli inglesi? Bah, tutta gentaglia. Per non parlare degli italiani. Dico, ti sembra normale dover condividere il governo con Italia e Austria? Ti sembra normale che la nostra regione si chiami Concordato? Che Berlino sia ancora divisa? Non che non ha senso, papà, me lo ripetevi sempre.

Anche poco prima dell'esplosione.

 

**

 

Passi irregolari, pesanti, rimproveri, rimbrotti, borbottii vari. Theia ruota il capo, inquadra il nuovo arrivato.

“Ciao Roke! Sei venuto a trovarmi? Ma che gentile! Come vedi, sono in ottima forma!”

Il braccio sollevato, il bicipite contratto per mostrare il muscolo. Un sorriso radioso, sincero fino ad un certo punto. La fastidiosa sensazione di essere stata interrotta.

Michelle si acquieta, torna a sedere.

“Signor van Gaal...”

“Chiamami ancora una volta così e ti sbologno a Gabriel.”

Un tacito accordo, la saliva ingoiata a fatica. Un profondo respiro, le mani congiunte. Roke apre la bocca, vorrebbe parlare. Vocali e consonanti bloccate in gola, senza possibilità di fuga. Un colpetto allo sterno, come a forzarne l'uscita.

“Ascoltatemi bene, tutte e due. Non ho voglia di ripetermi, parlerò una volta sola, okay?”

La bandana rossa stretta tra le dita, annodata più volte, le iridi puntate su Michelle.

“Orviandre mi ha concesso ancora un tentativo, prima di assegnarti ad un altro istruttore. Sono riuscito a convincerlo che non è necessario metterti in isolamento, anche se non è stato semplice.”

Stupore stampato sul volto, l'occhio ceruleo sgranato.

“... sei stato tu a...”

“È tutto merito di Ylena. È stata lei ad insistere perché intercedessi. Andreste molto d'accordo, sai? È un po' più piccola di te, però...”

Uno sbuffo risentito, le braccia incrociate, i capelli viola in moto tumultuoso.

“Se sei venuto solo per miss Dumas, puoi anche dirmelo in faccia, eh!”

“Fammi il piacere di calmarti, Theia. Non è che sbraitando aumenti le tue possibilità di portartela a letto.”

 

**

 

Ora devo andare, papà. C'è un'altra persona a cui vorrei porgere i miei saluti. Ma torno, eh! Tanto devo stare qui per un po', quindi poi ti porto Michelle. Te la faccio conoscere, vedrai che ti piacerà. Ah, e poi ho scoperto una cosa: gli irlandesi non sono così male. Lo so, sono inglesi anche loro in parte, però hanno qualcosa di diverso. Come? Una giustificazione? Sì, papà, lo ammetto. Sono stato battuto da una irlandese. Battuto nel mio stesso campo. Rendo l'onore delle armi – ehi! – non è che ho molte alternative. Sai? Forse non merito ancora il soprannome con cui mi chiamavi.

Ci ho tolto la s finale, perché così ricordo che ho un obiettivo, un sogno da realizzare.

Molti dicono che sono inadatto, che non taglierò mai la linea del traguardo.

Alcuni mi trattano come un cane rabbioso, il rifiuto di una società perfetta.

L'unica altra persona che aveva stima di me mi ha sempre detto che non sarei mai stato in grado di raggiungere l'apice.

Ed è per questo che sono qui, adesso.

Per dimostrargli il contrario.

 

7. Sorella

 

“Dove ci stai portando? Abbiamo lasciato l'ESPDeC venti minuti fa!”

“Non eri tu a dire di essere guarita? Forza, pelandrona!”

Passi rapidi, terreno accidentato. Roke guida la fila, le due ragazze al seguito. Michelle francobollata all'istruttore, il più lontano possibile da Theia. Sguardi sospettosi, in direzione della compagna, gli occhi perennemente aperti, mantengono costantemente il contatto visivo.

“Era proprio necessario che venisse anche lei?”

“Dammi una buona ragione per lasciarla indietro.”

Silenzio imbarazzato, la voce morta in gola.

La risposta ingoiata dal rimorso.

 

**

 

Ed eccomi, di nuovo parcheggiato di fronte ad una porta chiusa. Ho chiesto spiegazioni, ho ricevuto una risposta scarna e interlocutoria.

Perché non posso unirmi al gruppo di Roke? In caso di emergenza, so tenere a bada la mia piccola. Loro no. Per quanto quei due possano essere esperti, non conoscono Michelle come la conosco io. Potrebbero commettere diversi errori, errori letali. Per esempio, potrebbero sottovalutarla. O tentare di colpirla.

Io l'ho fatto una volta.

E sono vivo per miracolo.

 

**

 

“Mi sembri un po' nervosa, Dumas. Qualcosa non va?”

“U... uh? No, no, è solo che...”

Lo scarpone ferisce la roccia, si aggancia alla terra friabile, la domina con estrema tranquillità.

“Se è per Theia, puoi stare tranquilla. Abbaia ma non morde. Non troppo, almeno.”

Theia indietro di qualche metro, non può sentire bene. Tono soffuso, ovattato.

“In confidenza, sapere che mia sorella la frequentava mi preoccupava un po'.”

“Ylena, giusto?”

Bagliore raggiante, il volto illuminato dalla luce del Sole.

“Sì, esatto.”

La mano all'altezza della fronte, a parare i tiepidi strali del pomeriggio.

“Non è molto espansiva, ma mi ha chiesto di aiutarti. È per questo che siamo qui, ora.”

**

 

Che poi, questo Roke non riesco a ricordarmelo così bene. Io me ne sono andato cinque anni fa, prima che Gabriel e Raphaël prendessero il mio posto. E non erano neppure soli: insieme a loro c'era anche una ragazza. Tre per sostituirne uno, eh? Dove lo trovavano un altro con le mie abilità, in effetti?

Ironia a parte, a me il nome non suona completamente nuovo. È come se l'avessi già sentito, come se...

Ehi, ehi, un momento...

Potrebbe essere...

 

**

 

“Okay, siamo arrivati.”

Un'ampia spianata, circondata da larici. Terreno brullo, rocce e sassi a ricoprirne la superficie. Roke al centro dell'anello di alberi, la bandana ad accarezzare la fronte.

Uno sospiro contrariato, i capelli viola arricciati nervosamente.

“Che cosa hai in mente, Roke? Perché ci hai portate qui?”

“Voglio comprendere l'origine del trauma, lontano da orecchie indiscrete.”

Un gesto di invito, rivolto a Michelle.

“Mi è stato raccontato che, prima di incontrare Baal, non hai mai avuto problemi di sovraoscillazione.”

“Esatto.”

“Quando quel fantasma ha fatto risuonare l'intera città alla sua frequenza, tu sei entrata in risonanza e tanti saluti al senso comune, giusto?”

“U... un momento. Cosa significa ha fatto risuonare la città?”

L'indice destro ad accarezzare il mento appuntito, iridi rosse puntate sulle due ragazze.

“Quello che ho detto, né più, né meno. Il fenomeno chiamato Notte che Cammina è stato riconosciuto come un overtune dell'intera New Langdon. Chiunque sia riuscito in un'impresa del genere è un mostro, nel senso letterale del termine. Un mostro ancora a piede libero...”

La fascia stretta con forza, il nodo assicurato dietro la nuca.

“Lasciamo da parte le speculazioni, per adesso. Mostro o non mostro, abbiamo ancora un problema da risolvere.”

 

**

 

No, non ha senso. Michelle non è mai stata qui. Ma allora... perché?

Perché quel nome?

Oddio, non voglio credere che sia una coincidenza, sarebbe troppo, troppo strano. Forse dovrei indagare, fare qualche domanda in giro. Ridacchio tra me e me, con tutto il sadismo di cui sono capace. Qualche domanda in giro. Un eufemismo mica da poco, eh? Specie perché le mie domande sono sempre precedute da un cazzotto o un'artigliata. Non è molto ortodosso, lo so, ma è il mio metodo.

Punto.

Così spaventi i testimoni, mi dicono. Balle. La mia fama ormai mi precede, a New Langdon. Se un barista sa qualcosa, piuttosto che farsi sfasciare il locale si getta a terra come un bambino piccolo e vuota il sacco. Se non sa nulla, si limita a far finta di niente. I giochi d'astuzia li lascio a Veckert. Io preferisco l'azione.

Certo, madre natura non mi ha fornito un'intelligenza fuori dal comune per non farmela usare. Voglio solo dire che grazie alla mia nomea, posso elaborare il più complicato dei sotterfugi senza che nessuno sospetti di me.

E questo è indubbiamente un vantaggio.

 

**

 

“Ho notato che per tutto il percorso, ti sei tenuta lontana da Theia.”

“E questo cosa c'entra?”

Il mento sollevato, il cielo come unico limite.

“Quando mi hanno spiegato il tuo caso, ho rovistato negli archivi per trovare l'agente con la frequenza più adatta a contrastare la tua oscillazione. E, guarda caso, è lei. Curioso non trovi? Anche se non andiamo d'accordo per niente, sembra che Theia sia l'unico solo con armoniche sufficientemente simili alle tue...”

Michelle scrolla il capo, il corpo scosso da tremiti.

“... n... no.”

“... quindi, dovresti trascorrere più tempo con lei per permettere alla tua lunghezza d'onda di sincronizzarsi con...”

Scariche verdastre, elettricità statica, vibrazione violenta.

Un'istante dopo, l'onda d'urto.

 

**

 

“Roke van Gaal? Ah, il tizio coi capelli azzurri? Sì, potrei sapere qualcosa su di lui. Ma perché dirlo a te? Si vede lontano un miglio che non sei del posto. Ora vattene, se non vuoi una lezione.”

“Senti, vecchio: vatti a fare un giro, va. Sai che hai a che fare con delle reclute ESPDeC? Noi possiamo piegare la realtà al nostro volere. Tu, al massimo, puoi piegarti a novanta.”

“Ma dai, come ti vesti? Sembri un barbone, con quella giacca nera! E poi, le borchie a forma di uno! Bah, non hai un briciolo di classe.”

“Perché dovrei perdere tempo con te?”

Belle entrate ad effetto per impressionare i tuoi amici, belle davvero. Questi agenti hanno una considerazione estremamente elevata delle proprie capacità. Solo perché gli è stato insegnato come risuonare, si credono onnipotenti.

Quindi, potete immaginare il loro terrore quando capiscono di aver attaccato briga con la persona sbagliata. Specie, se si ritrovano con la faccia immersa nel fango e la mia mano a spingere sulla loro nuca.

Potete anche sbizzarrirvi ad immaginare le loro assurde richieste di pietà. Ce ne sono per tutti i gusti, se sparate a caso, ne beccate una. Tengo a precisare una cosa, però: non sono sadico, seguo solamente un mio ideale di rispetto ed equità.

Puoi essere maschio, femmina o nessuno dei due. Puoi essere umano, spettro, rettile. Puoi essere giovane o vecchio, puoi avere o non avere figli, essere un santo o un criminale. Per me non fa differenza.

Se sei gentile con me, io sono gentile con te.

Se mi pesti i piedi, io ti ripago con la stessa moneta.

Senza eccezioni.

 

**

 

La volpe prende forma, si sovrappone a Michelle, si manifesta nella sua completezza, scompare, ritorna, svanisce di nuovo. Le ginocchia piegate, fin quasi a sfiorarsi, il cuore batte, batte forte, al limite dell'esplosione, sudore, lacrime. Uno scoppio emotivo, l'angoscia, il timore, condensato.

Roke le corre in contro, un passo, un altro passo, a tutta velocità.

Ogni istante trascorso può essere letale.

Ogni attimo perso può essere l'ultimo.

 

**

 

“Dunque... stavamo dicendo?”

“A... aspetta che lo sappiano gli istruttori...”

La mano premuta sul cranio, la fronte stampata nel terriccio umido.

“Come, scusa?”

“Roke... Roke van Gaal? Tu vuoi notizie su Roke?”

“Vedi che iniziamo a ragionare?”

EiN seduto sull'erba, una folla di reclute tutto intorno. Volevano assistere alla schiacciante vittoria del loro compagno. Sogni spezzati da un leone blu.

 

**

 

L'infermeria, gli schermi appesi, i letti, Theia fasciata nella sua vestaglia biancastra. Un flash nella mente instabile, la ragione del malessere.

“Anche se non ci siamo mai incontrate prima, miss Dumas...”

La mano di Theia protesa in avanti, le dita a sfiorare i bottoni della divisa di Michelle.

“... questo non significa che non possiamo andare d'accordo.”

Uno scatto improvviso, le labbra congiunte per un istante, gli occhi chiusi, la lingua guizza, tenta il contatto.

Michelle spinge con forza, si allontana, ricade sul pavimento.

“Sei... sei impazzita?”

Si rialza, assume posizione eretta, il panico riversato per un istante nelle iridi azzurre.

“Non... non sono interessata, mi dispiace! Io... io sto già con EiN.”

Una risata sadica, nessuna nota di innocenza.

“Che problema c'è? Io non sono mica gelosa!”

Il ritorno al presente, alla spianata.

Il ritorno alla vita.

“Michelle? Sono Roke, mi senti? Tutto a posto?!”

 

**

 

“Non so nulla! Nulla! C'è solo una voce strana che circola su di lui!”

“Una voce... strana? Spiegati meglio.”

“R... riguarda... sua sorella Ylena! L'ha adottata quando aveva già diciassette anni, hanno vissuto insieme per un po'! E... e girano un sacco di storie sul loro... vero rapporto... insomma, capisci, no? Dicono... dicono che il responsabile... sia proprio lui.”

Lo sguardo crucciato, le dita allentano la presa.

“Il responsabile... di cosa?”

 

**

 

“Meno male. Per un attimo, ho temuto che entrassi in autorisonanza. Se lo sapesse Ylena...”

Uno sputo disgustato, gli occhi di Theia ridotti a cupe fessure.

“Puoi anche smetterla con questa farsa, Roke.”

Neon viola luccicanti, ardenti, carichi di rimprovero.

“Non è che fingendo di avere ancora una sorella, aumenti le tue possibilità di portartela a letto.”

 

8. Indugio

 

La mano destra a massaggiare il mento, la sinistra gioca distrattamente con un mazzo di carte.

“Quando?”

“Oggi.”

Un'espressione di sfida, la bocca contratta in una smorfia di scherno.

Non abbiamo alcuna fretta, eh?”

Uno sguardo assopito alla lancetta, al lento moto dei secondi. Una grugnito rauco in risposta.

“Ho fame, Raphaël.”

Uno scatto improvviso del capo.

“Molta fame.”

 

**

 

Una birra al bancone, lo sguardo perso nel vuoto, la bandana rossa stropicciata. Tagli e abrasioni su tutto il volto. Gli occhi gonfi.

“U... un'altra.”

Voce impastata, strascicata. Movimenti casuali, scoordinati.

“E... e una per Ylena. Sì, una anche per lei. Vero che ne vuoi una, Yle?”

Uno scatto della mano, un pulsante premuto su un minuscolo apparecchio metallico.

Sì, fratellone! Ho proprio sete!

Un'occhiataccia al barista, il boccale sbattuto sul legno.

“S... sentito? Sbrigati!”

Occhi sospettosi, i clienti si allontanano. Un sospiro rassegnato.

“Dovresti smetterla, Roke. Non ti fa bene, lo sai. E non è che bevendo di più migliora, eh!”

L'indice puntato, la mano tremante.

“Z... zitto e dammi un'altra birra!”

“Meglio se fai come dice, oste. Se entra in overtune, ti sfascia il locale.”

Voce tagliente, esplosiva. Giacca di pelle, capelli castani, occhi grigi. Un ghigno sprezzante sul viso affilato.

“Credimi, ne so qualcosa.”

 

**

 

Lo ammetto, non ricordo di aver mai incontrato Roke prima d'ora. Eppure, dovremmo conoscerci bene: siamo entrati nell'ESPDeC nello stesso corso, abbiamo avuto gli stessi istruttori. Sì, dovremmo conoscerci bene. Ma non è così.

Durante i miei primi mesi di addestramento, ero troppo concentrato su me stesso per rendermi conto degli altri. Dovevo imparare a parlare meglio, a scrivere meglio. Dovevo studiare la storia, capire cosa mi ero perso negli ultimi dieci anni. Ho molti alibi, fin troppe giustificazioni.

L'unica verità è che gli altri esseri umani non hanno alcun valore per me.

Non lo hanno mai avuto.

Questo, fino all'incontro con Michelle.

 

**

 

“L... Lorenz? Che vuoi? Cosa ci f... fai qui? Non vedi che sono occupato... con Ylena?”

EiN sistema lo sgabello, le mani intrecciate, i gomiti puntati.

“Ti stavo giusto cercando, Roke. Ho due o tre domande per te.”

Fiatella alcolica, Roke tenta di alzarsi. Giramento di testa, il corpo collassa, si schianta sullo sgabello.

“Non credo di poterti... rispondere.”

Tu non lo credi. Io sì.”

L'indice tamburella sulla tempia, i capelli castani lisciati con estrema cura.

“Dunque... com'è che continui a chiamare quell'insulso registratore col nome di tua sorella? Sbaglio, o è solo una vuota raccolta di frasi?”

Iridi iniettate di sangue, pupille arse dal fuoco dell'ira.

“Che... che cazzo vuoi? Lasciami... in pace! Ylena... Ylena è viva, è qui con me! Vero, Ylena?”

Un click del pollice, l'oggetto metallico prende vita, emette suoni.

Sono qui con te. Non ti lascerò mai!”

Le pupille roteate nell'orbita, le labbra arricciate.

“Sì, come no. Roke? Sveglia! Tua sorella è scomparsa da quasi due anni! Vuoi deciderti ad accettare la realtà?”

“T... tutte... palle!”

Una scintilla giallastra, elettricità statica, bizzarre scariche arancioni. Un tentativo di risposta, di riscatto.

Un tentativo inutile.

 

**

 

Le spalle schiantate contro i mattoni, la nuca rimbalza sul muro. Un rantolo, un urlo di dolore, ricacciato in gola.

“Cosa... cosa volete da me?”

“Sappiamo tutto, François.”

Due figure imponenti, gli occhi spenti, scuri. Rabbia incontrollata.

“Perché Bertrand ha scelto te? Michelle è nostra, non tua!”

“Avete paura di perdere l'esclusiva?”

Uno schiaffo a mano aperta, la guancia sinistra percossa con violenza.

“Se provi solamente a sfiorarla con un dito a Neo Helsinki, giuro che ti spacco la faccia.”

“Le frasi da duro non ti si addicono, Raphaël. Sei minaccioso come un coniglietto di peluche.”

Un pugno allo stomaco, gli occhi sgranati, la bocca spalancata. Orviandre a terra, carponi, gli addominali pulsanti, il dolore attraverso il corpo.

Questo ti è sembrato abbastanza minaccioso?”

I capelli tirati, il mento sollevato a forza.

“Ricordati, François: se scopro che hai fatto il casanova con Michelle, ti ammazzo. Ci siamo capiti?”

 

**

 

Roke steso per terra, una chiave articolare a bloccare entrambe le braccia.

“No, no. Così non va, Roke. Entrare in uptune da ubriaco non funziona. Prima di tutto, non riesci a mantenere la frequenza. Poi, ci metti il doppio del tempo. Sperare che il tuo avversario non ne approfitti è quantomeno ingenuo, non trovi?”

“L... Lorenz...”

“Aspetta solo un secondo.”

Lo sguardo diretto all'oste, all'indifferenza generale dei presenti.

“Saldo il suo conto e lo metto a nanna, okay? Tu, però, preparami qualcosa per farlo ragionare. Li sai fare i cocktail anti-sbronza?”

“Non... non credo neppure che esistano.”

Un sospiro rassegnato.

“D'accordo. Allora si fa a modo mio.”

 

**

 

Sono inutile. Non riesco a controllarmi.

Oggi ho rischiato di uccidere Roke. Per la seconda volta.

È... è più forte di me: le emozioni prendono le redini del mio corpo, schiacciano la mente, il pensiero, lo disgregano, lo frantumano. E divento una bestia. Una volpe a tre code di pura energia. Cesso di esistere, smetto di ragionare. Il mio cervello si spegne, neurone dopo neurone.

Non sono nemmeno in grado di ricordare, non ci riesco! La mia memoria si resetta, torna sempre al momento dell'oscillazione.

EiN mi consola, mi aiuta, è sempre così gentile con me...

Ce la farai, non preoccuparti. Io credo in te. Io credo solo in te.

Perché non riesco ad essere all'altezza delle sue aspettative?

Perché?

 

**

 

Roke sputacchia, tenta di ritrovare l'equilibrio, la gola arsa.

“Bevi, è acqua. Ti farà bene.”

La bottiglia afferrata con foga, il liquido trasparente tracannato.

“Stai meglio, adesso?”

Il bagno dei maschi, la tazza di ceramica. Il vecchio metodo.

Due dita in gola.

“... ho rimesso l'anima...”

“No, quella ce l'hai ancora.”

EiN tranquillo, le mani in tasca, la schiena appoggiata alla parete. Uno sguardo svogliato all'orologio da muro.

“Sono solo le quattro del mattino. Abbiamo tutto il tempo del mondo per discutere.”

Roke ripulisce le labbra, fazzoletti di carta consumati in brevi istanti.

“Cosa... cosa vuoi da me?”

“Io amo Michelle. Seriamente, è l'unica persona per cui darei la vita. Ce n'è anche un'altra, però è solo un'amica. L'unica amica che ho. Ma non divaghiamo. Il punto è che tu sei il suo istruttore. La persona incaricata di aiutarla, di risolvere il suo problema.”

Il tacco battuto con forza sulle piastrelle candide, un lampo d'ira nelle iridi plumbee.

“Dimmi, Roke... come posso fidarmi di uno psicopatico che passa le serate ad ubriacarsi o a parlare con un registratore? Come posso accettare che il mio bene più prezioso sia nelle mani di un uomo che potrebbe aver stuprato e ucciso sua sorella?”

 

**

 

“Ehi, guarda chi si vede.”

François cammina lentamente, le mani nelle tasche, le ferite rimarginate completamente. Raphaël e Gabriel immobili, ad attenderlo.

“Era ora che ci incontrassimo, capo. Quasi tre mesi senza mostrati in pubblico, eh? Allora, com'è andata la gitarella sott'acqua? Trovato qualcosa di interessante... oltre al cadavere di Bertrand?”

François non risponde, le parole scivolano come pioggia. Passa oltre, trascina le gambe.

“Ehi. Non mi va di essere ignorato.”

“Ti conviene farci l'abitudine.”

Gabriel a bloccare la strada, le braccia incrociate.

“Cos'hai fatto a Michelle?”

Un sorriso malinconico.

“Io? Niente. L'ho solo salvata da morte certa, se ti può interessare... e – ah, già. Ci ho anche fatto l'amore. Sai come vanno le cose, no? La bella ragazza disperata che piomba nella tua camera in cerca di conforto e...”

“Brutto bastardo!”

Il pugno alzato, pronto a colpire. Un'altra mano a bloccarla, a serrare il polso con le unghie. La mano di Gabriel.

“No, Raphaël.”

“P... perché? Cosa...”

Un sospiro grave, i capelli castani risistemati con cura, lo sguardo severo.

“Mi costa molto ammetterlo, ma credo di doverti ringraziare, Orviandre. Ho affrontato una volta Bertrand in allenamento e so di cos'è... di cos'era capace. Io e Raphaël saremmo durati meno di un minuto. Senza di te, Michelle sarebbe morta.”

“Gabriel?! Stai scherzando, vero?!”

Iridi di fiamma, Raphaël zittito, muto. E la voce baritonale a percuotere l'aria.

“Io non amo Michelle. Non ho alcun interesse per il suo corpo... ma lei è preziosa per me, per il mio equilibrio mentale. Quando non è con noi, rischio di destabilizzarmi. Se tu non l'avessi salvata, io sarei impazzito, ne sono certo. Pertanto, considerati fortunato. Non ti ammazzeremo.”

La schiena voltata, gli occhi truci, scintille bizzose nel buio.

“Non questa volta, almeno.”

 

**

 

“Q... quindi, è questo quello che si dice su di me?”

“A grandi linee.”

Roke si rialza, la mano premuta sulla parete, mantiene la posizione eretta.

“Che... schifo. Non credevo che le reclute fossero così... morbose.”

“E non hai neppure sentito il peggio.”

EiN scrolla le spalle, i denti allineati in un sorriso perfetto.

“Dunque, cosa ne dici di raccontarmi tutta la storia dall'inizio?”

 

9. Ellissi

 

Il risveglio è stato più dolce del previsto, questa mattina. Nessuna pervertita dai capelli viola a cercare di baciarmi, nessuno scatto d'ira scomposto, nessuna overtune incontrollata.

EiN mi manca, quanto vorrei poterlo abbracciare, stringermi a lui durante la notte.

Questo non è un motel.

Lo so, lo so. Sono qui per curarmi, dopotutto.

La cattiva notizia è che Roke ha lasciato l'incarico.

Per fortuna, mi hanno assegnata a due veterani, due istruttori che hanno già risolto un caso simile.

Sembrano simpatici, il più giovane avrà sì e no la mia età.

Sono sicura che questa sarà la volta buona!

 

**

 

“La smettiamo di prenderci in giro, Roke? La tua verità è un tantinello implausibile, a mio parere.”

“... perché dovrei mentirti?”

“Per alleggerire la tua posizione?”

Una gomma da masticare ruminata con noncuranza, il capo scosso senza un ritmo particolare. Roke abbandona il sostegno del muro, mantiene la posizione.

“S... se non ci credi, puoi interrogare il dottor Zojimbo, il responsabile del centro medico. Confermerà fino all'ultima parola... la mia versione dei fatti.”

“Certo, certo, come no?”

Le iridi plumbee attraversate da bagliori fulgidi, le mani nervose nelle tasche della giacca.

“Dai, Roke! Sii serio! Passi il fatto che Ylena non è il suo vero nome – questo ci può stare... ma come posso credere che tu l'abbia trovata in fin di vita all'interno di una specie di uovo meccanico?”

 

**

 

Quello più alto parla poco. Ha una vistosa cicatrice sull'occhio destro e qualche ruga. Gli darei trentuno, trentadue anni – più o meno, la stessa età di EiN. Ora che ci penso, non è la prima volta che li vedo. Credo di averli incontrati tre giorni fa, sulla soglia dell'ESPDeC. Non ci avevo fatto molto caso, al momento.

Ci stiamo dirigendo verso l'interno, una spianata nei pressi di un vecchio magazzino militare. Secondo loro, è il posto migliore per tentare di contenere le mie crisi.

Senza Theia, dovrebbe essere più semplice, sul serio.

Non ho bisogno di altri problemi... e una corteggiatrice psicopatica e molesta rientra chiaramente nella categoria soggetti da evitare.

Specie, se voglio mantenere la mia sanità mentale.

 

**

 

“Ciao, Rafale-chan! Come stai?”

Il capo ruotato di scatto, gli occhi ad incrociare una ragazzetta, il suo viso arrotondato, i capelli castani a caschetto, l'iride finta.

“Quante volte ti ho detto di non chiamarmi così, Ylena?”

La mano sinistra sollevata, tiene un sacchetto, una busta di plastica.

“Buon compleanno!”

Raphaël arretra di un passo, l'usuale contegno frammentato.

“Cosa... ?”

Un sorriso solare, candido, innocente.

“Ti ho preparato una torta! Ci ho messo tutta la notte, ma sono soddisfatta del risultato! Con un braccio solo non è così facile, ma...”

La protesi distesa lungo il fianco destro, le dita inanimate, ceramiche. Raphaël distoglie lo sguardo, una sottile vena di disgusto.

“Come fai a sapere che oggi compio gli anni?”

Una risata argentea, squillante.

“Me lo ha rivelato Michelle! L'ho corrotta con un po' di cioccolato!”

Ylena protende il sacchetto, lo porge con grazia.

“Ti prego, Rafale-chan! Non è che se accetti il mio regalo, poi ti tocca contraccambiare!”

Un passo indietro, senza perdere il contatto visivo.

“Raphaël?”

“Va bene, va bene. Solo per questa volta. Ma non farti strane idee, eh?”

 

**

 

“Siamo arrivati.”

Una lapide, finemente intarsiata. Colonnine scolpite, un cigno e un serpente incisi alla base. Una foto olografica ad ornare il tutto.

“In memoria di Bertrand Brillouin.”

Michelle scuote la testa, non comprende.

“Chi era Bertrand Brillouin?”

“Il precedente capo dell'ESPDeC, prima di Orviandre.”

La ragazza in ginocchio, accarezza il marmo, le dita scivolano lungo la pietra decorata.

“Cosa... cosa gli è successo?”

Il più giovane si avvicina, la mano sulla spalla.

“Storia lunga. Non vale la pena raccontarla.”

L'attenzione richiamata da un'altra lapide, più piccola. Nessuna immagine, nessun nome. Solo una superficie nera, uniforme. E una data.

“E... e questa?”

“Beh, quella...”

Scariche perlacee, fulmini biancastri, globulari, attorno al corpo.

“... quella è il motivo per cui sei qui, ora.”

 

**

 

“Ecco che ci risiamo! Cosa c'è, questa volta?”

Roke seduto sul letto, Ylena rannicchiata, chiusa a riccio in se stessa. Il braccio destro immobile, lasciato cadere sulle coperte.

“Sono imperfetta, Roke. Sono troppo imperfetta. Raphaël non mi amerà mai.”

Una pacca sulla zazzera castana, un abbozzo di sorriso.

“Non è vero, Ylena. Sei una ragazza adorabile, spontanea, sincera. Dimmi, cosa ti manca?”

Il capo inclinato in avanti, lacrime a rigare le gote.

“Un occhio? Un intero braccio? È più facile elencare cosa non mi manca.”

L'indice di Roke le accarezza l'addome, preme l'ombelico sotto la divisa azzurra.

“Non devi arrenderti per così poco. Lo so, Raphaël ha occhi solo per quella biondina frigida di cui non ricordo neanche il nome... ma non preoccuparti, prima o poi, capitolerà! Devi solo avere pazienza!”

 

**

 

Il drago materializzato dal nulla, energia biancastra allo stato puro, muso allungato, sproporzionato, ali sovrapposte, in oscillazione. Michelle sgrana gli occhi, arretra, inciampa.

“C... cosa significa?”

Quattro code aculeate, zanne di quindici, venti centimetri, vampe di brace nelle orbite cupe.

L'altro rimane in disparte, osserva senza fiatare, le braccia incrociate. Le palpebre semichiuse, uno sputo a terra, sprezzante. La cicatrice brilla nei riflessi del mostro.

“Ma come, miss Dumas? Non è ovvio? Il tuo addestramento inizia adesso.”

Michelle punta i piedi, i muscoli tremano, si dimenano, il cervello invia segnali inascoltati.

“N... non capisco! Io sono qui per risolvere i miei problemi di overtune, non per combattere!”

Il drago pianta gli artigli, il viso dell'uomo in sovrapposizione.

Oh, miss Dumas! Ma è proprio quello che sto per fare!

Un tetro ululato, cavalca le frequenze, si trasmette nell'aria immobile.

Risolvere il tuo problema... in modo definitivo!

 

**

 

“Ehi, cos'hai? Ti vedo veramente su di giri, oggi!”

Ylena saltella divertita, l'energia, l'eccitazione. Un concentrato di adrenalina troppo grande per essere contenuto nell'esile corpo. Il braccio artificiale mulinato con grazia, una danza frenetica, incontenibile.

“Oggi vado con Raphaël e gli altri del gruppo Torrent! Mi hanno detto che vogliono insegnarmi a risuonare!”

 

**

 

“E poi?”

“E poi basta. Quello è stato il mio ultimo dialogo con Ylena. Fine della storia.”

EiN scuote il capo, uno sbadiglio assonnato.

“Fammi indovinare: la tua prossima – prevedibile – frase sarà una banalità del tipo... da allora non ho mai smesso di cercarla? Come in ogni film che si rispetti, eh?”

Un'occhiata svogliata all'orologio. Le sette del mattino.

“Se ti fa piacere pensarla così... certo, ammetto che renderebbe la mia situazione più drammatica. Avrebbe un che di epico. Titanico, forse. Ma non è la verità, purtroppo: dopo la scomparsa di Ylena, mi sono semplicemente lasciato andare. Bevevo, mi sbronzavo, mi svegliavo la mattina successiva, sperando che qualcuno avesse risolto il problema al posto mio, che tutto si aggiustasse magicamente da solo.”

Un sospiro sconsolato.

“Purtroppo, non è andata così.”

EiN si stiracchia, le lunghe membra quasi a sfiorare il soffitto basso.

“Per essere un alcolizzato recidivo, mi sembra che te la passi fin troppo bene. Orviandre ti avrebbe mandato via a calci in culo, se non ti fossi ripreso. Non è da lui mantenere un idiota in servizio solo per compassione.”

“Infatti. Mi sono dovuto rialzare. E ci sono riuscito, anche se non da solo. Qualche tempo fa, ho conosciuto una ragazza. Stava facendo un giro della Francia settentrionale con due suoi amici – era tipo la terza incomoda del gruppo. Tanto per cambiare, stavo per gettarmi in pasto alla taverna, come ogni sera e...”

Una mano sulla spalla.

“Adoro i racconti. Soprattutto se brevi e concisi. Ah, meglio ancora se inerenti alle mie domande.”

“... è un modo velato per dirmi di tagliare corto?”

Un ghigno animalesco sul viso tagliente.

“No, non è affatto velato.”

 

**

 

Un colpo tremendo, la spianata trema, zolle smembrate. Il drago ruggisce, ali di cera a raccogliere i riflessi del Sole nascente. Michelle stringe i denti, la mano a tamponare la ferita, il sangue insudicia la manica sinistra.

“F... fermati, ti prego! Cosa ti ho fatto?”

Uno scatto fulmineo, le zanne a fendere l'aria, a sbranarla con violenza.

Schizzi rossastri, la schiena di Michelle sfregiata da lame invisibili.

Un grido di dolore, uno sguardo disperato all'uomo in disparte.

“A... aiuto! Aiutami! Per favore!”

Bagliori bluastri, vortici di realtà attorno al corpo.

“Non preoccuparti. Ti aiuterò io, Michelle...”

Onde di pressione, la sovrastruttura si allarga, si compatta, si deforma. Uno scatto del collo, repentino, innaturale.

“Ti aiuterò a morire più in fretta.”

 

10. Diario

 

Calma. Devo tranquillizzarmi.

Calma.

Calma, Michelle.

Analizza la situazione.

Sei viva, okay?

E loro sono fuori.

Non entrano qui. No. Non mi troveranno qui dentro.

O forse sì?

Calma. Calma.

Ora EiN vede che non sono all'ESPDeC e viene a cercarmi, eh?

È la mia unica speranza.

 

**

 

“Come sarebbe a dire Michelle non c'è? Dovevamo vederci alle otto per la riabilitazione!”

Theia inclina il capo, gli occhi fissi al pavimento.

“Non chiederlo a me, Roke. Stamattina, sono entrata nella sua camera per portarle la colazione a letto, ma non c'era nessuno. Solo un biglietto.”

Uno sguardo severo, il mento massaggiato con nervosismo.

“Sbaglio o tu non dovresti avere le chiavi del dormitorio femminile?”

Rossore appena accennato sulle gote, nessuna vergogna.

“Non sono affari che ti riguardano.”

Uno sbadiglio improvviso, impossibile da trattenere.

“Okay, sorvoliamo. Cosa dice questo fantomatico biglietto?”

Un post-it giallo tenuto nella mano sinistra, Roke lo afferra, tenta di decifrarlo.

Sudore freddo.

“Forse è meglio se andiamo a svegliare EiN. E di corsa, anche.”

 

**

 

Perché non ho il cellulare con me? Perché sono stata così stupida da lasciarlo in sede?!

Avrei potuto chiamare EiN! Sarei salva adesso, tra le sue braccia!

EiN...

Perché deve accadere tutto così in fretta?

Ora che sono caduta qui sotto, chi mi troverà mai?

Non voglio morire qui.

Non voglio morire in questo orribile bunker...

 

**

 

“Come ha fatto a sfuggirti? L'avevi in pugno!”

Il drago svanisce, riassorbito. Il viso riscaldato dal furore, un urlo collerico, animalesco.

“Lo so. Ho sbagliato. Ho esitato un attimo di troppo. Ma... ma quando l'ho vista in volto... quando ho incrociato il suo sguardo spaventato... io... io...”

Un abbraccio fraterno, consolatorio.

“Devi fartene una ragione, Raphaël. Se continui così, non la vendicherai mai.”

I muscoli contratti, i pugni chiusi, lacrime rapprese sulle gote.

“Come... come posso uccidere la ragazza che ho amato?”

“Raphaël...”

Le pupille ristrette, aghi di tenebra in un mare infinito.

“... quella ragazza non esiste più.”

 

**

 

Sono caduta, è vero, sono caduta in un condotto, coperto da assi di legno marce. E sono precipitata qui sotto. Nel buio. Vedo poco, devo abituarmi. Non è facile, non c'è Sole. Sono illesa, per fortuna. Braccio e schiena esclusi, ovviamente.

Mi muovo a tentoni, stare ferma non serve a nulla. Devo capire. Perché c'è qualcosa che non va – eh, sì. Frugo nelle tasche della divisa, dovrei avere una torcia con me, ne porto sempre una.

E pensare che EiN mi prende in giro. Mi prende in giro per questa mia piccola luce che mi accompagna ovunque io vada.

A EiN la luce non piace troppo, gli fa male agli occhi. Retina ipersensibile.

No, EiN non approverebbe, direbbe che ho fatto male a tenerla con me, che è solo un'inutile zavorra.

Non sono mai stata così contenta di aver ragione io.

 

**

 

“Cooosa?! Qualcuno ha portato via la mia Michelle?! E nessuno si è accorto di nulla?!”

Un ruggito feroce, dissonante, le pareti scosse dalla violenza del grido. Theia raggomitolata in un angolo, un'espressione di biasimo. Roke traballa, torna in piedi, sbadiglia.

“Il biglietto è piuttosto esplicito. Ciao EiN, mi hanno cambiato istruttore – me ne hanno assegnati due! Partiamo tra dieci minuti, se tutto va bene ci vediamo stasera!

Gli occhi chiusi, il capo scosso, le braccia aperte.

“Peccato che io non abbia mai rassegnato le dimissioni.”

EiN seduto sul letto, le braccia conserte, il cuore a mille.

“Come li troviamo? Possono essere ovunque.”

Un sospiro rumoroso, Roke mugugna qualcosa di incomprensibile.

“Sento che me ne pentirò... ma c'è un motivo se ho portato Theia con me.”

 

**

 

Non posso sbagliarmi. Qui ha vissuto qualcuno.

Scatolette di cibo aperte, accatastate, attrezzi sparsi sul pavimento, un rudimentale piatto, posate sporche riutilizzate fino allo sfinimento, qualcosa che assomiglia ad un letto. Polvere e ragnatele ovunque, ma non così spesse come mi aspettavo.

Un rumore alle mi spalle.

Uno scricchiolio?

Passi?! Passi! Lui è già qui? È già qui?!

Respira, Michelle, respira.

Calmati, cerca di tranquillizzarti!

Se... se ti spaventi non... non...

Oh, mio Dio!!!! Cos'è che striscia sul pavimento?!!!! No! No! Noooooo!

 

**

 

Un passo, un altro passo. Il condotto corroso dal tempo, scalini malmessi, in pessime condizioni. Il piede scivola, un istante di terrore, l'equilibrio guadagnato a fatica.

“Merda! È troppo buio! Rischio di rompermi una gamba.”

Gabriel tende il braccio, Raphaël aggrappato al piolo traballante.

“Non abbiamo scelta. Ormai dobbiamo andare fino in fondo.”

Uno scatto improvviso, la mandibola contratta.

“Ho fame. Ho... ho troppa fame.”

 

**

 

“Theia non è un solo qualsiasi. È una tracker. Il suo scopo principale è individuare sorgenti di rumore, senza bisogno di rivelatori. È una sua dote innata, sono in pochi a possederla.”

“Tanto piacere per lei. E quindi?”

Le iridi viola incrociano lo sguardo del leone, i capelli smossi con civetteria.

“Michelle emette rumore. Il suo corpo ha uno spettro di emissione spontanea ben definito. Entrando in contatto con lei, sono riuscita ad isolarlo. Posso rintracciarla in ogni momento.”

“Aspetta un secondo. Cosa intendi con entrando in contatto?”

Un sorrisetto malizioso, la lingua fa capolino tra le labbra, l'indice a sfiorarne la punta più volte.

EiN grugnisce, la mano stampata sulla fronte.

“Farò finta di non aver capito. Forza, vediamo di fare in fretta.”

La ragazza immobile, le mani nelle tasche.

“Aspetta un secondo, leoncino. So che Michelle è una tua esclusiva, ma io voglio la mia parte.”

“Che sarebbe?”

“Un bacio – ovviamente, non a stampo. Senza interferenze. Questa è la mia condizione. Sono stata chiara?”

Le vene di EiN rigonfie, un'iniezione di adrenalina.

“Va bene, mettiamola così: se tu provi anche soltanto a sfiorarla, la tua condizione sarà quella di cadavere sul tavolo autoptico. Sono stato chiaro?”

 

**

 

Solo. Uno. Stupido. Topo.

Sono morta dalla paura.

Per. Uno. Stupido. Topo.

Un respiro, Michelle. Un bel respiro.

Buio, per un istante. Buio completo.

La torcia perde colpi.

Devo fare in fretta, trovare una via di fuga!

Il fascio di luce fioca rischiara il muro, in cerca di una feritoia, di un varco, di un passaggio.

Ma non trovo niente di tutto questo.

Solo delle scritte.

Incise nel cemento.

 

**

 

Un lupo violaceo, punta a velocità folle. Il leone azzurro a poca distanza, vibrazioni dimensionali, le frequenze cavalcate con maestria.

Roke ansima, non tiene il passo. Il corpo in risonanza, il pipistrello gigante materializzato, le ali sbattute con forza. Ma non abbastanza.

Theia, rallenta! Non riesco a starti dietro!

Il lupo non ascolta, accelera, accelera a più non posso.

Michelle potrebbe essere in pericolo. Rallenta tu, se proprio ne hai voglia. Quando arrivo, ti chiamo, eh!

L'oscillazione smorzata, Roke scende a terra, i polmoni in fiamme, crolla in ginocchio, le mani sprofondate nel terriccio umido, il respiro affannato.

“N... non ce la faccio.”

Il tempo di alzare lo sguardo, di cercare i suoi compagni.

E incontrare solamente il vuoto.

 

**

 

Qui è buio. Vedo poco. L'uscita è chiusa. Cosa faccio? Dove sono tutti?

Grafia tremolante, lettere trascritte con un punteruolo.

La torcia indugia, si sposta lungo la parete, illumina un mondo.

Centinaia di annotazioni, migliaia di parole.

L'intero muro ricoperto di segni.

Mon Dieu...

Segni verticali, orizzontali, il calendario dei carcerati.

“Sembra... sembra un diario.”

C'è cibo, tanto cibo. È ancora buono. Non muoio. Non muoio.

Le dita scorrono lungo le scanalature, tastano le frasi ruvide.

Sono passati giorni. Dove sono tutti? Perché non arriva nessuno?

Un guizzo nelle iridi, un lampo di consapevolezza.

“Non ha senso!”

Il mio corpo cambia. Lo controllo, poco per volta. L'energia illumina, non tanto. Ormai mi sono abituato.

Michelle scuote il capo, miriadi di informazioni compresse, trasmesse da tracce vecchie di anni.

Luce. Il passaggio alto è aperto. Posso uscire. Posso uscire!

“Quindi, è questa la verità...”

Il Sole brucia! Mi fa male! Mi fa male agli occhi! Scapperò stanotte! Stanotte!

Un passo, un altro passo. Michelle inciampa, inciampa in un oggetto posato per terra. Lo investe di chiarore artificiale, ne evidenzia la forma.

Un orsacchiotto, un giocattolo per bambini. Costruito con rottami, pezzi di metallo, rondelle, scatolette, bottoni come occhi.

“E tu chi sei?”

Un tonfo sordo, un rumore in lontananza.

Michelle solleva lo sguardo, l'istinto ha la meglio.

E l'ultima frase si imprime nella mente, incisa da artigli.

Gli artigli di un leone.

 

11. Il Mostro

 

Zanne richiuse a ganascia, il corpo del lupo trafitto da aghi affilati. Un urlo straziante, un balzo all'indietro, a tentare di recuperare l'equilibrio.

L'uomo immobile, le braccia incrociate, l'aura intermittente.

“Smettila di agitarti inutilmente, Theia.”

Il manto violaceo si ricompatta, il sangue riassorbito, vaporizzato.

“Cos'hai fatto a miss Dumas?”

Un ghigno animalesco, la lingua lucida le labbra sottili.

“Vorrei strapparle un braccio a morsi. Ed inghiottirlo. E vomitarlo. E mangiarlo di nuovo. Devo placare la fame. La mia fame, capisci?”

“N... no.”

Gabriel liscia i capelli, l'indice e il medio a pettinare la zazzera disordinata.

“Crederai che sono pazzo, Theia. Naturale, chi non lo penserebbe?”

Scintille azzurre, bluastre, una figura sfocata sovrapposta.

Monsieur Ravel...

“No, no, no! Stai sbagliando tutto! Devi chiamarmi col mio soprannome, capisci? Col nomignolo che mi hanno affibbiato le reclute.”

Aura azzurra, una pinna caudale, tre file di denti fissati da strali di energia fredda.

“... le reclute che non sono riuscito a divorare, ovviamente.”

 

**

 

Lasciar andare Raphaël da solo forse non è stata una buona idea. Quel mostro potrebbe ucciderlo, sbranarlo. Lo so, è contro il senso comune: non esistono creature in grado di uccidere un drago con facilità, figuriamoci mangiarlo.

Neppure io potrei metterlo fuori combattimento, eppure...

No, non riesco a levarmi di dosso questa sensazione orribile.

Forse per quello che è accaduto in passato?

Forse perché so di cosa è capace quella creatura?

Michelle sarebbe d'accordo con me.

Lei lo ha provato sulla sua pelle.

 

**

Un passo. Un altro passo.

Scariche scostanti, squarciano le tenebre. Bagliori perlacei, in ogni direzione.

“Non ha senso nascondersi, Michelle. Posso trovarti come e quando voglio.”

Pupille dilatate, in continuo movimento.

La consapevolezza della caccia, un macabro gioco psicologico.

Squarci sui muri, incisioni, intonaco strappato.

“Ma guarda... ti sei divertita a scrivere sulle pareti, nel frattempo? Hai usato i tuoi begli artigli? Brava, brava.”

Un rapida lettura, la grafia di un bambino.

“Un momento. Queste... non puoi averle scritte tu.”

“Infatti.”

Una voce nota, francese sputato con odio, accento tedesco marcato. Raphaël si volta, gli occhi sgranati, la figura scura in piedi, statuaria.

“Sono stato io.”

 

**

 

“Durante gli scavi, abbiamo trovato un cadavere. O quello che ne resta.”

L'operaio si gratta la tempia, l'elmetto di sicurezza calato sulla fronte.

“Uomo. Adulto. I primi rilievi lo danno morto da almeno dieci anni. Sembra che sia rimasto ucciso nell'esplosione di una bombola di gas, vede? La stessa che ha provocato il crollo, sigillando l'ingresso.”

L'indice puntato alle pendici della collina, alla spianata soprastante.

“L'accesso secondario era ostruito da più tempo, credo per via di qualche cedimento strutturale. Lo abbiamo liberato un paio di giorni fa, ma non siamo ancora scesi ad ispezionare l'interno.”

Un uomo di fronte, in piedi. Le braccia incrociate, la frangia castana a coprire l'occhio destro.

“Potrebbero esserci altri corpi da recuperare?”

“Non è da escludere.”

Uno sbuffo seccato, le pupille puntate al cielo.

“Possibile che ve ne siate accorti solo ora?”

L'operaio visibilmente imbarazzato, il volto inclinato per non sostenere lo sguardo.

“Vede, signor Brillouin... di quel vecchio magazzino non importa più niente a nessuno, ormai. Ogni dieci, quindici anni mandano qualcuno a revisionarlo e a rifornirlo di cibo, ma è più una tradizione che un vero investimento. Sanno benissimo che se DP-7 va in autorisonanza, uno stupido rifugio d'emergenza non offre alcuna protezione. Se non fossimo venuti oggi per questa sorta di... rituale scaramantico, non avremmo mai trovato nulla.”

“Capisco.”

Una nota amara nella voce, le unghie perfettamente lucide, scintillanti.

“Quando riuscite ad identificarlo, contattatemi immediatamente. Ora, ho altro da fare...”

Il capo scosso, un sospiro sconsolato.

“... per esempio, scoprire chi è quel maledetto ladruncolo che ha mandato in rianimazione due dei miei migliori agenti.”

 

**

 

Atterro sulle quattro zampe, tento di prevedere i suoi movimenti.

Ululo al Sole, tento di intimidire il mio avversario, di fargli credere che sono illesa.

Un bluff, naturalmente.

La prima parte del piano è andata bene, quindi dovrei essere tranquilla. Beh, per quanto si possa esserlo in una situazione come questa.

Un uno contro uno con il tuo istruttore. Forse avrei fatto meglio ad ascoltare Roke, ad aspettarlo.

E forse avremmo potuto avvertire Orviandre, prima di lanciarci all'inseguimento.

Bah, troppi forse.

L'importante è il qui, l'ora.

Con i forse non si cambia il presente, al più lo si rimpiange.

E non voglio essere ricordata con un forse, se fosse ancora viva...

Proprio no.

 

**

“Se tieni alla tua vita, molla quello che hai e dammelo! Subito!”

Un ragazzo, vent'anni, rachitico. Il viso sporco, vestiti strappati, luridi, pupille dilatate al massimo. Le mani aperte, nessuna arma impugnata.

Notte di Luna piena, il ritrovo dei mannari.

O dei criminali, secondi i punti di vista.

“Non funziona molto bene come minaccia. Non hai nemmeno un coltello. Sei fisicamente compromesso, troppo alto e malnutrito. Se non vuoi che ti dia una lezione, vedi di svignartela. Sto aspettando qualcun altro.”

Sorpresa nelle iridi plumbee, ironia malcelata, inglese rozzo, di base.

Qualcun altro chi? Il mostro che attacca i tizi vestiti d'azzurro?”

Bertrand si ferma, ascolta ancora un istante.

“Lo conosci?”

Risata sadica, i capelli tirati con violenza autolesionista. Onde di pressione, elettricità statica.

“Sono io.”

 

**

 

La risonanza perduta, Theia bloccata a terra, sanguinante. La divisa squarciata, fluido ematico ad impastare i capelli con l'argilla.

Il battito accelerato, palpebre calate, respiro affannoso.

“G... Gabriel...”

“Non ho capito bene. Puoi ripetere?”

Un aculeo attraverso la spalla destra. Un urlo strozzato, smorzato sul nascere.

Otto zampe sottili, cheratinose, aracniformi. Stonano con la sovrastruttura residua, con la forma principale.

Con i denti a sega.

Theia mugola, lacrime di dolore, ogni arto trafitto da una lancia.

“Avanti, Theia. Pronuncia il mio nome. Il mio vero nome. Quello con cui mi conoscono tutti...”

Una risata sonora, sadica.

“... lo Squalo.”

 

**

 

Bastano dieci secondi per rendersi conto di aver attaccato la persona sbagliata.

Dieci, eh? Non uno di più.

Specie, se credi di essere invincibile. Di essere unico.

Poi, vieni pestato a sangue da un tizio anonimo, un francese che passava di lì per caso. Papà aveva ragione, mai fidarsi dei francesi, eh!

Con la testa piantata nel fango riesco a pensare poco, mi fa male il collo: il bastardo mi sta tenendo stretto, non riesco quasi a muovermi. Magari mi uccide, chi lo sa?

O magari no.

“Ottima risonanza, pessima tecnica. Chi ti ha insegnato ad eseguire un uptuning?”

“N... nessuno. Ho imparato da solo! Sono il prescelto!”

“Balle.”

Sprofondo ancora di più nella pozza, l'acqua sporca mi solca le guance.

“Dì la verità, forza. Qualcuno deve avertelo insegnato. È un processo tremendamente complicato, è impossibile che tu abbia acquisito questa capacità da autodidatta.”

“Impossibile per gli altri, non per me.”

 

**

 

“Quando arriviamo là, tu vai subito a cercare Michelle. Ai due istruttori penso io.”

“Cos'è, vuoi metterti in mostra con lei abbattendoli entrambi?”

“Theia!”

Lo sguardo serio, un fulmine ad attraversare il mare grigio.

“Questo non è un gioco, chiaro? Non è una gara per il possesso della mia ragazza. Smettila di comportarti come una bambina e muovi le chiappe. Sei una tracker, giusto? Allora traccia, cerca, trova Michelle!”

“No, EiN! Una volta che l'avrò identificata, sarai tu a soccorrerla. Se incontrasse me, potrebbe entrare in overtune, rendendo le cose tremendamente più complicate! Lascia che mi occupi io dei suoi rapitori!”

La lingua lucida le labbra sottili, le iridi viola ricolme di determinazione.

“Dopotutto, il caos è la mia specialità!”

 

**

 

La presa allentata, una mano tesa, aperta.

Il ragazzo la afferra saldamente, guadagna posizione eretta, si porta cospetto dell'uomo, lo sovrasta in altezza.

Non in autorità.

Un colpetto di tosse, la divisa ripulita dalla polvere.

“Mi chiamo Bertrand, Bertrand Brillouin. Sono il direttore dell'ESPDeC. Sai di cosa sto parlando?”

Un grugnito confuso, i lunghi capelli ripuliti con gesti meccanici.

“Quel posto dove insegnano a risuonare?”

Un cenno di silenzioso assenso.

“Ti offro la possibilità di entrare a far parte del mio team d'élite. Dovrai essere addestrato come si deve, ma sono convinto che sarà la scelta migliore per entrambi.”

Diffidenza nello sguardo, i muscoli contratti.

“Perché? Perché mi offri questo posto? Io sono un mostro, no?”

“Non esistono mostri. Solo persone fuori dal comune che usano le loro abilità in modo improprio.”

L'indice puntato al mento appuntito, un sorriso tirato.

“Bertrand, eh? Io ce l'ho un nome, ma non voglio che lo usi. Chiamami EiN, semplicemente. Con la N maiuscola, eh? Così risalta.”

“Lo sai che ein significa uno come articolo indefinito, vero? Uno, come numero, è eins, in tedesco.”

“Come posso meritare il numero uno dopo essere stato preso a calci in culo da te? Non ho il diritto di usare quella s. Non ancora, almeno.”

Non ancora?”

Una risata divertita, di cuore, la frangia spostata con l'indice, entrambi gli occhi puntati sul giovane.

“Essere il primo è una condizione temporanea: non potrai rimanere davanti a tutti per sempre – è pura utopia.”

Le dita sottili a sfiorare la spalla del gigante.

“Dimostrami il contrario, EiN. Dimostrami che mi sbaglio. Solo allora avrai veramente raggiunto l'apice. Solo allora avrai il diritto di completare il tuo soprannome.”

 

12. Titani

 

“Dove vuoi arrivare?”

“Non fare il finto tonto.”

Il palmo aperto premuto sul tavolo, i muscoli contratti.

“Credi davvero che non abbia letto le notizie? Che non sappia nulla di quello che è accaduto qui?”

Scontro di sguardi, di menti, di volontà. Le iridi azzurre scintillano nella luce fioca dello studio.

“Oh. Inizio a vederci chiaro, adesso. Quindi, è questo il tuo vero proposito.”

“Chi lo sa? Non sarò certo io a scoprire le mie carte per primo...”

Un ghigno mascherato da sorriso di circostanza, le pupille affilate, la determinazione del cacciatore.

“... caro Orviandre.”

Il capo scosso con forza, le dita intrecciate.

“Libero di costruire i tuoi castelli in aria, ma sei completamente fuori strada, EiN. Io non ho bisogno di te. Io ho bisogno di lei.”

“Lei?! Stai scherzando, vero? Per quale motivo...”

“Tu non saresti molto credibile come esca.”

 

**

 

Ascolto il battito del mio cuore.

Lo ascolto per l'ultima volta.

Gabriel sta per sbranarmi, per divorare il mio corpo, la mia anima.

Lo squalo ha spalancato le fauci, sento il suo alito di morte, il fetore di cadaveri putrefatti.

Avrei voluto vivere di più. Molto di più.

Ho molti rimpianti, troppi.

Se dovessi sceglierne uno, in questo istante, andrei sul classico: vorrei aver baciato Michelle ancora una volta, prima di morire.

Un ultimo desiderio che non sarà esaudito.

 

**

 

Un battito di mani, applauso di scherno. Passi leggeri sul terriccio ruvido. La divisa impeccabile, i guanti bianchi.

“Complimenti, Gabriel. Molto suggestivo. Cosa ne dici di lasciarla andare?”

Lo squalo svanisce, la figura umana emerge dalla sovrastruttura.

“Tu... qui?! Come...”

“Avete lasciato troppe tracce. E ora ho le prove che cercavo. Grazie, Gabriel. Sei riuscito a condannarti da solo. Mi hai risparmiato la fatica di un processo.”

Gabriel si alza da terra, rilascia la preda.

“Vedo che ci siamo capiti.”

“Orviandre...”

Oscillazione impazzita, il metronomo esplode.

“... tutto quello che è successo, tutto quanto... è solo... è solo colpa tua!”

 

**

 

“Gabriel?! Stai scherzando, vero?!”

Iridi di fiamma, Raphaël zittito, muto. E la voce baritonale a percuotere l'aria.

“Io non amo Michelle. Non ho alcun interesse per il suo corpo... ma lei è preziosa per me, per il mio equilibrio mentale. Quando non è con noi, rischio di destabilizzarmi. Se tu non l'avessi salvata, io sarei impazzito, poco ma sicuro. Pertanto, considerati fortunato. Non ti ammazzeremo.”

La schiena voltata, gli occhi truci, scintille bizzose nel buio.

“Non questa volta, almeno.”

François agita il braccio, in segno di protesta.

“Ehi, ehi. Aspetta un attimo. Tutta questa messa in scena perché Michelle è diventata un pochino più aperta? Perché finalmente prova emozioni positive? Mi sembra un po' esagerato, da parte vostra. Si è solo... sbloccata, ecco tutto. E non è neppure merito mio, intendiamoci.”

Un pochino più aperta?”

Raphaël immobile, lo sguardo truce.

“Chiedilo a Ylena, quanto è più aperta. Chiedilo a lei. Dopo, se vuoi, possiamo riparlarne. Ti va?”

 

**

 

Lo squalo emerge dal caos, le zampe di ragno, la pinna dorsale, la coda, tre file di denti. Nessun interesse per Theia, non è lei il nemico. Non ora.

Divorerò anche te, Orviandre! Poi sarà il turno della cagna viola. Poi del leone azzurro. Infine, del mostro che ti ostini a chiamare Michelle!

Un gesto elegante del braccio sinistro, la realtà imbizzarrita attorno al corpo sottile.

“Lieto che tu ne sia convinto, Gabriel.”

Aura scarlatta, spire di energia, le membra avvolte da fuochi fatui.

E il serpente sovrasta il cielo, oscurando il Sole.

 

**

 

“E... EiN...”

Un leone celeste, nel buio completo, il bunker illuminato a giorno, strali azzurri a perforare le tenebre. Sovrapposizione continua, l'uomo al centro, un'unica entità, il dominio assoluto sulle frequenze.

“Non si entra in casa d'altri senza bussare, Raphaël.”

“Ma che...”

Una zampata al volto, le mani ancora in tasca. Raphaël si schianta contro il muro, contro le scritte tracciate dalla mano di un bambino, dal dolore di un adolescente, da un adulto immaturo.

“Ho vissuto qui dentro per dieci anni. Dieci. Lunghissimi. Anni. Ho tutto il diritto di chiamarla casa, non trovi?”

Un altro colpo, Raphaël piegato a metà.

“Non ti sei mai chiesto perché indosso lenti protettive? Perché non riesco a sostenere la luce solare? Ecco, la risposta è davanti ai tuoi occhi.”

L'oscillazione spenta, cala la pece, nero completo. EiN celato nell'oscurità, nessun punto di riferimento. Raphaël annaspa, inciampa, come accecato.

I muscoli contratti, bagliori perlacei, il drago pronto ad emergere.

Un calcio alla bocca dello stomaco.

“Ah, per tua informazione, io vedo al buio. Estremamente bene. È per questo che ho spento la risonanza. Ti dava troppo vantaggio.”

Un pugno sul naso, uno sotto il mento, un calcio al ginocchio.

Raphaël crolla a terra, neppure il tempo di iniziare a risuonare.

E un ruggito assordante squarcia il silenzio.

Un ruggito di vittoria.

 

**

 

Lurido verme! Ci avevi garantito che l'avresti eliminata! Che la sentenza sarebbe stata eseguita! E invece no! Eccola qui, di nuovo tra noi! Insieme a quel bastardo di Kristhhoffer!

Uno scatto fulmineo, le zampe piegate, rilasciate come molle, le fauci spalancate, pronte a squartare il corpo del serpente.

Un movimento repentino, le scaglie scorrono l'una sull'altra, spire attorcigliate a mo' di scudo. L'impatto, i denti spaccati dalla corazza d'energia squamata, frantumati. Una nuova fila li sostituisce, ne prende il posto.

Arrenditi, François! Non puoi nulla contro di me! Tu non sei Bertrand!

Una sferzata, lo squalo percosso sotto la pancia, scagliato in aria. La lingua del cobra espulsa a velocità folle, estesa, afferra l'avversario in volo, lo getta a terra.

Orviandre esce dalla risonanza, la sovrastruttura svanisce, resta l'uomo.

“No, infatti. Hai perfettamente ragione, Gabriel.”

Fiamme rossastre, colonne vermiglie emergono dal terreno, fontane di luce monocromatica.

“Io sono più forte.”

 

**

 

“Michelle, smettila! Ti prego...”

Ylena si allontana, gli occhi umidi. Michelle seduta sul letto, al suo fianco, le dita attorcigliate nei capelli castani, accarezzano la chioma dell'altra ragazza.

“Ylena, piccola mia! Come sei diventata bella! E grande! Roke dev'essere fiero di te!”

“Lasciami in pace!”

Una spinta, Michelle cade all'indietro, perde l'equilibrio.

Ylena in piedi, di fronte alla porta della camera, pronta a lasciarla alle spalle.

“Ylena...”

“Basta! Io non sono un giocattolo, lo vuoi capire? Smettila di abbracciarmi, di lisciarmi i capelli, di trattarmi come se fossi una bambina! Io non ce la faccio più, Michelle!”

La mano protesa in avanti, come per raggiungerla.

“Y... Ylena... voglio solo... mostrati il mio affetto!”

“Affetto?! Affetto?! Mi stai tormentando! Non l'ho detto a Roke, non gli ho ancora detto nulla... perché non voglio rovinarti la reputazione! Ma smettila, per carità! Smettila...”

Lacrime artificiali, vere, presunte. Le guance rigate, un dolore intimo, difficile da trattenere.

“... io non sono... tua figlia.”

 

**

 

Raphaël sollevato da mani possenti, la nuca a pochi centimetri dai mattoni.

“Bene, bene. Cosa abbiamo qui? Un bulletto che gioca all'esploratore? Oh, peccato che questa non sia casa sua. E che il suo obiettivo non sia nemmeno la sua ragazza. Che imprudenza, eh?”

“Lorenz...”

EiN non aspetta, lo percuote selvaggiamente. Una ginocchiata negli addominali, come a ribadire un concetto noto. La bocca spalancata, il fiato mozzato. Michelle fa capolino dalle tenebre, sbuca alla spalle del leone.

“EiN!”

“Ciao, petite. Sono un po' occupato ora, ma è tutto a posto. Vedi solo di trattenerti ancora un po', okay? Non vorrei scatenarti un'autorisonanza proprio adesso.”

Raphaël riprende il respiro, tira su col naso, tenta di arginare l'epistassi.

Petite? Petite?!”

Uno sputo diretto al pavimento, saliva rossastra ad inzaccherare il cemento grezzo.

“Che... schifo. Come puoi esserti innamorato di un mostro del genere?”

 

**

 

“Fammi capire bene, François. Negli ultimi due anni sono scomparse diverse reclute. Tu credi che la colpa sia di uno degli istruttori. E vuoi usare Michelle per farlo uscire allo scoperto.”

“Esatto. Ottima sinossi.”

Lo sguardo perplesso, la schiena inarcata.

“Hai dei sospetti, ma non hai uno straccio di prova.”

Un cenno di assenso.

“Devo coglierlo in flagrante. È l'unica soluzione.”

“E... perché dovrebbe tentare di uccidere Michelle?”

Il ghiaccio frammentato, un lampo nelle iridi.

“Questo, se permetti, è un mio piccolo segreto.”

 

**

 

Un guizzo fulmineo, la serpe scatta, l'intero corpo come una molla, la bocca aperta, file di aculei retrattili, privi di forma definita. Privi di pietà.

Un balzo, l'assalto evitato, le otto zampe pronte al contrattacco. Le quattro zampe. Deviazione improvvisa, gli arti strappati con violenza, il nemico schiantato a terra, sollevato con la punta della coda, stretto tra spire adamantine.

Le zanne in assetto, pronte a terminare l'opera, il sibilo della realtà contorta.

No! Fermati! Io...

Parole al vento, lamenti morenti.

I denti perforano la sovrastruttura, le fauci richiuse, serrate, l'avversario si dimena, grida, urla, tenta di sottrarsi alla presa.

Invano.

Il cobra reale si erge maestoso, sventra la creatura d'energia, la disgrega.

Un'esplosione azzurra, l'onda d'urto, gli alberi ripiegati, Theia sbalzata di un metro, scaraventata contro un tronco.

E, in un istante, dello squalo non rimane che l'ombra.

 

**

 

“Cosa vuoi dire? Michelle non è un mostro!”

“No, Michelle no. Lei non era un mostro...”

Un sorriso ebete, sotto il naso fratturato.

“... ma la creatura che l'ha uccisa sì.”

 

13. Collasso

 

“C... come hai fatto a trovarci?”

Orviandre in ginocchio, sostiene Theia, la aiuta a sedersi.

“Roke mi ha chiamato sul cellulare, dopo avervi persi di vista. Mi ha raccontato tutto.”

“Questo... non risponde alla mia domanda.”

Garze improvvisate con pezzi della divisa, le maniche stracciate per fermare l'emorragia.

“Diciamo che non sei l'unica tracker, sì? Anche il sottoscritto se la cava bene. E non solo con le sorgenti di rumore.”

“Quando... quando sei entrato in contatto con Michelle?”

“Con questa Michelle? Non di recente. Ma conoscevo bene lo spettro di Gabriel e Raphaël.”

Theia mugugna, gli arti crivellati, tagli, abrasioni su tutto il corpo.

“Aspetta un attimo, monsieur Orviandre... cosa intendi con... questa Michelle?”

 

**

 

Accade tutto in fretta, troppo in fretta.

Non faccio in tempo a voltarmi e a mollare un cazzotto a Raphaël che Michelle perde il controllo. Non serve a niente parlarle, tentare di farla ragionare.

È completamente sorda alle mie parole.

Devo stordirla, farle perdere i sensi. È l'unico modo per placare la sua furia omicida.

Sempre che non scappi prima.

 

**

 

“Non credo di aver capito bene.”

“EiN, quella cosa che ti porti appresso... non è umana. È solo una stupida replica. La vera Michelle, la Michelle che ho amato, è morta! È stata uccisa due anni fa!”

Michelle sgrana gli occhi, i capelli biondi ondeggiano per un istante. Un ghigno stampato sul viso di EiN.

“Pessimo bluff, amico. Si vede lontano un miglio che vuoi solo salvarti la pellaccia.”

“A che pro? Ho perso tutto, ormai. La mia occasione per vendicarmi, la ragazza che amavo, il mio compagno di squadra, la mia ragione di vita. Se vuoi uccidermi, uccidimi. Non ho più nulla.”

“Che esagerazione. Gabriel è ancora vivo... credo.”

Una risata gelida, glaciale, folle. Raphaël chiude gli occhi, la disperazione sgorga come un fiume in piena. Il tono lamentoso, carico d'odio.

“Ma come, non te ne sei accorto? Gabriel è completamente pazzo! È arrivato al punto di divorare le sue stesse reclute, di assimilarle per diventare più forte! La sua mente è collassata, EiN! Col-las-sa-ta! E indovina per colpa di chi?”

Michelle pianta i piedi per terra, il corpo scosso da tremiti.

“N... no...”

EiN si volta di scatto, tenta di focalizzare.

“Michelle! Calmati! Non ascoltarlo! Non...”

 

**

 

“Mi sembra evidente, Theia. Quella non è la Michelle che hai conosciuto. Non è neppure la Michelle che ho conosciuto io.”

“Tu... tu lo sapevi?”

“Dal primo istante. Dal momento stesso in cui ho ricevuto la lettera di EiN.”

Theia tenta di rialzarsi, cade per terra, perde l'equilibrio, massaggia la gamba ferita.

“Ma come... cosa...”

“Beh, non crederai davvero che sia riuscita a fuggire dall'ESPDeC da sola, due anni fa, no?”

 

**

 

Sbatto Raphaël a terra, gli tiro un calcio nei reni, entro in uptune, corro dietro a Michelle. Sta seguendo la luce, Michelle, tenta di trovare l'uscita. Devo precederla, fermarla, se possibile.

Altrimenti, non so cosa potrebbe combinare.

Non vorrei essere nei panni di quelli in superficie, in questo momento.

Proprio no.

“A... aspetta!”

Raphaël. Ancora lui. Potrei farla finita, d'accordo, ma ho poco tempo. Magari la prossima volta, eh?

“Non vuoi... sapere la verità?”

Oscillo per un attimo alla mia frequenza madre, assumo forma umana.

“La verità è che tu mi odi perché ti ho surclassato, perché dopo averti sconfitto e umiliato me ne sono andato dall'ESPDeC, privandoti della tua sciocca rivincita. Adesso, tenti di mettere zizzania tra me e la mia ragazza per un tuo capriccio. Mi sembra piuttosto chiaro, non trovi?”

“Non hai capito nulla, non è così?”

Lo tiro su per i capelli, tento di fargli più male possibile, di spegnere quel suo sorriso idiota.

“Può darsi. Può darsi che io sia nel torto, che tu stia dicendo la verità... ma non alcuna importanza. Potrà essere la cosa più stupida di questo mondo, ma non lascerò che la mia ragazza diventi carne da macello.”

 

**

Orviandre scuote il capo, preoccupazione nello sguardo.

“Michelle, lascia che te lo dica chiaramente. Le tue attenzioni nei confronti di Ylena sono diventate un po'... morbose, ecco.”

“Morbose?”

“Sì. Insomma... la accarezzi, la baci sulle guance, la abbracci. Non ti sembra un po'... esagerato?”

Una risatina ingenua, le ciocche bionde rassettate con cura.

“No, per niente. Lei è la mia piccola.”

Un sospiro grave, un abbozzo di lacrima, parole sottovoce.

“La bimba che ho perso.”

 

**

 

Risalgo la china, mi trascino dietro Raphaël, lo lascio riverso sul terriccio. Devo raggiungerla. Devo raggiungere Michelle, prima che faccia altri danni.

Prima che Orviandre la uccida.

È questione di secondi capire che è già troppo tardi.

Il tempo di incrociare lo sguardo stralunato di Theia.

Il tempo di non trovare traccia di Gabriel.

Il tempo di inciampare nel cadavere di François.

 

**

 

Una furia verde, le code a ventaglio, incendiate. Artigli di diamante, zanne acuminate, l'orrore stampato nelle iridi.

“È in overtune! Miss Dumas è in overtune!”

Theia arranca, urla, punta i gomiti, tenta di strisciare via. François in piedi, in posizione di guardia.

“Maledizione...”

Il manto smeraldino oscilla, ribolle, si trasmuta. Ali di cigno emerse dalla schiena, ali magnifiche, candide, immacolate.

Ali ben note.

“M... Michelle?”

Un istante, un istante per ammirare le piume di pura energia, la forma dimenticata dal mondo, cancellata dall'esistenza.

Orviandre indugia per un secondo, un secondo soltanto.

Poi, l'assalto.

E l'artiglio trapassa il suo petto, come se fosse di burro.

 

**

 

Fuggire! Fuggire! Raggiungere il centro! Casa! Casa!

Il reattore! Voglio il reattore! Energia infinita, mai più paura! Mai più!

Nessuna paura, no! Non torni quella che eri!

Non torni quella che eri!

Correre, correre! Nessuno ti ferma, nessuno!

Forza, hai poco tempo, hai poco tempo!

Se l'energia si esaurisce, cosa rimane per EiN?

Cosa rimane di Michelle?!

**

 

Uno schiaffo in pieno volto. Un altro schiaffo.

“Ehi! François! Ehi! Rispondi!”

Theia si appoggia alla schiena di EiN, tenta di sostenersi.

“Non resisterà ancora a lungo! È tutto inutile!”

“Scusa se cerco di non farlo morire, eh?”

Raphaël in ginocchio, due tamponi improvvisati nelle narici, le ossa a pezzi.

“Se mi avessi... ascoltato...”

Un'occhiataccia furibonda.

“Se tu non avessi parlato, non saremmo in questa situazione. Ora, vedi di renderti utile.”

“M... Michelle...”

François geme, mugugna. Movimenti automatici, residui di coscienza. Battiti al minimo, presenti. Respiro debole, irregolare.

“Sta emettendo rumore, credo abbia attivato un processo di rigenerazione lenta. Non è ancora finita.”

EiN lancia il cellulare, Raphaël lo afferra col braccio sano.

“Chiama Roke. Digli di mandare qualcuno ad assistere Orviandre. Theia, tu cerca di tenerlo sveglio, ”

Il collo scrocchiato, il pugno sbattuto per terra.

“Io ho una volpe da recuperare.”

 

**

 

Il capo scosso con forza, i capelli d'argento sparsi sulla fronte.

“Eh?! Cosa stai dicendo? A quale bimba ti riferisci?!”

L'indice a detergere l'occhio destro, la nostalgia impressa sulla retina.

“Ad Akima. Alla mia piccola Akima.”

 

14. Figlia di Nessuno

 

“Forza, François. Non è niente. Vedrai che passa.”

Un colpo di tosse, le iridi spente, in bilico tra la vita e la morte. Theia tiene la mano, si lecca le ferite, tenta di capire, di comprendere.

“Raphaël, tu conosci tutta la storia, vero?”

Il sangue ripulito, le dita a tastare il polso di Orviandre.

“Sì.”

“Puoi raccontarmela?”

Il capo chinato, le arterie ribollono.

“Credo di sì. Non ha più senso tacere.”

L'indice puntato, la lapide nera squadrata con ribrezzo.

“Vedi quel tumulo, quello vicino alla tomba di Bertrand? Non c'è nessun corpo là sotto. È solo un simbolo, un ricordo. Un omaggio a Michelle Dumas. Al nostro... al mio piccolo cigno bianco.”

“Chi l'ha uccisa?”

Orviandre sputa saliva, mantiene una debole risonanza, i tessuti si rigenerano con lentezza esasperante. Raphaël controlla le pulsazioni, non distoglie lo sguardo, nemmeno per un istante.

“Mettiti comoda. Non è così semplice come sembra.”

 

**

 

Il portone principale scardinato, la volpe fa irruzione nel salone. Il pavimento cigola, si lamenta, i neon a intermittenza, esplodono, bruciano. Le reclute si scansano, lasciano transitare la creatura. Non un respiro, non un sussurro.

Paura, terrore viscerale.

La volpe lo avverte, non devia, prosegue.

Due agenti si parano di fronte, risonanza attiva, assetto da guerra.

Nessuna speranza.

 

**

 

“Allora, Michelle... cosa ne pensi di Orviandre come capo dell'ESPDeC? Non ti dà un po' di fastidio?”

Un drink bevuto in compagnia, al ritorno dalla missione. Gabriel, Raphaël, Michelle. Tutti seduti al tavolino del bar. Semioscurità, luci artificiali a incandescenza, calde. La radica dei mobili a riflettere luccichii lontani.

“No, non troppo. Non è più lo stesso mandrillo di due anni fa. Inoltre, gli devo la vita. Senza di lui, sarei stata massacrata da Bertrand.”

Un sorso di cocktail, una patatina mangiata con fare distratto.

“Qualche pettegolezzo degno di nota?”

“Roke ci ha presentato sua sorella.”

“Sua... sorella? Ma Roke è figlio unico!”

“È successo circa due settimane fa. Dicono che l'abbia adottata – anche se non ufficialmente. L'ho incrociato per caso assieme ad una ragazzetta di diciassette, diciotto anni. All'inizio, credevo che stessero assieme.”

Gabriel solleva il boccale di birra, lo porta alle labbra.

“Detto fra noi, non è chissà che. È carina, certo, però è storpia. Ha una protesi al posto del braccio destro e un occhio finto. Si chiama Ylena.”

“Ylena...”

Raphaël sorride, alza il calice.

“Ehi, sei fortunata! Eccola là, assieme al fratellone.”

Michelle si volta, individua i capelli azzurri di Roke. Subito dopo, inquadra Ylena.

Capelli castani, occhi scuri. Minuta ma non troppo. Diciassette, diciotto anni al massimo. Una mano immobile. Una pupilla fissa.

“... oh...”

“Michelle?”

Il capo scrollato, la zazzera bionda in disordine.

“Io l'ho già vista. Io ho già incontrato quei lineamenti, quel viso, quegli occhi...”

Un colpo al cuore, un sussulto improvviso.

“... la capsula quattro?”

Una lacrima commossa, lungo la guancia, giù fino alla base del collo.

Un ricordo a compromettere le cellule nervose.

Assieme a tutto il rumore assorbito.

 

**

 

Colpi rapidi, impossibili da evitare. Le guardie schiantate sui muri grigi, tra le lampade azzurre. Difficile stabilizzare una risonanza, se non ti danno il tempo di farlo. La bussola impazzita, la direzione già decisa. Il nucleo.

Le paratie di sicurezza calano, si incastrano nel terreno, impediscono il passaggio.

Ancora per poco.

 

**

 

“Ciao! Io sono Michelle Dumas! Piacere di conoscerti!”

“Ylena. Ylena van Gaal.”

Una stretta di mano cordiale, da primo incontro.

“Hai il suo stesso sguardo...”

“Eh?”

Ylena lascia la presa, ritrae il braccio sinistro. Michelle protende l'indice, accarezza i capelli della giovane.

“Ylena non è il tuo vero nome, non è così?”

Un velo di imbarazzo, Ylena scaccia le dita di Michelle, rimane sulla difensiva.

“Cosa stai dicendo? Come altro dovrei chiamarmi?”

Tono freddo, distaccato, caldo, compassionevole, tutto insieme.

“Akima. Akima Shizawa.”

Mente distorta, personalità sovrapposte. Michelle si addormenta, emerge il caos. Emerge la madre.

“La mia Akima.”

 

**

 

“Durante gli eventi alla centrale sommersa, sembra che... qualcosa sia entrato in Michelle. Un frammento di coscienza, un'entità risonante, come l'hanno chiamata. E questa... cosa ha fatto piazza pulita del suo vecchio io. Lo ha resettato, capisci? Come se Michelle non fosse mai esistita.”

La pelle si richiude, Orviandre respira lento, con calma. Le orecchie spalancate, ascolta senza fiatare. Theia stropiccia gli occhi umidi, incredulità sul viso martoriato.

“Ma è terribile! Povera piccola, chissà quanto ha sofferto! Chiusa in un corpo che non rispondeva più ai suoi comandi!”

Un sospiro rassegnato, Raphaël china la testa.

“Già. Io e Gabriel ce ne siamo accorti troppo tardi. Certo, Michelle era sempre più strana, ma François ci rassicurava che era tutto a posto, che aveva subito un forte shock, eccetera, eccetera. Se non gli avessimo dato retta, forse saremmo riusciti a...”

“Ti... ti piacerebbe, eh?”

François solleva il braccio, le palpebre socchiuse, il ghiaccio delle iridi sciolto dal calore del passato.

“La... la verità è che è riuscita... ad ingannare anche me. Quella... quella donna... è stata troppo intelligente. Ha finto... ha finto per tutto il tempo! Ha persino simulato... la sua morte a Neo Helsinki!”

Theia scrolla il capo, gli occhi sgranati.

“Quella donna? Quale donna?!”

“La stronza... che ce l'ha portata via....”

Un urlo rauco, brutale, tutte le forze residue deviate verso la bocca.

“Eva... Shizawa!”

 

**

 

“Vuoi che la portiamo con noi? Che espandiamo il gruppo a quattro membri? No, non è possibile! Nessuno ha mai mantenuto una risonanza stabile con tre frequenze contrastanti!”

“Voglio scoprire qual è l'uptune di Ylena. Non è mai stata capace di attivarla, ma sono sicura che sia possibile.”

“Forse dovremmo avvertire Roke.”

Le spalle scrollate con noncuranza.

“È suo fratello, mica suo padre.”

“Michelle... io credo che...”

“Raphaël, comprendo i tuoi dubbi. Sul serio. Ma fidati di me, ti prego! E, per favore... chiamami Eva. Lo preferisco.”

“Non hai mai usato il tuo secondo nome.”

Una strizzatina d'occhio.

“Solo gli amici intimi hanno il diritto di chiamarmi così!”

 

**

 

“Credo... credo che Michelle non se ne sia nemmeno accorta. Nel momento in cui ha incontrato Ylena – una versione adulta e completa di Akima – la sua personalità-Eva ha... surclassato la sua personalità-Michelle.”

Un lungo respiro, Orviandre riprende le forze.

“Prima, solo in presenza di Ylena... poi, in ogni aspetto della sua vita.”

“Mio Dio! E poi? Cos'è successo?”

Raphaël sfila i tamponi, lo sguardo perso, vuoto.

“Quello che non avremmo mai potuto immaginare.”

 

**

 

“Oggi vado con Raphaël e gli altri del gruppo Torrent! Mi hanno detto che vogliono insegnarmi a risuonare!”

“Ylena...”

Le mani strette attorno alle braccia sottili, uno scambio di complicità.

“Tu sai che sei già in sovraoscillazione, vero? Sei cosciente del fatto che la tua intera esistenza dipende completamente dall'emettitore di rumore che ti abbiamo impiantato nel petto?”

Il visetto imbronciato, disappunto palpabile.

“Me lo dici ogni volta. Ogni volta che voglio provare a trasformarmi come fai tu.”

Un abbraccio stretto, forte.

“Se quell'emettitore si danneggia, tu torni ad essere una bambola senza vita. E io non voglio! Mi mancheresti... troppo!”

Le fronti si sfiorano, un bacio sulla guancia.

“Ti prometto che tornerò tutta intera. Conosco i miei limiti, non li supererei mai!”

“Neppure se fosse Raphaël a chiedertelo?”

 

**

 

“Finalmente. Credevo che non arrivassi più.”

Una figura statuaria, la bandana rossa, i capelli azzurri. Iridi infuocate, scarlatte, i pugni chiusi.

La volpe ferma, osserva il nuovo arrivato. Un istante, un istante di indugio prima di decidere, di proseguire.

“Sai? Non volevo credere alle parole di Orviandre. Ho avuto bisogno di due birre per accettarle.”

Scintille giallastre, elettricità pura, membrane di luce vibrante.

“Sei in debito con me. Di una sorella. E non mi fermerò davanti a nulla, per riaverla indietro.”

 

**

 

Una caserma grigia, luci bianche ad irrorare il pavimento metallico, la griglia, le passerelle.

“Raphaël, Gabriel. Iniziate la risonanza.”

“D'accordo.”

Oscillatori armonici, onde di realtà, di pressione. Il drago e lo squalo si formano dal vuoto, l'aria a ricoprirne le forme. Ylena ammira l'evoluzione, la costruzione delle strutture, delle creature immaginarie, portate alla vita da un sapiente controllo dell'energia rilasciata.

“Ora tocca a te. So che puoi riuscirci.”

Ylena non ha il tempo di rispondere. Il corpo prigioniero, stretto nell'abbraccio, nella morsa della madre.

“Akima, piccola mia! Cresci, diventa grande! Fammi vedere di cosa sei capace!”

Le labbra ne esplorano il viso, la punta della lingua ad inumidire le guance, il naso.

“Michelle! Cosa stai facendo?! Lasciami...”

“Eva! Io sono Eva! Sono la tua mamma, la tua cara mammina!”

Un impatto violento, Michelle scagliata contro la parete, i neon saltano, esplodono, vetri in frantumi, pioggia di scintille

“Lasciami in paceeeeeeee!!!!!!”

Gabriel arresta il processo, la bocca spalancata, osserva allibito.

Osserva, mentre Ylena supera il confine dell'overtune.

E inizia ad oscillare in una forma non umana.

 

**

Il metronomo di Roke impazzito, il pipistrello emerso dal caos primordiale, le ali maestose, squamate, denti di luce, artigli a interferenza, occhi di brace.

Un volo di prova, una piroetta in aria, le braccia spalancate.

Una croce sospesa, a rischiarare le tenebre.

La volpe carica, le zampe come molle, le piume spiegate, il furore della lotta, il terrore.

Paura, forse.

Paura di morire.

Per mano della persona più cara.

 

**

 

“Brava! Brava Akima! Brava! Bravissima!”

Michelle applaude, gli occhi spiritati, lo sguardo sognante.

“Oh! Che perfezione! Che perfezione, piccola mia! Che bella, che bella! Hai superato i tuoi limiti, la tua overtune! Oh, Akima! Akima!”

Un secondo, un secondo soltanto, per rendersi conto della situazione.

Un tempo esiguo, certo. Ma non sufficiente.

Non basta per salvare Michelle.

Non basta nemmeno per avvicinarsi, per trascinarla via.

Un secondo, un secondo per vederla morire.

Sbranata da una volpe a tre code.

 

15. Mutazione

 

“Non appena abbiamo capito cosa è successo, abbiamo cercato di fermarla, insieme. In quel momento, in quel preciso istante, due ali angeliche, candide sono comparse sulla schiena della volpe.”

“Come poco fa?”

“Esatto.”

Raphaël tampona le narici, parole pesanti, una fitta al cuore.

“Non solo Ylena ha ucciso Michelle. L'ha addirittura assimilata. È come... come se avesse disintegrato il suo corpo, la sua mente e l'avesse assorbita ! È durato un istante, il tempo di accorgercene. Poi, uno scoppio di luce. E silenzio. Uno stramaledetto silenzio di tomba.”

“La sovrastruttura è collassata su se stessa?”

“Sì, qualcosa del genere.”

Le labbra chiuse, le palpebre serrate, concentrate sul dolore, sul passato.

“Quando la volpe è scomparsa, ci aspettavamo di trovare Ylena. Scioccata, forse. Magari ferita, pazza, incosciente. Invece, abbiamo trovato Michelle...”

Lo sguardo alla lapide, al nero della pietra immobile.

“... o quello che ne rimaneva.”

 

**

 

Uno scambio di colpi tremendi. Unghie contro aculei, zanne a cercare la gola, la carne morbida. Sovrastrutture a contatto, in contrasto. Il pipistrello plana, colpisce, torna in aria. Una danza macabra, mille coltelli in caduta libera, a lacerare i muscoli, gli arti di energia distorsiva. La volpe risponde, risuona. Le code come scimitarre, a fendere l'aria, a squarciare il bersaglio.

Una lotta primitiva, letale, un retaggio ancestrale riesumato dal passato.

Uno schianto tremendo, la volpe lanciata contro la parete.

Roke atterra, rimbalza, carica, si lancia.

L'unica occasione di chiudere la storia, di farla finita.

Peccato per i leone.

E per i suoi artigli.

 

**

 

Un corpo di ceramica, solcato da crepe, perlopiù intero. La divisa a brandelli, frammenti grandi come coriandoli. Il torace aperto, una sfera nera emerge dai rottami. E i lineamenti di Michelle, lo stesso viso, gli stessi capelli. Gabriel immobile, incapace di reagire, Raphaël abbandona l'uptune, corre, corre in lacrime, si inginocchia.

“Mi... Michelle?”

La bambola tenuta tra le braccia, inerte.

“Michelle! Apri gli occhi, apri gli occhi, ti prego!”

Giunture, perni, pistoni. Solo il viso incontaminato, a ricordarla come una persona.

“Gabriel! Dobbiamo portarla all'ESPDeC! Presto!”

Lacrime amare, lacrime di pece. Una scatola caduta dalla tasca.

Una scatola con un anello.

“Non... non voglio perderti... così!”

 

**

 

“EiN! Che cazzo...”

“Frena il cavallo, Nosferatu. Questa è la mia battaglia.”

Un calcio in pieno stomaco, il pipistrello fuori oscillazione. Reclute e agenti ad osservare inerti, racchiusi nel timore, incapaci di agire. Paratie di contenimento calate, aperte come scatolette di latta.

“Quella è ancora la mia ragazza, fino a prova contraria!”

“Quella è la creatura che ha attaccato mia sorella, fino a prova contraria!”

Un sorriso tirato, stanco, l'ira ribolle nelle arterie.

“Questo non significa che devo lasciartela uccidere.”

 

**

 

Il corpo steso sul letto, un lenzuolo candido a ricoprirlo fino alla pancia. Il torso spalancato, cavo, simulacri di plastica e metallo in luogo degli organi. Un alloggiamento circolare.

“Siete dei maledetti imbecilli.”

I capelli neri, unti, lo sguardo nervoso sotto gli occhiali. Un tatuaggio a forma di pi greco sul collo, barba corta ma incolta.

“Non ero stato abbastanza chiaro con van Gaal? Niente. Picchi. Di rumore! È già stato un miracolo che io sia riuscito a rimetterla in sesto la prima volta! E adesso? Adesso me la portate rotta! E il generatore distorsivo è andato a farsi benedire!”

“Zvonimir...”

“Dottor Zvonimir Zoranovič Zojimbo, per voi! Ma dico, siamo impazziti? Distruggere il generatore! Una sfera! La perfezione della forma! Il solido geometrico con la minor superficie a parità di volume! Che sacrilegio!”

Raphaël alza il braccio, un urlo gutturale, animalesco. La mano di Orviandre a fermare il pugno, un cenno di riprovazione. Raphaël rilassa i muscoli, arresta l'impeto. Respiri corti, ricolmi d'ansia, battito accelerato a dismisura. François mantiene la calma, il tumulto interiore trattenuto, imbrigliato.

“Deve riaccenderla, dottore. Voglio sapere cosa è successo. E – soprattutto – voglio sapere cosa ci fa una copia di Akima Shizawa nella mia base.”

“Ecco, lo sapevo! Lo sapevo! Io ho solo aiutato van Gaal a curare la ragazza che ha trovato sulla spiaggia di Verlaine. Ho installato le protesi, l'ho sottoposta alle analisi mediche necessarie, ho emesso il nulla osta per l'inserimento nell'ESPDeC. Un solo avvertimento gli ho dato! Uno. Solo. Niente picchi o rischi di tornare una stupida bambola. Punto. Ed è quello che è successo!”

Orviandre immobile, gli occhi chiusi, misura le parole.

“Dottore... assieme alla ragazza, van Gaal deve aver recuperato anche un generatore esterno. Non mi dica che l'ha buttato via perché non ci credo. Deve averlo riconosciuto immediatamente...”

Uno sguardo distratto ai diplomi, alle onorificenze.

“... dopotutto lei ha lavorato assieme a Noah Simmerik e...”

“Va bene! Va bene! Ce l'ho, okay? L'ho tenuto in quarantena dato l'elevato tasso di emissione.”

“Può riadattarlo? Può utilizzarlo per riattivarla?”

“Diciamo che posso provarci.”

 

**

 

Un urto frontale, l'impatto della zampa sul torace, la struttura energetica trafitta, spaccata. Un colpo diretto, a velocità estrema. La volpe barcolla, arretra, un urlo psichico ad alta frequenza.

Una voce.

Devo entrare nel nucleo. Non voglio spegnermi! Non voglio tornare nell'uovo! Non voglio... tornare una bambola!

Roke allibito, immobile, riverso contro il muro grigio. Una vibrazione nei ricordi, un tumulto improvviso. La consapevolezza di un istante.

“No... non... non può essere...”

Il leone ruggisce, la chioma elettrica a squarciare l'aria.

Ruggisce per intimidire, per fermare la follia, un grido disperato.

Fermati, Michelle! Fermati o ti farai male!

Un ringhio in risposta, un ringhio carico d'odio.

Tu non capisci! Se non entro nel nucleo, io smetterò di esistere! Non voglio che EiN soffra! Non voglio che EiN mi perda! EiN mi ama, mi vuole bene! Perché io sono tutto per EiN!

 

**

 

Quattro uomini, attorno ad un letto. Il dottore, il tizio strambo coi capelli unti. Un agente ESPDeC, sulla trentina. Orviandre, il capo. E, infine...

“R... Raphaël?”

Gli occhi spalancati, la gioia, il cuore impazzito, salta in gola per l'emozione.

La ragazza tenta di muoversi, di mettersi a sedere sul lenzuolo candido, i capelli biondi ricadono a ciocche sul viso sottile, sugli specchi celesti.

“Meno... meno male che sei qui! Sono così... contenta! Ho avuto... un incubo, credo. Ho sognato di essere morta, e...”

Un abbraccio inaspettato, le iridi scintillanti, il sorriso da ebete.

“Io ti amo! Ti amo! Volevo dirtelo, volevo dirtelo prima, ma poi... poi... Oh! Non importa! Ti sei svegliata! Ti sei svegliata! Piccola mia!”

Commozione, un rossore appena accennato sulle gote.

“Raphaël...”

Un bacio appassionato, il braccio sinistro stretto al collo, il destro immobile. François incupito, in disparte, Gabriel ancora in stato di shock.

“Oh, Raphaël! Non sai... non sai quanto ho sognato questo momento...”

Raphaël la solleva gentilmente, la aiuta a rimettersi in piedi. Le labbra si sfiorano di nuovo, un dolce calore trasmesso dai corpi.

“Roke aveva ragione! Il mio fratellone...”

Blocco dei muscoli, dei pensieri.

“... alla fine, ho vinto io su Michelle! Ti sei innamorato di me! Oh, Raphaël!”

Il volto cereo, una cappa pesante, aria rarefatta.

“Raphaël?”

Nessuna risposta, nessuna parola.

Solo il gelo di un bacio rubato.

E il rumore di un cuore in frantumi.

 

**

 

La luce spenta, il letto matrimoniale, le lenzuola tirate con forza. Il corpicino ruota nervosamente, incubi ricorrenti, movimenti rapidi, a scatti. EiN si sveglia di soprassalto, schiude le palpebre con lentezza esasperante. Il padiglione auricolare sinistro premuto sul cuscino, il padiglione destro ad ascoltare i lamenti, i mugugni di Michelle.

“R... Roke... Roke... aiuto... Roke... mi manchi...”

Le pupille roteate nelle orbite.

Ci risiamo.

Un delirio notturno. L'ennesimo. Un nome sconosciuto.

Non è che mi tradisce? Se è vero, io gliela faccio pagare, in contanti come il conto del macellaio. L'ho pagato, il macellaio? Sì, e dopo sono andato in edicola. Il titolo del giornale, c'era Veckert in copertina. Senza maschera. Devo tornare al ristorante giapponese, mi piace l'onigiri. Ma smettere di mangiare riso no, eh?

Un flusso di coscienza a frammenti distinti, casuali. EiN spegne il cervello, torna nel mondo dei sogni. E dimentica di aver sentito quel nome.

Ancora una volta.

 

**

 

“Quindi... è questo il mio destino? Essere rottamata?”

“Mi dispiace.”

La ragazza stretta negli abiti arancioni, da carcerata, la schiena appiccicata al muro, i capelli biondi a coprire parzialmente il viso. Orviandre seduto accanto a lei, lo sguardo al soffitto della cella.

“So che è duro da accettare, ma non potevo decidere altrimenti. Hai ucciso Michelle. E il fatto che tu ne abbia assunto l'aspetto è la prova più evidente.”

Ylena rannicchiata, esausta. Il braccio destro mosso a fatica, l'abitudine difficile da sopprimere.

Un silenzio ostinato.

“Puoi anche non parlare, non sei obbligata. Se può farti sentire meglio, Zojimbo ha appurato che Michelle non era più in sé, quando ti ha aggredita. Analizzando i resti del tuo generatore ha ricostruito i suoi ultimi istanti di vita... e i suoi ultimi pensieri. Tu non hai ucciso Michelle, hai solo fermato il suo corpo. Lei era già morta da un pezzo.”

“Allora, perché condannarmi ad essere distrutta?”

“Hai divorato il suo corpo. Il regolamento interno non mi ha lasciato scelta.”

Orviandre la squadra, ne ammira l'aspetto, la forma. Ricordi affioranti, la notte di Neo Helsinki, il risultato del dado.

“Sai, Ylena? A me piaceva Michelle. Sul serio. Niente di paragonabile a quello che provava Raphaël, ma anch'io – a modo mio – le volevo bene.”

“Tutti volevano bene a Michelle, anche se era fredda e insensibile. Nessuno mi ha mai notato. Nessuno mi hai mai detto quanto sei carina, stai proprio bene. Nessuno. Tutti dietro a Michelle, a quella stalker morbosa che mi trattava come un giocattolo. Cos'aveva di speciale?”

Un sospiro sconsolato.

“Per gli altri non so, ma posso raccontarti la mia storia, se vuoi.”

Lo sguardo distaccato, fisso. François lo ignora, le parole riprendono forza, emergono a fatica dalla gola riarsa.

“Quando Michelle è arrivata all'ESPDeC, le ho giocato un brutto tiro. Davvero brutto.”

La mano fruga nella tasca, afferra un oggetto minuscolo.

“In quel momento, c'erano poche ragazze, nessuna veramente interessante. E io ero in piena tempesta ormonale. Quando l'ho vista, sono stato colto dal desiderio irrefrenabile di averla mia. Così, le ho mandato in risonanza la divisa fino a farla esplodere, lasciandola nuda davanti a tutti. Per quella bravata, sono stato condannato a due mesi di disciplinare, oltre a perdere qualunque vera possibilità con lei. In Finlandia ci sono andato a letto, okay, ma è stato solo un disegno del caso. La verità è che io non ho mai smesso di desiderarla... pur sapendo di essermi giocato tutto per la libido di un istante. Non sai quante volte ho desiderato tornare indietro nel tempo e correggere quell'errore. Ho pensato che, magari, se non avessi umiliato Michelle in quel modo, avrebbe potuto ricambiare il mio sentimento. Che se avessi potuto ricominciare da capo, come se non ci fossimo mai incontrati, avrebbe finito per innamorarsi di me e...”

Le dita stringono il cubo, lo mostrano alla luce fioca della lampada.

“... insomma, questa è l'occasione giusta.”

“Un dado?”

“A seconda del risultato, prenderò la mia decisione. Pari, eseguirò la sentenza. Dispari, Zojimbo ti cancellerà la memoria, ti fornirà un nuovo passato, programmato ad hoc... e io ti aiuterò ad imbarcarti per Britannia, nel segreto più totale. Insabbierò la vicenda, cancellerò le informazioni dagli archivi, farò girare informazioni false su un presunto trasferimento di Michelle. Per fortuna, non aveva amiche o amici. Solo Theia, Raphaël e Gabriel. Gli altri nemmeno si curavano della sua esistenza.”

Un lungo sospiro, le palpebre calate, focalizzano il pensiero.

“In caso ciò accada, ti lascerò una sola direttiva ben piantata in mente, non tornare più in Benelance, così eviteremo qualunque problema legato ai tuoi ricordi.”

“E... e se tornassi lo stesso?”

Un sorriso divertito.

“Io sarò qui ad aspettarti, petite.”

 

16. Specchio

 

“EiN! Fermati! Fermati subito!”

Roke in mezzo ai contendenti, le braccia aperte a mo' di croce. La volpe rannicchiata, rigenera la sovrastruttura, le ferite.

Il leone pianta gli artigli nel terreno, la furia omicida nelle zanne perlacee.

Togliti di mezzo, Roke!

“Io non mi muovo.”

Le dita estese, il viso inclinato, iridi rosse, sanguigne.

“Non posso permetterti di colpire mia sorella!”

 

**

 

“Cosa?!”

Raphaël scatta in piedi, le ferite rimarginate solo in parte. Perdite ematiche da entrambe le narici, dai numerosi tagli.

“Sei stato tu! Sei stato tu a lasciarla fuggire?!”

Theia lo afferra per la giacca, lo trattiene con forza. Orviandre sorride debolmente, gli organi interni ripristinati, la rigenerazione quasi completa.

“Sì, lo ammetto. È colpa mia se Ylena è scappata. Solo colpa mia.”

Un calcio in faccia, mirato al naso. Orviandre schiantato a terra, la nuca rimbalza per il contraccolpo. Theia si aggrappa alla divisa, tenta di bloccare i movimenti.

“Monsieur Arnout!”

Uno strattone violento, Theia sbalzata all'indietro.

“Stai zitta! Non è con te che sto parlando!”

Fiamme candide, vampe dirette al cielo, perturbazioni nel tessuto della realtà.

“Non solo... non solo hai tentato di portarmi via Michelle quand'era ancora se stessa. Non solo hai graziato la sua assassina. Hai addirittura pensato di approfittarne, di poter avere la nuova Michelle, di cancellare il passato con un colpo di spugna!”

Orviandre massaggia la contusione, si mette a sedere, guadagna posizione eretta.

“Sì. È esattamente così. Non vedo perché dovrei mentirti. Ah, e il dado era truccato, se te lo stai chiedendo. Non volevo rischiare di perderla di...”

Un'esplosione lucente, Raphaël risplende, vampe di stelle estinte sul manto bluastro.

E il serpente si lecca le labbra.

Ansioso di stabilire il suo dominio.

 

**

 

“Grazie di essere venuto con così poco preavviso.”

“Non deve ringraziarmi, ho fatto solo il mio dovere. Dopotutto, ero già in zona. Verlaine non è così grande... e qui in Danimarca mi stavo annoiando a morte.”

Lacci, tubi, sensori applicati sulla pelle diafana.

“L'ha trovata proprio qui? Sulla spiaggia?”

“Sì, non ho toccato nulla. Avevo paura di farle male... o di beccarmi qualche malattia strana. Ho preferito chiamarla subito.”

“Saggia decisione.”

Zojimbo estrae gli strumenti portatili, lo sguardo fisso sul monitor.

“Dunque, il quadro clinico è piuttosto... complesso. Respira. Ha un battito cardiaco. Ma non è un essere umano, questo posso concluderlo al cento per cento. Osservi, signor van Gaal! Guardi qua! Il moncherino non perde umori, non è cicatrizzato. E oscilla. Oscilla tra carne e ceramica, tra ossa e metallo. Questa... cosa è una bambola in scala uno a uno. In autorisonanza. Vede? Qui nel petto è installato un emettitore sferoidale. È questo a mantenerla in uno stato stabile.”

“Questa cosa ha un nome. Si chiama Akima. Akima Shizawa.”

“Ah, questo spiega tutto. Interessante...”

Le manopole ruotate con cura, scale graduate, pulsanti virtuali premuti in sequenza.

“Signor van Gaal, io posso aiutarla. Posso migliorare il rendimento del distorsore, installarle delle protesi, permetterle di vivere come una ragazza vera... ma ad una condizione: nessuno qui dentro dovrà esserne a conoscenza. Nessuno tranne noi due, beninteso.”

“Per quale motivo?”

La montatura premuta contro il naso con due dita, una smorfia indecifrabile sulle labbra.

“Evidentemente, lei non si è mai interessato alla Storia con la s maiuscola. Shizawa è un cognome maledetto, così come il mio. Se salta fuori che il soggetto in questione è una doll, una creatura sperimentale, la demoliranno seduta stante.”

Un riflesso sinistro sulle lenti.

“Sarebbe un peccato perdere un esemplare così interessante, dico bene?”

 

**

 

Frastuono infernale, uno scontro a tre.

Il leone, la volpe, il pipistrello.

Zanne, artigli, colpi diretti. Roke difende Michelle, si frappone ad ogni assalto di EiN, tenta di annullarlo. La volpe mulina le code, frustate a squarciare l'aria, fratture nella sovrastruttura ferina.

EiN atterra sulle quattro zampe, prepara l'assalto. Un ruggito di sfida, di vittoria. Di disperazione.

Roke salta, attiva la risonanza, plana in picchiata, un colpo dall'alto.

Prevedibile.

EiN scarta di lato, ruota sulla schiena, sul fianco, riprende posizione, balza in avanti.

Meno di un decimo di secondo. Poco, troppo poco.

Troppo poco per Roke, per evitare il contrattacco.

Troppo poco per non perdere le ali.

 

**

 

Spire incrociate, un muro di squame in rotazione. Il drago impatta contro la difesa, si rialza in volo.

Sei un bastardo! Sei solo un bastardo, Orviandre! Hai giocato con i miei sentimenti, con la mente di Gabriel, con la vita di Michelle... per tutto questo tempo?!

Un sibilo ultrasonico, un fischio inudibile, la risonanza placata.

“Io non ho fatto nulla, Raphaël. Ho solo curato gli interessi dell'ESPDeC.”

Le spalle del drago si animano, coni vulcanici emergono dalla pelle blu, bagliori rossi, fiammanti.

Theia trema come una foglia, il cellulare ancora in mano. Dovrebbe chiamare Roke, EiN. Sì, dovrebbe farlo. Se non fosse paralizzata dal terrore.

I coni si accendono, luce accecante, la carica terminata.

Polvere alla polvere...

Sfere di energia fiammante, meteore distorsive, buchi neri di realtà.

Cenere alla cenere!

 

**

 

Roke urla, strepita, l'uptune perduta, la sovrastruttura collassata. Il dolore attraverso ogni poro della pelle, convulsioni come in un attacco epilettico.

“Aaaaaah! Aaaaaaaah!”

EiN serra gli artigli, le ali vibranti atomizzate.

Smettila di agitarti. Non voglio ucciderla. Voglio salvarla.

Roke non ascolta, oscilla, ulula. Un lamento d'inferno, la consapevolezza della sconfitta.

“Ylena... Ylena...”

EiN si ritrae, lascia il campo.

Non posso perdere tempo con te, ora.

Un lampo nella mente, un pensiero fugace. La distrazione di un attimo.

E lo schianto delle code contro la sua schiena.

 

**

 

Fuoco di sbarramento, bombardamento a tappeto. Alberi scorticati, crateri nel terreno, colonne di fumo nero, l'erba bruciata. Dieci colpi al secondo, in rapida successione. L'intera area rasa al suolo, la lapide nera incrinata, l'ologramma di Bertrand attraversato da proiettili esplosivi.

Non smette, Raphaël, non si ferma.

Non pensa a Theia, ai tumuli, ai ricordi.

Non pensa più a nulla.

Una nube grigiastra, emersa dal terreno crivellato. Oscura la visuale, raggiunge il cielo di carbone.

Nessun segno di vita.

Raphaël atterra, guadagna il suolo, il drago scompare.

Crolla in ginocchio, perdite ematiche dalle narici, le ferite riaperte, rigenerazione interrotta dall'ira.

Respiro affannoso, il battito irregolare, sincopato.

I capelli castani sparsi, spettinati, gli occhi spenti.

“Bastardo... bastardo...”

Focolai, nebbia asfissiante, il crepitio delle fiamme.

Nessun segno di vita.

Un sorriso forzato, riflessioni incoerenti, la mente spenta.

La forza di portare la mano alla tasca, di estrarre una scatolina rossa, di aprirla.

“Michelle...”

Di piangere ancora una volta, in silenzio.

Prima di scorgere la sagoma.

 

**

 

Non ho alternative, a quanto pare.

La mia piccola ha imparato bene, mi ha quasi spezzato la schiena. Il suo attacco ha attraversato il leone, ha colpito il mio vero corpo.

Mi rifiuto di ucciderla, mi rifiuto di farla soffrire.

Ma non ho alternative.

Devo ferirla.

Devo fermarla.

Devo farle male.

Ingoio la saliva, ingoio il rospo.

Io ho bisogno della mia Michelle. Non posso vivere più senza di lei.

Anche se ha ucciso la vera Michelle.

Anche se ha assassinato decine di persone, sotto il controllo di Baal.

Anche se è un pericolo pubblico.

Punto i piedi per terra, tento di riaccendere il mio coraggio.

Ora capisco Raphaël. Ora posso compatirlo.

Ma non posso perdonarlo.

Lui si è arreso, ha ceduto alla rabbia, al desiderio di vendetta.

Io non abbandonerò il campo.

Non finché avrò una speranza di salvarla.

 

**

 

“Bello spettacolo. Sono davvero impressionato.”

Orviandre emerge dalle tenebre, il volto segnato cosparso di fuliggine, Theia stretta tra le braccia. Colpi di tosse, i capelli inzaccherati, il ghiaccio degli occhi compatto.

Raphaël alza il capo, le dita immerse nel terriccio, il pugno sbattuto con forza. Una forza limitata, residua, evanescente.

“N... no...”

Orviandre posa la ragazza per terra, incosciente, la mano a ripulire le guance.

“Ora che non ci sono più testimoni, posso evitare di trattenermi. Mi hai fatto un enorme favore a mettere KO Theia.”

La lingua biforcuta a lucidare le labbra, pupille filiformi immerse in un mare giallastro.

“Adesso, posso assimilarti come ho fatto con Gabriel... e con tutte le sue vittime.”

Vampe elettrostatiche, forme a spirale, strali rampicanti.

“... le mie vittime.”

 

**

 

Gli artigli snudati, un attacco letale, diretto, attraverso la pelliccia radiativa.

Il leone perfora il substrato, raggiunge la divisa, la pelle, gli organi.

Michelle urla, grida di dolore, l'essenza biologica in risonanza, la bambola ad oscillare con lei.

Impatto tremendo, al centro del petto, la ceramica spaccata, frantumata.

E il contatto.

Il contatto con la sfera nera.

 

17. Nel Cuore

 

“EiN...”

Dimensione buia, nel vuoto cosmico. Luci estinte in lontananza, volti, sorrisi spezzati. Due figure femminili rannicchiate in posizione fetale, yin e yang, pura energia in forma umana, le palpebre chiuse, i lineamenti sfocati sul corpo nudo. Solo gli occhi e i capelli emergono dal caos. Biondi per una, castani per l'altra.

“Dove... dove sono?”

Un cerchio perfetto, due spettri in rotazione attorno al centro. Una sfera nera, più nera della notte.

EiN tasta il proprio corpo, non riuscendoci. Non ha forma, non ha viso. Solo un fantasma, una visione sfuggente, in un universo immaginario.

“EiN...”

La voce, le voci, un richiamo all'unisono, compassione, tristezza. La ruota della vita. Ylena e Michelle, in un unico corpo. In un'unica mente.

“Qualcuno vuole spiegarmi cosa sta succedendo?!”

Gli occhi aperti all'unisono, l'azzurro in contrasto al verde, mentre i corpi perseverano nel loro moto.

“Noi siamo qui. Noi siamo Michelle.”

Gli sguardi di luce sincronizzati, incrociati.

“La tua Michelle.”

 

**

 

“Quindi, ti sei deciso?”

“Sì. Non voglio più aspettare. Non posso sperare che si sistemi tutto senza muovere un dito.”

Raphaël agitato, eccitato come un bambino di fronte ai regali di Natale. Una scatoletta rossa tenuta tra le dita, un anello lucido, dorato, lo zaffiro incastonato.

“Oggi è il gran giorno, Gabriel. Oggi mi dichiarerò a Michelle.”

“E se ti rifiutasse? Quell'anello ti è costato un occhio della testa.”

Le spalle scrollate con noncuranza.

“Lo avrei comprato anche se mi fosse costato due occhi. Alla peggio, puoi tenerlo tu. Magari, puoi usarlo per la ragazza che ti piace.”

Un sorriso genuino, luminoso.

“No, grazie! Le ragazze danno troppi problemi, troppe preoccupazioni. Meglio i videogiochi.”

“Disse l'uomo incapace di corteggiare Maya, Shiori, Kamila...”

Una pacca sulla schiena, una risata di cuore.

“Bang! Hai fatto centro, Rafale! Un bombardiere nato!”

Uno scambio di complicità, amicizia solida come il cemento.

“Vai e conquistala! Dopo l'addestramento, porto via Ylena, così ti lascio campo libero!”

 

**

 

“N... non capisco.”

Le labbra leccate con cura, a più riprese.

“Dopo aver divorato Bertrand, non sono più riuscito a fermarmi. Avevo bisogno di nutrimento, è diventata come una droga, per me. Ovviamente, dovevo trovare un capro espiatorio.”

“G... Gabriel?!”

Le braccia estese, un'espressione strafottente sul viso.

“Convincerlo di essere uno squilibrato mentale che mangiava i suoi stessi studenti non è stato difficile. È bastato far leva sullo shock per la perdita di Michelle... e su una sua presunta dissociazione della personalità, certificata da un esperto – pagato dal sottoscritto per diagnosticargliela. Prima di essere ucciso.”

L'indice a massaggiare il mento, il guanto insozzato dalla fuliggine a contatto con la pelle.

“Non lo trovi ironico, Raphaël? Dopo essersi convinto della propria colpevolezza, Gabriel ha iniziato veramente a divorare le reclute, riducendo il mio territorio di caccia. Pian piano, mentre lui scivolava nell'abisso più profondo, io mi sono disintossicato.”

Appagamento stampato sul volto, il ghiaccio incrinato dall'arroganza.

“A quel punto, non c'era più alcuna ragione per tenerlo in vita.”

Flash sanguigni, oscillazioni, la realtà di deforma a comando.

“Per tenervi in vita.”

 

**

 

“Michelle è morta. Noi siamo vive.”

“Siamo Ylena, siamo Eva.”

La figura dai capelli castani apre gli occhi, li spalanca all'infinito.

“Io amo Raphaël”

La figura bionda si anima, mentre la prima rimane inerte.

“Io amo Akima.”

Un abbraccio tra le sagome, la ruota del destino bloccata, lo yin e lo yang fusi attorno al centro.

“... ma noi due, insieme... amiamo EiN.”

 

**

 

Il serpente si eleva tra le nuvole, squame vermiglie, corpo affusolato, le zanne snudate. Protuberanze gorgoglianti emergono ai lati, ricci di scaglie costellati da aculei, aculei puntati contro un unico bersaglio.

Un bersaglio immobile.

Le vene pompano, aumentano la pressione, i proiettili pronti al distacco.

Raphaël osserva impotente, lo sguardo stralunato, il drago intermittente. Un ultimo sguardo, a cercare la lapide scura, la pietra nera.

Un ultimo impeto, prima di arrendersi.

 

**

 

“Ehi, ehi, ehi! Un momento! Voi ? Voi chi?”

La figura bionda sbatte le palpebre, brilla di luce propria, per un istante.

“Io sono l'essenza e la ragione.”

L'altra sagoma si accende, un coro di bagliori stellari.

“Io sono il sentimento e la sostanza.”

Le mani giunte, gli sguardi incrociati.

“Insieme, siamo Michelle.”

EiN grugnisce, tenta di comprendere, di trovare una spiegazione.

“I... insieme? Cosa significa?”

Una scintilla nel vuoto, le due ragazze ridono all'unisono.

“Il corpo è di ceramica, la mente è umana. La sfera è il cuore. Fermando la sfera, fermi la ruota. Fermando la ruota, fermi il destino. Fermando il destino, fermi Michelle. Per sempre.”

EiN trascinato verso il centro, verso il fulcro, incapace di reagire.

“Non... non voglio ucciderti... uccidervi...”

“Non hai alternativa. L'artiglio è entrato, ci è entrato nel petto, ha intaccato la fonte.”

“No! No!”

Gli occhi riuniti, puntati sull'uomo.

“Ferma la ruota. Finisci ciò che hai iniziato.”

Le voci sovrapposte, rotte dal pianto, silenzi e sospiri.

“Fallo per noi, ti prego!”

 

**

 

Una risonanza disperata, il drago prende il volo, evita la pioggia di spine. Acrobazie aeree, lo sforzo tremendo di mantenere la forma.

Sei. Lento.

Uno scatto della testa, la serpe spalanca le fauci, zanne acuminate a trafiggere l'aria, il fumo denso dell'incendio. Nuovi aculei, nuove spine, pompate a tutta forza verso le protuberanze esterne, i cannoni rubati a Bertrand.

Una virata, un loop, il tentativo di evitare l'attacco.

Un tentativo inutile.

Una salva impietosa, tiro al piccione, ali traforate, strappate, il corpo attraversato da parte a parte. Il drago crivellato, in caduta libera, gli occhi spenti, la risonanza in frantumi. Le spalle ancora attive, non oscillano, mantengono la forma.

La serpe si lancia verso il nemico, la bocca richiusa attorno alla bestia morente, i denti a penetrare nella carne, a spaccare la sovrastruttura.

Raphaël acquista forma umana, il corpo straziato, ferite mortali, in ogni arto, in ogni organo. Un dente a trapassare il costato, a trascinarlo come una bambola rotta. Dolore lancinante, stimoli diretti al cervello, il midollo interrotto, la spina dorsale spezzata.

Un sorriso sarcastico.

“Sei... un idiota, François...”

I coni vulcanici accesi, dentro le fauci del serpente, il calore bruciante della fornace, la lingua si ritrae, scottata. Orviandre apre la bocca, tenta di sputare, di liberarsene.

Gli occhi sgranati, la pupilla filiforme ridotta ad un punto.

E la testa del serpente salta in aria, in una pioggia di fuoco infernale.

 

**

 

Ci siamo.

È la fine.

La fine del viaggio.

La fine del dolore.

Ora so la verità.

Michelle è morta.

Gabriel è morto.

Io sono morto.

Se esiste un aldilà, ci rivedremo.

Ci incontreremo di nuovo.

Il cerchio si chiude.

La ruota si ferma.

Ma la vita no.

Quella continua.

E io posso fare...

ancora qualcosa.

Qualcosa per loro.

 

 

**

 

Il fumo diradato, un cratere scavato nel terreno, tra gli alberi sradicati. Un uomo in piedi, apparentemente illeso.

Trionfante.

“Un misero tentativo, Raphaël. Rendo onore al coraggio.”

Orviandre troneggia sul cadavere, sui resti mutilati del suo avversario. Scottature su tutto il corpo, arti smembrati, perdite ematiche. Respiro fievole, presente. Ancora per poco.

“Farmi esplodere la testa dall'interno. Un'ottima tattica... se i miei centri nervosi coincidessero con la mia sovrastruttura. Io sono il centro della serpe, il cuore: la bocca è solo un'estensione. Certo, distruggendola, hai annullato la mia risonanza... ma non ti è servito a molto, dico bene?”

I guanti ripuliti dal terriccio, la macabra gioia del carnefice.

“Ora sai come finisce, vero? Io torno all'ESPDeC e dico che ti ho dovuto uccidere per legittima difesa. Theia confermerà, è la mia testimone chiave. E di questa storia non si saprà più niente.”

Un calcio sotto il mento, gli occhi fuori dalle orbite, i denti a ferire le gengive.

Aura violacea, il lupo sovrapposto, odio profondo nelle iridi, nell'anima.

“Sì, certo. Speraci.”

Orviandre istupidito, incapace di reagire, colto alla sprovvista. Un pugno sul naso, un calcio sul pomo d'Adamo, un altro sul ginocchio.

“Non...”

L'uptune esplode, la mano come una zampa artigliata, il torace percosso con violenza, lo sterno fratturato. L'uomo svuota i polmoni, crolla a terra, la testa sbattuta su un sasso, la perdita dei sensi. Theia tira i capelli d'argento, fissa le pupille immobili.

“Miss Dumas non è mai stata tua. Non lo sarà mai.”

 

**

 

L'artiglio frantuma la sfera, polvere in dissoluzione, cocci neri come il carbone.

Il nucleo sovraccarico, scintille, oscillazioni, urla, grida, voci sdoppiate, anime in coro.

La volpe si spegne, un corpo umano scagliato contro il pavimento, la divisa ESPDeC, lo squarcio nel petto, le tre cicatrici sul viso.

Gli occhi chiusi.

“Michelle!”

La risonanza spenta, EiN corre, corre a più non posso, si getta sulla ragazza, le mani tremanti.

“M... Michelle!”

Scuote il corpo, lo scuote con forza, accarezza i capelli, un bacio sulla guancia. Il cuore spezzato.

“...”

Una sensazione strana, sconosciuta. Qualcosa scorre lungo la pelle, tra il naso e gli zigomi. Qualcosa di freddo, liquido. EiN avvicina l'indice, raccoglie la timida goccia, la osserva stupito.

Lacrime.

Le sue lacrime.

Il terreno percosso dai pugni, fino a ferirsi le nocche, fino a sentir male.

“Aaaaaaaaaah!”

EiN risuona, risuona ancora una volta. Non può contenere il dolore, non può esprimerlo in forma umana. Il leone emerge dal nulla, il muso rivolto al cielo, un ruggito assordante, acuto, simile ad un ululato.

Un lungo ululato funebre.

 

**

 

“I medici stanno arrivando, Rafale-chan! È tutto... tutto sotto controllo!”

Un sorriso debole, il drago estinto, deceduto. Nessun residuo di risonanza, di distorsione. Solo un corpo martoriato, irriconoscibile.

“Theia...”

La mano rimasta si muove a scatti, le ossa distrutte, esposte. Uno sforzo titanico, le dita protese, la tasca intatta, la scatola rossa.

“Theia... dalla... dalla ad EiN. Lui... lui saprà...”

“Rafale-chan! No! No! Gliela darai tu! Vedrai che...”

“Ascolta...”

Il respiro mozzato, il battito fermo. Il braccio riverso a terra, immobile.

“... è lei...”

Il tempo di un sorriso, di una carezza sul viso ustionato.

E il drago vola nel cielo, verso il Sole, svanisce tra nuvole candide.

Un canto straziante, lontano, perduto, lo allieta nell'ultimo viaggio.

Un canto di vita, un canto d'amore.

Il dolce canto di un cigno bianco.

 

18. Domanda

 

“Cosa vuoi ancora da me? Non ti è bastato vedermi in questo stato... pietoso?”

La divisa arancione dei carcerati, catene ad assorbimento distorsivo a sigillare mani e piedi. L'abbraccio di una madre rinnegata.

“Volevo parlarti. Dovevo parlarti.”

EiN in piedi, nella cella, la schiena appoggiata alla parete. Gli occhi grigi puntanti su Orviandre, sul viso sporco, la barba di tre giorni, i capelli incolti.

“Complimenti, François. Tra tutti i bastardi che ho incontrato finora, tu sei certamente il peggiore. Quando ti ho mandato la lettera, hai colto l'occasione al volo: usare Michelle per arrogarti il diritto di uccidere Raphaël e Gabriel. E magari anche me, perché no? Certo che te la sei giocata bene. Magari, alla fine, avresti pure voluto Michelle tutta per te.”

“La risposta è , a tutte le domande. Nel mio piano, era prevista anche la tua morte. E quella di Roke.”

Le spalle scrollate, gli occhi spalancati.

“Sfortunatamente, non avevo considerato Theia. La variabile impazzita nell'equazione. Interessante, non trovi? Io che ho dominato il caso per tutta la vita... sconfitto dalle mie stesse valutazioni.”

“No, non è interessante. Per niente.”

EiN liscia la zazzera castana, sistema il giacchetto di pelle.

“Sai perché me ne sono andato dall'ESPDeC, cinque anni fa? Perché non avevo più voglia di essere manipolato, di avere accesso solo ad una parte delle informazioni. Perché rimanendo alle dipendenze di Bertrand, non sarei mai diventato il numero uno.”

Un colpetto di tosse, per schiarirsi la voce. Il tono autoritario, ad imitare la voce di Bertrand.

Non esiste un numero uno, Lorenz. Prima o poi incontrerai qualcuno più in gamba di te.

Il viso sollevato, lo sguardo al soffitto.

“Mi dispiace dirlo, ma aveva ragione. Sono stato battuto. Brutalmente. Da una donna irlandese. E ho capito che la mia era solo un'utopia. Non aggiungerò mai l'ultima lettera al mio soprannome.”

Una foto stropicciata, nella mano destra. Un uomo con i capelli castani, la frangia a coprire l'occhio sinistro. Un ragazzo in divisa azzurra al suo fianco, poco più alto di lui.

“Bertrand credeva in te, molto più di quanto non credesse in me. Il mio successore sarà Orviandre, EiN. È la persona giusta per guidare l'ESPDeC. Sono sempre stato geloso. Molto geloso. Per quanto mi sforzassi, io ero sempre il fratello minore. Per quanto mi impegnassi, Bertrand aveva occhi solo per te.”

Tono stanco, disilluso, gli occhi ruotati nelle orbite.

“Perché mi stai raccontando tutto questo? Vuoi rendermi ancora più pesante l'attesa? Un condannato a morte dovrebbe aver diritto di essere lasciato in pace fino all'esecuzione, no?”

EiN lascia la parete, si dirige verso la porta d'uscita.

“Desideravo solo farti capire cos'hai sprecato, cosa ci si aspettava da te, tutte le persone, le idee che hai tradito.”

La foto lanciata per terra, calpestata col tallone.

“Ah, se può farti sentire peggio... anche Michelle si fidava di te. La mia Michelle avrebbe messo la sua stessa vita nelle tue mani. Un vero peccato che non possa più farlo.”

“C... cosa?! Come sta? Come sta?! Dimmi che almeno lei...”

Un cenno eloquente, lo sguardo vasso.

“Mi dispiace.”

Orviandre nasconde il capo tra le mani, grida, urla di disperazione.

“Tutto... inutile. Tutto. Io volevo che lei... che lei vivesse una nuova vita. Ho... ho fallito anche in questo?”

Occhi di brace, sollevati, puntati al nemico. Il ghiaccio sciolto, le fiamme a divampare nell'iride.

“Perché me l'hai detto?! Preferivo non saperlo! Preferivo crederla ancora viva, avere un motivo di sollievo!”

Un ghigno malefico, denti allineati alla perfezione.

“Non potevo accettare che morissi col sorriso sulle labbra.”

 

**

 

Un lenzuolo, candido, morbido. Caldo.

Le dita afferrano il tessuto con forza, tentano di trovare sicurezza.

Un timido spiraglio di luce, le palpebre aperte al giorno.

Due finestre azzurre, occhi d'oceano, il mare in tempesta, i capelli biondi a ricadere sul viso delicato.

“Mmmmhhh...”

Una camicia da notte, bianca come il lenzuolo. Le pareti bianche. Il soffitto bianco. Un uomo, in bianco e nero. I capelli unti, lunghi, occhiali da vista spessi, barba corta, incolta. Seduto su una sedia bianca, lo schienale di fronte al petto, le braccia incrociate.

“Ben svegliata. Dormito bene?”

Le parole rimbombano, entrano nelle orecchie, si fanno strada fino al cervello, fino al centro di elaborazione primario. Le palpebre si schiudono ancora un poco, come tapparelle sollevate con pigrizia.

“Dove... sono?”

“Nell'infermeria dell'ESPDeC. Hai dormito per una settimana.”

“Una... settimana?”

Un telefono fisso a tasti, del vecchio tipo, un numero composto in fretta e furia.

“Signor Kristhhoffer? Sono Zojimbo. Il passerotto è tornato al nido. Pronto? Pronto?”

Uno sbuffo indispettito.

“Ha riattaccato. Che strano...”

Passi pesanti, veloci, all'esterno della stanza. Il pavimento metallico rimbomba, tuona ad ogni colpo. La porta spalancata, Zojimbo ruota il capo di scatto.

“Ah, ecco. Credevo che...”

“Michelle!”

Un uomo alto, vestito nella sua giacca di pelle strappata. Pantaloni scuri, rattoppati, borchie a forma di uno, occhi grigi, capelli castani. Un sorriso a trentadue denti.

Una debole risposta, a voce bassa. La speranza in tre lettere.

“E... EiN...”

“Si è appena ripresa, le consiglierei di...”

Un calcio alla sedia, Zojimbo perde l'equilibrio, mulina le braccia, crolla rovinosamente a terra.

“Ahio! Ma le sembra il modo?”

EiN non ascolta, si siede sul letto, sulle lenzuola immacolate, prende la mano della ragazza, vince il freddo, il contatto con la pelle gelata. Pelle biologica, non ceramica. Materia vivente. Un tocco fugace sul viso, sulle tre cicatrici, sulla punta del naso, come a controllare che sia tutto a posto.

Un secondo dopo, l'abbraccio del gigante, le lacrime agli occhi.

“Ti sei svegliata! Ti sei svegliaaaataaaaaaaaa!”

Lo scricciolo tra le braccia del leone, un leone fragile, insicuro, nascosto da una maschera di spavalderia. Michelle sgrana gli occhi, tenta di ricordare, di ricostruire il puzzle.

La sfera nera, il generatore spaccato, la vita che sfugge come un fiume invisibile.

“P... perché non sono morta? Perché non sono tornata una bambola?”

Zojimbo si rialza, la schiena piegata, la sedie rimessa in posizione. Gli occhiali premuti contro il setto nasale.

“A-ehm... Credo di potervelo spiegare io.”

Il dottore cammina goffamente, l'indice puntato verso il petto di Michelle.

“Lo sferogeneratore distorsivo che abbiamo montato dentro di te dopo l'incidente di due anni fa era circa venti, trenta volte più carico di quello originale. Il rilascio di rumore che rendeva possibile l'autorisonanza è stato quindi più elevato e stabile. Ciò ha permesso al tuo corpo di trasformare la propria overtune in una forma base.”

EiN incredulo, gli occhi spalancati a più riprese.

“Aspetti solo un secondo. Questo significa...”

Un luccichio sulle lenti, le dita intrecciate.

“Questo significa che la signorina Dumas non tornerà mai più ad essere un oggetto inanimato. Non aveva già più bisogno del generatore. Ormai, era persino superfluo, dannoso.”

Michelle si mette a sedere, il lenzuolo leggermente abbassato.

“Quindi... era quello la causa delle mie sovraoscillazioni improvvise? Il mio corpo ha avuto una specie... di rigetto?”

“Sì e no. , nel senso che – non necessitando più di un flusso costante di rumore – l'energia in eccesso doveva essere in qualche modo... scaricata. No, nel senso che Il generatore era il mezzo. Il maggior impulso alla trasformazione era dovuto ad un fine, uno scopo ben preciso: istinto materno protettivo.”

EiN massaggia la nuca, lo sguardo diretto al soffitto, un velo di agitazione mascherata, l'intuito a lavorare in sottofondo.

“Cosa dovrebbe significare?”

Zojimbo salta sulla sedia, l'indice a sfiorare le labbra.

“Uh! Che sbadato! Non ve l'ho detto?”

Un rapido tocco sulla tastiera, l'immagine proiettata dallo schermo olografico.

“La signorina Dumas è incinta di due mesi.”

La bocca spalancata, gli occhi sgranati, i capelli biondi mossi con impeto.

“EEEEEEEEEH?!?!”

EiN rigido come uno stoccafisso, i muscoli marmorizzati.

“Di chi?!”

Un'occhiataccia azzurra, le gote paonazze.

“Come sarebbe a dire di chi?!?”

“Beh, lo sai! La madre è certa, il padre...”

Uno schiaffo a mano aperta. EiN massaggia la guancia, le cinque dita stampate.

“S... scherzavo! Era... era solo una battuta! Eh, eh. Eh. Eh.”

Un lungo sospiro.

Mi sa che dovrò affrettare i tempi.

EiN si schiarisce la voce, un rumore gutturale, improvvisato.

“Ci ho pensato a lungo, Michelle. Ma parecchio, eh. All'inizio, sono uscito con te solo per tenerti d'occhio, lo ammetto. Poi, poco per volta, mi sono iniziato ad affezionare. E l'affetto, alla fine, si è trasformato in qualcosa di più.”

La mano fruga nella tasca, una scatolina rossa tenuta tra le dita.

“Il fatto è... che noi due ci completiamo. E non mi interessa se eri una bambola di ceramica, se il tuo nome non era Michelle, se non avevi i capelli biondi e gli occhi azzurri. Io vivo nel presente, il passato è buono solo per i romanzi. E il mio presente sei tu.”

Il coperchio sollevato, l'anello d'oro, lo zaffiro scintillante alla luce dei neon.

“Michelle... vuoi sposarmi?”

Michelle stringe le coperte, le gote dolcemente arrossite, le palpebre semichiuse, in contemplazione.

“Oh, EiN...”

Le dita protese in avanti, a sfiorare le labbra del leone.

“La mia risposta è...”

 

 

2064 – Aubépine, Benelance

 

“Ma dai! Sei stata davvero sul set di Eliphya? Quanto ho amato quella serie! Ho visto tutte le puntate fino alla fine della penultima stagione. Poi, ho perso interesse: la nuova Eliphya non mi ha convinto per niente.”

“Sì, anche a me ha dato un po' di fastidio la morte della protagonista.”

Chiacchiere amorevoli, una ventina di persone, abiti eleganti ma non troppo. Veckert vestita di un completo di sartoria, un tubino azzurro polvere con lunghi stivali e guanti neri, i capelli acconciati in una lunga treccia. E Geri al suo fianco, come sempre, la guancia appoggiata sulla spalla dell'amata. L'altra ragazza sorride, sistema il vestito, osserva con occhi scintillanti la coppietta.

“Quindi, voi due convivete da un anno?”

“Sì, esatto! Da quando ho potuto togliermi quella maledetta maschera, la mia vita è cambiata all'improvviso! Qual è la tua storia, invece? Sono curiosa di sapere come sei finita assieme a Roke.”

La ragazza arriccia i capelli castani, riordina l'acconciatura.

“Beh, può sembrare strano, ma l'ho conosciuto per puro caso. Ero insieme a Yuri e Jazele, i miei migliori amici, per una vacanza in Francia e...”

Chiacchiere, parole in libertà. Il passo pesante di un lucertolone, la barba ispida, gli occhiali da Sole, lo smoking aderente, la cravatta troppo stretta.

“Potevano organizzarlo da me, il ricevimento. Avrebbero riempito le mie casse. E si sarebbero scusati per avermi portato via la ragazza migliore per una sera. No, io questi due proprio non li capisco. Ma si sa: sauri e leoni non vanno d'accordo. Figuriamoci sauri e volpi.”

“Puoi farla finita, Dkrav'lest? Se sapevo che finiva così, chiedevo ad EiN di non invitarti.”

Rika fasciata in un tailleur scuro, i capelli rossicci, naturali, uno sguardo obliquo a Veckert.

“Certo che senza maschera sei ancora più affascinante...”

“Come hai detto?”

Un velo di imbarazzo, le parole rimangiate.

“Oh, niente di importante. Ci avviciniamo all'altare?”

“Sei tu la testimone di nozze. Non io.”

Kroemer vestito di un completo nero, i capelli cresciuti fino alle spalle, l'apparecchio acustico nascosto. Blame immobile, vicino alle colonne, gli shotgun disattivati per l'evenienza. Caricati a riso.

“>Probabilità di essere ridicolizzato: 87.2%”

“Cosa devo dirti, vecchio mio... ordini dall'alto. E poi, è per una buona causa.”

“>Questo non cambia la situazione.”

Alcune botti di vino, ben chiuse. Una creatura serpiforme seduta sul legno stagionato, a discutere con un uomo in camice da laboratorio, coi capelli lunghi e la barba incolta.

Ssssecondo me, la sssscienza non potrebbe essssisssstere ssssenza alcool. L'alcool dà isssspirazione, divertimento.”

“Non sono d'accordo. Senza sfere non esisterebbe la scienza. La sfera è la forma più pura di perfezione mai esistita e, come tale...”

L'ologramma di Bertrand, proiettato alle pendici della collina. Le immagini di Raphaël e di Michelle – della sua Michelle – a poca distanza. Theia taglia l'erba, cura il prato con cura, pulisce le lapidi levigate, il cappello di paglia in testa. Il rintocco di una campana, le cesoie lasciate a terra, una roccia come sedia improvvisata. Un istante di pausa per ammirare, da lontano. E rubare un'immagine della sposa, da conservare gelosamente nel cuore.

La chiesa all'aperto, un enorme giardino, archi ornamentali di ferro battuto a delineare una navata immaginaria, di fronte ad un bunker dismesso, trasformato in sala per cerimonie. L'altare centrale, l'ufficiale pubblico - il commissario capo di Yard – in posa, il frasario tenuto stretto, i capelli rossi appuntiti, un tatuaggio attorno all'occhio destro. E una figura agitata, scossa da tremiti, a pochi passi da lui. Un uomo alto, longilineo. I capelli castani, lunghi fino alla base del collo. Occhi grigi, inquieti, le lenti adattive per ridurre il flusso luminoso, il mento affilato. Giacca nera, fiore all'occhiello, pantaloni in tinta. Parla tra sé e sé, per tranquillizzarsi.

“Calmati, EiN. Andrà tutto bene. Tutto secondo i piani.”

“Nervoso, eh? Dovresti calmarti, ragazzo mio. Non è la morte di nessuno.”

“No, maggiore Boost. Ma potrebbe diventare il suo funerale, se qualcosa va storto. Ad esempio, se pronuncerà il mio nome completo.”

Un grumo di saliva inghiottito a fatica, il libretto trattenuto tra le dita vigorose.

“Tenterò di ricordarmene.”

Un applauso, un boato. EiN si volta, inquadra i nuovi arrivati.

Un uomo, capelli azzurri, spinosi, iridi scarlatte, completo bianco, un fazzoletto rosso a fare capolino dalla tasca – una bandana ripiegata?

Al suo fianco, una figura minuta. L'abito bianco da sposa, lo strascico, il velo a coprire il viso. Tra le braccia, un fagotto addormentato, la nuova vita affacciatasi sul mondo, appena qualche mese prima.

Il passaggio attraverso la folla, gli invitati applaudono, il silenzio solenne, subito dopo.

Roke prende con sé il bambino, lascia che la ragazza raggiunga l'altare. Veckert e Rika si staccano dalla folla, si portano ai lati.

Il breviario aperto, il monologo dell'autorità.

“Dunque... siamo riuniti qui oggi per celebrare l'unione di due spiriti affini, di due giovani che hanno trovato l'uno nell'altra il sostegno e l'amore reciproco di cui avevano bisogno. È con estrema gioia che mi accingo a...”

EiN rotea gli occhi. Un gesto della mano destra, piuttosto eloquente.

Un respiro tirato, Boost sbuffa vigorosamente.

“D'accordo, d'accordo.”

Il libretto aperto alla pagina giusta, il tono solenne.

“Vuoi tu, Loren... EiN, prendere in sposa questa donna?”

La tensione sciolta, le lettere fluiscono rapide.

“Sì, lo voglio.”

“E vuoi tu, Michelle Ylena van Gaal, prendere come sposo quest'uomo?”

Un cenno del capo, la voce vibra nella luce del tramonto.

“Sì, lo voglio.”

EiN solleva il velo, incrocia due portali sull'infinito, la placida tranquillità dell'oceano. Accarezza le cicatrici, i capelli d'oro di Michelle.

Le labbra a contatto, un bacio appassionato, gli occhi chiusi, sognanti.

Boost interdetto, aspettate manca ancora..., ma non ha importanza. Non per loro.

E mentre il Sole svanisce dietro la collina, le nuvole formano una figura bizzarra.

Un cigno e un dragone, abbracciati nel cielo, uniti per sempre.

Ancora una volta.

 

Fine

 

 

 

 

 

 

 

2064 – Terra di Nessuno, Zona Morta

 

Il Sole a picco sul deserto artificiale. Soldati in divisa, poliziotti in assetto da guerra, appena fuori dallo SHIELD. Mitra imbracciati, sguardi nervosi, gesti scaramantici.

Uno scienziato inginocchiato sulla sabbia, uniforme protettiva, capelli bianchi nonostante l'età, pelle diafana. Quasi albino.

“Non credo di aver mai incontrato nulla di simile...”

Kroemer avanza, la polvere appiccicata agli stivali, il comunicatore in mano.

“Proprio per questo l'abbiamo chiamata, dottor Tey. Quando i sensori esterni hanno rivelato una biomassa di quelle proporzioni, non sapevamo come comportarci. Assalti di emofagi ne ho visti parecchi, ma non di questa entità.”

La mano tasta la pelle rossastra, ruvida, le iridi azzurre a fissare le ferite, i tagli.

“No, è completamente fuori strada, comandante. Non avevano intenzione di attaccarci.”

Si alza dal terreno, scrolla la sabbia di dosso.

“Stavano cercando disperatamente aiuto.”

Una distesa di cadaveri. Centinaia, migliaia di emofagi dalla livrea scarlatta, riversi a terra.

Prosciugati.

Kroemer abbassa l'arma, un'occhiata fugace allo SHIELD.

“Torniamo a St. Patrick?”

“No, non ancora. Voglio prelevare un campione di questi strani fiori.”

Un colpo deciso, lo stelo strappato dal polso della creatura. La corolla esaminata con cura, ruotata lentamente tra le dita.

“Crisantemi. Rossi come il sangue. Dev'essere una specie parassita.”

Il dottor Tey raggiunge il gruppetto, gli Onirazor a fare buona guardia.

Kroemer ruota il capo, senza preavviso, guarda a destra, a sinistra.

“Cos'ha comandante? Qualche problema?”

“N... no, nulla. È solo che per un attimo mi è sembrato...”

L'intero altopiano setacciato, mulinelli d'aria e polvere, arbusti rinsecchiti. Un sospiro grave.

“... sì, mi è sembrato di scorgere un uomo, tutto qui. Un'ombra dagli occhi viola.”

Il deserto osserva muto, celato da una maschera.

Una maschera di metallo.

 

 

Fine?