Distortionverse: Chapter 5 - Rumori di Fondo (2014)

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Tra il 2014 e il 2015 ho scritto sei romanzi brevi che assieme formano il ciclo di Distortionverse, raccogliendo storie, spunti e personaggi da giochi e altri racconti mai completati. Per molto tempo, questi romanzi brevi sono rimasti disponibili solo su Amazon Kindle e tramite Createspace come copie fisiche. Dieci anni dopo, voglio archiviarli sul mio sito personale per evitare che vengano perduti per sempre. "Rumori di Fondo" è un flashback sulle origini di Michelle e forma un dittico con il suo seguito Uptune!, scavando nel passato per riportare alla luce gli eventi che hanno causato la distruzione della Fennoscandia. Schwarzerblitz deve molto a questa storia, in un modo o nell'altro.


2060 – Neo Helsinki, Mar Baltico

 

1. Tecno Atollo

 

Le onde dell'oceano, il mare impetuoso, creste frastagliate, incostanti, lo specchio di un cielo plumbeo. L'acqua oltrepassa la ringhiera protettiva, bagna la passerella metallica, infiltrandosi nei condotti di scolo, tornando all'origine in un ciclo infinito. Nuvole scure, cariche di pioggia, il frastuono infernale del vento, il ritmo martellante delle gocce sul manto grigiastro. Lampi in lontananza, scariche di elettricità statica scuotono l'aria con violenza.

Un sorriso ammirato, lo sguardo rapito nel profondo.

C'est vraiment merveilleuse. Madre natura sta dando il meglio di sé, stasera.”

“Uh, uh.”

Un boato tremendo, il respiro del temporale. Il ragazzo sistema i capelli lisci, arriccia uno dei ciuffi con noncuranza, continuando a fissare il mare.

“In Benelance non ho mai visto nulla di simile. Sono anche andato a Calais, una volta, ma...”

“Molto interessante.”

Un sospiro annoiato, le palpebre semichiuse. Una ragazza minuta, le braccia appoggiate svogliatamente alla barra di metallo.

Una pacca amichevole sulla sua spalla, le dita a sfiorare una folta capigliatura bionda, tastandone gli strascichi fino alla base del collo.

“Mia cara, mi sembri nervosa. Qu'est qu'il passe?”

“Non mi avevi detto che avremmo dovuto immergerci.”

“Tu non lo hai chiesto.”

La giovane scuote il capo, sconsolata.

“François...”

Un richiamo privo di eco, il silenzio a rispondere quieto, sporcato dal frastuono del fortunale. Un dado lanciato in aria, preso al volo, lanciato nuovamente. François legge il numero, lo annota mentalmente, lo somma, lo sottrae, lo divide, senza proferire sillaba. La ragazza afferra il corrimano, lo stringe con forza, un ringhio sul viso angelico.

“Puoi smetterla di giocare con quel coso? Mi dà fastidio.”

François afferra il cubo al volo, lo ripone in tasca, sogghigna divertito.

Pourqui, mon amour?”

“Lo tiri fuori solo quando sei indeciso su come comportarti. Selezioni due alternative, ti segni i risultati dei lanci, li combini assieme in un modo che non voglio nemmeno immaginare, poi scegli.”

“E cosa c'è di male?”

“Il fatto che in questo modo lasci tutta la tua vita in mano al caso. Io non sarò mai così.”

“Lieto che tu ne sia convinta, Michelle.”

 

**

 

Neo Helsinki 7 è poco più che una piattaforma flottante, un'enorme zattera che galleggia sul Mar Baltico, ancorata al fondale da ganci ad iperestensione. È collegata al blocco principale della città tramite voli aerei o via nave, ma la frequenza è piuttosto sporadica, per non dire nulla.

Io e François siamo arrivati qui da appena due ore e ne ho già abbastanza di questo posto. Io odio il mare, odio nuotare, odio l'acqua in genere. Non tutta l'acqua, intendiamoci, solo quella che può causare disastri naturali, di qualunque tipo – inondazioni, esondazioni, maremoti, tsunami, quella roba lì. Quando Bertrand mi ha proposto una missione in trasferta, non immaginavo che sarei finita in questo tecno atollo sperduto, lontano chilometri dalla terra ferma, sospeso su rovine ammuffite, divorate da crostacei e concrezioni.

No, è proprio insopportabile.

 

**

 

“Possibile che tu non sorrida mai, petite? Eppure hai un così bel visino...”

“Perché hanno mandato noi?”

“Come scusa?”

Michelle lascia la presa, si allontana dal parapetto.

“Il più adatto sarebbe stato Gabriel, non trovi? Siamo in mare, in mare aperto! Io cosa c'entro?”

François si massaggia il mento, la mano accarezza un volto glabro, nemmeno un accenno di barba.

“Le tue abilità possono essere utili in qualunque circostanza. Sei il nostro jolly.”

“Sì, come no. Inventane un'altra, questa non ti è riuscita molto bene.”

 

**

 

Lo ammetto, amo la modernità: se questo posto fosse stato a riva, avrei fatto salti di gioia nel visitarlo, nell'esplorarne le strutture, nel comprenderne tutti i dettagli meccanici e non. Il sistema di bioilluminazione organica è geniale, così come i desalinizzatori e le vasche per la coltura intensiva delle alghe. Questa base è un gioiello della tecnologia, completamente autosufficiente dalla città-madre per lunghi periodi. Un angolo di paradiso, davvero.

Peccato per il mare.

E per ciò che c'è sotto.

 

**

 

“Mi sembri particolarmente alterata. Non è solo il mare a turbarti, non è così?”

“No, infatti.”

Un alito di vento gelido, Michelle si rannicchia, brividi di freddo improvvisi lungo tutto il corpo. François rimane impassibile, chiude gli occhi, assapora ogni atomo della brezza, lo accoglie, lo assimila a braccia aperte. Un'espressione di felicità, di pace interiore.

“Quanto è splendido questo pianeta. L'uomo non sarà mai in grado di simulare il vento, di costruire un oceano... solo di distruggerlo.”

“Già. E quando non ci si mette l'uomo...”

Lo sguardo fisso nel vuoto, una luce cupa, priva di calore.

“... ci pensano loro.”

 

**

 

Per quale motivo siamo qui? Non lo so, non riesco a comprenderlo, non pienamente.

Dovete verificare, ci hanno detto. Certo, certo.

Verificare.

Dopo quasi cinquant'anni, cosa vuoi che sia da verificare, là sotto?

Probabilmente troveremo qualche banco di pesci rari, un paio di squali e cose di questo tipo.

Dubito che ci sia altro di interessante, almeno per noi.

 

**

 

“Spiegami una cosa, François...”

“Dimmi.”

“Pensi che ci sia ancora qualcosa da recuperare? Tra le rovine, intendo. L'implosione non dovrebbe aver distrutto tutto?”

Un'inflessione malinconica nel tono, gli occhi persi a guardare il cielo, la pioggia.

“Forse.”

“Allora cosa speriamo di trovare?”

La sinfonia dei tuoni, dei lampi, lo scroscio impetuoso dell'acqua.

Un sorrisetto ironico, al limite del sarcasmo, sul volto di François.

“Qualcosa tipo il nucleo attivo di una centrale a distorsione?”

 

**

 

Ed ecco che, finalmente, tutto mi è chiaro. A mezzo secolo di distanza, DP-0 non ha ancora esaurito la sua carica, continua a produrre energia sul fondo del mare, tra le macerie di una città abbandonata, di uno stato devastato, di una regione distrutta. Solo perché siamo stati avidi, abbiamo creduto di poter agire da soli, di non avere bisogno degli ingegneri Daevka.

Un errore che abbiamo pagato in contanti, a prezzo pieno.

Un errore che non possiamo ripetere.

 

**

 

“Sai, sembra che l'ambasciatore Andrakta abbia deciso di recuperare il distorsore per portarlo su EXODUS, in modo da farlo studiare dai loro scienziati. Il nostro compito sarà misurare i livelli di rumore di fondo, tutti qui. Facile e indolore. Poi, potremo tornarcene a casa, in Benelance. Non sei contenta?”

“Elettrizzata.”

 

**

 

Come no? Sì, insomma, come vi sentireste voi dopo un volo diretto Parigi-Neo Helsinki e un trasbordo via nave verso una piattaforma galleggiante, solo per scoprire di dover scendere ancora centinaia di metri sotto il livello del mare per controllare se un reattore vecchio di cinquant'anni è ancora pericoloso?

Arrabbiati? Delusi? Seccati?

Io, in questo momento, ucciderei tutti.

Compreso François.

 

2. Bertrand

 

“Siamo d'accordo, allora. Se i vostri agenti riveleranno una distorsione residua massima di cento shannon, organizzeremo la spedizione di recupero e trasporto.”

“Precisamente.”

Due figure sedute attorno al tavolo, fogliacci e documenti tutto attorno, display luminosi, scritte in sovrimpressione, schermi olografici. L'uomo si sistema i capelli con precisione, allinea il lungo ciuffo, lo accosta all'occhio destro. Due iridi smeraldine brillanti, alcune minuscole cicatrici lungo tutto il viso. Un fischiettio allegro, poche note a riscaldare l'aria tesa di un incontro ufficiale, il primo con un rappresentante di EXODUS.

Il primo con un lucertolone.

“Mi aspetto una rapida risoluzione del problema, così come noi abbiamo sistemato la questione, sorvolando sul furto dei nostri progetti ed aiutandovi a salvare più di cinque milioni di vite umane. Se fosse stato per me, vi avrei lasciato affondare assieme alla centrale, mio caro Brillouin.”

“Come non manca mai di ricordarmi, sotto-ambasciatore Dinox.”

Un bestione di due metri e dieci per circa un quintale e mezzo di peso, coda lunga, viso allungato, bicromatico. Gli occhi accomodati sulla sezione superiore, violacea, sopra il muso bianco da coccodrillo.

“Se fossi stato in carica io, al posto di quell'idiota di Dkrav'lest, ve l'avrei fatta pagare – altro che spedizione di soccorso! Non valete nemmeno la metà di uno Shoiga!”

“Quando sarebbero terminate le vostre scorte di cibo, se le nostre Soyuz non vi avessero rifornito?”

Un ringhio trattenuto tra le zanne, i muscoli contratti, celati dal completo di sartoria scuro, la divisa dei funzionari. Bertrand accenna un sorriso di superiorità, il coltello dalla parte del manico.

I capelli castani scendono lungo la tempia destra, sino alla base del mento, curati con vanità quasi maniacale. Dinox in silenzio, a contemplare la propria ira repressa.

Bertrand posa la mano sul tavolo, le unghie dell'indice e dell'anulare ricoperte di smalto nero.

“Lasci che le ricordi una cosa, mio illustre ospite: senza di noi, voi morireste di fame. Senza di voi, noi non avremmo energia pulita per tutto il pianeta. È uno scambio equo e vantaggioso, non trova?”

“Per voi lo è stato senz'altro.”

Il lucertolone si alza, lascia il tavolo alle spalle, muovendosi a fatica nello spazio angusto.

“Mi ritiro nei miei alloggi. In caso insorgessero problemi o novità di qualunque genere, esigo di essere informato immediatamente. Sono stato chiaro?”

Bertrand svaccato sulla sedia, un'espressione a metà tra la sfida e l'appagamento.

“Chiarissimo, sotto-ambasciatore. Il viaggio da EXODUS sarà stato lungo. Vada a riposare un po', così potrà rinfrescarsi la mente...”

E vedere se le riesce di farla funzionare, al suo risveglio.

 

**

 

Michelle cammina lentamente per il corridoio, osserva svogliata i volti dei tecnici, degli ingegneri finlandesi che lavorano alla manutenzione della base. Volti stanchi, induriti dalla fatica.

“Bertrand ti ha fornito qualche dettaglio in più?”

François scuote il capo, i capelli argentei seguono il moto con calma.

“No. Mi ha solo convocato nella sala riunioni per il briefing. Spero che sia leggermente più esaustivo dell'ultima volta.”

“Più esaustivo?”

François alza gli occhi al cielo, incontrando solamente una spessa placca di metallo cosparsa di faretti.

“Due mesi fa, ho rischiato la morte perché quell'idiota si era dimenticato di metterci al corrente di alcuni dati piuttosto fondamentali.”

 

**

 

La porta della sala si schiude sibilando, Dinox varca la soglia, passi pesanti risuonano sul pavimento gommato. Un VORS ad attenderlo, la sua scorta personale.

“>Comandi, sotto-ambasciatore Dinox?”

Parole biascicate nella lingua madre, un misto di consonanti intrecciate a suoni vocalici sporchi e aspirati.

“Sì, Shame. Evita di chiamarmi sotto-ambasciatore. Odio questo titolo, sembro un dignitario Shoiga. Chiamami ambasciatore, piuttosto. O non chiamarmi affatto.”

“>Ordine non eseguibile, richiesto bypass di livello sette;

>Esiste un unico ambasciatore riconosciuto;

>La carica è attualmente detenuta da Andrakta Daevka.”

“Non dirmi cose che so già.”

Un sospiro contrariato.

“Andiamo, forza. Discutere con Brillouin mi ha irritato. Ho resistito alla tentazione di azzannarlo solo perché altrimenti sarebbe scoppiato un caso interplanetario. E, probabilmente, mi avrebbero spedito nella sala macchine di EXODUS a tenere accesi gli accumulatori del reattore sei.”

Serra le palpebre, i denti stridono.

“Che prospettiva orribile...”

 

**

Un lucertolone alto due metri, la schiena piegata in avanti per bilanciare il corpo, un robot corazzato alle sue spalle. Due colossi a confronto, ugualmente massicci, titanici.

Michelle sgrana gli occhi, impallidisce per un secondo, immobile di fronte all'imponenza delle due figure. François le cinge le spalle da dietro, un sussurro nell'orecchio sinistro.

“Cos'è, non hai mai visto un Daevka, petite?”

“Non... non da così vicino.”

Lo sguardo incollato alla figura, fin quando non scompare tra i corridoi.

“Sono davvero... ributtanti.”

“Non andare mai a New Langdon, petite. Là ce n'è addirittura uno che gestisce un night club.”

“Grazie del consiglio, me lo segno.”

François stringe la presa con affetto, lascia che i suoi capelli sfiorino la chioma bionda.

“Prego, mon amour. Sai che per te farei di tutto.”

“Anche smetterla di corteggiarmi?”

 

**

 

Gli schermi si spengono, i display olografici svaniscono, il tavolo liberato dai documenti redatti da Dinox, in una pessima grafia.

I Daevka non sono capaci di scrivere in modo leggibile. È già tanto se hanno imparato l'inglese...

Lo sbuffo della porta a scorrimento, la mente riportata al momento corrente.

Due figure guadagnano l'accesso della stanza, un maschio e una femmina. Una coppia dissonante, come richiesto nel documento di missione. Dissonante in tutti i sensi.

“Buonasera, ragazzi. Avete già visitato questo scoglio dimenticato da Dio? È piuttosto accogliente, i vostri alloggi personali sono abbastanza grandi e forniti di un discreto numero di comfort. Certo, non è Neo Helsinki Zero, però...”

Michelle si esibisce in una riverenza, saluta con educazione.

“Comandante Brillouin.”

François la imita con goffa eleganza, riproducendo lo stesso movimento.

“Comandi, signore.”

Bertrand unisce le mani, le dita intrecciate, lo smalto nero sull'indice e sul medio della mano destra, sul pollice, sul medio e sul mignolo della sinistra. Un patchwork studiato, il suo marchio di fabbrica, da alcune settimane a quella parte.

“Se avete delle domande, è il momento di farle. Dopo il briefing andrò immediatamente a dormire, per cui ogni lamentela o rimostranza dovrà pervenirmi adesso.”

Michelle fissa gli occhi verdi, i capelli acconciati in modo asimmetrico, le cicatrici diffuse sul viso affilato. Tenta di contenersi, di trovare le parole giuste. Di non spaccargli la faccia.

“Comandante Brillouin... perché siamo stati scelti noi due? Insomma, io e François siamo incompatibili! Orviandre è un solo ed è incapace di sincronizzarsi con altri agenti, io ho sempre lavorato in gruppo con Ravel e Arnout, cosa...”

“Negli ultimi tempi, non hai forse lavorato gomito a gomito con Theia Aropoulos? È un solo anche lei, se non ricordo male. Incapace di sincronizzarsi, come hai detto tu stessa.”

“Ma...”

“Se non hai avuto problemi con lei, non vedo come tu possa averne con Orviandre.”

Bertrand scrolla le spalle, un sospiro seccato.

“Se le richieste stupide sono finite, direi che è il momento di passare alle cose serie, vi va?”

 

3. Profondo Blu

 

Bertrand è solo capace a comandare. Non l'ho mai visto in azione, solo a scaldare la sua sedia dietro una scrivania. Dicono che abbia un rate di successo del cento per cento... ma è facile ottenerlo, se non svolgi alcuna missione. E, come volevasi dimostrare, non si è nemmeno degnato di seguirci qui sotto. Lui è sdraiato al caldo, sul suo lettuccio, mentre la mammina gli rimbocca le coperte. Noi, invece...

“Non distrarti, Michelle. Una manovra sbagliata e siamo fregati. L'idrojet è piuttosto sensibile, se non stai attenta dovrò venirti a riprendere in Nuova Zelanda.”

“Non mi sembra che ti dispiaccia troppo.”

“No, infatti.”

La voce di François ascoltata via radio è ancora più seccante di quanto non lo sia dal vivo. Ma proprio lui dovevano affidarmi come compagno? Chiunque altro sarebbe andato bene, persino quel buffone di Roke.

 

**

 

“Domani mattina vi immergerete con dei moduli monoposto e raggiungerete la zona dodici, la più vicina alla superficie. Lì installerete una cupola temporanea da utilizzare come base durante la discesa finale. La missione vera e propria avrà luogo dopo che le operazioni preliminari saranno state eseguite con successo.”

Michelle alza la voce, il palmo sbattuto con forza sul tavolo di plastica lucida.

“Non potrebbe occuparsene qualcun altro di questa seccatura? Voglio dire, non è un lavoro altamente qualificato per due agenti ESPDeC d'élite.”

“I tecnici di questa base non sono assuefatti agli effetti distorsivi. Stando alle proiezioni dei nostri esperti, attorno alla spianata il rumore potrebbe superare ampiamente i venti shannon, circa duemila volte il fondo naturale. Solo persone abituate a queste intensità possono agire là sotto senza problemi. E voi lo siete.”

 

**

 

Dirigo il mio idrojet attraverso l'acqua scura, stando attenta agli scogli, agli speroni di roccia. Questa muta da sub non è così scomoda, è solo un po' troppo aderente per i miei gusti. La nostra divisa abituale è molto più elegante, ma qui sotto non sarebbe stata di alcuna utilità. Seguo François, sembra piuttosto sicuro nella guida del suo pod personale. Probabilmente fa immersioni anche per sport, o forse no. Questi aggeggi si guidano come una moto, chiunque sarebbe in grado di controllarli come si deve.

“Problemi, petite? Ti vedo sempre più lontana negli specchi retrovisori”

“Mi sto godendo la crociera. Quanto manca all'arrivo?”

“Ci siamo quasi. Preparati alle manovre di frenata.”

 

**

 

“Per farla breve, il vostro scopo è verificare lo stato del reattore DP-0. I vertici di EXODUS hanno deciso di tentare di recuperarlo ed isolare il malfunzionamento che ha causato il Ragnarök.”

“Intendono riattivarlo sul loro planetoide?”

Bretrand scrolla le spalle.

“Sì, qualcosa del genere, miss Dumas. Non mi è ancora chiaro cosa pensino di ottenere, ma pazienza. Noi dobbiamo limitarci ad eseguire gli ordini.”

 

**

 

Gli idrojet si adagiano delicatamente sul fondale, i pistoni di atterraggio scuotono il rivestimento d'asfalto crepato, si conficcano nello spesso strato di bitume. Il vano posteriore dei moduli si schiude, due sfere di plastica nera rilasciate. Galleggiano per un po', circondate da bolle d'aria, iniziano ad ingrandirsi, ad espandersi. Cavi di aggancio lanciati in contemporanea, i due rifugi si connettono, scendono fino al suolo, si depositano sulla spianata, la bombatura inferiore si appiattisce. François guida il suo idrojet fino alla cupola sinistra, unisce la coda al rivestimento, attiva il processo di pressurizzazione. Michelle si porta sulla destra, esegue gli stessi movimenti. Indicatore rosso, rosso cupo. Le guarnizioni si adattano alla forma del veicolo, lo avvolgono quasi completamente. Un brivido, un istante di panico, gocce di sudore freddo lungo la fronte.

Un errore e sono morta.

Rosso, ancora rosso. Il materiale isolante si salda, prende consistenza, la cupola si riorganizza, solidificandosi.

Dai, dai! Quanto ci metti?

Un bagliore verde echeggia nell'abitacolo, illumina la strumentazione, riscalda il cuore. Un pulsante premuto con decisione, il vano di uscita spalancato con impeto. Michelle scivola nella struttura, striscia, gattona fino a raggiungerne l'interno.

Un sospiro di sollievo.

È andato tutto liscio.

 

**

 

“Una volta giunti nella zona dodici, dovrete verificare che l'attrezzatura non sia danneggiata. Se il led non diventa verde, non pensate nemmeno per scherzo di scendere all'interno dell'unità abitativa. Dentro la cupola avrete ossigeno per circa ventiquattro ore. Vi consiglio di utilizzarne un paio per fare il punto della situazione, utilizzando i radar e gli strumenti per la percezione del rumore di fondo. Se il rumore supera i quaranta shannon, tornate immediatamente indietro. Altrimenti, proseguite fino al punto zero.”

“Fin dove dobbiamo addentrarci?”

“Non appena il rumore supererà i cento shannon, la vostra ispezione sarà terminata. Se riuscite ad avvicinarvi a DP-0 senza che i rivelatori oltrepassino la soglia, stapperemo lo champagne, uno Chignon-Varenne d'annata.”

Bertrand si alza dal tavolo, le mani accomodate nelle tasche della divisa acquamarina.

“Bene, questo è tutto. Se non c'è altro, io vado a dormire. Buona fortuna, ragazzi.”

“Non così in fretta, Bertrand.”

 

**

 

François emerge dall'altro lato della cupola, i capelli argentei in disordine, un velo di stanchezza negli occhi azzurri. Si siede sul pavimento improvvisato, un dado – il solito dado – tenuto stretto nella mano sinistra.

“E quello? Per cosa te lo sei portato?”

François giochicchia con l'oggetto del suo interesse, lo lascia passare tra le dita, ruotandolo con calma e precisione, mostrandone tutte le facce, dall'uno al sei.

“Per ravvivare la missione. Queste unità sono piuttosto grandi, ci si può fare un sacco di cose.”

Michelle liscia la chioma scombinata, apre una cassettina metallica, ne estrae alcuni strumenti dotati di display.

“Per esempio, mettersi al lavoro.”

“Io pensavo a qualcosa di più stimolante.”

“Bravo, continua a pensarlo. Basta che non me ne parli, okay?”

 

**

 

Dal mio primo giorno all'ESPDeC, Orviandre mi ha puntata come un cane randagio in calore. Sembra che ogni sua azione abbia come unico scopo arrivare a conquistarmi, ad avermi sua. Un mandrillo della peggior specie, ecco l'idea che mi dà. Può essere che mi sbagli, può essere che io abbia frainteso le sue intenzioni fin dall'inizio... ma non riesco a crederci, non così tanto. L'idea di trovarmi sola con lui in una struttura isolata e ristretta mi fa venire i brividi.

Spero che la mia sia solo un'impressione.

Lo spero con tutto il cuore.

 

**

 

Gli occhi di Bertrand si restringono a fessure.

“Prego? Non penso di aver capito, Orviandre...”

“Sei sicuro di non esserti dimenticato di qualche dettaglio insignificante? Sai, come nel canale di Correa...”

Bertrand abbozza un sorriso.

“Vi ho detto tutto ciò che è necessario sapere per portare a termine la missione. Tutto il resto è di importanza trascurabile.”

 

**

 

“Okay, mi hai convinto. Inizio a monitorare i livelli di rumore.”

François sistema gli apparecchi, accende alcuni schermi olografici, li posiziona con gesti precisi nell'aria vuota.

“Sai, petite? Non avrei mai voluto essere qui, al momento dell'accensione di DP-0. Ho studiato i documenti dell'epoca, letto i giornali, ho addirittura recuperato alcuni log scritti dai cronisti presenti all'inaugurazione. Dev'essere stato drammatico.”

Michelle lascia gli strumenti, incuriosita.

“Noi non eravamo ancora nati e a scuola ne parlano poco. So solo che durante l'attivazione, il nucleo è entrato in risonanza e ha causato l'inabissamento di una regione di terra piuttosto ampia, giusto?”

Il tono di voce serio, non una vena di ironia, le iridi azzurre a fissare il dado.

“Stiamo parlando di oltre un milione di chilometri quadrati. L'intera fennoscandia è sprofondata nel mar Baltico, facendolo confluire nel mare del Nord. Il tutto, in meno di sette giorni. Riesci ad immaginare il momento, l'istante dell'accensione? Il panico? La terra, la tua terra natale che si apre sotto i tuoi piedi, trascinandoti nel profondo? Riesci anche solo a concepire un disastro del genere?”

Un grumo di saliva ingoiato, respiri mozzati per l'orrore, lo sguardo di chi non capisce, di chi non è in grado di capire.

“No, temo di no.”

“Naturale. Nessuno può.”

La mano stretta attorno al minuscolo oggetto cubico, fin quasi a tagliarsi.

“Neppure io.”

 

4. Anomalia

 

“Sì, è tutto a posto. I due inviati dell'ESPDeC si sono immersi un paio di ore fa. Entro stasera avremo i dati relativi alla pericolosità della zona di fondale corrispondente all'ex-Finlandia, distretto di Helsinki. Se tutto va come previsto, potremo organizzare la spedizione di recupero entro una settimana.”

Andrakta annuisce, dall'altro capo del videoricevitore, tamburella sulle scaglie giallastre con estrema calma.

“Hai fatto un buon lavoro, Dinox. Non vedo l'ora di mettere al sicuro quel dannato reattore.”

“E se questo non fosse possibile? Se il rumore di fondo fosse ancora troppo elevato?”

“Non può esserlo, Dinox.”

Perplessità negli occhi, pensieri contorti nella mente.

“Scusi? Non... non credo di aver capito.”

 

**

 

Michelle armeggia con la tastiera, analizza i dati delle sonde esterne, controlla le mappe del fondale. François visualizza il segnale GPS, lo confronta con una vecchia cartina spiegazzata.

“In questo momento, siamo alla periferia di Helsinki. Se avessimo abitato qui quando questo posto era ancora sopra il livello del mare, avremmo goduto di una notevole vista della città.”

“Preferisco non pensarci.”

Le mani tremano, i codici inseriti uno alla volta, programmi di verifica lanciati senza un ordine preciso.

“I rivelatori non segnalano nulla di particolare. Fondo a ventisei millishannon, quasi tre volte quello naturale. Altro che duemila...”

François sgrana gli occhi, preme alcuni tasti, riavvia lo strumento, lancia una nuova scansione.

Non ha senso...

Riavvia il sistema una seconda volta, modifica la sequenza di inizializzazione, attiva il debugger, controlla la presenza di spie di errore.

“Cosa dice lo scandaglio a lunga gittata?”

“Perché me lo chiedi?”

“Voglio confrontare l'output col mio. Temo di avere un malfunzionamento.”

“Fai vedere un po'...”

Michelle lascia la sua postazione, scivola fino al monitor di interfaccia, controlla lo stato. Un grido di stupore.

“Stai scherzando, vero?”

**

 

“Posso umilmente chiedere spiegazioni, ambasciatore? Io ero convinto che...”

“Quanto dura una camera di distorsione, Dinox? Lo so che non sei un tecnico, ma queste cose dovresti saperle anche tu.”

“Circa un secolo. Per le centrali più vecchie, scendiamo a trenta, quarant'anni, se non ricordo male.”

“Esatto.”

Dinox si massaggia il mento, poco convinto.

“Questo significa... che è tutta una farsa?”

“No, per niente.”

Gli occhi di Andrakta fissi in un'espressione severa, uno sguardo che perfora lo schermo.

“Ascolta, Dinox. So che può sembrare una contraddizione, ma questa ricognizione ha perfettamente senso. Ora, non farti troppe domande e limitati a riportare i risultati delle analisi. I pensieri, i ragionamenti lasciali a me. Tu occupati solamente di svolgere il tuo lavoro.”

 

**

 

Mi stringo al manubrio dell'idrojet, lo lancio alla massima velocità. Il puntatore indica la direzione corretta, è bastato interfacciarlo con lo scandaglio. Continuo a pormi domande, domande senza apparente significato, tipo ma chi me l'ha fatto fare di giocarmela o cose del genere.

“Allora, com'è la situazione?”

“Non ho ancora il contatto visivo. Pazienta ancora un poco.”

Certo che François ha una bella faccia tosta a mandare in avanti una ragazza più giovane solo perché ha perso una stupida scommessa ai dadi. Se voleva portarmi a letto, ha perso ogni possibilità con questa mossa.

Non che ne avesse mai avute, intendiamoci.

Un bagliore in lontananza, i fari della mia moto incrociano un oggetto metallico, una specie di capsula oblunga – nulla di diverso dai comuni pod di contenimento.

Ma forse è proprio questo a renderla inquietante.

 

**

 

“Un picco di sessantadue shannon a duecento metri da qui?! No, dev'esserci un errore.”

“Ho riavviato il sistema due volte, senza successo. Continuo a misurare quel valore sballato.”

Michelle si allontana dallo schermo, attiva l'interfaccia con lo strumento di backup.

“Potrebbe essere il nucleo distorsivo.”

“Ci ho pensato anch'io, ma non ha assolutamente senso. Vedi? Si trova più o meno alla nostra stessa profondità. Il reattore è almeno duecento metri più in basso.”

Michelle scuote il capo, massaggia i capelli con calma.

“Secondo gli ordini di Bertrand, dovremmo tornare in superficie e finirla qui.”

“Non lo faremo, petite.”

“Cosa?”

François attiva la routine di analisi secondaria, attende i risultati, li mostra trionfante.

“Come sospettavo, si tratta di un picco isolato. Il gradiente è spaventoso, si passa da zero a sessantadue shannon in uno spazio di rivelazione. No, è troppo sospetto per non darci un'occhiata.”

Michelle abbassa lo sguardo, gioca con la zip della muta, per concentrarsi. Un lungo attimo per elencare mentalmente vantaggi e svantaggi, per confrontarli, per decidere.

Per convincersi.

“D'accordo. Chi va?”

Il dado stretto tra l'indice e il medio.

“Lasciamolo decidere alla sorte.”

 

**

 

“Che letture hai dagli strumenti di bordo?”

“Zero shannon. La lancetta è immobile. Sono a circa quattro metri di distanza.”

“Fino a quanto puoi resistere senza entrare in uptune forzato?”

Una punta di orgoglio nella voce.

“All'incirca settanta, ottanta shannon con esposizione fino ad un'ora. Per intervalli di qualche minuto, posso sopportare anche un centinaio di shannon.”

“Quindi non dovrebbe essere un problema agganciare il pod e controllarlo da vicino?”

“No, direi di no.”

“Okay, procedi con cautela. Al primo segno di instabilità, inverti la rotta e torna indietro.”

Una risata sprezzante.

“François Orviandre, io non mi sono mai destabilizzata, neppure per un istante. Da quando sono all'interno dell'ESPDeC non ho mai perso il controllo del rumore. Non saranno sessantadue shannon in più a cambiare qualcosa.”

 

**

 

Spero non siano le ultime parole famose. L'ho detto più per rincuorare me stessa che per bullarmi con François. Certo, senza falsa modestia, deve ancora nascere chi è in grado di superarmi nel controllo delle frequenze: neppure Bertrand in persona può competere con me. Sono sopravvissuta a contaminazioni peggiori, sono stata persino a Vladislav, durante la crisi al reattore sette, senza riportare danni permanenti. Allora... perché mi sento così insicura?

 

**

 

L'idrojet guadagna centimetri, divora la distanza residua con lentezza esasperante.

Tre metri.

Due aperture ai lati dello scafo, le chele metalliche estroflesse, pronte ad agganciare il corpo estraneo.

Due metri.

Il motore entra in regime di propulsione ridotta, frena la corsa dello scooter, gli idroreattori stabilizzano l'assetto.

Un metro.

“Le letture danno una decina di shannon, in aumento. Siamo lontani dalla zona critica.”

Le chele si allungano, raggiungono l'involucro, lo agganciano, il bacio del metallo, la presa assicurata. I servomeccanismi attivano il riavvolgimento automatico, il modulo scorre lungo le appendici prensili.

Poi, il contatto.

Spie impazzite, led lampeggianti, una luce rossa intermittente nell'abitacolo. Il corpo di Michelle trema, come attraversato da una scarica elettrica, le pupille si dilatano, si contraggono a velocità assurda, i muscoli perdono il controllo.

“Ce... centonovantasei shannon?! È assurdo!”

“Michelle!”

Un ringhio seccato, una voce autoritaria.

“Non... non ti intromettere, François! Fidati di me, so come cavarmela!”

“Ma...”

“Fine delle comunicazioni.”

 

5. Relitto

 

La realtà oscilla attorno alla muta da sub, energia vibrante, silhouette diafane, la frequenza madre in bilico, sull'orlo del baratro. L'autocontrollo portato al massimo, allo sfinimento. Michelle attiva lo schermo secondario, la mano si sdoppia, si sovrappone, torna normale. Le chele risuonano, vibrano, l'acqua attraversata da onde di pressione. La struttura stessa dell'idrojet risente dell'agitazione, si dimena. Baccano assordante, sirene, pannelli in sospensione, il manubrio tremolante. Michelle raggiunge il pulsante di sgancio, meglio lasciare, non so per quanto potrò sopportare il rumore!

Il dito a contatto con la plastica, un gesto deciso, ecco cosa serve, un solo gesto per allontanarsi dall'interferenza. Sudore, lacrime, difficoltà a tenere gli occhi aperti, i timpani fischiano, i suoni attutiti, suoni tremendi, martellanti, sempre più forti, sempre più insistenti.

Poi, all'improvviso, il silenzio.

E il buio.

**

 

François controlla gli strumenti, lo sguardo vaga sui monitor, verifica senza sosta ogni parametro. Il contatto radio spento, Michelle lo ha estromesso.

“Centonovantasei shannon, ha detto. Dannazione, sono un perfetto imbecille!”

Un pugno vibrato con forza sulla tastiera.

“Lo scandaglio a lunga gittata fa una media del segnale su una superficie di qualche metro quadrato, ecco perché ne ho visti solo sessantadue!”

La testa tra le mani, lo sconforto palpabile. Gli indicatori impazziti, le lancette mai ferme, le cifre casuali sui display.

“Se Bertrand sa che ho mandato avanti lei, mi uccide, senza bisogno di passare dal tribunale. Diventerò cibo per...”

Lo scandaglio emette un lungo gemito, un bip prolungato, ritmico, morente.

“Che diavolo...”

Un rapido sguardo alla lettura, il cuore balza in gola, torna indietro, si tuffa nel torace.

“E questo cosa significa?”

 

**

 

Bertrand osserva il soffitto, senza un particolare motivo. La branda è comoda, ma non è importante, non ha intenzione di prendere sonno. La mente più sveglia che mai.

“Andrà tutto come previsto. Devo solo aspettare.”

Si rigira nel letto, gli occhi spalancati, un'espressione indecifrabile sul volto. Pensieri che scalpitano come cavalli imbizzarriti, presagi di sventura, ansia, nervosismo. Rimorsi?

No, per niente.

Un sensore posato sul comodino, il lungo cavo in contatto col suo petto, un led rosso acceso, intermittente. Una rapida occhiata all'oggetto di plastica scura, al continuo alternarsi di luce e ombra. Un sorriso tirato.

“Sì, devo solo aspettare. Preoccuparmi adesso non mi porterebbe a nulla.”

 

**

 

“Non ci credo, dev'esserci un malfunzionamento...”

François attiva la routine di analisi, attende il responso. Momenti che durano come secoli, la mente elabora, reagisce agli stimoli senza comprendere.

“Zero shannon. Zero assoluto. Com'è possibile?”

Il circuito radio attivato, la disperata ricerca di un segnale.

“Michelle? Qui è François, mi senti? È successo qual­cosa?”

Un ronzio di sottofondo, inintelligibile, interferenza casuale nello strumento.

“Michelle, ci sei? Qui gli indicatori danno zero spaccato. Dov'è finito il rumore?”

Nessuna risposta, ancora nessuna risposta.

Mon Dieu! Michelle! Stai bene? Petite!”

“C... chiamami ancora una volta così mentre registrano le comunicazioni e ti uccido.”

Un sospiro di sollievo, la mente rilassata.

“Lieto di sentirti. Stavo per avere un mancamento.”

“Preparati, allora, perché non puoi immaginare cosa ho trovato.”

 

**

 

No, non ha senso. Non ha proprio senso.

Fino a dieci secondi fa, ero immersa in un campo di rumore di centonovantasei shannon. Ora, gli indicatori segnano zero. Zero spaccato. Possibile che sia stata solo una stupida allucinazione? Mi tasto la fronte, è ancora umida. Così come le guance. Ho pianto veramente, ho sudato veramente. No, non è stata un'illusione, alcuni istanti fa ero alla soglia dell'overtune. Il mio corpo non avrebbe retto quella sbronza di rumore a lungo, neppure con lo schermo attivo. Respiro profondamente, tento di tornare padrona di me stessa. Ignoro la voce di Orviandre, ignoro le sue petulanti domande. Devo andare a fondo. Devo scoprire cosa si cela dentro questo maledetto contenitore!

 

**

 

Le chele si serrano attorno al guscio metallico, incominciano a ritagliarne la superficie, creando un'apertura di qualche decina di centimetri. I pod non contengono ossigeno, non tengono il vuoto. Capsule isolate portaoggetti sterili, cadute in disuso da anni. Nessun essere vivente, al loro interno. Non sopravviverebbe nemmeno per un'ora. Il meccanismo di precisione elimina il primo pannello, porta alla luce il rivestimento interno in vetracciaio blindato. La chela si ritrae, lascia spazio ad un terminale secondario, una telecamera di ricognizione. L'obiettivo transita lungo la carlinga, si piazza sul pannello trasparente, acquisisce l'immagine.

“Oh...”

Una figura minuscola, umana. Gli occhi chiusi, la bocca chiusa, vaporosi capelli lunghi.

Sembra quasi che dorma.

 

**

 

Per quanto mi sforzi, non riesco a prendere sonno. Sarà l'agitazione a tenermi sveglio? Chi lo sa, forse sì, forse no. Non posso avere certezze, non conosco la mia psiche in modo così preciso. Anzi, non la conosco affatto, nessuno ci ha mai presentati. Forse sto riflettendo sulle mie scelte, questo sì. La mia mente continua a domandarsi se ho fatto bene a richiedere l'intervento di Dumas e Orviandre. In effetti, potevo puntare su Arnout, Ravel o addirittura Van Gaal. Perché ho scelto proprio loro? Potrebbero esserci miriadi di ragioni, milioni di possibilità, ma credo di conoscere il vero motivo: erano gli unici a cui potevo affidare il recupero.

Perché? È così semplice, dopotutto.

Quei due...

 

**

 

Michelle sospira, domina la tristezza. Una bambina, racchiusa in una capsula per trasporto merci. L'ultimo tentativo di un genitore di salvare la figlia dall'apocalisse, dalla furia del mare che spazza via i palazzi, le automobili, le persone, l'oceano affamato che divora la terra, trascinandola nel profondo. Un tentativo inutile.

L'istinto materno si risveglia, emerge dall'antro in cui è stato nascosto per troppo tempo, rimpiazzato dal senso del dovere, soffocato dal controllo emotivo.

“F... François? Sei ancora lì?”

“Certo che ci sono. Dove dovrei essere, scusa?”

“C'è un pod in corrispondenza dell'anomalia. Un pod sterile per il trasporto merci, di quelli che si usavano nel duemilaquattordici. Ma non c'erano oggetti dentro, purtroppo. Solo...”

Un grumo di saliva ingoiato a fatica.

“... solo una ba... e-ehi! Un momento! François! T... tira fuori i kit di pronto soccorso, presto!”

“Ti sei fatta male?”

“No, non io, io sto bene ma...”

“Allora che cosa...”

“Ha aperto gli occhi, François! È ancora viva!”

 

6. Emersione

 

“Allora? Come sta?”

François scuote il capo, si accomoda su una seggiola di plastica.

“I medici non hanno ancora diramato nessun bollettino. Ho provato a parlare con Talainen e Ketala, ma non si sono sbottonati. Silenzio assoluto.”

Michelle appoggiata al muro, i capelli biondi ricadono sugli occhi azzurri, occhi puntati verso il pavimento, la divisa ESPDeC rassettata, una macchia verde azzurra sul bianco delle pareti.

“Dici che se la caverà?”

Un sorriso di scherno.

“Se è sopravvissuta per oltre quarant'anni in una capsula di metallo, senza cibo né ossigeno, cosa vuoi che sia un intervento di routine?”

 

**

 

“Stai calma, non riesco a capirti se urli così!”

“Ho trovato una bambina! In questo bozzolo c'è una bambina, viva! Mi sta fissando attraverso l'apertura sul vetracciaio! Aggancio il pod e lo porto alla cupola. Chiama un batiscafo da Neo Helsinki, non possiamo portarla su noi!”

“Sì, come no. Una bambina. Chiusa in un container per merci deperibili.”

“Se non ci credi, apri il tuo maledetto schermo remoto e dai un'occhiata!”

 

**

 

Una sigaretta fumata con estrema tranquillità, alla sola presenza delle onde. Bertrand si sporge dalla balaustra, ammira le nuvole grigie, pronte a scaricare cascate di pioggia fredda. Una boccata di fumo aspro, tabacco di contrabbando, di qualità superiore. Le iridi verdi vagano tra le nubi, in cerca di uno spiraglio, della luce di un Sole celato da batuffoli plumbei. Pongono domande mute, i suoi occhi, espongono dubbi, perplessità.

Ma il cielo non ha risposte per Bertrand. Solo un silenzio ostinato.

 

**

 

“Allora, dottor Talainen? Quali sono le sue condizioni di salute?”

Il medico sistema gli occhiali, li posiziona con cura, esattamente al centro del volto.

“Clinicamente parlando, sta benissimo. Pressione a livello ottimale, battito nella norma, ossa integre... il problema è che non riusciamo a comunicare. Se ne sta seduta sul letto a fissare il soffitto, non mangia, non parla, non gesticola. Niente di niente. Potrebbe essere una forma di ritardo mentale ma...”

Michelle si fa avanti, supera François.

“Possiamo vederla?”

Talainen controlla i documenti nelle sue mani, una rapida occhiata ai risultati delle analisi.

“Sì, direi di sì. Non c'è nulla che lasci presupporre un'infettività o reazioni impreviste ad allergeni. Ma solo per un paio di minuti. Devo ancora terminare alcuni esami di routine.”

 

**

 

Un vuoto vertiginoso, profondo come l'oceano stesso, scuro, imperscrutabile. Michelle si perde nello sguardo delle bimba, scivola nelle tenebre, nell'oscurità infinita di un pozzo senza fondo. Il gelo attraversa le membra, brividi di freddo lungo tutto il corpo.

Cosa mi sta succedendo?

Un cenno con la mano, dall'interno della cabina dell'idrojet. Un cenno di saluto, forse.

Un saluto non ricambiato.

**

 

“Perché la vuoi incontrare?”

François fatica a stare al passo, rimane indietro di alcuni metri.

“Tu non hai incrociato il suo sguardo. Quando l'hai soccorsa, era già addormentata.”

Un'espressione turbata, le iridi in moto continuo, un rossore diffuso sul viso.

“Nell'istante in cui l'ho vista, sono stata assalita da una voragine di sentimenti negativi. Terrore, tristezza, solitudine, compassione, tutto assieme. Non avevo mai provato qualcosa del genere. Mai.”

 

**

 

“Che età le dareste?”

“Otto, dieci anni al massimo. La corporatura e lo sviluppo coincidono, ma i dati non sono del tutto concordanti. Non siamo in grado di capire come abbia fatto a sopravvivere in quella capsula così a lungo. È come se per lei il tempo si fosse fermato a quarant'anni fa... come se ciò fosse possibile. Davvero, non riesco a spiegarmelo.”

“Uh, uh.”

François inclina il capo, scrocchia il collo con movimenti decisi.

“Se non fosse che è totalmente assurdo, sarei perfettamente d'accordo con la sua analisi.”

 

**

 

François rimane in disparte, seduto su uno sgabello di plastica rossa. Michelle si avvicina al letto, al giaciglio che ospita una figura minuscola, abbarbicata nei suoi lunghi capelli castani. La ragazza si accomoda al suo fianco, scosta la chioma bionda dagli occhi, per vedere meglio.

“Ciao.”

Nessuna reazione. Il condizionatore lavora a pieno regime, un fastidioso ronzio di sottofondo, unico protagonista nella stanza.

“Sai? Mi hai fatto prendere un colpo, là sotto. Non mi aspettavo di trovare qualcuno dentro il pod.”

Parole nel vuoto. La bambina ferma, immobile, solo il respiro a qualificarla come essere vivente. Uno sbuffo indispettito.

“Secondo me, dovresti arrenderti. Si vede lontano un miglio che non ti ascolta.”

“Stai zitto, François.”

Michelle si fa coraggio, tenta il contatto, stringe la mano della piccola. Solo per un istante.

“È fredda come un cadavere!”

Un lungo sospiro, il ritorno all'usuale contegno.

Non importa. Vorrà dire che la riscalderò io.

La mano si avventura di nuovo lungo le coperte, sfiora le dita gelide, il palmo niveo, lo afferra con delicatezza, incurante dello shock termico.

Un fremito lungo il corpo della bimba, la testa ruota, incrocia lo sguardo di Michelle.

“Non avere paura, non voglio farti nulla. Io mi chiamo Michelle, Michelle Dumas. Dumas come lo scrittore, hai presente? Quello di d'Artagnan e dei tre moschettieri.”

Le pupille si spostano, un accenno di movimento, di vitalità.

Michelle sorride, mostra una dentatura immacolata, allineata perfettamente salvo per un incisivo dell'arcata superiore. Porta la mano della piccola a sé, fino a permetterle di sfiorare il suo cuore, a sentirlo pulsare. François incuriosito, interdetto, incapace di comprendere.

Cosa è successo a miss nervi-d'acciaio? Basta così poco a sciogliere il suo scudo di ghiaccio?

Il cuore di Michelle batte forte, il ritmo si dipana attraverso la pelle, il tessuto, le dita, le ossa, i muscoli, i neuroni, raggiunge il sistema nervoso centrale.

Un sospiro sconsolato, Michelle china il capo, sconfitta.

Niente.

Nessuna reazione.

“Sembra che tu non abbia nessuna voglia di parlare, non è così?”

Lascia la manina, la lascia libera di arretrare, di precipitare di nuovo sulle lenzuola.

Ma non accade.

Si protende in avanti per un istante, per ripristinare il contatto, ritrovare il calore perduto.

E negli occhi spenti balena una luce.

**

 

Un pensiero sconnesso, due ore prima, sulla branda a contemplare il soffitto. L'allarme, il suono fastidioso del suo comunicatore portatile.

Cosa succede? Che diavolo...

Gli attimi successivi impiegati a rendersi conto della situazione, a ritornare padrone dei propri sensi. Il bottone premuto con malcelato fastidio.

“Brillouin.”

“Qui Orviandre, richiedo un batiscafo di supporto. Abbiamo trovato una bambina viva, ripeto una bambina viva! Adesso sembra immersa in uno stato di incoscienza, ma i parametri biologici sono stabili.”

“Okay, me ne occupo io. A dopo.”

Una veloce rassicurazione, l'ordine diramato in fretta e furia. La stanchezza riprende il possesso del corpo, uno sguardo svogliato al led scarlatto.

Uno sbuffo annoiato, l'imprevisto da metabolizzare.

“... sembra che dovrò aspettare ancora un po'...”

 

**

 

“Puoi... puoi ripetere, scusa?”

“...Akima.”

Una voce sottile, innocente, fragile. Il tono incerto, le labbra dischiuse quasi a fatica. La prima parola pronunciata dopo tempo immemore.

“C... come?”

“Akima. È il mio nome.”

Gli occhi si rianimano, minuscoli riflessi scintillanti, i capelli castani a contornare il viso arrotondato, l'imbarazzo della domanda.

Il coraggio di porla.

“Posso chiamarti mamma?”

 

7. I Tre Moschettieri

 

“Cosa ne dici di tranquillizzarti, sì?”

Michelle stretta nel suo pigiama, seduta sulle coperte della branda, gli occhi gonfi, rossi.

“Non... non è semplice.”

François al suo fianco, le mani in tasca, postura rilassata.

“Nulla è semplice.”

Respiri affannati, misti a singhiozzi, la difficoltà di trovare un appiglio, di fermarsi e ripartire. François accarezza il caschetto biondo, lentamente, senza fretta.

“Ora, senza inondare la Senna più del necessario... puoi spiegarmi perché sei scoppiata in lacrime, davanti a Bertrand?”

 

**

 

“C... come hai detto?”

“Posso chiamarti mamma?”

Un barlume di speranza, un luccichio nelle iridi scure.

Michelle si ritrae, si allontana di colpo, lascia la presa, gli occhi sgranati, incredulità, sorpresa.

Akima non distoglie lo sguardo, continua a fissare la ragazza, una luce che non si spegne.

“Io... io...”

Un attimo per riflettere, per pensare. Un attimo solo.

“F...François, puoi uscire un attimo? Voglio rimanere sola... con lei.”

 

**

 

Donne. E io che pensavo di capirle. Michelle, la lady di ghiaccio, miss non mostro emozioni nemmeno se mi preghi... in crisi per una lattante. Non credevo che avrei mai assistito ad una scena così toccante, non qui a Neo Helsinki, perlomeno. Dicono che sono poco freddo, che non ho controllo emotivo. Forse è vero, forse non riesco a frenare la mia esuberante personalità, ma che posso farci? Dovrei comportarmi come lei, chiudermi dietro un'immagine di dura insensibilità salvo poi crollare al primo stimolo imprevisto? No, non fa per me: non sarei più François Orviandre. Okay, forse sto cercando di convincermi che è così, che nulla sia in grado di causarmi fastidio, di ferire il mio buon umore, il mio innato ottimismo.

Sì, una cosa del genere.

La verità è che quella frase, quella domanda innocente ha scioccato anche me.

Solo, non voglio darlo a vedere.

Tutto qui.

 

**

 

“Ripetimelo ancora una volta, François.”

Bertrand seduto al tavolo, le unghie smaltate incrociate, il ciuffo castano sull'occhio destro. Uno sguardo intenso, penetrante. Seccato.

François prende fiato, la sua verità come un disco registrato.

“Durante l'ispezione preliminare, ci siamo imbattuti in un'anomalia, un picco isolato di centonovantasei shannon non ascrivibile all'influenza della centrale. Michelle è andata a controllare con l'idrojet e ha trovato un pod per l'invio di merci deperibili – in pratica, un contenitore sterile privo di qualunque forma di supporto vitale. All'interno, c'era una bambina, inspiegabilmente viva. Michelle ha trainato il pod fino alla cupola di sostentamento, dove abbiamo atteso l'arrivo del batiscafo.”

“Se devo prestar fede alle tue parole, hai permesso a Michelle di trainare un oggetto con rumore intrinseco superiore ai centonovanta shannon.”

“No, non è così. L'anomalia è cessata dopo qualche secondo, le letture davano solo qualche decina di millishannon.”

“Capisco.”

Bertrand si massaggia il mento con calma, focalizza la situazione, mantiene il sangue freddo.

“Questa spiegazione la aggrada, sotto-ambasciatore Dinox?”

Un grugnito scocciato, la mano a premere la sua stessa guancia, la lingua ripulisce i denti con cura.

“Noi non giustifichiamo mai un ritardo sulla schedula. Gli imprevisti si eliminano, non si affrontano. Se fossi stato presente, avrei ordinato di lanciargli contro un siluro, altro che salvare la bambina. E poi, non vi sembra strano? Dico, avete trovato una stupida larva racchiusa in un bozzolo che in teoria non le avrebbe permesso di sopravvivere nemmeno per un secondo! Per di più, risalente a più di quarant'anni fa! Cos'è, non è invecchiata di un giorno perché è rimasta sottovuoto? O c'è qualcosa che mi sfugge sulla vostra anatomia? No, questa faccenda puzza di bruciato. Puzza talmente tanto che il tanfo ha già raggiunto EXODUS.”

Bertrand impassibile, le dita serrate con forza.

“Chiediamo un paio di giorni per sottoporre la bambina ad analisi mediche.”

Dinox lascia il posto a sedere, assume posizione eretta.

“Ventiquattro ore, Brillouin. Non una di più. Ulteriori ritardi non saranno tollerati: la vostra sarà considerata una violazione degli accordi, imputabile come alto tradimento nei confronti di EXODUS. Se i vostri medici riscontreranno anomalie che possano compromettere la missione principale, il soggetto dovrà essere eliminato. Chiaro?”

Un cenno di silenzioso assenso. François stringe il bracciolo della sedia, il volto contratto in una smorfia. Un'occhiataccia di Bertrand, la calma forzata.

“Non contravverremo agli accordi.”

Un sorriso deforme sulla bocca da coccodrillo.

“Bene. Se non c'è altro, mi ritiro nel mio alloggio. Con permesso...”

 

**

 

“Chi sono i tre moschettieri?”

Michelle accarezza i capelli della bimba, con dolcezza.

“Tre valenti spadaccini che combattevano per il re di Francia, nel diciassettesimo secolo. A loro si aggiunse un giovanotto di provincia di nome d'Artagnan. La loro storia è stata raccontata da Alexandre Dumas padre in un libro. Sai? In famiglia gira la voce che sia un mio antenato. Se fosse vero, non potrei che esserne orgogliosa.”

Akima si sdraia tra le coperte, le palpebre calate.

“Puoi leggermene un pezzo?”

Gli occhi di Michelle leggermente inumiditi.

“Tutti quelli che vuoi, piccola...”

 

**

 

“Perché gliel'hai data vinta così facilmente? Non è che se loro ci hanno dato i progetti per costruire le centrali a distorsione, noi dobbiamo scodinzolare quando battono quelle orribili mani squamate!”

“Un buon capo deve sapere mantenere l'autocontrollo, François. E poi, ventiquattro ore sono già un'enorme concessione, considerato che sono riuscito ad ingannarlo.”

“Cosa?”

Bertrand afferra un plico, scartabella tra i documenti, ne estrae un paio.

“Le analisi le abbiamo già terminate da un pezzo. Questo è il referto.”

Gli occhi di François scorrono lungo le pagine, si concentrano su ogni singola riga, su ogni parola, ogni termine.

Mon Dieu!

Riconsegna il plico, un misto di terrore e apprensione nelle iridi celesti.

“Credo che Michelle debba esserne messa al corrente.”

“Forse sì... ma non subito. Voglio vedere come evolve la situazione.”

 

**

 

Michelle rimbocca le coperte alla creaturina addormentata, si allontana in silenzio, le scarpe in mano per fare meno rumore possibile. Un tumulto interiore, difficile da nascondere, impossibile da ignorare. Un sentimento, un sentimento positivo, emerso dal nulla, dopo tempo immemore.

Spegne la luce, chiude la porta, indossa nuovamente le calzature. Un'occhiata all'orologio da muro. Le tre e venti. Un'ora e mezza trascorsa con Akima.

“Altro che alcuni minuti. Talainen non si è più rivisto...”

“Bentornata, miss Dumas. Cominciavo a darti per dispersa.”

Lo sguardo freddo di François, un misto di preoccupazione e sdegno, dirompente, esplosivo.

“Sei stato qui tutto il tempo?”

“Sarebbe stato meglio, forse. Ho avuto una simpatica riunione con muso-da-rettile e il capo.”

Un cenno del capo, un gesto sconsolato.

“Non dovrei dirtelo, ma abbiamo parlato di Akima. Quella bambina ha qualcosa di assurdo.”

Un lungo sospiro.

“Tu hai qualcosa di assurdo, Michelle. Cosa ti sta succedendo?”

 

8. Overtune

 

Michelle non mi ha risposto, ieri sera. Si è limitata a stringersi nelle coperte e ignorare platealmente le mie parole. Non ho assistito alla sua conversazione con Bertrand, ma posso immaginare cosa si siano detti. Tra l'altro, si è già svegliata: quando sono andato a bussare alla sua porta ho scoperto che se n'era già andata da un pezzo. Non ho bisogno di fare alcuno sforzo di fantasia per capire dove, è troppo semplice. Comunque, non è necessario che mi affretti. Oggi il mare è estremamente agitato, per sicurezza hanno annullato l'immersione. Non credo sia un problema, tanto la centrale non scappa.

Lancio il dado, lo afferro al volo, sommo il risultato al numero che ho pensato, lo divido per due, riporto tre. Ah, perfetto! Se non ricordo male, il magazzino dovrebbe essere di qua...

 

**

 

“... e d'Artagnan estrasse agilmente la sua spada, brandendola con astuzia e maestria. Le guardie del cardinale rimasero attonite in guardia, in attesa di uno spiraglio...”

La voce di Michelle accarezza il silenzio, solletica l'aria. Un timbro caldo, dolce come non mai. Legge brani da un vecchio libro, un'antologia per bambini con estratti semplificati. E, mentre legge, i personaggi prendono vita sullo schermo del tablet, le olografie si muovono a scatti, sfrigolando. L'immagine salta, di tanto in tanto, ma ad Akima non importa. Ascolta rapita, gli occhi scintillano, ma non per la luce. Si accoccola tra le braccia di Michelle, seduta sul letto con lei, la stringe forte, la testa adagiata sul petto.

“Ma il cardinale è proprio cattivo?”

Michelle abbozza un sorriso.

“Sì, lo è.”

Akima chiude gli occhi, stringe il tessuto della divisa acquamarina.

“E io sono buona, mamma?”

Michelle ricambia l'abbraccio, le trasmette tutto il suo calore.

“Sì che lo sei, piccola mia.”

 

**

 

Eccolo qui, il bozzolo. Un ovoide di un metro e sessanta di altezza per un metro di raggio. Strano posto per nascondere una... quella cosa. Sì, perché non riesco ancora a chiamarla bambina e non so se e quando sarò in grado di farlo. Nessun essere umano può sopravvivere in un pod del genere per più di venti minuti, figuriamoci per cinquant'anni. Se poi consideriamo i risultati delle analisi...

No, lasciamo stare, meglio concentrarsi sul guscio. Voglio ispezionarlo prima che lo portino via, potrebbe essere interessante. Troppe cose non tornano: il picco di centonovantasei shannon, l'assenza di aria, il mancato invecchiamento di Akima. Ho una mia teoria, ma devo verificarla.

Ed ecco perché sono qui, adesso.

 

**

 

“Adesso, perché non mi racconti qualcosa tu? Hai qualche ricordo dei tuoi genitori?”

Akima annuisce, un cenno del capo.

“Sì.”

“Dai, sono curiosa. Dimmi un po'!”

“Ricordo undici capsule. Uguali. E un cilindro, al centro. Nelle capsule c'è qualcuno, ma non vedo. Il vetro è troppo scuro. Poi ti avvicini tu, mamma. Hai un vestito bianco, di quelli da laboratorio. Mi guardi, mi vedi, mi accarezzi i capelli. Poi ti allontani di nuovo, torni dagli altri.”

“Gli... altri?”

“Altri vestiti come te. Premono leve e bottoni. E poi... e poi la luce rossa, un suono forte. Sento le urla, la gente grida. I muri tremano, trema tutto, proprio tutto. Però sono tranquilla, non so perché. Non sento ansia, non sento agitazione. Strano, no? E poi, tu mi saluti, mi guardi ancora una volta, tiri una maniglia, il vetro diventa nero, sento una spinta, una spinta forte, verso il cielo. Non vedo più niente, sento solo, sento un fischio... e un'altra spinta, verso il basso, il rumore dell'acqua. Poi, mi addormento. E mi risvegli tu.”

 

**

 

Inizio a svitare il pannello di vetracciaio, con decisione e precisione. Il set di brugole del kit di riparazione dell'idrojet è ben assortito, il cacciavite a punta denso-adattiva funziona bene. Con gli strumenti giusti è una passeggiata, se continua così lo smonto in dieci minuti. Do un'occhiata al rivelatore da polso. Dieci millishannon, poco più del fondo naturale. Meglio così, non ho bisogno di complicazioni. Stacco la finestra, rimuovo il telaio. La superficie interna è liscia, lucida, come se questo coso non fosse mai stato usato per il trasporto di merci. Un attimo, c'è una scritta incisa qui... e – uh? Una sfera nera? Questa non l'avevamo notata, durante la prima ispezione. Cosa...

 

**

 

“Io ti avrei... salvata?”

“Sì, mamma. Hai lanciato la mia capsula fuori, nel blu. Solo la mia, però. Le altre le hai lasciate là.”

“Le altre?”

“Le altre capsule. Ce n'erano undici, mamma. Non ricordi?”

Michelle scuote il capo con violenza, cerca di capire.

“No, ci dev'essere un'errore. Io ho solo ventiquattro anni, quando DP-0 è sprofondata nel mare... io non ero ancora nata!”

“Eppure eri tu, mamma. Ne sono sicura.”

Michelle si stringe ad Akima, la tiene tra le braccia, incapace di smettere, di lasciarla sola. Incapace di mentirle.

“Ascolta, Akima. Io...”

Un rombo terrificante, le pareti scosse, una scarica violenta, Neo Helsinki vibra fino ai galleggianti, alle ancore di aggancio. Lo sguardo di Michelle vaga per la stanza, il collo ruota a velocità folle, in cerca del nemico.

Un ronzio in sottofondo, l'altoparlante gracchia, emette alcuni suoni indistinti, frasi in finlandese, difficili da comprendere.

Poi, la voce di Bertrand, l'annuncio in francese.

E il sangue di Michelle smette di scorrere, per un lungo istante.

 

**

 

Una sirena squarcia l'aria, attraversa l'intera base. L'allarme generale attivo, le guardie imbracciano il fucile. Dinox esce dall'alloggio, il panico sul volto.

“Cos'è tutto questo caos? Stiamo andando a picco?”

“>Procedura di emergenza attiva;

>Priorità: portare in salvo il sotto-ambasciatore.”

Shame attiva gli shotgun, la mitragliatrice Atlassian emerge dalla spalla destra. Un'unghia smaltata a spostare la canna, a tappare il foro d'uscita.

“Non ce ne sarà alcun bisogno.”

Bertrand compare dal nulla, il viso paonazzo, irritato.

“Gestire questa emergenza è compito nostro.”

 

**

 

Attenzione, per favore! Sovraoscillazione in corso! L'agente Michelle Dumas è richiesta d'urgenza al magazzino cinque. Questa non è un'esercitazione – ripeto – questa non è un'esercitazione!”

 

**

 

Non riesco più a mantenere la coerenza! Cosa... che diavolo... duecentosessantaquattro shannon? Mio Dio! Mio Dio! Sto per entrare in overtune forzato, non... non riesco a smorzare l'oscillazione! Aiuto! Bertrand! Michelle!

Michelleeeeee!

 

9. Spire

 

Fusti di carburante sparsi per il perimetro, le mura ricoperte di tagli profondi, tre guardie a terra, ferite. Strisciano via, si tengono a distanza. Le altre agitano i mitra, cercano di farsi vedere, di attirare l'attenzione. Una sferzata invisibile, energia allo stato puro, la coda del serpente. Profili rarefatti, un corpo inviluppato da squame elettriche, aggrovigliate, striscianti. Gli strati di pelle scorrono uno sull'altro, in moto continuo. Occhi vermigli, bagliori rossi nel buio, l'impianto antincendio attivo, il ticchettio della pioggia artificiale. E i passi lenti del cobra. Del cobra gigante sovrapposto a Orviandre.

 

**

 

“Fate fuoco! Cosa state aspettando? Quel mostro...”

“Quel mostro è uno dei miei agenti, sotto-ambasciatore! Non permetterò a nessuno che non sia un membro dell'ESPDeC di interferire.”

Bertrand incrocia le mani, le unghie nere intrecciate alle bianche, in un macabro patchwork.

“Vediamo cos'hai imparato, miss Dumas.”

 

**

 

Non ho tempo di pensare, di riflettere. Quando arrivo sul posto, è tutto un caos. Urla, improperi, insulti, agenti con maschere antigas, cecchini del distretto di polizia di Neo Helsinki. Un esercito in assetto da guerra, i fucili spianati in attesa di un ordine, un ordine che non arriva. Bertrand in piedi, in attesa, sta aspettando me.

“Ben arrivata, miss. Sembra proprio che sia richiesto il suo intervento.”

Ingoio la saliva, mi preparo all'attacco.

Perché deve succedere tutto così in fretta? Perché dev'essere tutto così difficile?

Proprio adesso che dovevo spiegare tutto ad Akima...

“François...”

Il mio metronomo oscilla, oscilla a ritmo serrato, sto per raggiungere la risonanza, per scatenare il mio uptune.

“... possibile che tu debba interrompermi sempre nel momento sbagliato?”

 

**

 

Un'esplosione di energia pura, il corpo in autorisonanza. Michelle si sdoppia, l'immagine scatta, si allarga, si evolve in una forma perfetta. Ali di luce bianca, piumate, artigli al posto di mani e piedi, striature nere, la pelle bianca, i lineamenti affilati, i capelli biondi si sollevano, formano una massa in moto continuo. Il candido cigno si alza in volo, sovrasta il piazzale, suscitando l'ammirazione, lo sgomento dei soldati.

Due ali principali, due secondarie, la forma umanoide, gli occhi azzurri scintillanti, il pieno possesso delle facoltà mentali. La voce attraversa l'aria a velocità supersonica, cavalca le radiofrequenze, si diffonde nell'atmosfera.

Bertrand osserva soddisfatto, un luccichio nelle iridi verdi.

“Non... non dovremmo intervenire, comandante Brillouin?”

“Lo stiamo già facendo, sotto-ambasciatore. Stiamo osservando l'evolversi della vicenda.”

Un sorrisetto ironico.

“Le garantisco che qualunque altra nostra azione non avrebbe altro effetto che rendere la situazione più complicata.”

 

**

 

Ho raggiunto un uptune perfetto, elegante quasi. Ora devo portare Orviandre sulla mia frequenza, devo forzare il suo ritmo. Solo in questo modo potrò riportarlo alla ragione.

Possibilmente, senza fargli troppo male.

**

 

Il cobra si contorce, le spire annodate, convolute, un groviglio di materia strisciante. La testa scatta in avanti, le zanne snudate, ansiose di affondare nella carne. Michelle scarta di lato, un battito d'ali elegante, preciso. Un movimento rapido, guadagna il cielo, si solleva di alcuni metri, sfrutta la spinta dei vortici. Un sibilo, il serpente carica, aggancia il bersaglio. Il corpo si libera, si estende come una molla, raggiunge quattro, cinque, sei metri di lunghezza in un istante. Michelle presa alla sprovvista, le fauci si chiudono sull'ala destra. Orviandre la sbrana, la strappa con violenza. Un grido di dolore, trasmesso ad ogni mente, ad ogni essere nell'arco di cento metri. I frammenti albini esplodono, esplodono in un mare di scintille, energia allo stato puro. Le altre tre ali si ricombinano, mantengono l'assetto, Michelle guadagna il terreno, una catasta di casse dietro cui nascondersi.

I soldati abbandonano le posizioni, si rifugiano dietro le porte blindate, corrono, scappano, il terrore come unica guida.

Solo Bertrand rimane in piedi, impassibile.

 

**

 

Cos'è quell'oggetto che vola? Lo voglio! Voglio tutto! Devo ingoiarlo, renderlo parte di me! Sì, devo divorare, divorare! Crescere, evolvermi, fare la muta, cambiare, crescere ancora, ancora! Inglobare, assimilare, raggiungere un livello più alto di esistenza! Raggiungere il cielo, dominarlo, fino ad osservarlo dall'alto! E, infine, divorare la Terra stessa! E la Luna! E l'Universo! E chiudersi a cerchio, in un ciclo continuo!

La fine, l'inizio, un unico istante, un unico ente!

Un unico Dio!

 

**

 

“È... è riuscito a prendermi... a strapparmi un'ala! Se l'è mangiata!”

Michelle respira, respira a fatica. Mantiene la calma, l'uptune attivo, non ancora perduto. L'immagine sfrigola, perde consistenza, la riacquista. Il moncherino bianco compare e scompare, a frequenza sempre maggiore.

“Un altro colpo del genere e la mia autorisonanza va a farsi benedire.”

Prende fiato, Michelle, focalizza il nemico. Le spire arrotolate, nessuna strategia di attacco, se non...

Scuote il capo, pochi decimi di secondo per reagire, la testa del serpente estroflessa, pronta a calare come una scure.

“... non mi viene in mente altro. Se fallisco, non avrò una seconda possibilità.”

 

**

 

Le fauci serrate attorno all'ala sinistra, la lacerano, la riducono a brandelli. Ma non è importante, no.

Michelle resiste al dolore, atterra rovinosamente, punta i piedi artigliati, si spinge in avanti. Uno scatto di reni, le ali secondarie a propulsione, verso il nucleo, lasciato scoperto dal mostro. Una freccia bianca trafigge il cuore, il cuore della serpe, afferra François al collo, lo sbatte per terra con brutalità, lo estrae dalla sovrastruttura energetica. La risonanza perduta, il metronomo esplode, il serpente svanisce. François schiantato contro il pavimento, incosciente.

E una sfera nera, caduta al suo fianco.

 

**

 

Uno schiaffo in pieno volto, a mano aperta.

“Pezzo di imbecille! Cosa cazzo hai combinato?”

François riapre gli occhi, scrolla più volte la testa, sudore lungo la fronte, le pupille dilatate.

“... io... io...”

Una scarica di ritorno, la mente grida disperata.

“... la sfera...”

I pensieri si ricompattano, recuperano coerenza. François emerge dalle tenebre, torna in sé.

“La sfera! Dov'è la sfera? Non raccoglierla! Non appena l'ho toccata, ha fatto salire il mio rumore a quasi trecento shannon! Non ho avuto nemmeno il tempo di mollarla, mi ha mandato in overtune senza che potessi...”

Il volto cereo, un fischio insistente nelle orecchie, macchie rossastre nel campo visivo, gli arti molli, i muscoli perdono consistenza.

“... oh, cavolo...”

E i sensi lo abbandonano, lasciandolo scivolare nella più totale incoscienza.

 

10. Quarantena

 

Risvegliarsi in un letto d'ospedale non è quello che si dice il massimo della vita. Le cose potrebbero migliorare se una bella ragazza giovane mi tenesse per mano. Magari anche bionda, e minuta. E con gli occhi azzurri, se si può. Sì, okay, non ha senso parlare per allusioni: in questo momento, vorrei che ci fosse Michelle, qui accanto a me, il mio piccolo cigno bianco. Sfortunatamente, mi odia. Penso ne abbia tutto il diritto, visto come mi sono comportato durante il nostro addestramento congiunto. Sì, sono stato veramente uno stronzo ad umiliarla così, di fronte a tutti. Ricordo ancora il biasimo di Raphael, lo sguardo schifato di Gabriel...

No, non ho scusanti. È solo, esclusivamente colpa mia.

Se solo avessi la possibilità di ricominciare da zero...

 

 

**

“Domani mattina mi immergerò assieme a lei, agente Dumas. È fuori discussione che Orviandre partecipi, non dopo quello che è successo. Questa volta, fileremo dritti fino al reattore – nessuna fermata intermedia. Dobbiamo tornare con una mappa dettagliata del rumore circostante. Se non ne mettiamo una sul tavolo di Dinox entro ventiquattr'ore, probabilmente i Daevka ci bombarderanno. Il fallimento non è un'opzione.”

Michelle annuisce con un gesto del capo, leggeri dolori alle spalle, una benda di medicazione sulla fronte.

“Entro cinque o sei ore, le mie ferite si rimargineranno. Per domani mattina, sarò perfettamente in grado di pilotare l'idrojet.”

Bertrand scosta il ciuffo castano dall'occhio, incrocia le mani dietro la testa.

“Molto bene, agente Dumas. Il rendez-vous sarà sulla pista di lancio alle sette. Non ammetto ritardi.”

“Ci sarò, può stare tranquillo.”

 

**

 

Gioco un po' col dado, tanto per fare qualcosa. Per fortuna non mi hanno messo in isolamento: dopo le visite preliminari è risultato che la causa dell'overtune è stata esterna. Già, quella sfera nera... chissà che fine ha fatto? Non l'hanno trovata, all'interno del guscio. Sono sicuro di non essermela inventata, ne sono certo. Probabilmente, era quella la causa del rumore anomalo che ha assalito Michelle quando è entrata in contatto con il pod. Sì, questo spiegherebbe tutto. Spiegherebbe anche Akima.

Certo, ora ogni elemento quadra, è come aver ritrovato l'ultimo pezzo del puzzle.

Solo, non posso inserirlo.

Non in questo momento.

 

**

 

“C... come? Perché non posso entrare?”

Il dottor Talainen sistema gli occhiali con cura, stringe la cartella clinica tra le mani. Nessuna espressione sul volto.

“Il soggetto denominato Akima presenta delle anomalie funzionali. La stiamo sottoponendo a degli esami e...”

“Cosa le è successo?!”

Talainen rotea gli occhi, un sospiro seccato.

“Se permette, questo non la riguarda, signorina.”

Michelle si impunta, non un passo indietro, le pupille fisse su quelle del medico. Talainen porta lo sguardo al cielo, scrolla la testa.

“D'accordo, d'accordo. Svenimenti continui. Akima non mangia, non assume né cibo, né bevande. Qualunque sostanza somministratale viene rigurgitata in pochi secondi. Così va meglio?”

 

**

 

“... ecco fatto. Con questa, siamo a posto.”

Una scatola di medicine per la rigenerazione rapida dei tessuti, la fustella sostituita ad arte – difficile notare la differenza. Passo felpato, un'ombra tra le ombre, scivola fuori dall'alloggio, il passepartout elettronico nella tasca destra. Un contenitore isolante nella borsa, sferico. Pieno.

“Ora, prepariamo l'ultimo atto.”

 

**

 

Sembra che i desideri, in certe situazioni, si avverino quando meno te lo aspetti. Ecco che – all'improvviso – Michelle piomba nella mia camera, in lacrime, sconsolata. Certo, l'avrei preferita allegra e sorridente, ma non si può avere tutto dalla vita. Specie perché Michelle non è mai stata allegra e sorridente, nemmeno una volta.

Abbozzo uno sguardo sofferto, per attirare la sua attenzione. È stimolante farsi compatire da una ragazza carina.

“Non piangere per me, miss Dumas. Vedrai che me la caverò.”

“Non sto piangendo per te, infatti.”

Si siede sul mio letto, accanto a me. Posso quasi sentire il suo respiro, da quanto è vicina.

“Sei proprio un bastardo. Hai scelto il momento peggiore per entrare in overtune, stavo per dire ad Akima che... che...”

Tolgo le coperte, mi metto a sedere anch'io sul materasso. Non voglio sembrare più malato di quello che sono... tanto, con lei questa tattica non funziona.

“Perché dev'essere tutto così... complicato?! Perché?”

Si getta tra le mie braccia, in preda allo sconforto, piangendo come una fontana. Le accarezzo i capelli, tento di tranquillizzarla, di riportarla in sé.

“Si sistemerà tutto, non preoccuparti.”

Mi stringe con forza, il dolore sgorga a fiumi dai suoi bei occhi cerulei. Mio Dio, è così fragile in questo momento, sarebbe così semplice per me...

Estraggo il dado, lo lancio in aria, lo afferro al volo.

Ah, è così? È questo il risultato?

 

**

 

“Preparate il batiscafo per l'immersione. Gli strumenti devono essere pronti entro domani mattina. Sono stato chiaro?”

Il tecnico si volta, dà le spalle al mezzo.

“Ma per domani non è previsto l'uso degli idrojet, signor Brillouin? Per quale motivo...”

“Mai sentito parlare di missioni di soccorso? Se avessimo dei problemi là sotto, dovrete essere pronti ad intervenire al minimo segnale. Mi sono spiegato bene?”

 

**

 

Mi sento come se mi avessero bastonata. Talainen è riuscito a frantumare le mie speranze, a distruggere il mio io, con quella sua maledetta diagnosi. Il mio amor proprio è a pezzi. Il mio orgoglio idem. Le ferite non si sono ancora rimarginate... e non intendo solo quelle superficiali. Preferisco non pensare ad oggi pomeriggio, ad Akima, a Bertrand, a François. Mi sento dannatamente stanca, stanca e delusa, delusa da me stessa, dalla mia incapacità di controllare le emozioni quando ce n'è realmente bisogno, di tenere a bada ciò che nascondo sotto la mia scorza di indifferenza.

Bah, meglio lasciar perdere. Prendo il farmaco per stimolare la ricrescita cellulare e me ne vado a letto. Se Dio vuole, domani sarà tutto finito. Tracciamo quei maledetti tracciati di rumore e ce ne torniamo a casa, in Benelance. Così, potrò occuparmi di Akima, trovarle una famiglia. Sì, farò così.

Afferro la pillola, la ingoio con un bicchiere d'acqua, mi sdraio sul letto.

Sì, chiederò l'affido di Akima e cercherò qualcuno che possa crescerla, che possa trasmetterle l'amore di cui ha bisogno.

L'amore che io non posso darle.

 

11. Caos

 

“Buona giornata, dottor Talainen. Come sta la sua piccola paziente?”

Il medico inforca gli occhiali, smuove i corti capelli biondi con calma innaturale.

“Stiamo per classificarla come caso critico. Ogni ora che passa, il battito del suo cuore si affievolisce. I nutrienti non entrano in circolo, non sortiscono alcun effetto, vengono immediatamente espulsi dal corpo. Secondo le nostre proiezioni, ha meno di una settimana di vita.”

Un velo di scariche elettriche, la realtà si deforma con lentezza esasperante, un'aura tremula attorno al corpo.

“Povera bimba, che destino crudele.”

Talainen arretra, si immobilizza di fronte alla porta d'accesso.

“Cosa... cosa ha intenzione di fare?”

“Aiutarla a godersi i suoi ultimi giorni.”

 

**

Sto decisamente meglio. Della brutta esperienza di ieri, è rimasto solo qualche doloretto. Il mio corpo ha recuperato senza problemi... forse anche grazie a Michelle. E al risultato del dado.

Ora, perché tutte queste riflessioni? Non so, forse voglio solo convincermi di essere pronto all'azione, di potermi scaraventare fuori dalla mia stanza, vedere cosa sta accadendo nella base.

E capire cosa ha causato l'esplosione.

 

**

 

“Si fermi! Lei non è autorizzato a...”

Il corpo di Talainen scaraventato di lato, un taglio profondo a squarciare il petto. Solo il tempo di accorgersene, di rendersi conto del sangue. Prima del secondo colpo.

“Sono autorizzato quanto lei. Ora mi scusi, ma detesto discutere con i cadaveri.”

 

**

 

Mi muovo tra i corridoi della base, alla massima velocità, seguo la scia di urla e grida, verso il reparto di terapia intensiva. Corro, corro a più non posso fino a sentirmi i polmoni scoppiare. Cazzo, che risveglio orribile! Neanche il tempo di rendermi conto della situazione e mi sono trovato due guardie sventrate davanti alla porta!

**

 

Akima si sveglia, apre gli occhi, debolmente. Cerca la luce, non la trova. Solo una sagoma scura, con una sfera nera in mano.

“Ciao, piccola. Cosa ne dici di una gita fuori porta?”

 

**

 

“Dottor Talainen?!”

Lo riconosco dal camice bianco, dagli occhiali. Per il resto, è difficile dire in che stato si trovi il suo corpo. Distolgo lo sguardo, trattengo un conato di vomito, tento di abituare gli occhi al buio, di focalizzare la scena. Dov'è Akima? Dov'è? Se hanno ucciso anche lei, Michelle si suicida!

“Akima! Akima, rispondimi! Sono François!”

Nulla. Solo silenzio.

Solo dopo noto le coperte smosse, una forma indistinta sulla branda.

Ingoio la saliva, mi faccio coraggio.

E afferro il lenzuolo.

 

**

 

“>Bersaglio acquisito;

>Modalità di assalto inizializzata;

>Mitragliatrice carica.”

Shame scatena un tremendo fuoco di sbarramento, l'eco dei proiettili risuona tra le pareti di metallo. Una grandinata di colpi, gli shotgun macellano il soffitto, i cavi di sostegno, le lampade. Il batiscafo alle sue spalle, impossibile avvicinarsi per chiunque.

Ma non per lui.

 

**

 

Solo un cuscino! Cazzo, stavo già per lasciarci il cuore! No, è meglio così, sul serio.

Bene, la buona notizia è che Akima è ancora viva. La cattiva è che qualcuno l'ha rapita.

La peggiore è che so perfettamente chi è stato.

 

**

 

È questione di un istante, un istante solo. Il tempo di accorgersi del movimento, dell'ombra strisciante sulla griglia del pavimento, della sua improvvisa rimaterializzazione, della lama da quaranta centimetri. L'artiglio penetra nella corazza del robot, raggiunge il power core, lo strappa con violenza. Per un secondo, l'occhio di Shame brilla ancora di luce azzurra.

Prima di scoppiare in mille pezzi.

 

**

 

“Sotto-ambasciatore Dinox!”

Il rettile ruota il capo, come istupidito. Anche lui osserva impotente la miriade di fori nella struttura, le decine di bossoli sparsi per terra. Sembra illeso, per fortuna. Se si fosse fatto male, addio trattati con EXODUS. È solo per questo che sono sollevato a vederlo vivo.

“Orviandre... un attentato! Ho sentito urla, spari, uno scoppio... cosa...”

“Rimanga al sicuro e stia calmo: qualunque sia la causa di questo disastro, l'obiettivo non era lei.”

Poco ma sicuro.

 

**

 

Il motore del batiscafo si accende, i sistemi di sgancio disattivati. Uno sguardo veloce, dalla cupola di vetracciaio, ad inquadrare la banchina, i soldati in assetto da guerra, i mitra imbracciati. Ma è già troppo tardi. Il veicolo si inabissa, gli idropropulsori al massimo della spinta, verso il profondo.

Verso l'ignoto.

 

**

 

I poveri resti di un VORS, le sue gambe ed un pezzo del tronco. Le braccia sono state scagliate a dieci metri di distanza, della testa e del rollbar non è rimasto nulla. Ora capisco cos'ha causato quel frastuono. E il batiscafo? Non era ancorato qui?

Mi rifiuto di credere che...

No, calma. Posso negarlo quanto voglio, ma non c'è altra spiegazione. Il tempo delle ipotesi è finito: ora dobbiamo muoverci, più in fretta che possiamo. Apro il portello dell'hangar a fianco, spero che gli idrojet siano ancora intatti.

Eccoli, nella loro scintillante carrozzeria azzurra, nuova di pacca.

Splendido, abbiamo i mezzi! Ora devo solo indossare l'abito giusto... e recuperare l'altro pilota.

 

**

 

“Non sei contenta, piccola? In fondo, ti sto riportando a casa.”

“Chi sei?”

La sfera nera stretta nella mano destra, mostrata con sicurezza alla bimba.

“L'unico a cui devi obbedienza, se vuoi sopravvivere ancora un po'.”

 

**

 

“Michelle! Michelle!”

Mi sveglio di soprassalto, sento la stretta delle mani sul mio pigiama, forti scrolloni, in ogni direzione, la voce di François mi rintrona le orecchie. Apro gli occhi... ed eccolo lì, nella sua divisa da immersione, ancora ricoperto di bende e cerotti.

“Che diavolo... che ore sono?”

“Le otto e quaranta. Non hai sentito la sveglia, ma non è colpa tua.”

François apre la mano, mi mostra le pastiglie, le medicine che ho assunto prima di addormentarmi.

“Le hanno sostituite.”

“... cosa?”

“E non è tutto. Il dottor Talainen è stato ucciso, il batiscafo è sparito... e Akima non si trova da nessuna parte. Ora, cosa ne dici di alzarti da quella branda, indossare la tua tuta subacquea e seguirmi fino alle moto?”

 

12. Deep Dive

 

Gli idrojet sfrecciano sott'acqua, alla massima velocità, lontano dalla cupola. Lontano dalla superficie.

“Potresti anche tentare di rispondere, Michelle. Non mi piace parlare da solo.”

Non un filo di voce, solo il ronzio dei macchinari. Michelle in silenzio, muta, neppure un sospiro. Tutti i pensieri concentrati, la mente occupata da un unico obiettivo, seguire il batiscafo, raggiungerlo, fermarlo. Distruggerlo, se necessario, ma dopo. Dopo averla salvata.

 

**

 

Domani mattina mi immergerò assieme a lei, agente Dumas. È fuori discussione che Orviandre partecipi, non dopo quello che è successo. Questa volta, fileremo dritti fino al reattore – nessuna fermata intermedia. Dobbiamo tornare con una mappa dettagliata del rumore circostante. Se non ne mettiamo una sul tavolo di Dinox entro ventiquattr'ore, probabilmente i Daevka ci bombarderanno. Il fallimento non è un'opzione.

Bel discorso, davvero. E io che ci ero pure cascata, Bertrand. Quando pensavi di dirci del sonnifero? Quando pensavi di metterci al corrente della tua decisione?

Bertrand, perché ti stai comportando in questo modo?

Perché hai rapito Akima?

Perché la stai portando là sotto con te?!

 

**

 

“Tu hai qualcosa di assurdo, Michelle. Cosa ti sta succedendo? Da quando ti conosco, non hai mai – dico mai – ricambiato l'affetto di nessuno. Okay, io posso essere particolarmente pesante, ne sono consapevole... ma Raphael? Gabriel? Di loro cosa mi dici? Sai quale descrizione mi hanno dato di te, prima di partire? È una ragazza speciale, ma ha un pezzo di ferro al posto del cuore. Vuoi sapere cosa mi ha detto Theia, invece?”

Una pausa improvvisa, il vuoto durante la tempesta.

“No, forse è meglio di no. Sembrava una fangirl in calore. Te lo riassumo in termini politicamente corretti: è davvero bella, sono fortunata che non ha ancora il ragazzo, potrei diventarlo io... però è come avere a che fare con un muro di indifferenza.

“Che Theia fosse lesbica, me n'ero accorta da un pezzo. È l'unica ragazza dell'ESPDeC a starmi in qualche modo vicina. Le altre mi considerano quanto le considero io.”

“Appunto.”

Un lungo, profondo respiro.

“Ora... perché con Akima dovrebbe essere diverso?”

 

**

 

Palazzi diroccati, divorati da alghe e coralli, animali marini di ogni specie, forma, dimensione. Si scansano, al passaggio delle moto, si nascondono nelle carcasse delle auto, sotto i tombini divelti, tra i resti della rete fognaria. Le crepe del manto stradale, un semaforo piegato, lampioni spenti, frantumati, corrosi dal tempo. All'improvviso, le quattro torri, disposte attorno al nucleo.

L'imponente sagoma di DP-0.

La prima centrale a distorsione sulla Terra.

 

**

 

“Forse sì... ma non adesso. Voglio vedere come evolve la situazione.”

Un pugno sbattuto con violenza sul tavolo.

“Bertrand, mi meraviglio di te! Non possiamo rimanere in silenzio! Michelle deve sapere con cosa sta cercando di comunicare!”

 

**

 

Il batiscafo attraccato alla torre tre, un lungo condotto di pressurizzazione. Michelle accosta, controlla il natante, cerca un contatto visivo. Invano. Veicolo vuoto. Rapido scatto di polso, la moto vira verso la torre due – l'unica altra ancora sufficientemente integra. François segue a ruota, attiva i propulsori ausiliari di frenata. I due idrojet immobili, di fronte all'imboccatura. Di fronte alle fauci dell'Inferno.

 

**

 

“Perché... con lei...”

Michelle scuote il capo, cerca di comprendere, di trovare una risposta.

“Lascia che ti aiuti. Ha forse risvegliato qualcosa in te? Qualche sensazione dimenticata? Qualcosa per cui la tua splendida mente non è stata programmata?”

Un lampo di consapevolezza.

“Sì, ma come...”

“Senti, petite, è un po' che ci penso... e forse ho trovato la spiegazione. Non ti sembra strano che tutte – ma proprio tutte, eh? – le ragazze dell'ESPDeC siano quasi completamente incapaci di provare sentimenti diversi dall'odio, dall'ira? E che quelle poche che ne sono in grado siano omosessuali? È troppo strano per essere vero, troppo improbabile... ma è così. È come se nel vostro codice genetico esistesse un meccanismo di difesa che vi impedisse di riprodurvi. Quale miglior sistema per evitare nascite indesiderate?”

 

**

 

L'imbragatura isobara a contrastare gli effetti dei gradienti di pressione, uno scafandro meccanizzato con visore in vetracciaio. Centosessanta chili di leghe leggere rinforzate, movimenti guidati da idropropulsori concorrenti. Michelle si cala lungo lo scheletro della torre, i rivelatori fermi su cinquanta millishannon. Un rumore risibile, trascurabile.

“Il reattore è morto.”

François si intrufola nei meandri della colonna di cemento crepato, una scaletta di ispezione interna a facilitare la discesa. Alcuni pesci osservano incuriositi, altri ignorano i nuovi arrivati. Granchi, polpi, abitanti delle profondità marine abbarbicati ai resti di un canale di sfogo per i vapori di combustione, frantumato dall'implosione della centrale. Pochi centimetri ogni passo, una caduta infinitamente lenta nel cuore di un pozzo senza fondo.

“Quanto è alta questa torre?”

“Oh, finalmente ti degni di rivolgermi la parola! Sono veramente onorato di ascoltare la sua voce, miss Dumas.”

“Spegni il sarcasmo e rispondi alla domanda.”

“Direi circa cinquanta metri. Noi siamo scesi sì e no di quattro, cinque metri.”

“Così ci mettiamo troppo.”

“Eh?”

Un respiro nel comunicatore.

E Michelle si lancia in caduta libera.

 

**

 

“Tu sei completamente pazzo! Per quale motivo...”

“Perché non siete sterili, petite. Le interferenze della centrale non hanno nessuna influenza sui vostri ovuli, perché sono pronti già da quando avete le prime mestruazioni. Per quanto riguarda noi maschi, invece...”

François stringe il pugno, le vene in rilievo, i denti serrati. Uno sforzo tremendo per mantenere il controllo, per sembrare in qualche modo normale, trattenere la rabbia repressa.

“... be', non so gli altri, ma io non potrò mai avere figli. E tutto per colpa del rumore di fondo.”

 

**

 

Non penso a nulla, in questo momento, solo a buttarmi giù, alla massima velocità. Devo raggiungere Bertrand. Voglio delle risposte, delle vere risposte. Forse sono stata un po' avventata, forse ho corso un rischio inutile... ma non penso di avere molte altre alternative. L'acqua scivola veloce sulla mia armatura, sento il flusso scorrere lungo il mio corpo, come un fiume in piena.

Sono terrorizzata, nel profondo, fino alle ossa. Ma non per la caduta, non perché io tema di sfracellarmi al suolo. No, no, ho solo molta, troppa paura.

Paura che sia già troppo tardi.

 

**

 

“Agente Dumas. A cosa devo la sua visita?”

“Orviandre mi ha detto che voleva vedermi. Che lei aveva qualcosa di importante da comunicarmi riguardo ad Akima – ha detto qualcosa a proposito dei referti medici...”

Una punta di indignazione, le dita incrociate, i pensieri accavallati.

“Orviandre ha detto questo? Curioso.”

Michelle scuote il capo, disorientata.

“Quella serpe non è in grado di raccontare verità scomode nemmeno sotto tortura. Lascia che siano gli altri a farlo per lui.”

“Cosa... cosa significa?”

“Accomodati, Michelle. Ti spiegherò per quale motivo Akima non poteva non affezionarsi a te.”

 

**

 

I booster antagonisti attivati, la caduta frenata, la velocità si riduce. Duecentodieci chili da fermare, nel minor spazio possibile. Nel minor tempo possibile. Getti d'aria fredda a gestire la spinta di ritorno, la velocità ridotta al minimo. Lo scafandro atterra sul pavimento metallico, intatto. Un duro contraccolpo, le lastre piegate dal peso. Il clangore si espande, si diffonde nell'acqua immobile, fino alla cima della torre. Fino ad Orviandre.

“Michelle! Tutto a posto?”

“Non gridare, ti sento. Sono arrivata sul fondo, è bastato manovrare un po' i propulsori. Ho trovato un accesso sicuro, una camera di decompressione ancora funzionante. Ora, cosa ne dici di raggiungermi?”

 

13. Il Fulcro

 

Sembra che il tempo si sia fermato. Una volta varcata la soglia della camera di decompressione, ci siamo trovati di fronte una struttura perfettamente integra, con residui di illuminazione attiva. Corridoi color ocra, bande bianche lungo le pareti, ventole di areazione funzionanti, il pavimento intonso, perfettamente liscio. Come è possibile? Sono quasi cinquant'anni che nessuno scende qui sotto!

“Michelle, so che può sembrare strano, ma l'aria è respirabile. Pare che i filtri per il ricambio siano ancora in funzione. I sensori del mio scafandro indicano una totale compatibilità con la miscela atmosferica. È quasi come... come se fossimo attesi. Cosa facciamo?”

“C'è da chiederlo?”

Premo il tasto di sgancio, il casco si smonta, rientra nell'involucro dell'armatura metallica. Inspiro a pieni polmoni, assaporo l'ossigeno, lascio che penetri all'interno del mio corpo.

Bene, sono ancora viva.

Premo due pulsanti contemporaneamente, uno su ogni spalla. Il meccanismo reagisce, abbassa la placca pettorale, mi permette di uscire dalla pesante imbragatura, di guadagnare libertà di movimento.

“Sei pazza? La tuta da immersione è poco più resistente di una muta da sub! Devo ricordarti in che stato era quel VORS?”

“Ecco, appunto.”

Allungo l'indice, schiaccio il pulsante sul casco di François.

“Pensi che faccia molta differenza andare in giro con questi cosi addosso, quando una macchina da guerra dotata di una corazza infinitamente più resistente è stata distrutta in quel modo?”

 

**

 

Una stanza circolare, un unico ingresso, una colonna centrale, pulsante. Un'enorme nucleo sferico, immobile, circondato da anelli intrecciati. Il fulcro di DP-0.

“Eccoci arrivati. Non sei contenta?”

Uno sguardo d'insieme. Undici ovoidi piantati per terra, uno slot vuoto, privo di contenuto. Bertrand si avvicina al primo, ripulisce il vetracciaio dalla polvere, guarda all'interno.

Un paio di occhi chiusi, coperti da lunghi capelli, il movimento delicato del torace.

“Interessante.”

Passa in rassegna ogni capsula, controlla ogni viso, ogni dettaglio.

“Molto interessante.”

Estrae la sfera dalla borsa, la inserisce nella colonna luminosa. Un timido segnale di vita, una minuscola scintilla di energia. I led si accendono, formano pattern variabili, scacchiere, righe orizzontali,verticali, per un paio di secondi. Il nucleo si anima, incomincia a ruotare su se stesso, gli anelli di metallo vorticano rapidamente, formando strutture discoidali.

Akima resta in disparte, immobile, osserva rapita il meccanismo, non riesce a comprenderlo

“Perfetto. Ora che c'è l'atmosfera giusta...”

Bertrand si lecca le labbra, scintille distorte attorno al viso, alle braccia, al torso, alle gambe.

“... è ora di nutrirsi come si deve!”

 

**

 

“Ancora non capisco come hai fatto a convincermi...”

François avanza con lentezza, lo sguardo rivolto a destra, a sinistra con sospetto, tasta il tessuto della tuta da immersione, lo stringe tra le dita della mano.

“L'unica lato positivo è che ne indossi una anche tu. Sai, in questo momento non devo nemmeno sforzarmi di immaginare...

“Zitto!”

Michelle stende il braccio destro, impedisce a François di proseguire.

“Non... non senti anche tu?”

Le iridi tremano, sudore freddo, le pupille si dilatano, si contraggono in modo repentino, i muscoli vibrano per un lungo istante.

“Non senti anche tu... questa tremenda interferenza?”

 

**

 

Lampi, scariche voltaiche, la sovrastruttura cresce, si solidifica, evolve, si contorce. Due, tre, quattro metri di altezza, lame oscillanti emergono dalla pelle d'inchiostro, occhi di brace, due, quattro, sei, irregolari, sul muso. La bocca enorme, spalancata, tre file di denti, sei braccia, artigli come rasoi. Un ruggito abissale, profondo, scuote la centrale fino alle fondamenta.

Il metronomo oscilla, oscilla a velocità pazzesca, supera le barriere, i limiti, esplode in uno scoppio di energia, distorcendo la realtà, il tessuto stesso del mondo.

La bestia emerge dal caos, si materializza davanti al viso sconvolto di Akima.

Un passo, un altro passo. Rombi di tuono, lenti, solenni, diretti verso il primo bozzolo.

Le lame si conficcano nel metallo, trafiggono la struttura in più punti, la trapassano, straziando il rivestimento. Sei rasoi piantati nel pod, allineati in verticale. Il guscio oppone resistenza, tenta di non cedere, di non soccombere.

Invano.

Il vetracciaio si spacca, si frantuma, il rivestimento aperto a metà, come un baccello. La bocca si estende, raggiunge le dimensioni del bozzolo, si avventa sul suo contenuto indifeso con ferocia brutale, i denti a sega digrignati, scorrono come su un nastro. La creatura all'interno ancora incosciente, incapace di rendersi conto della situazione.

Ma in fondo, è meglio così.

L'Incubo si abbarbica al pod, proietta le sue fauci all'interno.

E consuma il suo macabro pasto.

 

**

 

Mi faccio coraggio, prendo il controllo del mio corpo, ordino alle mie gambe di muoversi, di andare oltre, di proseguire. Non posso fermarmi adesso, non me lo perdonerei mai! Inspiro profondamente, tento di tranquillizzarmi, controllo l'indicatore sulla mia muta. Urgh! Non... non credo ai miei occhi! Trenta shannon di fondo, in aumento?

“Non è possibile!”

“Cosa?”

“Prima c'erano circa due, tre shannon al massimo, ne sono sicura! Invece, ora, il contatore sta aumentando in maniera esponenziale!”

“Quindi dobbiamo sbrigarci.”

Rimango immobile, paralizzata dal terrore. Prima l'interferenza, ora questo! Ho paura, non voglio, non riesco a muovere un passo in avanti, i miei muscoli si rifiutano di obbedire agli ordini. François ha ragione, dobbiamo proseguire, raggiungere il nucleo... ma non ce la faccio, non ci riesco, non posso!

Crollo in ginocchio a terra, con la testa fra le mani. Non riesco a sopportare la pressione psicologica, no!

“No! Io mi fermo qui! Non riesco a proseguire! Non ce la faccio! Non ce la...”

Sento la mia guancia destra in fiamme, il dolore, il contraccolpo. François... mi ha appena tirato uno schiaffo?!

“È questa la tua massima risoluzione? Mi fai pena, Michelle! E io che pensavo fossi così forte! Sei solo una bimba spaventata, una mocciosa urlante!”

Mi tira per i capelli, mi sta facendo male!

“S... smettila, ti prego!”

“Certo, poi lo spiego io ad Akima che non sei andata a salvarla perché avevi paura. Tutta l'attrazione che provavo per te... puah! Mi hai profondamente deluso!”

Il sangue mi ribolle nelle vene, le arterie scoppiano. Come... come si permette di parlarmi così?

Maledetto bastardo!

 

**

 

La testa di François ruota di scatto, il contraccolpo scompiglia i capelli d'argento, il segno rossastro del palmo aperto sulla guancia sinistra. La mano massaggia la pelle, percepisce il calore pulsante, carico di rancore. Un sorriso si fa strada sul suo viso, uno sguardo divertito, appagato.

“Tu non hai alcun diritto di trattarmi in questo modo! Nessuno, capito?”

“Questa è la Michelle che conosco!”

François scrolla le spalle, scrocchia il collo.

“Bene, ora che siamo usciti dalla crisi esistenziale, cosa ne dici di affrettarti? C'è una bambina che ha un disperato bisogno di te.”

 

14. Preludio

 

L'interferenza si fa sempre più forte, il rumore sta salendo vertiginosamente. Siamo a sessanta shannon, e non accenna a diminuire. Il fulcro è a poche stanze da noi, le indicazioni sulle pareti sono piuttosto chiare. Per un attimo, rimpiango di non essermi portata dietro un arma da fuoco. Un attimo solo, poi mi ricordo in che stato abbiamo trovato il VORS.

E capisco che tutti i proiettili del mondo non basterebbero a fermare quell'orrore.

 

**

 

Bertrand solleva il capo, estrae il volto dalla capsula, i denti intrisi di un liquido nero, frammenti bianchi sparsi sulle labbra deformi, capelli laceri intrecciati tra le zanne. È solo una pausa, un momento per assaporare meglio la preda, una preda inerme, incapace di difendersi una volta estratta dal guscio. È già la quarta, ma la fame non si placa, no.

Ancora, ancora!

Le zanne affondano nella pelle, senza incontrare alcuna resistenza. Akima trema, non riesce a sostenere la vista dei resti, di ciò che rimane delle prime tre vittime. Tutte simili, simili a lei, solo di età diverse. Un passo indietro, un altro passo, un altro ancora, in silenzio. Arretra, Bertrand non guarda, arretra verso la porta. È terrorizzata, Akima, ha paura.

Paura di essere la prossima.

 

**

 

François incespica, rallenta, rimane indietro. Mi fermo, lo aspetto. Non posso permettermi di lasciarlo indietro.

“Mi gira la testa... sento come un ronzio in sottofondo, come se mi avessero infilato una radio rotta nell'orecchio. Cosa dice il lettore?”

“Non preoccuparti, siamo ancora lontani dalla soglia di overtune.”

Sto mentendo spudoratamente, siamo a settantasei shannon, ben oltre il suo limite di sopportazione. Il mio è un po' più alto, ma non di tanto. Ci resta poco tempo, se non troviamo Akima in fretta, rischiamo di impazzire e...

E... ehi! C... cos'è questo suono?

 

**

 

Una vibrazione attraverso i pensieri, la mente oscilla, i neuroni si attivano in sequenze casuali. Uno stridio orribile, il frastuono delle ossa rotte, delle pietre sfregate, il gesso spezzato, le unghie sulla plastica dura. Repulsione, raccapriccio, ansia, angoscia, panico, panico inarrestabile, fauci di tenebra, spettri sciolti, bava verdastra come pioggia dal cielo.

Michelle ha un sussulto, comprende il messaggio, lo comprende, lo ingloba.

“Akima...”

Si dimentica di François, del rumore, si dimentica di tutto il resto.

E corre Michelle, corre a perdifiato.

“Akima!”

Corre in soccorso della sua piccola.

“Akimaaaaaaa!”

 

**

 

Un tubo di acciaio dimenticato per terra, assieme ad altri strumenti. Nulla di importante, oggetti che puoi riconoscere a prima vista. Ma non se cammini all'indietro.

Akima mette il piede in fallo, scivola, crolla a terra. Il tintinnio argenteo della superficie lucida, ripetuto all'infinito dall'eco, dal rimbombo. Bertrand immobile, i denti smettono di sminuzzare, le braccia rilasciano il guscio sventrato.

Volevi fregarmi, piccola?

La lingua contorta lucida le labbra, sei occhi si posano sull'esserino inerme.

E pensare che volevo tenerti per ultima...

 

**

 

“Michelle! Aspettami! Se vai da sola, nessuno potrà aiutarti! Michelle!”

Niente, non mi ascolta!

Inizio ad inseguirla, a tentare di raggiungerla, ma è troppo veloce, troppo per me! Ho un cerchio alla testa, non capisco più un accidenti di niente. Ho paura di guardare il misuratore, non voglio veramente sapere quanti shannon ci sono qui dentro. Magari, ignorandolo, riesco a resistere di più.

“Michelle, fermati!”

Siamo sempre più vicini al nucleo, le indicazioni sono chiarissime, l'ingresso è a metà del prossimo corridoio. Là troveremo Akima... e Bertrand.

Sarà per l'emicrania, ma non riesco a completare il puzzle. Dopo che sono svenuto, Bertrand deve aver raccolto la sfera nera... ma dopo? Per quale motivo non è entrato in overtune?

Michelle gira a sinistra, imbocca il condotto d'accesso primario.

Okay, il tempo per i dubbi è finito.

Credo che troverò tutte le risposte, varcata questa soglia.

 

**

 

“Akima!”

Il cuore di Akima sobbalza, gli occhi aperti in stato contemplativo, il calore vibrante della voce. La voce della madre.

“Mamma!”

Michelle scatta in avanti, brucia la distanza, metro dopo metro, il fiato spezzato, i muscoli doloranti. Ma non è nulla, no. Niente in confronto alla gioia.

Akima si rialza, volge la schiena al mostro, cade, gattona, torna in posizione eretta, i capelli castani sparsi lungo tutto il corpicino.

Poi, lo scoppio.

E l'ago espulso a velocità folle.

 

**

 

Il tempo si congela, per un istante. Si ferma, rifiutandosi di procedere, di continuare la sua corsa, di permettere alla punta acuminata di trafiggere il corpo di Akima, spezzando la sua vita.

Si rifiuta di scorrere, di osservare inorridito le lacrime di Michelle, non ancora sbocciate, l'espressione di orrore che si formerà sul suo volto, la disperazione che si farà largo nel suo animo. Non vuole ascoltare i lamenti, lo stridio del dolore, il dolore di una madre mancata, di ciò che sarebbe potuto essere il loro futuro insieme.

Vorrebbe potersi congelare, il tempo, ma non ne ha diritto.

Non ne ha il potere.

 

**

 

Uno sguardo sorpreso, un misto di rassegnazione e stupore. Il proiettile perfora la carne, emerge dall'altro lato, la trascina con sé, ne lacera il corpo, scagliandolo a terra con violenza.

“A... Akima...”

Michelle si getta su di lei, sulla sua bimba, la pelle bianca, il battito accelerato.

“No! No, ti prego! No!”

Le palpebre socchiuse, le braccia in posizione innaturale, le gambe spiccate dal busto. Gambe giuntate, dotate di perni, viti, sostegni. La vestaglia verde strappata, il ventre spaccato a metà. Uno sfrigolio, il bordo della ferita oscilla, oscilla tra cocci di ceramica bianca e pelle, tra meccanismi idraulici e muscoli, tra tubi e vasi sanguigni. Solo il viso rimane coerente, solo il sorriso dolce della bambina.

“M... mamma...”

Un ruggito vibrante, l'aria impregnata di sadica soddisfazione.

Guarda in faccia la realtà, Michelle! Ecco cos'è la tua Akima: solo una stupida bambola di ceramica!

 

15. Il Bacio della Buonanotte

 

“Mamma... sto... sto bene, non preoccuparti... ho solo... solo perso le gambe. Non è un problema, si... si possono aggiustare, vero?”

Un bacio sulla fronte, Michelle la stringe tra le braccia, la stringe forte, le guance irrorate di lacrime calde.

“Sì, piccola mia... vedrai... vedrai che sistemeremo tutto, promesso!”

 

**

 

“Bertrand, mi meraviglio di te! Non possiamo rimanere in silenzio! Michelle deve sapere con cosa sta cercando di comunicare!”

“In realtà, sei tu che vuoi saperlo. Non è così, François?”

“Diciamo che conoscere tutta la storia aiuterebbe.”

Bertrand scosta i capelli dall'occhio, picchietta con l'indice sulla scrivania.

“Okay, da dove posso cominciare? Dunque... forse proprio dal progetto doll?”

 

**

 

“P... perché sei così triste, mamma? Guarda che non sento... niente. Non... non mi fa male.”

“Akima, io...”

Le parole si congelano in gola, un blocco impossibile da sciogliere. Michelle osserva con orrore i cavi, i pannelli di plasticeramica, i pistoni a vista, li osserva interferire con le membra straziate di una bimba di otto anni. Olio lubifricante, fluidi corporei, alternati, sempre più lentamente.

“Mamma... come... come finisce i tre moschettieri? A... alla fine, d'Artagnan vince?”

 

**

 

“Il progetto doll?”

Bertrand scrolla le spalle.

“Non mi stupisce che tu non lo conosca. È stato top secret per diversi anni... e chi l'ha orchestrato ormai è sepolto sotto un chilometro d'acqua. Ti dice niente il nome di Eva Shizawa?”

“Non penso di averlo mai sentito.”

“Era uno dei membri più giovani del gruppo di ricerca sull'energia a distorsione. Ha lavorato in seno a DP-0, fino al momento dell'incidente. Dopo, nessuno ne ha più saputo nulla.”

Estrae uno schedario, una vecchia foto stampata. Il viso di una ragazza. François sobbalza sulla sedia.

“Ma... ma è identica a...”

 

**

 

Le braccia si arrendono, non vibrano più, si accasciano a terra, ridotte a due arti artificiali. Michelle ingoia la saliva, tira su col naso, trattiene il pianto, si asciuga gli occhi.

“Sì, piccola mia! Vince e... e riporta la collana alla regina, prima che... prima che il re se ne accorga.”

Akima sorride debolmente, sente le energie residue disperdersi.

“Stringimi... forte, mamma, ti prego. Stringimi... ancora una volta. Ho... sonno. Tanto... sonno.”

Le palpebre calano, scivolano sugli occhi umidi. Michelle la abbraccia, la scuote, i muscoli rigidi, contratti, i denti digrignati per lo sforzo, per la disperazione.

“No! Non ti addormentare, Akima, non farlo! Rimani con me, non andartene! Ti prego, non... non lasciarmi sola! No!”

 

**

 

“La dottoressa Shizawa aveva perso una figlia, due anni prima. Dopo l'incidente, ha lasciato il suo compagno e si è buttata sul lavoro, diventando la massima esperta umana di energia distorsiva. I suoi studi l'hanno portata a concepire il teorema di oscillazione planare.”

Quel teorema di oscillazione planare? Quello che afferma che una sufficiente quantità di distorsione può permettere ad oggetti ed esseri viventi di attirare forme e strutture afferenti a diversi piani dimensionali?”

“Sì, esatto. Quando ha saputo della costruzione di DP-0, ha insistito per provare il suo teorema... in modo singolare. Ora, non conosco tutti i dettagli, ma sembra che il vero scopo del suo esperimento fosse un altro in realtà...”

Un lungo sospiro.

“... riportare in vita la sua piccola Akima.”

 

**

 

Gli occhi si chiudono, in silenzio, il respiro si affievolisce, la mente si spegne, poco per volta. Akima perde il controllo dei pochi muscoli rimasti, delle spalle, del collo. Il campo di interferenza vibra, perde coerenza, perde la sovrapposizione.

“Akima! A... Akima!”

“No... n p... iang... er... m... mma... io... st... ben... sim...”

Michelle si concentra al massimo, assorbe il rumore, tenta di stabilizzarla, ancora per qualche secondo. Venti, trenta, quaranta shannon, tutti assieme. Solo per lei.

“Piccola mia, resisti! Rimani con me, solo... solo ancora un po'!”

“Mi... dispiace, mamma. Avrei... tanto... voluto...”

Uno scatto, silenzio di tomba. Akima si spegne, si spegne come un robot, la testa tornata ad essere un oggetto inanimato. Michelle sfoga le lacrime, lascia che scorrano, che lavino il dolore, mentre accarezza i capelli, ora sottili fili di seta scura, con la mano. La voce rotta dai singhiozzi, gli occhi chiusi, annegati in una pioggia senza fine. Le labbra sfiorano la ceramica, ancora una volta.

Un dolce bacio della buonanotte, sulla fronte gelida, l'ultimo atto d'amore materno.

“Dormi... dormi bene, piccola mia.”

 

**

 

“Quindi, il rapporto non mente. Akima è poco più di una bambola... in overtune! La sua overtune è la forma umana, l'essere viva!”

“Si può dire così, sì.”

Bertrand ripone il dossier nella credenza, la foto ancora sul tavolo.

“Ora è tutto chiaro. Ma quanto durerà? Voglio dire, un overtune consuma una quantità enorme di energia...”

“Senza un ripetitore a rilascio di rumore, meno di una settimana.”

Un sospiro amaro.

“Purtroppo, è destinata a tornare un manichino senz'anima, François. Che succeda ora o più avanti, che differenza fa?”

 

**

 

La prima cosa di cui mi rendo conto, una volta tornata in me, è che Bertrand non mi ha ucciso, anche se ne ha avuto la possibilità. Nei miei pensieri c'è stata solo Akima, per tutto questo tempo, lui non l'ho nemmeno calcolato, è scomparso dalla mia mente, dal mio campo visivo. Eppure, era lì, a pochi metri da me. Avrebbe potuto trafiggermi con un aculeo, tagliarmi a metà con uno dei suoi coltelli da braccio, divorarmi come sta facendo con il contenuto delle capsule... ma non l'ha fatto. Non ha fatto nulla di tutto questo. Resto interdetta, per un attimo, sorpresa forse.

Poi, noto la figura in piedi, di fronte a me.

E capisco che ho solo avuto fortuna.

La fortuna di non essere scesa da sola.

 

**

 

Orviandre sanguinante, diverse ferite da taglio, su tutto il corpo. Il serpente oscilla, vibra, si estingue, ritorna con forza, il vigore iniziale. Poi, si spegne, lasciandolo inerme. Un aculeo piantato nella spalla destra, un altro nel fianco. Non cede il passo, non permette al mostro di avanzare, nonostante la fatica, nonostante i colpi subiti.

“François!”

Un sorriso tirato, lo sguardo severo.

“Ben svegliata, miss. Se non te ne sei accorta, abbiamo un grosso problema. Ora, cosa ne dici di smettere di compiangere i morti e tentare di dare una mano ai vivi? Forse ne hanno più bisogno loro, sì?”

 

16. You Can (Not) Retreat

 

“Sei una stupida, Michelle! Hai dato le spalle al nemico per un tempo sufficientemente lungo da permettergli di ucciderti! Ma dico, la tua finta maternità ti ha bruciato il cervello?”

Elettricità statica attorno al corpo di François, il serpente riprende forma, sgretola gli aculei, riducendoli in polvere. Bertrand sguaina le lame, i sei occhi puntati sulle prede.

Nessuno vi ha insegnato che è buona norma non disturbare durante il pranzo? La vostra conoscenza del galateo è piuttosto limitata.

La sovrastruttura pompa energia verso le spalle, genera altre spine, pronte al lancio.

Lasciate che vi insegni i principi dell'educazione.

Tre, quattro, cinque spine proiettate a velocità folle, contro un singolo bersaglio. Le squame intercettano i colpi, si lasciano attraversare dalle lance, perdite ematiche dalle ferite, il dolore negli occhi. François perde l'uptune, crolla in ginocchio, gli aculei piantati nel suo corpo.

“François!”

“Smettila... di strillare come una gallina... e vedi di muoverti! Questi colpi... non erano diretti a me! Bertrand sta puntando al bersaglio più semplice da inquadrare, sapendo benissimo che io proverò ad intercettare i suoi proiettili. E il bersaglio in questione... sei tu!”

 

**

 

Pulci fastidiose, parassiti delle frequenze! Come pensate di poter anche solo provare a resistermi? Tra me e voi c'è un abisso, vent'anni di controllo in più! Pensate davvero che un attacco frontale possa impensierirmi?

OHIMÈ!!!

Perché siete così risoluti a interferire? Perché non mi lasciate in pace?

HO FAME!!!

Andatevene, andatevene finché siete in tempo! Non ho alcun interesse per voi! Proprio nessuno!

Voglio solo terminare il mio pasto!

 

**

 

Lascio a malincuore il corpicino di Akima e mi rialzo da terra. François ha ragione, sono un bersaglio facile, in questo momento. Elaboro per un istante tutte le strategie di combattimento, ma non riesco a trovare una via d'uscita. Bertrand è più forte, più veloce, più addestrato di noi. E in questo momento è in overtune, anche se sembra aver mantenuto una certa lucidità mentale. La sua forma attuale è dotata di un attacco a distanza, sei rasoi da quaranta centimetri e altrettante braccia. Inoltre, ha sei occhi mobili, in grado di scansionare un campo visivo circa doppio rispetto al nostro.

Le speranze di abbatterlo sono quasi nulle.

In uno scontro diretto, avremmo sicuramente la peggio... ma questo non significa che non possiamo fermarlo.

 

**

 

“François, ho avuto un'idea, ma ho bisogno di copertura. Come stai?”

Uno sforzo tremendo, un uptune disperato, gli aculei si sbriciolano, si staccano dagli arti di François.

“Fai tu. Ho un'emicrania tremenda, ho rischiato di diventare un puntaspilli per ben due volte e non riesco più ad effettuare uno shift di frequenza per più di tre secondi. In questo momento, sono carne da macello.”

I denti digrignati in un ringhio.

“Possiamo solo fuggire.”

“Ascolta, devo raggiungere il pannello di controllo. Devi cercare di distrarlo, capito?”

“Aspetta solo un secondo.”

Un balzo laterale, le spine si conficcano nel muro, scavando il cemento. Le crepe si diramano, formano grottesche ragnatele sull'ocra scura. François atterra illeso, estrae il dado dalla tasca, lo mostra a Michelle.

“A seconda di cosa esce, farò come dici tu. Altrimenti, scappiamo a gambe levate.”

“François! Come puoi...”

Il dado lanciato in aria, un cubetto azzurro scintillante sotto le luci biancastre. La mano lo afferra al volo, lo gira tra le dita, si chiude attorno ad esso. Palpebre chiuse, un movimento repentino del polso, una rotazione in senso orario, poi antiorario.

François scioglie la presa, controlla il contenuto del palmo. Un sorrisetto ironico.

“Ma guarda... è questo il risultato? È così che devo agire?”

Il dado riposto con cura nella tasca.

“Molto bene, preparati a correre...”

“Cosa? Non...”

“... fino al pannello di controllo, intendo. A lui penso io.”

 

**

 

L'idea di una ritirata mi piaceva di più, lo ammetto, ma voltargli le spalle potrebbe essere più pericolo che rimanere qui. Ha mostrato una precisione balistica con quelle punte, ci avrebbe impalato come farfalle nel raccoglitore di un entomologo. No, se Michelle ha un'alternativa, preferisco fidarmi. È impensabile che voglia morire assieme ad Akima, specie se quello che mi ha detto Bertrand su di lei è vero. Bah, non ho tempo per i rimpianti. Ora vedremo se ho preso la decisione giusta.

 

**

 

François scatta in avanti, corre verso Bertrand a massima velocità. Il mostro sguaina le lame, le spine fioriscono sulle spalle, lungo le strutture scure della schiena, i denti scivolano sulle labbra come seghe a nastro, la lingua enorme si deforma, diventa una lancia a sua volta.

OHIMÈ!!! Che misero insegnante che sono stato, François! Non hai imparato nulla?!

Gli occhi inquadrano il bersaglio, prendono la mira con cura.

Ecco, questo è il mio regalo per te!

Uno sbarramento di aculei, a decollo verticale. François li schiva, uno dopo l'altro, calibra i passi, immagini residue, evanescenti, trafitte dalla pioggia nera. Si ferma, solo per un istante, accerchiato da colpi falliti. Ma quell'istante è sufficiente. La lingua esplode, scagliata come un arpione, si conficca nel fianco destro, trascina il bersaglio contro il muro, lo schianta con forza brutale.

François sgrana gli occhi, sputa saliva, un grugnito gutturale, le braccia in posa innaturale, come quelle di un burattino.

“Ma che cazzo...”

Sorpreso, François? Non dovresti, non dovresti esserlo per niente. Ora ti divorerò, come ho fatto con le bambole. Diverrai parte di me, François... ma dopo. Prima devo assimilare loro, capisci?

“N... no...”

Naturale. Nessuno può.

Un ringhio inumano, le zanne scorrono sulle labbra, i sei occhi si separano, formano un esagono sghembo, imperfetto.

NEPPURE IO! OHIMÈ!!!

 

**

 

Devo correre, devo raggiungere il pannello, in fretta, in fretta! François non resisterà a lungo, non contro quel mostro! Devo agire, immediatamente! La capsula uno è stata distrutta, la due e la tre hanno subito la stessa sorte. Trattengo il vomito, alla vista dei pezzi, degli arti di ceramica frantumata, del mare nero che sgorga dalla base dei loculi. Se il tuo racconto era vero, se quello che mi hai detto aveva un senso...

Mi guardo attorno, cerco di trovarlo, di individuare il meccanismo corretto. Dev'essere qui, non può essere sparito! Oppure, ce n'era solo uno? No! Non può essere!

Dieci, undici... dodici! La dodici manca, proprio come pensavo... ma dov'è la struttura di sostegno? Dovevano ancora finire di montarla? Ma allora...

La quattro, la quattro è già stata aperta, ma la bambola all'interno... mio Dio, che schifo! Le manca il braccio sinistro e... e parte del viso! Però è ancora attiva, respira ancora! E la struttura di contenimento è stata distrutta! Sì, posso farlo!

Devo farlo!

 

**

 

Perché quel ghigno soddisfatto, François? Sei contento di divenire parte di me?

“N... no. La sola idea mi ripugna. Sono solo sorpreso.”

Gli occhi si riorganizzano, si sistemano in due colonne, le braccia sollevate all'unisono, pronte a calare come ghigliottine.

François digrigna i denti, una lingua biforcuta sulle labbra sottili, le pupille filiformi.

“... credevo fossi più forte.”

 

**

 

Sul muro non ci sono leve, neanche una. Non mi resta che un tentativo.

Sfioro il pannello di controllo, cerco di capire l'interfaccia della macchina, un obsoleto modello a tastiera e schermo touch, tento di entrare nella routine principale.

Un attimo dopo, sono nel vuoto, nel nero assoluto.

E di fronte a me c'è una donna in camice bianco.

 

17. Figlia

 

“Cosa... cosa sta succedendo? Chi...”

Michelle Evangeline Dumas, agente d'élite ESPDeC, matricola 66159. Nata in Benelance, a Malaussene. Ventiquattro anni, figlia unica, single. Uptune note: Cygnus. Nessuna overtune riscontrata al momento.”

Una voce fredda, impersonale, occhi inespressivi a leggere pagine giallastre, rilegate.

“Chi sei? Come fai a sapere tutte queste cose?”

La figura alza lo sguardo dal libro.

Queste sono le informazioni che ho ricavato dalla mente di Bertrand. Tutto ciò che sa lui, lo so anche io. Niente di più, niente di meno.”

Lineamenti sfocati, difficili da riconoscere, colori indistinti.

Prima che tu lo chieda, il tuo tempo non sta scorrendo. Attorno a noi, tutto è congelato.”

“Com'è possibile?”

Pensieri. Impulsi elettrici che si trasmettono alla velocità della luce, superando i limiti stessi dei neuroni. Noi siamo esattamente lì.”

Chiude il libro, con un gesto deciso, il mento sollevato, il capo diretto all'infinito. Un pannello emerge dal nulla, si materializza dal nero vuoto, il numero quattro stampato in inchiostro rosso. La donna ne sfiora la superficie, con calma.

Tu vuoi tirare quella leva, non è così?”

“Forse. Cosa ne dici di spiegarmi cosa sta succedendo, prima?”

Dico che non potresti capire. Sei solo una ragazzina immatura che per un po' ha giocato a fare la madre. Ti è piaciuto? Ti sei sentita bene ad accudire quella che credevi essere una bambina?”

Un blocco al cuore, Michelle stringe le mani, le vene si gonfiano, il viso si arrossa.

“Akima... era una bambina! La mia bambina! Non era parte di me, non ha avuto origine dal mio corpo, non l'ho portata in grembo, è vero... ma questo non significa nulla! Quando... quando Bertrand l'ha... l'ha...”

Il pianto represso, i nervi sul punto di esplodere.

“Quando me l'ha portata via, ho provato un dolore infinito, senza pari! Di quelli che ti lacerano l'anima! Mi sono sentita inutile, inerme, di fronte alla sua sofferenza! Non ho potuto fare niente per aiutarla, nulla! Nulla!”

Michelle crolla in ginocchio, le mani aperte sul terreno d'ebano.

“... nulla.”

Se le cose stanno così...”

I palmi uniti, come in preghiera, le iridi luccicano, brillano nelle tenebre.

... forse meriti una risposta.”

 

**

 

Quello che è accaduto stamattina ha dell'incredibile. François non era mai andato in overtune forzato, prima d'ora. Aveva resistito senza problemi ad alte concentrazioni di rumore, anche per periodi discretamente lunghi. Non posso permettergli di immergersi con Michelle domani, sarà meglio che lo sostituisca io. Certo che è strano, comunque. Non capisco proprio come...

Ehi! Un attimo, cos'è quella sfera nera, lì per terra? Non riflette nemmeno un filo di luce, è completamente opaca. Era dentro il pod?

Forse è meglio portarla al laboratorio per le analisi.

 

**

 

Una proiezione luminosa, le tenebre squarciate, l'immagine si forma nel vuoto, emerge dalla massa indistinta, il buio cancellato, distrutto. Una sala gremita di gente, il nucleo della centrale, spento, le dodici capsule. Scienziati, personale tecnico, parole concitate, gesti, battute nervose.

“L'attivazione di DP-0...”

Esatto.”

Un lungo silenzio, il fotogramma bloccato, l'attimo salvato dalla furia dei secoli.

Io ero lì, quel giorno, sapevo perfettamente cosa sarebbe successo... e non ho mosso un dito per impedirlo.”

 

**

 

Co... cos'è quest'interferenza? Non... non riesco nemmeno a... la sfera?! È la sfera la fonte del... del rumore? Gnnnn! Non posso... i miei pensieri... non li cont... a... aiuto! Aiuto!

AAAAAAAAGH!

 

**

 

Michelle arretra confusa, calpesta l'immagine, lo specchio del momento passato.

“Cosa?”

Precisamente. E non ho alcun rimpianto.”

La sagoma si sposta, raggiunge il centro, i tacchi puntati sulla raffigurazione del nucleo.

Sono stata la prima scienziata al mondo a studiare l'energia distorsiva, sulla base dei progetti originali Daevka. Ho imparato molto, forse troppo, ho compreso l'intimo funzionamento dell'oscillatore a variazione planare, fino a riuscire a replicarlo in piccolo, con attrezzi di fortuna. Quando ho saputo cosa avevano deciso di fare, mi sono opposta con tutta me stessa.”

Una scintilla di rabbia nelle tenebre, iridi rosso fuoco, solo per un istante.

Amplificare la vibrazione intrinseca con un marchingegno sperimentale, progettato da uno stupido incompetente. Un apparato in grado di aumentare l'efficienza della centrale del novantasei per cento. Certo, come no? E il secondo principio della termodinamica? Da dove avrebbe ricavato l'energia aggiuntiva? Dall'etere? Ma per favore!”

Fiamme di collera, un lampo scarlatto, fulmini ramificati nel tessuto della realtà immaginaria.

Chiunque con un minimo di senno si sarebbe accorto dell'errore, ma no! Se ne sono fregati dei miei avvertimenti, dei miei prospetti di rischio, delle mie proiezioni! Mi hanno liquidato con un non abbiamo bisogno dei suoi servigi. Che brucino all'inferno, quei bastardi! Hanno avuto quello che si meritavano.”

“Quindi... quindi l'intera penisola scandinava è sprofondata sott'acqua per un errore umano?”

No, non per un errore. Per la stupidità, l'ingordigia e l'orgoglio dell'uomo, tutto assieme. Siamo arrivati sull'orlo del baratro da soli, in bilico sul ciglio di un pozzo senza fondo.”

Scrolla le spalle con amarezza.

Io ho solo dato l'ultima spinta, tutto qui.”

 

**

 

Ora sono perfettamente lucido, riesco a vedere le cose con più chiarezza. Per un attimo, ho assaporato l'infinito, l'eterno, il tempo come un entità quantizzata, discreta, qualcosa che posso dominare a mio piacimento, estendendo quel poco che rimane del mio transiente. Questa sfera è una sorgente di energia di proporzioni titaniche, la sua potenza è allucinante! E ce ne sono altre, altre undici, là sotto! Sì, altre undici! Perché sulla capsula c'è un dodici, stampato dentro, un dodici! Con dodici sfere, il tumore che mi divora dall'interno sarà sotto controllo! Non dovrò più tingermi un'unghia ogni settimana che passa per ricordarmi quanti giorni mi restano da vivere!

Non dovrò più scegliere il mio successore, non avrò un successore, vivrò per sempre! Per sempre!

Non è ironico? L'energia che ha condannato il mio fisico, ora lo libererà dalla sofferenza!

E il tempo si prostrerà ai miei piedi!

 

**

 

Ho sfruttato le mie conoscenze per proporre un progetto parallelo ed impiantare dodici manichini di plasticeramica in altrettanti bozzoli, disposti attorno al fulcro. Il budget era particolarmente ristretto, per cui ho dovuto riadattare pod commerciali per merci deperibili.”

La mano scorre lungo le immagini, indica i pod, le strutture di controllo.

Sulla carta, lo scopo dell'esperimento era utilizzare la distorsione del nucleo per causare l'overtune di oggetti inanimati. In pratica, era l'unica seria possibilità di riportare in vita...”

Un cenno del capo, gli spettri non piangono lacrime, non possono farlo.

... la mia piccola Akima.”

 

**

 

E se la bambola fosse la chiave? Se senza di lei non potessi raggiungere il luogo dove sono nascoste? No! È un rischio che non posso correre! La porterò con me, sì! E narcotizzerò Michelle, così quando si sarà svegliata sarà già troppo tardi! E Orviandre? No, Orviandre non è un problema, no. Un agente che va in overtune solo per il contatto con una forma di energia così pura non è degno della mia attenzione, no!

 

**

 

“Tu... tu sei la vera madre di Akima?”

Sono la donna che ha perso una bambina con quel nome, sì. E ho fatto di tutto per riaverla indietro. C'era circa una probabilità su otto che l'accensione del reattore modificato mandasse in sovraoscillazione una delle bambole... e la trasformasse in un essere umano, anche solo per un'ora, anche solo per un secondo. Per me... sarebbe stato sufficiente.”

I pugni stretti, il viso allegro della bimba, il bagliore dei suoi occhi, delle iridi piene di vita, divorato dall'ombra, dal mare in tempesta.

Ho commesso solo un errore: credevo che il reattore avrebbe resistito più a lungo al sovraccarico – giorni, non minuti –, pensavo di avere il tempo di attivare i ripetitori verso le capsule e fuggire prima di essere travolta dalle onde. Sfortunatamente, non è stato così.”

Le immagini scorrono, la scena si modifica, la centrale trema, i led pulsano, gli allarmi ululano come lupi impazziti.

Ho avuto solo modo di invertire il flusso di energia – dalla capsula al sostegno idraulico – per l'unica che non era stata assicurata alle pareti per ritardi sulla schedula, la numero dodici. Poi, la centrale è entrata in risonanza e ha vaporizzato qualunque essere vivente nell'arco di un chilometro... me compresa.”

 

**

 

Calma, Bertrand, comportati bene. Nessuno deve capire che hai un piano, che sai cosa fare. Nessuno, eh? Non devi far sorgere sospetti nemmeno nella lucertola – ma che si frigga la lucertola! E poi, distruggere Neo Helsinki e tornare in Benelance, nessuna prova, niente deve rimanere! Se ci sono delle bambole le mangi tutte, eh, Bertrand? Se ne rimane una, ci sono le prove! E niente prove, no! Niente prove!

Nemmeno una!

 

**

 

Se anche uno solo dei pod avesse subito un'attivazione – ovvero, il corpo all'interno avesse iniziato a rilasciare rumore, invece di assorbirlo dal ripetitore sferico, la centrale lo avrebbe espulso, come io ho fatto manualmente con la numero dodici. Così, avrebbe potuto... vivere la vita che non ha avuto.”

Michelle avanza sull'immagine sfocata, passi sull'acqua cupa, onde tintinnanti al contatto con le punte dei piedi.

“In pratica... hai permesso che la centrale venisse attivata, provocando la morte di milioni di persone... solo per riavere tua figlia?”

La figura si rannicchia nelle tenebre, in silenzio.

Se non sei in grado di accettare questo, non potrai mai essere una vera madre.”

 

**

 

Hanno detto che dovevo arrendermi alla malattia, che l'esposizione prolungata al nucleo di DP-7 mi aveva ridotto ad un colabrodo, che il mio corpo era prossimo al collasso! Ma ora è diverso, ora posso sopravvivere, posso tornare alla vita, non dovrò perdere tempo a verificare la preparazione dei miei sottoposti per decidere il mio successore! Non dovrò più scegliere tra Dumas e Orviandre!

 

**

 

“Perché sei qui, ora?”

Il rilascio di energia distorsiva ha annullato il mio corpo, ma non la mia volontà. Ho permeato questo posto per anni, come una spontanea autorisonanza indotta nella centrale dalle bambole. In ognuna di loro avevo inserito qualche ricordo di me, in caso io non fossi stata presente al momento del risveglio. Il loro sonno effimero mi ha permesso di sopravvivere come perturbazione, ma adesso...”

La sagoma trema, oscilla, vibra sino al punto di sparire.

... adesso che quella bestia le sta assimilando, io non sarò più in grado di mantenere la mia coerenza strutturale.”

Gli occhi brillano come fari in una notte di tempesta, un chiarore soffuso attorno alle pallide membra.

Fai quello per cui sei venuta, Michelle. Tira quella leva, porta a termine il tuo piano, qualunque esso sia...”

La mano posata sul petto della ragazza, un bagliore folgorante, un milione lucciole in parata.

... e fa' che il mio lavoro non sia stato vano.”

 

18. Miðgarðsormr

 

Torno alla realtà, in un battito di ciglia. Non mi è ancora chiaro cosa ho vissuto, che cosa sia realmente accaduto nella mia mente... ma ora è tutto chiaro. Ora so cosa devo fare. Controllo lo schermo, l'opzione è già selezionata, devo solo premere il tasto di invio. E fuggire da questo incubo infernale, assieme a François.

 

**

 

Un getto d'aria compressa, espulso con violenza. Ciò che resta della capsula quattro si contorce, si riassembla in un grottesco scudo improvvisato, asimmetrico, deforme.

Cosa?

Bertrand si volta di scatto, gli occhi ruotano lungo tutto il capo, incapaci di rendersi conto, di reagire.

Il guscio si stacca dalla base, il getto lo spinge verso l'alto, verso il condotto da cui era stato calato, quasi mezzo secolo prima. Verso la libertà.

No! Noooo! OHIMÈ!!! OHIMÈ!!!

Allo stupore, subentra la rabbia, alla rabbia la follia, alla follia lo sconforto. Bertrand spalanca la bocca, ruggisce come una bestia ferita. Fiumi di bava verde riversati sul pavimento, una cascata ributtante di odio represso.

La sfera nera era ancora dentroooh! E senza, non mi completerò! Non guarirò! NOOOO!

“Non saresti guarito comunque.”

Scintille violacee, la lingua ancora conficcata nel fianco, le pupille si dilatano, si restringono a tempo.

Ma che...

“Ho fame, Bertrand.”

Il volto di François solcato dalla crudeltà, un sibilo acuto, tra le labbra cineree.

“Molta fame.”

 

**

 

Bertrand si è distratto, proprio come volevo. Ora, François, corriamo alle idrojet! Se affondiamo il batiscafo, quel mostro rimarrà intrappolato qui sotto e...

“F... François?”

Non riesco a credere ai miei occhi.

Non voglio credere ai miei occhi!

 

**

 

La sovrastruttura cresce, si ingrossa, si moltiplica, le spire avvolgono gli arti, il volto, la muta da immersione, scorrono a velocità folle. La lingua di Bertrand si polverizza, dilaniata, sangue viola a fiumi, il dolore nei sei occhi, l'impotenza. Il serpente si allunga, si contorce, il cobra reale emerge dal caos, dal rumore, si manifesta in tutta la sua maestosità.

E trancia di netto tre braccia con un morso.

No! Non puoi farlo! Fermati! Fermati subito! Io sono...

La coda si avvolge attorno al corpo della bestia, lo stringe con violenza, grida inumane, fluidi riversati sulle scaglie di energia pura.

OHIMÈ!!!

Bertrand si dimena, tenta di sottrarsi alla presa, le tre lame superstiti conficcate nella carne, raffiche di aculei a reazione, scagliati come estremo gesto di difesa. Liquido ematico, la serpe non scioglie la presa, non allenta la stretta. La bocca si espande, si allarga, i denti allungati, canini aguzzi, esposti nella loro feroce lucentezza.

In attesa dell'attacco finale.

 

**

 

Alcune leggende nordiche indicano tra i mostri che furono causa del Ragnarök un gigantesco serpente marino che avrebbe ucciso il possente Thor col suo veleno. Quel serpente era noto come Jörmungandr, ma aveva anche un altro nome, un epiteto: Miðgarðsormr, la serpe del mondo.

Trovo che sia un appellativo quasi poetico per un mostro di tali proporzioni, evoca nella mente l'immagine di un'immensa creatura avvolta ad anello attorno al globo terrestre, prima di ingoiarlo. Siamo sott'acqua, sul fondo del mare e il serpente si erge, pronto alla lotta... ma il Ragnarök si è già compiuto e il mondo è cambiato – ha una penisola in meno ma energia virtualmente illimitata.

Ai mostri non crede più nessuno, al giorno d'oggi... eppure, sono convinto che un briciolo di paura, di terrore verso ciò che ci sovrasta, ciò che non siamo in grado di spiegare razionalmente o di confrontare a viso aperto sia necessario. Credere di non avere limiti porta solo ad avvicinarsi al baratro.

Non sei d'accordo, Bertrand?

 

**

 

Bertrand solleva le spalle, punte scarlatte generate dalla pelle scura, in numero infinito. Uno scoppio, una reazione a catena, la pioggia sanguigna, contro tutti, contro tutto. Le scaglie del serpente le deflettono, le deviano in modo casuale, alcune si conficcano, altre lo mancano.

Le spine vaganti lacerano le pareti, i tubi, i condotti, i pannelli, le strutture. Il nucleo trafitto, spaccato, il display frantumato, le connessioni, le ventole. Michelle si nasconde, si acquatta dietro la colonna, chiude gli occhi, la testa fra le mani. Il frastuono demoniaco, il battito di mille gocce su lastre di metallo incrinato. Chiude gli occhi, Michelle, e prega, prega che il frastuono finisca.

D'incanto, il silenzio.

E un urlo straziante.

 

**

 

No! No, François! Voglio ancora vivere! Devo ancora...

Le fauci della serpe si chiudono a scatto, spiccano il busto della creatura dal resto del corpo, lo masticano, lo divorano senza possibilità di scampo. Michelle si volta, incapace di sostenere la scena, si piega a metà, le mani sullo stomaco, la nausea domina i suoi sensi. Uno sguardo ai bozzoli, alle sette capsule rimaste. Gli aculei piantati nel metallo, le luci spente. L'ultima pioggia scagliata da Bertrand, la morte improvvisa dall'alto. Cerca il corpo di Akima, lo cerca ovunque. Sobbalza, salta in piedi, corre a perdifiato.

“No!”
Punte scarlatte costellano il pavimento, le piastrelle divelte, le griglie rimosse.

“N... no!”

 

**

 

“Accomodati, Michelle. Ti spiegherò per quale motivo Akima non poteva non affezionarsi a te.”

Bertrand incrocia le mani, il patchwork di smalto ben visibile. Michelle si siede, attende in silenzio la risposta.

“Mi dica.”

“Come certamente avrai notato, non riesci ad esprimere amore o amicizia verso nessuno... eccetto quella bambina. Il perché è molto semplice: subisci i suoi sentimenti di riflesso.”

“Prego?”

“Akima ti ama, Michelle. Il suo amore per te viene amplificato dal tuo organismo e riemesso, come se tu fossi un ripetitore. Questa è la ragione per cui con lei sei diversa.”

“Questa non è la risposta alla domanda. Per quale motivo... Akima mi ama?”

Un sospiro annoiato.

“Devi sapere che la tua frequenza caratteristica ha un effetto di drive sui bambini. In parole povere, tu li fai oscillare inconsapevolmente alla tua frequenza... e induci nella loro mente la falsa certezza che tu sia la loro vera madre. È molto raro, sono poche le persone che ne sono in possesso. Dovresti esserne orgogliosa e...”

Michelle si alza in piedi, si volta di scatto, apre la porta.

“C... con permesso.”

Scatta in avanti, si lascia l'ufficio alle spalle.

Solo per chiudersi in camera e sciogliersi in lacrime.

 

**

 

I poveri resti di una bambola, frammentati da lame scarlatte, conficcate ovunque lungo il minuscolo corpicino.

“Akima...”

Una mano sulla spalla, fredda, umida.

“Non avremmo potuto riattivarla, neppure se non l'avesse distrutta... così tanto.”

Michelle non incrocia il suo sguardo, lo ignora, ignora le parole, non ascolta, no.

Solo il cuore funziona ancora.

“Piccola mia...”

Si aggrappa ai cocci, li abbraccia ancora una volta, un istante di calore, di amore.

“... riposa, ora. Riposa vicino alla tua mamma.”

 

19. Sole

 

“Lo ammetto, fin dall'inizio il nostro intento era quello di mettervi alla prova. Temevamo che vi sareste inventati qualche bufala sul nucleo per impedirne il recupero. Molti di voi sono ancora diffidenti verso la nostra tecnologia... anche quando sono proprio i vostri scienziati ad usarla male.”

Un lucertolone di due metri, più massiccio di Dinox, il muso dai colori gialli e bianchi alternati. François annuisce, ascolta con attenzione, il braccio ingessato, appeso al collo, spesse bende e lacci a tamponare le ferite.

“Comprendo perfettamente, ambasciatore Andrakta. Il punto è... perché proprio ora?”

Andrakta passeggia nervoso per la stanza, la coda trascinata a terra.

“Perché, dal vostro discutibile punto di vista, noi di EXODUS siamo solo parassiti, pidocchi spaziali, dinosauri da estinguere: dipendiamo totalmente dalla Terra per quanto riguarda le derrate alimentari... ma non abbiamo più nulla da offrirvi. Volevamo sondare il terreno, vedere come vi sareste comportati se aveste avuto l'occasione di mettervi contro di noi, tutto qui. Come può immaginare, il test è solo rimandato.”

Orviandre si gratta il capo con il braccio superstite, scrocchia il collo più volte.

“Buono a sapersi. Ad ogni modo, come nuovo responsabile ad interim dell'ESPDeC, garantisco da parte della mia istituzione il rispetto degli accordi bilaterali.”

“Me lo auguro.”

Un lungo respiro, un mantice cavernoso.

“Ora vado a recuperare Dinox in infermeria, poi dovrò fare rapporto ai miei superiori. Ne avrò per un paio di giorni, nel migliore dei casi.”

“Il peso della responsabilità, eh?”

I denti aguzzi disposti in un abbozzo di sorriso.

“Vedo che inizia a capire. Buona serata, signor Orviandre. Le auguro di mantenere sempre la stessa determinazione... specie quando ce ne sarà realmente bisogno.”

 

**

 

Osservo il mare dalla balaustra, le onde gentili, i soffici cumuli batuffolosi lassù, nel cielo. Ascolto il placido mormorio della marea, lascio che mi passi attraverso, che diventi parte integrante di me... che riempia il vuoto nel mio cuore. A occhi chiusi sulla piattaforma, le braccia aperte ad assaporare ogni filo di vento, ogni refolo d'aria. La salsedine impregna i miei vestiti, il mio stesso corpo. Sono tranquilla, serena. Riesco a scorgere la bellezza del paesaggio, a non essere funestata da cattivi presagi e timori infondati. Io sono qui, ora.

Tutto il resto non conta.

“Vedo che te la stai spassando...”

Riapro le palpebre, le mie finestre sull'oceano, smorzo il chiasso dei sensi, così posso concentrarmi sulla voce, escludere il resto del mondo, del meraviglioso mondo che mi circonda.

“Ciao, François. Non usa più salutare?”

François appoggia la mano alla ringhiera, scuote la testa con forza.

“Ero tentato di spingerti in acqua. Con la divisa bagnata saresti stata uno spettacolo. Poi ti avrei dato una mano ad asciugarti e...”

“Nei tuoi sogni, forse.”

Un'espressione divertita si fa largo sul suo viso.

“Chissà...”

In silenzio, entrambi, a contemplare l'azzurro infinito. Non piove oggi, il Sole è ben alto, là in cielo, circondato da nuvolette rimbalzanti, cotonate, mentre il suo calore si diffonde in tutta l'atmosfera. Le dita di François tamburellano sulla barra di metallo, senza un ritmo preciso.

“Come ti senti?”

“Meglio. Ho quasi smesso di piangere, alla sera. Poco per volta, la mia psiche si sta abituando.”

“La conoscevi da due giorni.”

Alzo lo sguardo, incrocio il disco di fuoco, ne assaporo il placido tepore.

“Lo so... e proprio per questo non riesco a capire. Non riesco a capire come mai mi ci sono affezionata così tanto.”

“Il tuo imprinting naturale potrebbe essere una spiegazione.”

“Tu lo sapevi?”

“Sì. Da quando sei entrata nell'ESPDeC, due anni fa.”

“Uh, uh.”

Acqua, acqua a perdita d'occhio. Nessun accenno di terre emerse, solo un enorme distesa azzurra. Qui, una volta, c'erano boschi, montagne, colline, città, persone. Qui, una volta, c'era Eva Shizawa. E accanto a lei, Akima.

Quella originale.

“Noto con piacere che Bertrand non ha squartato il tuo bel corpicino. Io sembro uscito da un incontro di pugilato finito male, tu sei fresca come una rosa.”

“Quando la donzella è in difficoltà, spetta al cavaliere proteggerla. Ti risulta che Costanza abbia mai difeso d'Artagnan?”

Il sopracciglio si inarca, le iridi azzurre fissano il vuoto.

“Chi?”

“Lascia perdere. Non è importante.”

Torno con la mente a tre giorni fa, al rapimento di Akima, al dialogo con la dottoressa... allo scontro con il nostro capo.

“Cosa può essere scattato nella testa di Bertrand?”

François scrolla le spalle.

“Bertrand stava morendo, Michelle, stava morendo di tumore. Aveva cinque settimane di vita. Così debilitato, una qualsiasi spike di rumore avrebbe potuto mandargli il cervello in cortocircuito. Quando ti ha detto che sarebbe sceso con te là sotto... be', non era più in sé.”

“Già...”

I miei occhi si perdono nel blu, verso l'orizzonte, verso le vele bianche dei ricognitori, l'enorme stazza delle navi da carico, dirette verso l'Europa, verso Britannia. E affiorano i ricordi di quand'ero bambina, di quando costruivo barchette sulla Senna con gusci di noce e pezzi di stoffa...

Gusci. Questa parola apre una porta che volevo lasciare chiusa. Mi faccio forza, tengo la nausea sotto controllo. E riverso tutto su François, come per liberarmi di un peso.

“Mi sono sentita male quando abbiamo aperto le capsule... e abbiamo trovato i corpi in quello stato.”

“Gli aculei le hanno uccise sul colpo. Non hanno provato alcun dolore, se può consolarti.”

“Hai notato com'erano cresciute, rispetto a quella che abbiamo conosciuto noi? Sembrava che avessero sedici, diciassette anni.”

François ignora le mie ultime parole, armeggia con qualcosa, non riesco bene a vederlo, lo tiene nel palmo della mano libera.

“Dunque, vediamo un po'...”

Apre le dita, lancia un oggetto contro luce, il bagliore del Sole mi impedisce di distinguerlo, ma non ne ho bisogno. So esattamente cos'è.

François lo afferra al volo, lo fa roteare tra le falangi, scorrere sul dorso della mano, sul polso, uno scatto del gomito, ed ecco che gira su se stesso, ancora una volta. L'indice e il medio bloccano la corsa, lo fissano su una faccia, una delle sei.

“Ah, è così? È questo che devo fare?”

La sua solita frase tipo. Ora vedrai che... eeeeh?

“F... fermati! Cosa stai...”

Non ho tempo nemmeno per terminare la frase. Due secondi di volo e mi trovo a mollo, nell'acqua gelida del mar Baltico! AAAAH! François, ti odio, ti odio!!!

“Brutto imbecille, perché l'hai fatto?!”

François ride, ride di gusto il bastardo!

“Non te la prendere, petite. Io ti avevo avvertito.”

Ride, François, continua a ridere come un ossesso... e rido anch'io, nonostante il freddo. Sì, riesco a ridere, a provare qualcosa di diverso dall'odio, dalla frustrazione, dall'angoscia. Sento uno schizzo sulla pelle, qualcosa è caduto vicino a me. Lo scorgo ancora per un secondo, mentre affonda, mentre raggiunge lo scrigno nascosto dell'oceano.

“Il tuo dado? Ma...”

“Questo è stato l'ultimo gioco. Ho smesso di affidarmi al caso, petite. Da ora in poi, François Orviandre sarà un capo modello per l'ESPDeC.”

Nuoto fino alla piattaforma, completamente fradicia, mulino il braccio, cerco di raggiungerlo con schizzi d'acqua ghiacciata.

“Guarda che con me non funziona! L'ho capito che lanciavi il dado solo per darti un po' di arie. In realtà, avevi già deciso prima cosa fare.”

“Chissà...”

Scrocchia il collo, mi osserva col suo miglior sguardo da pesce bollito.

“Se ti invitassi a cena, cosa mi risponderesti?”

Scosto i capelli fradici dal viso, gli mostro un occhiolino malizioso.

“Che arrivi tardi. Ho già accettato l'invito di Theia. E dopo mi fermo a dormire a casa sua.”

“Non... non dirai sul serio!”

“Chissà!”

François borbotta qualcosa di incomprensibile, un sospiro breve – sollievo?, poi torna a fissarmi.

“Le bugie non le sai proprio raccontare...”

Raggiungo la piazzola d'accesso, mi siedo, sfilo le scarpe, le svuoto sul pavimento. Dovrei essere alterata, dovrei gridare ogni sorta di maledizione contro quell'imbecille di François... ma non ci riesco. È come se il mio cuore si fosse aperto, fosse nuovamente in grado di splendere di gioia.

“Sai? Nonostante tutto, mi sento bene. Per oggi te la sei schivata, Fran. La prossima volta non sarò così comprensiva.”

Scoppio in una risata liberatoria, tutta la mia anima scintilla alla luce del Sole. E nel Sole, per un istante, la rivedo.

“Akima, piccola mia...”

La tristezza si è sciolta, scivolata via, l'amarezza, la frustrazione... basta!

È il momento della speranza.

“... grazie, grazie di tutto. Senza di te... non sarei tornata a vivere.”

 

??. Verlaine, coste del Benelance

 

Adoro fare quattro passi sulla spiaggia, quando è il mio giorno libero. La luce è uno spettacolo che non ha eguali, il Sole nascente sul mare...

Se penso che quell'idiota di Lorenz non la può proprio sopportare, mi viene l'orticaria.

Ammiro con placida tranquillità il moto ondoso, gli oggetti trasportati dai flutti, rami secchi di alberi morti, bottiglie di plastica, piccoli utensili di uso quotidiano, formine per modellare la sabbia. Un microcosmo di vita rubata e restituita dalla più capricciosa e mutevole tra le creature di questo mondo.

Noto una figura scura, in lontananza. In effetti, è piuttosto grossa, sembra una barca capovolta... ma non ne avevo mai viste così. Irregolare, bitorzoluta, metallica. Che diavolo può essere?

Non resisto, la curiosità è troppa!

Allungo il passo, riduco la distanza che mi separa dall'oggetto del mio interesse, corro, lascio che la sabbia scorra nei miei scarponi.

Okay, ora sono abbastanza vicino. Posso distinguere i dettagli con precisione sufficiente.

Struttura metallica, sporca, rovinata. Sopra ci sono delle scritte, un quattro stampato in rosso e... käsittele varoen? Cosa diavolo significa? E la forma? Non ho mai incontrato nulla di simile. Vista da vicino sembra più una specie di uovo, col guscio squarciato dall'esterno, come quelli che si vedono nei documentari sui dinosauri e...

E... ehi! Dentro c'è... qualcosa!

Mi faccio coraggio, sbircio attraverso l'apertura.

Ma che ca...?!

Faccio forza sulle pareti dell'uovo, allargo la fenditura, in modo che la luce del Sole mi aiuti a capire, a distinguere i dettagli. Una ragazza – una bella ragazza – vestita con abiti da bimba troppo piccoli, stracciati – come se ci fosse cresciuta dentro. Apro ancora un po', lascio che le tenebre siano completamente dissipate. Salto all'indietro, sobbalzo, porto la mano alle labbra. Mio Dio, le manca un braccio! Le manca il braccio sinistro! E pure l'occhio! Mio Dio! Tra tutte le cose che potevo trovare, proprio un cadavere? Io...

U... un momento! Re... respira? Sì! Respira! E...

“... dove sono?”

Rischio l'infarto, arretro, cerco di ritrovare la consueta lucidità. Un iride smeraldina mi fissa, celata da folti capelli color castano chiaro. Ingoio la saliva, rispondo con calma. Dev'essere un incubo, quindi tanto vale stare al gioco. E sperare di risvegliarmi in fretta.

“Verlaine, coste del Benelance.”

“... è lontano... da Helsinki?”

“Un po'.”

Vorrei prenderla tra le braccia, estrarla dal suo giaciglio, osservarla meglio... ma ho paura di farle male, di aggravare il suo stato di salute. L'unica cosa che posso fare è sedermi accanto a lei, sul bordo del guscio.

“Ce l'hai un nome?”

Annuisce, risponde con un gesto del capo.

“Io... mi chiamo...”

 

 

Fine