Distortionverse: Chapter 3B - Sharoine (2014)
Tra il 2014 e il 2015 ho scritto sei romanzi brevi che assieme formano il ciclo di Distortionverse, raccogliendo storie, spunti e personaggi da giochi e altri racconti mai completati. Per molto tempo, questi romanzi brevi sono rimasti disponibili solo su Amazon Kindle e tramite Createspace come copie fisiche. Dieci anni dopo, voglio archiviarli sul mio sito personale per evitare che vengano perduti per sempre. "Sharoine" (portmanteau di Share Heroine) è la seconda parte di Luci dalla Cenere, una storia che fa parte del materiale aggiuntivo che dà corpo all'universo di Distortionverse, concentrandosi sul personaggio (fittizio) di Eliphya e sull'attrice reale che la interpreta. La versione pubblicata ha un lieto fine aggiuntivo (Atto VII), ma a conti fatti e ad anni di distanza, preferisco la brutalità dell'originale. Non c'è pietà nel mondo di Distortionverse, neppure per un'eroina. Decidete voi se l'ultimo atto esiste o no, vi lascio libero arbitrio. Come tutto ciòche ha a che fare con questo universo, potrebbe semplicemente essere un'interferenza da un mondo in cui le cose sono andate diversamente.
2061 – Sangris, Benelance
Atto I. Confronto
Un salto acrobatico, una piroetta nel cielo e sono di nuovo a terra, in piedi, pronta a combattere. Il Conte Sebastien mi fissa con gli occhi sbarrati. Devo averlo scioccato, evitando quel suo vortice di rose turbinanti. Forse credeva che fosse infallibile, che potesse eliminarmi.
Sorrido.
Sebastien è solo un illuso: per quanto si impegni, non potrà mai sconfiggermi. Certo, è forte, possiede poteri straordinari ed è furbo, molto furbo... ma è solo una pedina.
Una pedina dell'Imperatrice.
Si aggiusta la maschera con un gesto elegante, risistemandosi il cilindro nero e i capelli fucsia. Non ho mai capito se i miei nemici si vestano al buio o abbiano perso una scommessa. Hanno dei look veramente osceni!
Io mi vergognerei, se fossi in loro.
Sospiro malinconica.
A conti fatti, non sono messa molto meglio. Il mio costume è fin troppo leggero, troppo pieno di trasparenze, troppo corto... troppo tutto! Eppure lo indosso, ogni giorno, per almeno tre ore.
Straordinari esclusi.
Sebastien mi assale con la sua parlantina fluida e aristocratica, lodando la mia leggerezza, paragonandomi ad una farfalla dalle ali trasparenti e dipinte dei colori del cielo. Be', per una volta ne ha azzeccata una. Ho qualcosa in comune con una farfalla, almeno secondo l'Imperatrice.
E non è la bellezza.
Un lampione salta in aria alle mie spalle, avviluppato da rose nere come la pece. Una sinfonia di petali e spine, lanciati all'unisono contro la sottoscritta. A quanto pare, ha deciso di fare sul serio, questa volta. Il mese scorso non era ricorso a questo trucchetto da avanspettacolo.
Liane aculeate dalle sue mani, ornate da corolle color della notte. Salto a destra, una capriola, mi appoggio al muro, mi do la spinta, mi proietto verso il cielo infinito.
Se state ancora pensando a quello che ho detto prima, temo di dovervi dare un altro dispiacere. Io non so volare. Non è questo che mi rende simile ad una farfalla.
Atterro su un cassonetto dell'immondizia – chiuso, per fortuna – fletto le gambe e mi proietto in aria. Alle mie spalle, un roseto di tenebra strazia i muri e la pavimentazione stradale.
Non ci faccio troppo caso. Sebastien è sulla mia traiettoria.
Un calcio in piena fronte, il cappello vola via, la maschera gli si appiccica al volto cereo, i capelli scompigliati. Un rivolo di sangue dalla narice sinistra.
Uh-oh.
Questo non era previsto.
Gli ho rovinato il makeup.
Ringhia come una bestia in gabbia, dimenticandosi per un attimo di essere un esteta. Chissà quanto gli costa farsi dipingere il volto di bianco ogni santa volta che commette un crimine?
“Il mio naso perfetto... il mio trucco... maledetta!”
Un lampo d'ira nelle sue pupille – oh, no! Dimmi che non è vero!
Conosco quell'espressione... e so cosa mi aspetta. Inizio ad essere stanca di questo genere di cose.
Sebastien esegue un ampio volteggio su se stesso, aprendo il mantello. Una marea di spine, un muro quasi verticali di aculei, rivolti verso di me, a velocità supersonica.
Dev'essere il momento critico della battaglia, sta a me sopravvivere o meno.
Inizio a sentire lo spostamento d'aria sulla pelle, le frange del mio vestito mosse dal vento. Non ricordavo che il Conte fosse dotato di un attacco del genere, devo pensare... e in fretta!
Ho ben sei decimi di secondo prima di diventare una perfetta riproduzione in scala uno a uno di un cactus. Un tempo sufficientemente lungo per riflettere su quale sia la mossa migliore.
Tre decimi all'impatto.
Mi lancio a terra, in scivolata, evito completamente il muro di rovi. Quasi completamente, ad essere sincera. Gli aculei più bassi riescono a ferirmi di striscio, strappandomi il costume in più punti, sui guanti, sulla pancia, sul seno... ordinaria amministrazione, insomma.
Ormai ci sono abituata.
Mi rialzo, corro verso di lui. Devo finirlo.
Ora o mai più.
“Vediamo se sei in grado di scamparla anche stavolta!”
Solite frasi fatte da supercattivo. Dovrebbe licenziare chi gli scrive i dialoghi.
Ma non ho tempo per lamentarmi ad alta voce.
Una nuova ondata di spine – più bassa – si dirige verso di me. Mi sa tanto che eseguire una nuova scivolata potrebbe essermi fatale. Qual è l'alternativa? Ah, sì.
Mi stupisce non averci pensato prima.
Alzo gli occhi, cercando istintivamente di specchiarmi da qualche parte. Mi hanno detto che ogni volta che attivo un potere, mi si illuminano le iridi. Peccato che non sia mai riuscita a vederlo di persona.
Okay, è il momento. Devo solo gridare una frase ancora più stupida di quelle di Sebastien e sarà tutto finito.
Probabilmente sarà lui a diventare un puntaspilli.
Ho ancora un decimo di secondo per pensare.
In effetti, non so se sopravviverà o meno a questo incontro.
Sul copione c'è scritto soltanto che in questo episodio lo sconfiggerò.
Tutto qui.
Atto II. Eliphya
“Sei stata perfetta, un colpo di scena grandioso! E poi, quando lo hai soccorso, curando le sue ferite...”
“Certo, certo. Ora posso andare?”
Taglio corto. Odio il regista. Odio lo sceneggiatore. Odio tutti quelli che lavorano a questo dannato spettacolo. Ovunque si posi il mio sguardo, riesco a scorgere solamente schermi.
Ed ecco i risultati dell'auditel.
Uno share dell'ottantaquattro virgola sedici percento. Non male, mi dicono. Migliore rispetto alla puntata di ieri di circa sei punti. Cosa può aver causato questo aumento?
Il fatto che io abbia deciso di salvare il mio avversario? O la panoramica di un paio di secondi sul mio seno destro?
Direi la seconda, conosco abbastanza bene gli spettatori. Li immagino chiamarsi l'un l'altro, al telefono o via internet...
“Ehi, gira sul sesto canale, che Eliphya ha uno strappo sul vestito! Le si vede addirittura una tetta!”
Disgustoso.
Semplicemente. Disgustoso.
Ma è così. Non posso farci nulla.
Mi ritiro nel mio camerino, evitando di parlare con chiunque. Mi innervosisce sentirmi dire cosa ho sbagliato, cosa avrei potuto migliorare, come avrei dovuto agire, cosa non avrei dovuto fare.
Tutti vogliono esprimere il loro personale parere sull'episodio – ma proprio tutti, eh? Dal tecnico delle luci al visagista, dal terzo assistente generico al tizio che è stato invitato ad assistere alle riprese. Senza contare i commenti degli spettatori a casa, quelli che compaiono sugli schermi posizionati attorno al set. Già, perché è tutto schifosamente, rigorosamente in diretta.
Chiudo a chiave la porta, mi guardo allo specchio.
Eccola, Eliphya, la paladina del bene.
Capelli celesti lunghi fin quasi alla vita, accarezzati qua e là da ciuffi verde acqua, occhi smeraldini – occidentali ma con un pizzico di mandorlato – un pizzico di rossetto turchese sulle labbra sottili, un nasino aggraziato. Top bianco lungo sino all'ombelico, collarino semitrasparente color carta zucchero, munito di due frange argentate che ricadono sui seni, spalline impalpabili azzurro chiaro, minigonna diafana dello stesso, odioso, colore che nasconde – per modo di dire – degli slip bianchi di pizzo. Per completare il quadretto, aggiungete due alucce candide, quasi invisibili, sulla mia schiena – solo decorative, vi ho già detto che non volo – guantini neri, un paio di stivaletti della stessa tonalità con fregi d'argento e due orecchini a forma scintillanti a forma di stella. Dimentico qualcosa?
Ah, sì. Il tatuaggio sulla pancia, il serpente attorcigliato all'ombelico, chiuso ad anello, intento a mordersi la coda.
Ecco cosa sono.
Ecco cosa ho smesso di essere, almeno per stasera.
Mi strappo il costume di dosso, lo riduco in coriandoli, ogni singolo indumento, lo straccio, lo faccio a pezzi, a pezzi! Tanto me ne daranno un altro uguale, lunedì!
Sto piangendo? Sì, sto piangendo!
E allora?
Il punto è che non ha senso, non ne ha proprio!
Entro nella doccia, apro l'acqua, calda, più calda possibile, un inferno! Il rossetto si scioglie, il trucco scivola lungo il mio collo, i miei capelli si accorciano, perdono la tinta, tornano ad un sobrio castano chiaro misto al biondo cenere, il loro aspetto naturale. Mi strofino l'addome con la spugna, con forza, con violenza, fino a far arrossare la pelle, fino a sentir dolore. Voglio cancellare il serpente, voglio cancellarlo, distruggerlo, spazzarlo via, via!
Ed Eliphya va a farsi benedire... per almeno due giorni.
Un weekend libero, quasi non ci credo! Nessuno speciale, nessuna puntata a sorpresa la domenica alle due di notte, quando possono farmi vedere integralmente nuda senza problemi di censure!
Basta così, per ora.
Sono di nuovo me stessa.
Cosa rimane di Eliphya quando esco dal camerino?
Solo quel maledetto tatuaggio sull'ombelico.
Sospiro.
Non ne vuole proprio sapere di andare via.
Atto III. Pausa
“Quindi la tua serie sta per finire?”
“Più o meno.”
Bevo un sorso d'acqua. Con la pancia ben coperta, nessuno può riconoscermi. Ed è un bene, non ho molta voglia di parlare.
“Non mi sembri molto convinta.”
“No, infatti.”
La crêperie non è molto affollata, ci saranno al più dieci persone. In fondo, è un locale piccolo, quasi in periferia... ma è proprio per questo che l'adoro. Yuri e Jazele la pensano come me. Sono amici, loro. Amici veri. Gli unici con cui ho potuto aprirmi senza rimorsi, senza rimpianti.
“Perché oggi hai salvato Sebastien? Tutti pensavano che l'avresti ucciso, dopo l'umiliazione che hai subito nella puntata speciale del mese scorso...”
Jazele alza la testa di scatto solo a sentire il nome del Conte Sebastien. È piuttosto popolare tra le ragazze.
Io lo detesto.
Sorrido nervosamente.
“Alludi al mio striptease con contorno di rose nere spinose urticanti? Sì, lo pensavo anch'io. Il regista mi ha giocato davvero un brutto tiro, quella volta.”
“Cosa ti ha fatto cambiare idea?”
Scrollo le spalle.
“Sai quante mail di protesta se fosse morto per mano mia? Avrei infranto i sogni di centinaia di teenager affamate che non desiderano altro se non farsi spogliare dai suoi rovi animati.”
Una pacca forte sulla spalla. A momenti, mi cade il bicchiere di mano. Mi volto. Yuri ride di gusto.
“Però devo ammettere che quell'episodio mi è piaciuto parecchio. Ricordo che mi ero puntato la sveglia alle due per poterlo vedere dall'inizio!”
La sua mano si muove velocemente, si ferma poco sotto il mio seno sinistro.
“Sai, non sapevo che tu avessi un neo proprio qui.”
“Te la sei riguardata proprio bene quella puntata, eh?”
“Cosa c'è di male? Se si trascura quella sequenza, è comunque il combattimento più bello che ti ho visto interpretare.”
“Ma Sebastien non muore, vero? Lo hai salvato perché ti piace? Nella finzione, intendo...”
“No, se devo essere sincera mi fa schifo. Mi ricorda una versione gay del Milord di Sailor Moon, hai presente? Quel cartone degli anni novanta...”
“Preistoria dell'intrattenimento!”
“Già, ma con un suo fascino.”
E meno male che non volevo parlare di lavoro, stasera. Però, a parte questo, con Yuri e Jazele mi trovo bene. Mi hanno aiutato parecchio, in un momento difficile. Non sono mai riuscita a sdebitarmi del tutto con loro.
“Dai, dammi qualche anticipazione! Non ce la faccio ad aspettare fino a lunedì! Cosa succederà la prossima volta?”
“Non credo tu volta realmente saperlo, Jazele.”
Unisce le mani in preghiera, le dita serrate, lo sguardo languido.
“Ti prego!”
Il sorriso più malevolo si stampa sul mio viso, ironico e sarcastico allo stesso tempo.
“L'Imperatrice uccide Sebastien per il suo fallimento. Lo soffoca con le sue rose.”
Jazele scoppia quasi in lacrime, come una bambina che ha appena perso la bambola. Possibile che uno stupido show televisivo abbia tutto questo successo?
Be', a pensarci meglio... sì.
Forse è il fatto che non tutto è finto a renderlo così interessante.
I miei combattimenti sono veri, le spine sono vere, le rose, i lampioni esplosi, il sangue sul volto del Conte. Tutto vero. Anche i miei poteri, dal primo all'ultimo.
Solo fino a quando recito, beninteso.
Le mie facoltà sovrannaturali si accendono solo sul set, così come quelle di Sebastien e degli altri. Siamo stati creati apposta, dopotutto. Geneticamente modificati per compiere un'impresa straordinaria: recitare fino quasi ad ucciderci a vicenda in un reality-telefilm. C'è una sola regola: il bene deve trionfare.
Ma non è scritto da nessuna parte che l'eroina debba uscirne illesa.
Vorrei tanto stringere la mano ai miei genitori... in una pressa idraulica. Sì, avete capito bene. E vorrei sentire le loro grida di dolore mentre giro la leva per frantumargli le articolazioni delle falangi.
Mi hanno venduto alla RealLifeAnime quando avevo due anni, così quei bastardi e i loro scienziati mi hanno trasformato in un fenomeno mediatico. L'unica cosa che li salva è che i miei poteri si spengono fuori dagli studios, altrimenti li avrei già uccisi tutti, quei porci approfittatori, uno ad uno. Non posso neanche farli fuori mentre recito, possono spegnermi quando vogliono.
Svuoto il bicchiere e lo poso sul tavolo.
Per fortuna, fra poco sarà tutto finito.
Atto IV. Fuori dal Tunnel
Tornando a casa – un orribile casermone grigio adiacente agli studios – mi guardo un po' attorno.
Cartelloni pubblicitari a destra e a sinistra, giganti, impossibili da non notare. Pubblicizzano magliette, giocattoli, gioielli, lenti a contatto, rossetti, profumi, cosmetici, persino un'automobile.
Tutti con la mia odiosa immagine stampata.
Eliphya.
La paladina del bene.
Un'eroina che combatte in un programma televisivo contro dei supercattivi costruiti ad arte per appassionare il pubblico. Ogni volta che uno viene eliminato, si passa a quello successivo.
E se muore l'eroina... be', si sostituisce. Che problema c'è? Ci sono almeno altre due ragazze che hanno il mio stesso aspetto, una volta attivate. Se per caso mi facessi male e non potessi più recitare, mi rimpiazzerebbero senza pensarci due volte.
A ben vedere, non è così difficile da credere.
Il pubblico conosce solo l'aspetto televisivo di Eliphya. Solo pochi sanno qual è il mio vero volto sotto il trucco.
Sospiro.
In fondo, non sono altro che una bambola, una action figure a grandezza naturale che combatte altri burattini. Ne ho uccisi anche un paio, ora che ci penso. Ragazzi e ragazze come me, condannati ad accendere i sogni degli adolescenti e a risvegliare gli animi degli adulti...
Oddio, oddio cosa ho fatto?
Perché me ne rendo conto solo ora?
Io ho ucciso, maledizione, ho ucciso in diretta TV! E nessuno mi ha fermato, anzi! Mi hanno lodato, si sono complimentati per l'audience!
Ho vissuto in un castello di carta?! Sì, ma in fondo è solo colpa mia.
All'inizio mi faceva piacere, devo ammetterlo. Ho iniziato a tredici anni, mi identificavo con le eroine dei cartoni animati, mi sembrava bello avere tutti quei poteri, creare scudi di luce, fasci di energia pura solo gridando nomi fighissimi, come petalo di luna! o pioggia celeste!, facendo interminabili discorsi sulla giustizia e sull'amicizia, sconfiggendo nemici che sembravano saltati fuori da un fumetto giapponese... il sogno di ogni bambino!
Bambino.
Appunto.
A diciassette anni ho iniziato a chiedermi perché. E, non trovando risposte, mi sono rifugiata nella droga.
Senza genitori, senza regole... come facevo ad accorgermi che stavo sbagliando? In fondo, io vivevo in un mondo in cui non potevo morire.
O almeno, così credevo.
Durante la prima crisi di astinenza ho tentato il suicidio. Penso di essere stata sul punto di buttarmi da un ponte, anche se non ne sono proprio sicura. L'unica certezza, il mio unico ricordo di quella notte, è la pioggia.
Una pioggia battente, incessante, interminabile, i miei abiti zuppi, i miei capelli fradici.
Poi il salto.
Apro gli occhi e mi trovo tra le braccia di Yuri. Jazele mi fissa con fare interrogativo. È la sua ragazza, la ragazza del mio salvatore.
Le convulsioni! Non riesco a dimenticarle! Il mio corpo che si contorce, senza controllo, sotto le nubi, tra le sue braccia.
Hanno capito subito qual era il mio male, mi hanno portata in ospedale, immediatamente.
Sono stati gentili con me, anche se non mi avevano mai visto... così.
Ho scoperto solo dopo che erano una coppia di fan di Eliphya che si erano conosciuti ad un raduno cosplay della serie. Me lo hanno raccontato per cercare di distrarmi, di farmi pensare ad altro.
Yuri... Jazele...
Devo aver sorriso quando me l'avete detto. Forse mi sono anche sentita bene, per un attimo.
La mia mente non faceva che ripetermi ehi, wow! Hai fatto sbocciare l'amore in due cuori solitari! La tua vita non è così inutile!
Così mi sono presentata.
Io sono Eliphya, piacere di conoscervi!
Che poi Eliphya non è neanche il mio vero nome, però era bello dirglielo così. Volevo stabilire un contatto, uscire dal mio bel mondo di cartapesta e vivere anche fuori dalla scene.
Devono avermi preso per scema.
È la droga che parla per te, stai tranquilla e vedrai che andrà tutto bene.
Già, già! Uno soccorre una tossicodipendente aspirante suicida per poi scoprire che è l'eroina dei suoi sogni. Bum! È troppo grossa per essere vera! Eppure devo averli convinti.
Già, ma come? Non lo so nemmeno io, forse mostrando loro l'ombelico. Il tatuaggio luminescente del serpente circolare ce l'ho solo io, è impossibile da riprodurre artificialmente.
Così mi hanno creduto.
E mi hanno trascinato fuori dal tunnel.
Per mano.
Insieme.
Atto V. Come una Farfalla
Tre ore di diretta, un combattimento senza fine. Siamo alla resa dei conti, io e l'Imperatrice. Sebastien è già morto stecchito.
Letteralmente.
A questo punto, rimaniamo solo io e lei. La osservo, il suo volto di porcellana, da vecchia zitella Ming. Acconciatura da geisha, lungo abito multicolore, variopinto.
Qui si chiude tutto, girata questa puntata io sarò libera di trascorrere il resto della mia vita come meglio credo. Basta Eliphya, basta!
Basta con questi orribili capelli azzurri, la farò finita con questo costume.
Oggi termina la mia serie ed inizia la mia vita.
Quella vera.
Ho letto il copione sei o sette volte, ma era ancora più scarno ed essenziale del solito. E mancava una pagina.
L'ultima.
C'è qualcosa che non va... anche se non capisco bene cosa.
Ho solo una certezza: non mi faranno vedere nuda – non subito, almeno. Sono le sette di sera, siamo in fascia protetta per fortuna.
Non avevo nessunissima voglia di combattere mostrando le mie grazie per la bellezza di tre ore. La scena più lunga in cui ho dovuto recitare senza veli è durata sì e no quattro, cinque minuti.
È stata una sofferenza atroce, un imbarazzo inimmaginabile... però ho fatto il boom di ascolti. Una situazione tragicomica, direi.
Ora che ci penso, non ho neanche chiesto perché hanno deciso di chiudere il programma, ma a ben vedere la risposta è ovvia.
Ormai ho più di vent'anni, non sono più una ragazzina e molte bambine hanno smesso di identificarsi in me. In sostanza, non sono più attraente per le fasce di pubblico a cui è rivolto questo spettacolo.
Poco male, si inventeranno qualcos'altro. So solo che voglio farla finita, una volta per tutte.
Sei come una farfalla, Eliphya. E sai cosa si dice delle farfalle?
Le parole dell'Imperatrice nello scorso episodio?!
Perché adesso?
Perché ora?
Cosa c'entrano? No, devo concentrarmi, devo seguire la traccia. Ed ecco che Lei fa la sua mossa. Lame di porcellana, candide e letali. Le schivo senza troppi problemi, ci rimetto solo una ciocca di capelli. Non male, direi.
Ora è il mio turno.
Le scarico contro una raffica di petali di luce.
È la mia mossa più famosa, nei videogame me la mettono sempre con i tasti più semplici... solo che lì non rischio la pelle.
L'Imperatrice si fa scudo con il suo vestito multiforme. Non le ho fatto nulla?!
Altre lame, altri coltelli, in rapida successione. Alcuni li evito, altri li defletto con il mio scudo di energia cosmica. Un bel nome, non trovate?
Aspettate di vedere la mia prossima mossa, allora.
Porto le mani al cielo, le unisco in una specie di croce, raccolgo tutta la luce e la riemetto, in un caleidoscopio multiforme, impossibile da evitare. L'Imperatrice tentenna, cade a terra, la maschera di porcellana rigata da crepe.
È stato così semplice? È passata solo mezz'ora dall'inizio!
Un tremito. Si alza, si mette in ginocchio. Ma... ma cosa fa?!
Ride in modo sguaiato?!
“Sei come una farfalla, Eliphya. E sai cosa si dice delle farfalle?”
Perché? Perché la stessa battuta? È tutto il fine settimana che ci penso.
Cosa si dice delle farfalle?
Ma no, non è il caso di pensarci ora, devo inventare una battuta ad effetto, qualcosa tipo...
“Mi dispiace vederti in questo stato. Se ti fossi arresa quando ne hai avuto l'opportunità, non saremo arrivati a questo punto.”
Okay, ora mi spunta una finta lacrima sul viso mentre raccolgo le energie per il mio attacco finale.
“Il bruco diventa crisalide e trascorre un'eternità prima di poter volare... ma la farfalla vive solo sette giorni, Eliphya. È questo che avete in comune.”
Ma cosa sta dicendo? Sette giorni... di vita?
“Fra poco non sarai più nulla, avvizzirai come una foglia secca. Per una settimana, i miei semi si sono sviluppati dentro di te... e fra poco meno di un'ora ti stritoleranno il cuore!”
Semi? Oddio, non si starà riferendo...
“Tu non mi hai mai colpita! È il nostro primo scontro diretto!”
“Sebastien è stato così caro da farlo al posto mia. Le sue rose ti hanno infettato, Eliphya. Stai per morire...”
Un ghigno malefico sul suo volto.
“...rassegnati!”
Una fitta al petto. Sgrano gli occhi dal dolore. N... non può essere vero!
Crollo a terra, le palpebre serrate, il respiro affannoso. Sto veramente morendo?
No, non ha senso! L'eroina deve trionfare sul male, abbiamo ancora due ore di diretta! Non possono essere così crudeli da mostrare centoventi minuti di agonia!
Un attimo... la pagina mancante! Non volevano... non volevano che sapessi!
Maledette carogne, bastardi senza dignità!
“Questo mondo sprofonderà nel caos più assoluto, Eliphya! Tu non potrai far niente per fermarlo!”
Lame di ceramica dalle sue mani. Vuole concludere l'opera.
Io odio Eliphya. Detesto la sua bontà, la leggerezza con cui si muove, incurante di essere su un set, davanti a centinaia di telecamere. Non sapete quante volte avrei voluto vederla morta, non potete neanche immaginarlo!
“Di te svanirà anche il ricordo!”
Eppure... no, non ce la faccio a dargliela vinta. Sarà che sono otto anni che combatto mostri, sarà che un pizzico d'orgoglio ce l'ho ancora, da qualche parte.
Non è il finale che la gente si aspetta.
Mi alzo all'improvviso, senza darle il tempo di capire cosa succede, piego le gambe, salto, alzo le braccia al cielo, le incrocio. Una vampata di calore agli occhi, si stanno illuminando.
La luce si raccoglie tra i miei palmi, si avvinghia alle mie dita, pronta a scatenarsi al mio comando. E il comando arriva.
Serro le palpebre, il cuore mi pulsa quasi fino a scoppiare, raccolgo le gambe a mezz'aria, inarco la schiena, estendo le braccia, il petto in fuori, le frange del collarino in moto ondulatorio. Le telecamere impazziscono per un attimo, due fotorilevatori saltano in aria, un bagliore allucinante, maestoso.
Non sento più i battiti.
Cado rovinosamente a terra, mi gira la testa, cerco di rialzarmi, cado di nuovo. Ho solo la forza di guardarmi attorno per un attimo.
Pulsazioni zero.
Dell'Imperatrice resta solo uno scialle bruciacchiato e qualche frammento della maschera.
Sorrido amaramente, mentre il mio cuore si ferma.
Dovrei essere contenta, no?
Alla fine, il bene ha trionfato.
Atto VI. Fenice
Le telecamere sono ancora accese, mi stanno riprendendo mentre muoio. Sento dolore ovunque, non un nervo a posto, non un istante di tregua. Il battito è fievole, lento, incostante.
La mia vita finisce così, quindi? Non è... giusto.
Sto piangendo, forse. Non me ne rendo conto, non riesco a capirlo. Ho ancora un po' d'aria nei polmoni, la uso per respirare, per cercare di mantenere un barlume di lucidità... ancora per qualche secondo.
Yuri...
Jazele...
Quanto avrei voluto venire in vacanza con voi, suonare la chitarra attorno al fuoco, cercare funghi nel bosco, fare un po' di shopping...
Non saprò mai cosa si prova ad essere normale.
È questo il mio unico vero rimpianto.
Qualcosa si muove accanto a me. Un medico? Oddio, dimmi che vogliono salvarmi, ti prego!
Apro a fatica le palpebre, quasi eccitata.
La delusione sul mio volto.
È solo una bambina. Avrà sì e no dodici anni. Cosa ci faccio con una bambina?
Un brivido lungo la schiena. Si è attivato qualcosa. Una specie di ordine genetico, impartitomi più di otto anni fa.
Toccale la pancia, sfiorale l'ombelico.
L'ombelico? Il serpente attorcigliato...
Ora capisco tutto.
Lei sarà la prossima Eliphya. Vogliono che le trasferisca i miei poteri in diretta, che le passi il testimone. Io sono troppo grande per continuare...
Toccale la pancia, sfiorale l'ombelico.
La mia mano si muove senza che io possa quasi controllarla. Sorrido senza accorgermene, è tutto scritto nei miei geni. Ma voglio veramente farlo?
Riesco a fermarmi, un attimo prima di raggiungerla. Mi sembra già di sentire le urla del regista.
Cosa sta combinando quella deficiente? Ma è completamente scema?
Voglio davvero condannare questa innocente alla mia non-vita? Magari non aspetta altro, ha un'eccitazione incredibile, posso percepirla.
So come si sente, l'ho provato anch'io.
La mia mente torna a Yuri e Jazele. Il loro amore è sbocciato per merito mio.
Per merito di Eliphya.
Solo ora comprendo qual è, qual è stato il mio ruolo.
Sono una venditrice di sogni, distraggo le menti, creo speranze e false illusioni per addolcire le vite delle persone. E gli umani hanno bisogno di sognare per sopravvivere, per andare avanti. Se Eliphya finisse in questo modo, tutti i sogni, tutte le speranze svanirebbero in una nuvola di fumo.
E sarebbe stato tutto inutile.
No, lo spettacolo deve continuare.
Mi faccio coraggio e completo l'opera.
Per un istante, la mia esistenza scorre come un fiume in piena, tutti gli episodi, i nemici, tutto il mio universo di cartapesta. Sento la tinta che si scioglie, i miei capelli che si accorciano.
Morirò col mio vero aspetto?
Crollo ancora una volta a terra, non ce la faccio più, non ho più energie.
Il battito si ferma.
Ho ancora la forza di guardarmi l'addome.
Sorrido.
Finalmente, quel maledetto serpente se n'è andato.
In un modo o nell'altro.
Atto VII. Sotto le stelle
La prima immagine che ricordo al risveglio è un tunnel luminoso, candido, etereo. Decine di mani protese verso di me, sorrisi accoglienti, un dolce tepore su tutto il mio corpo. Volti ammiccanti, cenni di saluto.
Mi stanno aspettando, devo affrettarmi a raggiungerli.
I pensieri si affollano nella mia mente, mentre le mie membra di pura luce si estendono in direzione della folla festante. Non sento più niente, né freddo né dolore.
Solo gioia.
Scorgo il termine della galleria, nubi biancastre addensate, in moto perenne, vorticanti, attorcigliate.
Voglio arrivare là in fondo. Devo arrivare là in fondo.
Figure indistinte tutto attorno a me, figure umane, i visi oscurati da bagliori corruschi. Ma non abbastanza.
Mamma? Papà?
Non posso dimenticarvi. Non posso dimenticare il mio odio, la mia frustrazione! Dove state andando? Non ditemi che anche voi...
Mi fermo, resto immobile, in attesa. Non voglio proseguire. Non posso proseguire.
No!
Gli spettri vorticano, si condensano, la luce lascia spazio alle tenebre, una maschera bianca nel buio, occhi spiritati, iridi viola, dolore concentrato, lacrime di sangue. I miei genitori si congiungono, svaniscono nel nulla, si perdono nel vuoto di quelle orbite infinite, entrano in esse, ne emerge una sagoma, una sagoma familiare.
Non sono io! Chi...
Poi, il blackout.
Ecco, ho raccontato tutto. Non ho la presunzione che abbia senso – tutt'altro – ma questa è stata la mia esperienza pre-morte. Solo pre, fortunatamente. Ed è solo merito di Yuri e Jazele.
Troverò mai le parole per ringraziarvi?
Quando mi avete vista agonizzante, accasciata sull'asfalto, non avete atteso la fine della puntata. Siete balzati giù dalla platea e mi avete raccolta, mentre la telecamera inquadrava la nuova Eliphya, la bambina che si stava lentamente trasformando in ciò che sono stata.
Ho solo ricordi confusi, di quei momenti. Yuri che urla ai gorilla di spostarsi, il rombo del motore della macchina, le mani di Jazele strette attorno alle mie, la strada accidentata, le sirene, la camera bianca. E tutto il trip successivo.
Il chirurgo mi ha salvata, ha asportato le micropiante prima che mi stritolassero il cuore. Mi sono svegliata in un letto d'ospedale con una ferita di cinque centimetri appena suturata e un sorriso ebete stampato sul viso. Un sorriso motivato. Primo, sono ancora viva; secondo, non sono più Eliphya.
Ho pianto come una fontana, dopo averlo compreso, dopo essermi resa effettivamente conto di essere ancora qui, come una ragazza normale, libera di disporre dei rottami della sua vita.
Ho dato un'occhiata ai titoli dei giornali, sembra che quasi tutti i media si siano lamentati per la mia sostituzione. La scena in cui è comparsa la “nuova me” ha affossato gli ascolti di oltre il cinquanta per cento. Una brutta gatta da pelare per la RealLifeAnime, eh?
Ad ogni modo, non è più un problema mio. Che se la cavino da soli!
Da me non avranno niente, ho intenzione di pianificare la mia nuova esistenza... senza di loro. Una volta che mi sarò ripresa, dovrò trovare un impiego. Non penso che scrivere ex-supereroina nel curriculum possa aiutarmi, per cui eviterò di citarlo. Non ho preferenze, vorrei solo un lavoro semplice, qualsiasi lavoro! Barista, cameriera, commessa in una libreria, netturbina, qualunque cosa, anche la più umile. Basta essere in contatto con la gente, con il mondo reale, ciò che è fuori dall'acquario dorato in cui sono vissuta!
E camminare, correre per le strade, giocare a pallone con i bambini nelle piazze, scattare fotografie, raccogliere fiori. Oppure, andare in gita nei boschi, in camper o in tenda, cantare canzoni attorno al fuoco, anche se sono stonata. Molto stonata.
No, sono proprio un disastro, non me la cavo nemmeno con la chitarra: chiedetelo a Yuri e Jazele. Stanno ridendo in questo momento, ridono dei miei accordi dissonanti, delle parole pronunciate male, delle sillabe strascicate. Ridono, ridono di gusto.
Ridono insieme a me.
Ed eccomi qui, a contemplare questo bellissimo cielo stellato, sdraiata sull'erba umida con un fiore di campo tra le labbra, un caschetto di capelli biondi macchiati di castano chiaro, una sobria t-shirt azzurra, un anonimo paio di jeans, i piedi scalzi sul soffice terreno. Yuri e Jazele mi abbracciano, dolcemente assopiti. Mi crogiolo nel calore dei loro corpi, ascolto i loro placidi respiri, il battito dei loro cuori, sincronizzato come solo quello degli innamorati sa essere.
Mi sollevo la maglietta, scopro l'ombelico, lo osservo con le mie iridi verdi, lo sfioro con delicatezza. Il serpente è sparito, ma ha lasciato una cicatrice. Un cerchio aperto, proprio dove la bocca divorava la coda, richiudendosi su se stesso. Potrei optare per un ritocchino di chirurgia estetica, ma non credo che lo farò.
Questa imperfezione significa molto per me: finalmente, ho interrotto il ciclo, ho spezzato la catena, mi sono emancipata dal mio reame illusorio, ho ritrovato me stessa, frantumando il mio guscio di illusioni.
Mi rannicchio in posizione fetale, rinfrescata dalla rugiada, gocce cristalline mescolate a lacrime di gioia. Morfeo incomincia a cullarmi, mi solletica le palpebre, intorpidisce i miei sensi, lascia che la dimensione onirica prenda il sopravvento, trasportandomi nel regno dei sogni. Cedo alla stanchezza e, infine, mi addormento, felice come non mai.
Perché so che questa volta nessuno interromperà la scena gridando buona la prima, nessuno spegnerà le telecamere, nessuno lascerà il set lamentandosi di questa o quella decisione del regista.
Finalmente, posso chiudere gli occhi tranquilla.
Ed essere certa di ritrovare questo mondo, il vero mondo, al mio risveglio.