Distortionverse: Chapter 2 - Rosenmaester (2014)
Tra il 2014 e il 2015 ho scritto sei romanzi brevi che assieme formano il ciclo di Distortionverse, raccogliendo storie, spunti e personaggi da giochi e altri racconti mai completati. Per molto tempo, questi romanzi brevi sono rimasti disponibili solo su Amazon Kindle e tramite Createspace come copie fisiche. Dieci anni dopo, voglio archiviarli sul mio sito personale per evitare che vengano perduti per sempre. "Rosenmaester" è il romanzo cardine di Distortionverse, la storia che ha introdotto uno dei suoi antagonisti più vili e straordinari, le cui macchinazioni sono diventate strumentali allo svolgimento della storia del dopo-Schwarzerblitz. Una storia pesante, da un certo punto di vista. Certamente la mia preferita del ciclo.
2061 – Northern Algol, Britannia
I. Vortag Schlieber
La porta sfondata, riversa a terra, i cardini divelti.
Un benvenuto coi fiocchi.
Passi lenti, cadenzati, tra i cadaveri. Perché sono morti, senza ombra di dubbio. Il torace fermo, non si gonfia ritmicamente. Non può più farlo.
Pazienza.
Uno strattone deciso, una figura più esile trascinata quasi a forza, riluttante all'idea di seguirlo. Una ragazza.
Sguardo rivolto a destra, a sinistra, in cerca del nemico. Un nemico invisibile.
O assente.
Rapida sistemata agli occhiali da sole, nel buio. Un marchio di fabbrica, impossibile separarsene. Occhiali triangolari, la punta rivolta verso le guance, come non ne facevano più. Bei tempi, quando le aziende li producevano ancora.
Tempi andati.
Un volto inespressivo ad accoglierlo.
“Ciao, Ivan. Come stiamo? Sembri un po' mogio, forse avresti bisogno di un po' di moto.”
L'involucro vuoto si accascia al suolo, crolla senza respiro. Un calcio nel fianco, come a tastare il rigor mortis. Ivan a pancia all'aria, le braccia ai lati del corpo, le maniche lacerate.
E i fiori. Rossi, quasi vermigli.
Un bello spettacolo. Peccato per le radici...
“Ti donano, Ivan. Avresti potuto provarli, in vita.”
Il soffitto scricchiola, sinfonia di crepe ramificate. Alcune travi si frantumano rovinosamente, le assi di multistrato cedono, si schiantano in un fragore assordante. Una nuvola di polvere, mista a segatura, la mano a proteggere il volto.
E l'abito.
Rapida spazzolata ai capelli neri, spinosi, fissati col gel. Le palpebre si riaprono, dietro le lenti.
Ed ecco altri due morti.
Si avvicina, trascina il suo bagaglio senza perderlo di vista, si inginocchia, accarezza i petali, le corolle.
Un trionfo di colore nella luce soffusa, atmosfera irreale. Particelle di pulviscolo in sospensione, bagliori e luccichii, rifratti nell'aria ferma.
“Quanti ne mancano ancora? Due? Tre? Se tanto mi dà tanto, Rico è ancora su dal capo.”
La giovane scatta, approfitta della distrazione. Uno strattone, una corsa folle, l'estremo tentativo di fuga, in direzione dell'uscita.
L'uomo rotea il collo, la mano alla fondina.
Un gesto fulmineo, più rapido dell'occhio, l'aria sibila, si contrae, grida di dolore.
Una caduta rovinosa, le gambe legate da una lenza.
“Non credere di fregarmi, dolcezza. Io non sono un poliziotto di quartiere. Devo portarti dal don.”
Pupille ristrette, terrore in ogni angolo dei suoi occhi, nelle iridi, nel cristallino.
“Lo so, lo so... secondo te sono tutti morti. Ma io ho degli ordini da eseguire.”
Guanti di pelle nera, camicia bianca un po' consumata, fauci di pescecane in miniatura come bottoni sui polsi, una giacca nera, aperta, una tasca per lato. Cravatta scura, motivo geometrico, esagoni, rombi. Pantaloni di tessuto ruvido, dello stesso colore, scarpe lucide, cuoio animale. Un bastone in mano.
Le dita si serrano attorno al suo polso, non le concedono tregua. Un'ampia scalinata di legno, stile simil-secentesco. Camminata leggera, un gradino alla volta, con calma, una lentezza esasperante.
Tanto, non c'è fretta.
“Senti, se c'è qualcosa che non ti va a genio, dimmelo chiaro e tondo, okay?”
Cavi a vista, sotto il mento. Contatti elettrici strappati, uno squarcio sul collo.
“Ah, già. Dimenticavo.”
Scrolla le spalle, le mani aperte, i palmi verso l'alto in segno di noncuranza. La osserva, senza dire nulla. Non riesce a camminare, con le gambe legate. Scrolla la testa, la prende in braccio.
“Non farti strane idee, lo faccio solo perché gli servi intera... mi sembra di avertene già parlato.”
Un largo sorriso a trentadue denti, aguzzi, animaleschi. Uno squalo dal naso affilato, il viso a lancia, barba rasata di recente.
Un passo dopo l'altro, un'ascesa verso l'inferno. I poveri resti di Rico, abbarbicati al corrimano. Germogli sfavillanti aggrovigliati attorno ai suoi polsi.
La solita storia.
“A quanto pare si è dato da fare...”
Lasci un attimo casa per sbrigare una faccenduola, torni indietro e la ritrovi in questo stato orrendo, schifoso: mobili rovesciati, porte a pezzi, finestre maciullate da una grandinata di piombo, schegge di vetro verso l'esterno, proiettili sparati da uomini morenti.
“Mancano solo Edwardo e il don. Se Rico è qui...”
Centottanta gradi di rotazione. Un braccio a penzoloni, un coltello in mano, ferite da taglio sul braccio. Un fiore. Un tentativo inutile.
Chiude le palpebre, abbassa il capo. La ragazza in religioso silenzio, gli occhi sbarrati. Nessun rumore, solo il cigolio del ventilatore. Spento.
L'uomo si asciuga la fronte, lascia cadere la replicante. Si china, le libera le caviglie, permettendole di alzarsi. Riavvolge la lenza, sistema la sicura, impugna il bastone a mo' di pistola.
“Don Chaddo sarà molto contento di vederti, KZ-247. Gli servi per un certo lavoretto.”
Avvita il manico due volte, il tamburo ruota su se stesso a velocità folle.
Gli ultimi bagliori del giorno morente, luce offuscata dalla polvere. Fievoli riflessi sulle assi tarlate, sui lenzuoli bianchi a protezione dei mobili d'epoca. Lampade spente, un corridoio di pece, artigli di tenebra pronti a ghermire, celati dal buio.
Scuote la testa.
No, solo immaginazione.
Un passo, un altro passo. Nel silenzio. Assoluto.
La camera del don è vicina, molto vicina.
Eccola lì.
Battito tranquillo, nervosismo assente, ansia a zero. Si sistema gli occhiali con un gesto automatico, la porta della camera è lì di fronte, imponente, inviolata, i fregi in mogano restaurati di fresco. Preme la maniglia, prepara l'ingresso trionfale.
Uno scatto, la serratura cede.
Ed ecco il don, nella penombra.
Ufficio sontuoso, scrivania di ebano massiccio laminato in foglia d'oro, quadri di Klee e Malevič, una replica del bacio di Klimt, un mosaico a riprodurre Guernica, incastonato nel pavimento. Una bottiglia vuota di champagne, resti di carta da regalo. Un dono? Non importa. Il capo è lì, sulla sua sedie in pelle di daino.
“Ehi, don, te l'ho portata! Proprio la KZ-247 che mi avevi chiesto. Non è un amore?”
Dita sottili strette attorno al viso della replicante, ad enfatizzarne la morbida rotondità. Nessuna risposta. Si gratta la testa, poco convinto.
“Troppo buio fa male, don. Aspetta, ti ruoto la sedia...”
Un omaccione enorme, sproporzionato, al limite umano dell'obesità. Un completo viola a righe, elegante, macchiato di sugo. Pelle scura, capelli neri radi, baffetti dello stesso colore con pizzetto sul doppio mento.
In due parole, don Chaddo.
O quello che ne resta.
Fiori scarlatti sulle sue mani, le radici nei polsi, nelle vene. Piante emodrenanti. Letali.
“Don...”
Ora o mai più.
La replicante non perde tempo, si allontana, passi rapidi, decisi, i capelli biondi mossi, la bocca ferma. Nessuno le bada, nessuno fa più caso a lei.
“Ehi, tu! Cosa diavolo pensi di fare? Fermati!”
No, no!
Un secco ta-clack, il colpo in canna.
Il ginoide chiude gli occhi, corre a perdifiato.
Un metro, ancora un metro!
Il ventre salta in aria, ingranaggi in volo, microcircuiti, frammenti di fibra in kevlar, schegge della sua spina dorsale in titanio. La parte superiore del corpo si schianta sul cavallo di Picasso, quella inferiore rimane sulla madre. Frammenti di stoffa bruciacchiata sparsi tutto attorno, a coprire il bambino morto nel mosaico.
Un istante di lucidità, uno solo, per registrare il dolore.
Poi, il nulla.
II. Silman Simmerik
“Passami una chiave, svelto.”
“Quale? Va bene quella del tredici?”
“Sì, sì. Ora prendi il saldatore e cerca di sistemare questo contatto. Lo vedi? Proprio qui.”
Una donna in camice bianco, un nome sulla targhetta, Emmelyn Kranzner. Figura asciutta, magra, un fascio di nervi iperattivo. Capelli neri arricciati, umidicci, quarantasei anni portati male.
Stanza piccola, quattro metri per quattro, pulita. Ventole gigantesche per il ricambio dell'aria. Una sola finestra chiusa, in alto.
Un tavolo operatorio, i resti di una replicante sfortunata.
Assieme alla donna, un ragazzo, più giovane. Medici legali di androidi. Professione strana, la loro. Non capita spesso di sezionare una macchina.
“Sembra che le sia esplosa la pancia.”
“Colpo d'arma da fuoco?”
“Dobbiamo effettuare l'analisi sulle schegge, prima di trarre conclusioni.”
La mano inguantata si sposta lungo il contorno frastagliato, tasta la plastica fusa, il metallo liquefatto.
“... anche se posso già concludere qualcosa. Un proiettile termico. I segni sono inequivocabili.”
L'assistente si avvicina, accarezza la fronte sintetica.
“Che peccato. Era così bella.”
“È finta, Simmerik.”
“Ma è bella. Questo non puoi negarlo.”
La donna sorride sotto la mascherina.
“Il modello KZ-247 è stato progettato per le sfilate di moda... e non solo. Hai mai sentito parlare di mercato sotterraneo?”
Simmerik abbassa gli occhiali. La pinza trancia i cavi, separa i fili di alluminio. Componenti elettroniche inutilizzabili, un corpo tagliato a metà, distrutto dall'interno.
Quasi irrecuperabile.
La donna accende le lampade supplementari, un flash, riflessi sulla pelle lucente, mulatta. Le palpebre calate, cerotti sul volto.
“Silman, ce li hai messi tu quei cosi?”
“Aveva due tagli, uno sulla fronte, uno sulla guancia. Ho applicato un paio di bende d'analisi. Vogliono sapere cos'è stato a ferirla.”
“Bravo.”
Silman Simmerik, stagista. Neolaureato in ingegneria robotica e biotecnologie, fresco di studi. Ovvero, un buono a nulla. Nessuna esperienza di lavoro.
Fino a quel momento.
Fa caldo in sala operatoria. Troppe lampadine a incandescenza, raggi infrarossi mescolati alla luce. Si allarga il colletto nervosamente. Il suo primo sezionamento. Un KZ-247, in pessime condizioni. Parametri vitali quasi al minimo, non nulli. Nessun problema, è una macchina. E bisogna capire chi l'ha distrutta.
Ma perché? È così importante una ragazza di metallo per la polizia?
Un ronzio continuo, fastidioso. Il suono acuto di un campanello.
“L'analizzatore d'impatto ha finito. Diamo un'occhiata...”
Un documento bianco, poche parole a schermo.
Inequivocabili.
“Un proiettile calibro dodici e sessantacinque ad esplosione ritardata.”
“Prego?”
“Un affare che esplode dopo esserti penetrato dieci centimetri nello stomaco. Li monta solo una pistola, la Sachson 52”
“Ah.”
Sachson 52. Un'arma da mafiosi. O, perlomeno, da poco di buono.
Calibro da fucile. Ogiva da assassino.
Ideale per esecuzioni plateali.
“Be', ora sappiamo cosa ha ucciso la tua bella. Invio il rapporto alla scientifica.”
“Quanti ne hanno da sezionare, loro?”
“Dodici o tredici, ma non penso che ci faranno molto. Sanno già cosa li ha uccisi.”
Dito puntato verso una foto. Un giornale, vecchio di tre giorni. Immagine in bianco e nero, stampata al centro del foglio, massimo risalto. Un polso in primo piano.
E il fiore.
Simmerik annuisce in silenzio.
“Chi sono le vittime?”
Una risatina soddisfatta.
“Chad d'Orsale e i suoi leccapiedi. Tutti tranne uno, ad essere precisi.”
“Potrebbe essere stato lui a farli fuori.”
“Chi lo sa? Il nostro unico compito è smontare paratie di rivestimento e staccare fili. Le congetture lasciale ai detective.”
Si risistema i guanti monouso, li stropiccia. Una rapida occhiata alla gola, alle corde vocali strappate, filamenti colorati a vista. Incidente? Non spetta a loro giudicare.
“Okay, sconnettiamo il centro vitale e abbiamo finito. Così sarà pronta per il riciclo.”
“La scatola nera dobbiamo tirarla fuori?”
Occhiataccia malevola.
“Cosa pensi che sia il centro vitale, Simmerik? Dammi una mano, su. Smontale il petto, così, da bravo... ecco, attento a non danneggiare i cuscinetti pneumatici... perfetto, proprio così. Fammi un po' di luce con la torcia, non vedo quale cavo devo tagliare...”
Un cuore di metallo, ancora attivo, pompa olio lubrificante nei condotti risparmiati dall'esplosione.
“Perché non gliel'hanno messo nel cervello?”
“Pensaci, Silman. Sai quanti criminali sparano in testa ai droidi perché pensano che sia tutto registrato lì dentro? No, qui nella zucca c'è solo l'elaboratore centrale. I ricordi sono archiviati nel cuore. È questo che devi distruggere, se vuoi eliminare ogni traccia. Però è difficile, sai?”
Indica il pannello tra le sue mani.
“Quella che hai staccato è una lastra in fibra di plastitanio. Resiste a buona parte delle armi da fuoco, persino ad alcuni tipi di granate... però è pesante. Lo usano solo per proteggere i centri più importanti, vale a dire la scatola cranica e il mediastino ma... ehi! Ehi! Un momento! E questo cosa...”
Un oggetto minuscolo, delle dimensioni di un chicco di riso, appiccicato al meccanismo pulsante.
“Non è una componente del replicante. Sembra quasi... materiale organico. Fammi luce, svelto!”
Il bisturi si avvicina, sfiora il corpo estraneo, lo strappa dal suo giaciglio. La dottoressa lo prende in mano.
“Oh, mio Dio!”
Si lancia all'indietro, si allontana di colpo dal robot, un urlo di terrore. Cade a terra, si sfila il guanto, lo getta via, via, per terra, più lontano possibile.
Ma è troppo tardi.
Il seme si apre, le radici affondano nella pelle, sboccia un bellissimo fiore bianco, candido come la neve. Si colora, poco alla volta, il tono si accende, sempre più velocemente. La dottoressa urla, urla dal dolore.
Silman paralizzato, inerme. Si risveglia, un lampo nella mente, le grida del suo capo.
Il taglierino sul tavolo!
Un colpo netto. La corolla cade a terra, recisa. Le radici perdono vitalità, non succhiano più. Il volto della donna contratto in una smorfia raccapricciante. Silman si china su di lei, tenta di rianimarla, invano.
Il telefono, una chiamata al centralino interno, correte c'è la Kranzner che sta male! È svenuta, è pallida! sperando che facciano in fretta, sì, in fretta! Reagire subito, prima che muoia, prima che ci lasci la pelle. Silman rimane fermo sul corpo, ascolta il cuore, spera in un battito, anche uno solo, anche mezzo, ma che sia un battito!
Si rialza.
Un'esplosione fragorosa.
Il cuore del robot in frantumi, un colpo di pistola. Non se ne cura più di tanto, Silman, ma come fa a curarsene, dopotutto?
Un ultimo sguardo alla corolla.
Non è più bianca, no. Ora è rossa.
Rossa come il sangue.
III. Vortag Schlieber
Braccato, sì! Braccato senza via di scampo!
Solo, nella notte, tra palazzi di vetro.
Mi scrutano, mi osservano dall'alto, mi ghermiscono senza pietà! Riprendere fiato, subito!
La schiena appoggiata alla parete, il respiro mozzato.
Bravo Vortag, respira, respira mi raccomando. Senza aria i tuoi polmoni collassano, tu collassi.
E non puoi fuggire.
Strutture di cemento e cristallo, gli occhi della città, raschiano le nuvole, celano la Luna.
Le stelle... dove sono le stelle?
Scuote la testa.
Solo un fantasma lontano, oscurato dalle sagome dei grattaceli.
No, non c'è tempo per pensare, non c'è tempo per arrendersi.
Snuda il bastone, svita l'impugnatura, controlla la lenza e il tamburo. Sei supposte di piombo ansiose di uscire a prendere una boccata d'aria. Attiva il meccanismo di sgancio dell'estremità superiore, due volte. Tutto regolare.
Trentadue denti schierati in posizione, il sorriso macabro di chi sa di non avere speranze. A parte una.
Guaiti in lontananza, rumore concitato di scarponi.
Gli sbirri, maledizione!
Corsa senza fine, non devono trovarlo, non ancora. Altrimenti, pensano che il don lo abbia ucciso lui.
Ma io sono sempre stato fedele al don! Perché avrei dovuto?
Oppio, cannabis, cocaina, triadina. Ecco perché avrebbe dovuto. Un'impresa molto fruttuosa.
Ma chi se ne frega della droga!
E ora? Cosa fare? Senza più nessuno a darti ordini? Hai eseguito l'ultimo, lo hai portato a termine con successo, ma il don era già morto, dissanguato. Chi può aiutarti, Vortag? Chi?
Solo ONE.
Corsa nel sottopassaggio, neon scintillanti, bianchi come le pareti, riflessi multipli, caleidoscopici. Gli occhiali da sole inforcati, non può separarsene proprio ora, sarebbe un tradimento bello e buono.
Solo ONE può salvarmi, devo trovarlo!
Latrati, sempre più vicini. Hanno sciolto i cani, li hanno sciolti, questione di un minuto e ti sono addosso, Vortag. La fronte madida di sudore, corsa sfrenata senza una meta precisa. Perché tu non puoi trovare ONE, se non è ONE a volerlo.
Ma dove? Dove?
Il don aveva trattato con ONE, aveva trattato per quel replicante, quel KZ-247.
Che poi era fuggito.
Be', pazienza.
Vortag Schlieber esiste per questo, no?
Raccoglie le forze, raccoglie le idee. Ombre di segugi a meno di cento metri.
In fretta, in fretta! Sempre più in fretta!
Una via laterale?
Perfetto!
La imbocca, senza pensarci due volte.
Cassonetti della spazzatura, sacchetti neri a vista, olezzo nauseabondo. Afferra le maniglie, li rovescia, ostruisce il passaggio.
I dobermann perderanno un po' di tempo, spero. Via, verso l'interno, ora!
Ringhi rabbiosi, ululati sconfortati.
Non passano, non passano!
Un sospiro di sollievo, può rallentare.
E ragionare.
Dove trovare ONE? Come riconoscerlo?
Mai visto.
Allora? Si chiede?
No, no. Nessuno ti risponde se dici che stai cercando ONE.
Solo il don sapeva come contattarlo.
I capelli in disordine, la camicia spiegazzata. Perde un attimo a sistemarla. Bisogna essere impeccabili, anche quando si scappa. I bottoni allacciati, le stringhe a posto, i cani sempre più lontani.
Ciao, ciao cucciolotti.
E adesso?
Un bidone di latta acceso. Poveracci che si scaldano come possono, vagabondi, mendicanti. L'Undergrrround della città, l'altro lato della medaglia, nascosta alla vista, invisibile dai grattaceli.
Molta gente. Troppa gente.
Chi l'avrebbe mai trovato, lì in mezzo alla feccia?
Non gli abbaianti molesti, poco ma sicuro.
Confondersi fra gli straccioni, ecco il nuovo imperativo. Passo disinvolto, cadenzato, tranquillo – solo in apparenza. Tour tra le baracche di lamiera e legno di scarto, casse toraciche di androidi usate come rudimentali stufe, carcasse di televisori come portaoggetti improvvisati. Molti chiedono l'elemosina, allungano la mano.
“Non ho un soldo stavolta, mi dispiace.”
Ed era serio. Ogni settimana distribuiva qualcosa come cento verdoni agli accattoni, come per assecondare la sua coscienza.
Quale coscienza?
Sposta l'occhio a destra, a sinistra, si guarda attorno. Gli sbirri possono trovarlo, loro sì. Ormai avranno raggiunto le bestie.
Nascondersi subito, ma dove? Dove?
“Ehi!”
Una figura seduta per terra, la gamba assente dal ginocchio in giù. Pelle mulatta, capelli biondi piuttosto lunghi, coperta di stracci. Un'iride acromatica, una cicatrice sulla guancia. Tutto a sinistra, quello che manca.
Una copia sputata – seppur difettosa – della replicante, di quel KZ-247 che aveva recuperato la mattina stessa.
Solo che è vera.
O, almeno, lo sembra.
Si avvicina con disinvoltura, non attira l'attenzione, non può farlo, non deve farlo.
Lei se ne accorge, abbozza un sorriso, esibendo una dentatura perfetta.
“Posso fare qualcosa per te?”
“Sei una replica?”
Risatina nervosa.
“No, sono solo una giovane mendicante zoppa e mezza cieca. Perché questa domanda? Ho qualche ingranaggio o meccanismo a vista?”
“Sei uguale ad un KZ-247. Tutto qui.”
“Capisco.”
Guaiti, rumore di passi. Sdegno sotto gli occhiali.
“Speravo che li ritardasse di più...”
Un lampo di sfida sull'iride albina.
“A quanto pare, sei desiderato.”
Impugna il bastone, carica un colpo in canna, toglie la sicura, sgancia la sommità.
“Questione di gusti. Io non mi desidererei. Mai.”
Attimi di terrore diffuso, i vagabondi si rifugiano nelle baracche, le madri nascondono i figli.
La giovane resta al suo posto,immobile.
“Non vorrai veramente ingaggiare uno scontro a fuoco con la polizia?”
“Mi hanno sempre ordinato di arrendermi senza opporre resistenza, di stare tranquillo, tanto mi avrebbero tirato fuori in qualche modo... ma don Chaddo è morto. Nessuno può pagarmi la cauzione.”
Musi di dobermann, zanne in bella vista, macchiate da avanzi di cibo. Due poliziotti in tenuta antisommossa.
“Don Chaddo, hai detto?”
La mano scivola sotto gli stracci, passa dietro la schiena, le dita si stringono, un sorriso malizioso sul volto.
Un attimo dopo, i cani sono a nanna.
Così come i loro padroni.
Canna di pistola fumante, nella mano destra, il braccio teso. Vortag immobile, congelato.
“Si sveglieranno tra un quarto d'ora. Ora seguimi, ho un rifugio sicuro qui vicino.”
Estrae un cilindro di metallo dai resti dei suoi abiti, preme un pulsante.
Meccanismi che si espandono, cavi intrecciati, serpentini, spiralizzati. Pistone idraulici, sensori di movimento, giunti snodati. Una gamba finta, dalla rotula in giù. Si aggancia al moncherino, si avvita, fissandosi saldamente.
La ragazza si alza, zoppica, la protesi la sostiene, si conficca nel terreno. Uno sguardo penetrante, dall'unico occhio vivo. Uno sguardo inquisitore.
“Non ci siamo ancora presentati.”
L'uomo rinfodera il bastone, si sistema gli occhiali con un gesto istantaneo, nervoso. Allunga l'altra mano.
“Vortag Alexiei Schlieber”
La ragazza la stringe.
“Io sono ONE.”
IV. Silman Simmerik
“Calmati Simmerik, è tutto a posto.”
“No, che non lo è! La dottoressa Kranzner è morta, la scatola nera della replicante è saltata in aria e lo stramaledetto seme è avvizzito. Non abbiamo nulla su cui lavorare, assolutamente nulla!”
Fumo denso, un sigaro cubano acceso.
“Nulla? Be', ce lo faremo bastare.”
Camicia hawaiana, pantaloni corti, scarpe da lavoro. Occhiali spessi, da vista, capelli neri con piazzetta in bella mostra.
“Chaddo e i suoi scagnozzi sono stati uccisi allo stesso modo, da questi minuscoli semi killer. Chiunque li abbia prodotti è un genio...”
Una nuvola grigia, vaporosa.
“...del male, ovviamente.”
Il commissario Arocco sposta la poltrona a rotelle, si avvicina.
“Simmerik, la finestra era aperta mentre stavate lavorando?”
“No.”
“Lo giuri su Dio?”
“Sì.”
Cenno di assenso.
“Quando siamo arrivati non era chiusa. Qualcuno deve aver approfittato della confusione per scardinarla e sparare al cuore del vostro... uhm... paziente.”
“L'esplosione che ho sentito...”
“Uh... precisamente.”
“C'è altro?”
“No, sei libero di andare. In confidenza, potresti trovarti un hobby per reagire allo shock. È così che ho superato la morte di mia moglie.”
“Che passatempo ha scelto?”
“Costruisco origami.”
“Uh, emozionante. Se è tutto qui, arrivederci capo. Vado a sistemare i miei effetti personali.”
Simmerik si alza, diretto verso l'uscita. Arocco alza la mano, la voce stanca attraversa l'aria.
“Un'ultima cosa... che ne facciamo dei rottami del KZ-247? Noi i rilievi l'abbiamo finiti, ma non ho idea di come si smaltiscano 'sti affari...”
**
Camminare, camminare senza meta, tutta la città in fermento, tutti a parlare di lui.
Il killer, Rosenmaester.
Un nome orribile, forgiato da scribacchini privi di inventiva.
Rosenmaester.
No, non rende per niente l'idea.
Innanzitutto, non sono rose le sue. Fiori bianchissimi, dalla corolla larga. Eleganti, certo... ma come chiamarli?
Ed ecco il lampo di genio dello sciacallo di turno.
Rosenmaester.
No, non funziona. Sembra il nome del cattivo di un fumetto. O di un serial televisivo. Qualcosa di finto, insomma. Ma lui esiste davvero.
Già trentasei vittime.
Civili inermi, semplici persone nel posto sbagliato, al momento sbagliato – almeno in apparenza.
Parassiti, depravati, uomini dalla doppia vita, in realtà.
Tranne gli ultimi tredici.
Trafficanti di droga, criminali conclamati.
Come Kano Nishima.
Tryade.
Manifesti pubblicitari a destra e a sinistra, il volto aggraziato di Eliphya, la principessa dei petali di luce. Reclamizza lenti a contatto colorate da una parte, dall'altra una linea di mascara.
Silman sorride. Stasera c'è la puntata speciale della domenica, non può perderla.
Un passo dopo l'altro verso casa. Deve rilassarsi, certo. D'altronde, ha appena assistito ad un omicidio. Una morte in diretta. Chissà quanto avrebbe pagato un cronistucolo di strada per riprendere la scena?
Inutile rifletterci troppo a lungo, tanto vale tranquillizzarsi, almeno per un po'.
Andava verso casa? Sì, ma ha cambiato idea.
Un giro nei vicoli interni, da solo. Venti passi a destra, venti passi in avanti. Dietrofront.
Tutto qui?
Sì, certo.
Non può perdere la puntata speciale di Eliphya.
A che ora è, a proposito, Eliphya? Alle due, alle due di notte. Ah, bene. Ancora otto ore di tempo.
Otto ore per pensare. Per pensare ad un robot.
Scuote la testa, come un forsennato.
Il cuore batteva ancora, prima dello sparo.
Quel KZ-247 poteva essere salvato. Scrolla le spalle. Salvare un replicante? E perché mai? Il suo lavoro è sezionarlo.
Quando è già morto.
Si accarezza i capelli lisci castani, lunghi fino al collo.
Cosa ha provato quando il suo cuore è esploso?
Nulla.
Zero.
Quando una macchina si spegne, non c'è bisogno di sentire qualcosa. Assolutamente no.
Allora... perché quel rimorso?
Perché dovrei provare qualcosa per lei?
Fermo.
Occhi al cielo, scie chimiche, lo SHIELD in lontananza.
È rassicurante essere protetti da una città-barriera, specie se dall'altra parte ci sono dei mostri.
Mostri emofagi.
Come i fiori, certo... ma quelli si muovono.
E sono tanti.
Senza St. Patrick...
Un brivido freddo.
No, cosa c'entra?
Passi lunghi e ben distesi, senza pensieri. Solo le immagini del KZ-247.
E di Emmelyn Kranzner.
L'esplosione, frammenti di metallo ovunque, il replicante smette di respirare. Il vasistas aperto, le urla, la smorfia di dolore, la chiamata all'elisoccorso.
Invano.
Una morte orribile ma poetica.
Uccisa dai fiori, da un seme minuscolo, quasi invisibile ad occhio nudo. La grandezza del microscopico.
Immobile, al centro del marciapiede, i pantaloni, la giacca azzurra mossa dal vento. Uno specchio al margine della strada, il riflesso di occhi viola, in perenne movimento, una minuscola cicatrice sul lato destro del naso.
Passi, rumore di passi.
Qualcuno alle sue spalle.
“Silman Simmerik?”
Rapido movimento rotatorio. Un fattorino. Un camioncino fermo con le quattro frecce accese, intermittenti.
Spectra Express, o qualcosa del genere.
“Sono io.”
“Può firmare questo modulo?”
Osserva il mondo attorno a sé. Una casa isolata, tinteggiata rosa chiaro, sei, sette finestre, tetto spiovente, una porta di legno decorata, una cassetta delle lettere. Un giardino di dimensioni ridotte, inferriate di metallo nero a proteggerlo. Cespugli di gardenie, tulipani, due alberi, un'amaca. Un piccolo angolo di paradiso tra gli immensi grattaceli grigi.
La sua abitazione.
Senza volerlo, senza desiderarlo.
Di nuovo lì.
“Per cosa?”
“Una consegna. Da parte di Sergej Arocco. Dovrebbe firmarmi la ricevuta.”
Un sorriso.
“Capisco.”
Afferra il foglio, uno scarabocchio vicino alla data. Il fattorino ringrazia, un inchino di circostanza e via, verso il furgone.
Un pacco sigillato, piuttosto grande. Silman lo afferra, due giri di chiave, il cancello si apre.
Fermo, in giardino, seduto accanto alla scatola di cartone, le gambe incrociate. Taglia il nastro, apre le alette, la mano nel contenitore, fruga tra i pezzi come in un sacchetto di mattoncini da costruzione. Chiude gli occhi, estrae, porta le mani al petto, si stringe attorno al frammento, i lunghi capelli biondi sul suo corpo, un viso angelico dalla pelle scura.
Meccanico.
Le iridi viola a scrutarne i lineamenti, ad accarezzarne la fronte, un volto separato dal corpo, un'espressione dolce, come se fosse addormentata.
Un timido gesto di affetto.
Il primo da una vita.
“Tutti hanno bisogno di un hobby, in fondo...”
V. Vortag Schlieber
Una stanza pulita, pavimento di piastrelle grigio-nere, materiale di recupero. Muri di cemento e calcestruzzo, tappezzeria a motivo floreale strappata in più punti. Tre stanze.
“Fai come se fossi a casa tua.”
Solo un istante per pensare.
“...anzi, no. Da quanto mi risulta, il covo di don Chaddo è un porcile. Spendo buona parte del mio tempo a rendere vivibile questa topaia, gradirei non dover eseguire pulizie straordinarie a causa tua. Se devi vomitare, il bagno è la prima porta a destra. C'è anche una doccia, se hai bisogno. Ora, però, aspettami qui. Vado a cambiarmi e arrivo subito.”
“Cambiarti?”
Un occhiolino malizioso.
“Questi stracci mostrano più di quanto nascondono. Potrei sentirmi in imbarazzo.”
La ragazza cammina fino ad una porta, la apre, si chiude in camera sua. Vortag in attesa, fermo, come da ordini. Aspettare senza fare nulla. Eseguire gli ordini. Di chiunque siano. Punto.
Con la morte del don si è liberato un posto da capo.
Una voce dall'altro lato del muro.
“Se hai fame, dovrei avere dei biscotti nella credenza. Questo covo non è molto fornito, ci vengo sì e no tre volte al mese.”
Vortag in silenzio. L'ordine è aspettare. Lì. Fermo. Pensieri ingabbiati. Ma quali pensieri?
Un giro di chiave, ONE ricompare, un paio di pantaloni marroni lunghi, stivaletti neri, maglia bianca corta, lascia intravvedere l'ombelico, capelli raccolti in una treccia, una lente a contatto verde sull'occhio cieco, un filo di trucco sulla cicatrice, ora invisibile.
“Scusa se ti ho fatto aspettare, ma avevo bisogno di risistemarmi. Non appena voi uomini vedete mezzo centimetro di pelle scoperta, vi fate subito dei trip allucinanti... figuriamoci con gli indumenti in quello stato.”
Silenzio. Aspettare. Sì, aspettare.
“Perché mi cercavi?”
Attendere. Non muoversi, non parlare, immobile.
“Sto parlando con te. È buona educazione rispondere ad una domanda.”
L'ordine è cambiato. Rispondere!
“Dovevo trovare ONE. Non so neanche io il motivo. So solo che dovevo trovare ONE. Me l'ha detto il don. Se sei in pericolo, cerca ONE. Solo ONE può salvarti.”
Sguardo indeciso, quasi imbarazzato.
“Mi hai cercato solo perché te l'ha detto il don?”
Lo oltrepassa, apre i mobiletti della cucina, una bottiglia malandata di tè. Riempie due bicchieri, gliene porge uno.
“Non è il massimo, ma è quello che posso offrirti.”
Vortag si guarda attorno.
“C'è un televisore? Stasera c'è Eliphya. Non voglio perdermi Eliphya. Il don mi lasciava un'ora libera apposta.”
“No, mi dispiace. Questo palazzo non ha l'antenna.”
“Ah.”
La ragazza scola la bibita, Vortag immobile a fissare il vuoto.
“Assaggialo, non è male.”
Annuisce, avvicina il bicchiere alle labbra, lo svuota, lo posa sul tavolo.
“La conversazione con te è piuttosto limitata. Sembra di parlare con uno zombie.”
Un lampo dietro gli occhiali da sole.
“Semplicemente, vivo di ordini. Ci sono abituato, non riesco più a farne a meno.”
Neuroni bruciati dalla droga o una forma di ritardo mentale? Andiamo bene...
“Cos'è successo a don Chaddo? È scoppiato un bel casino, a quanto pare.”
“Non lo so con precisione. Io sono uscito per recuperare il KZ-247 che era sfuggito a Rico. Quando sono tornato, erano tutti morti. Fiori sui polsi, hai presente? Piante emodrenanti.”
“Ne ho sentito parlare. Germogliano rapidamente, affondano le radici nelle vene del malcapitato e lo prosciugano come una prugna secca. Ogni fiore può assorbire circa due litri di sangue. Poi avvizzisce.”
Si siede sul tavolo.
“Ho messo le mani su uno di quei semi per caso... e sono qui per raccontarlo. Per qualche strano motivo, non si è attivato quando l'ho raccolto. Indossavo un guanto, forse è stato per quello... ma non posso esserne sicura. Pensavo potesse servire a qualcuno nella malavita organizzata – sai, il segreto di Rosenmaester fa gola a molti – per cui ho organizzato una piccola asta. Inutile dire che ha vinto don Chaddo. Il replicante era il mezzo per fargli arrivare la merce senza troppa pubblicità. Non pensavo che potesse causare tutti questi problemi.”
“Io ho solo ricevuto l'ordine di andarlo a riprendere, Rico se l'era lasciato scappare. Forse le ha detto che l'avremmo smontata – sai, Rico è molto sadico. Quasi quanto me.”
Risatina sulla bocca da squalo, denti in fila digrignati, lucenti.
“Comunque, non ti sembra ora di smetterla con questo stucchevole teatrino, ONE?”
Movimento rapido, il bastone come una frusta, il cavo di nylon attorno al suo collo. Una scudisciata, le mani a cercare di allentare la presa. Precipita a terra, il tavolo si rovescia, travolge due sedie.
“So recitare bene la parte del disadattato, vero?”
Respiro corto, affannoso, terrore nelle pupille.
“Se c'è una cosa che detesto è essere preso per i fondelli. E tu ci stai provando.”
“N... no...”
Trentadue zanne bianche a formare un ghigno di sfida.
“Non raccontiamoci storie, ci sono due o tre cose che non vanno. Primo, non zoppichi più. Secondo, ci hai messo troppo poco tempo a cambiarti. Ti sei fatta addirittura la treccia, in meno di dieci minuti. No, troppo, troppo poco tempo. Terzo. La tua pelle è perfettamente pulita. Eri sporca di fuliggine quando ti ho trovato in strada e non ho sentito lo scrosciare dell'acqua... quindi in camera non hai la doccia. E non puoi neanche obiettare che i muri assorbono i suoni, altrimenti non avrei sentito la tua voce, dall'esterno. Sai cosa significa questo? Che tu non sei ONE.”
Strattone violento, il collo stretto nella morsa.
“Sei solo una stupida replicante.”
Espressione di trionfo sul suo volto, sotto gli occhiali da sole. La ragazza rantola, si dimena.
“Un'ultima frase da destinare ai posteri, rottame?”
Un sonoro click alle sue spalle.
“Solo sette parole. Lasciala-o-ti-faccio-saltare-il-cervello.”
Una canna fredda appoggiata alla tempia, lucida, di acciaio bianco. Vortag abbassa il braccio, il cavo allenta la presa.
“Mi sembra un messaggio originale.”
La giovane tossisce, sputa saliva, cerca di rialzarsi. Il nastro si riavvolge, il bastone si chiude.
“Non sono uno stupido. So quando deporre le armi.”
Si volta lentamente, per capire.
Una ragazza in piedi, quasi identica. I capelli sciolti, i poveri resti di un abito come unico vestito, una protesi meccanica alla gamba, un'iride bianca, la cicatrice in bella mostra.
Un sorrisetto di sfida.
“Bene. Allora non sei così ritardato come sembra. Qualche domanda intelligente?”
“Sì. Davvero non hai una TV, qui?”
VI. Rosenmaester
Mostro. Criminale. Brutale assassino. Efferato omicida.
È fastidioso quando tutta la stampa ti ritrae in questo modo, molto fastidioso.
Sì, orribile.
Poi con un nome del genere...
Ah! L'orrore, l'orrore, l'orrore!
Guanti neri sulle mani sudate, la lente ad ingrandire l'oggetto delle sue attenzioni. Un seme, uno nuovo. Ma non può toccarlo a mani nude, altrimenti si attiva. E lo uccide. Un rivolo di sudore. Un minimo errore...
Non ho ancora raggiunto la massima efficienza. Si può migliorare.
Due, tre litri per fiore non bastano. Altrimenti, di fiori ne servono due per essere sicuri di uccidere. Certo, con due litri di sangue in meno, un uomo non ha vita lunga. Figuriamoci una donna.
Ah, la perfezione!
Le pinze afferrano, ruotano il minuscolo prototipo.
Se tutto va bene, con questo si uccide alla grande, eh sì!
Si libera la società dai parassiti, dagli indesiderabili.
Come don Chaddo.
Grassone bastardo. Dovevi proprio metterti in mezzo?
Ora è morto, è solo un nome. Humus per le piante – non per le sue.
Perché lavoro a questo seme adesso? Ho un altro problema, più grande e più urgente. Lui mi ha visto. Il sopravvissuto, dico, quello che non sono riuscito ad uccidere di persona. Dovrei pensare a come rintracciarlo.
Scuote la testa, poco convinto. Bisogna essere tranquilli per gestire una situazione del genere. D'altronde, l'unico superstite è un idiota semi-autistico con problemi psichici.
Magari non se n'è nemmeno accorto.
Recarmi al loro covo di persona è stata una mossa azzardata... ma dovevo recuperare il seme. Se becco quel maledetto che l'ha venduto, io lo uccido.
La pinza scatta, manca il bersaglio. L'uomo si asciuga la fronte con un panno.
La colpa è anche mia. Ho lasciato un seme in più del dovuto. Non ha attecchito subito, e questo è il risultato. Devo stare più attento.
La lente si sposta, l'utensile segue il movimento.
Poi, chissà perché proprio Rosenmaester. Io odio le rose, le odio dal profondo del mio cuore. Sono troppo inflazionate, le usano tutti, negli show televisivi, nei romanzi...
No, preferisco altre specie botaniche.
Tipo il crisantemo.
VII. Vortag Schlieber
Vista della città, condomini, stabili con la vernice scrostata, il cielo azzurro, le nuvole, un'immensa cupola di carbonio nero in lontananza.
“Senza don Chaddo, per St. Patrick sarà un bel problema. Il tuo capo gestiva tutto il contrabbando di triadina da e verso lo SHIELD. Mi domando come faranno gli organi direttivi senza droga da far circolare.”
“Non è un mio problema. Tanto più che la triadina...”
“Lo so, lo sappiamo tutti. Solo gli abitanti di St. Patrick non ne sono al corrente. D'altronde, senza permessi non puoi nemmeno uscire da quell'ecomostro là in fondo. Penso che la loro idea del mondo oltre la siepe sia piuttosto limitata.”
“Però loro hanno la TV.”
“Trasmette pochi canali, tutti gestiti dal una ditta interna, legata al governo. Penso che l'unico programma che abbia il permesso di valicare la cupola sia La principessa dei petali di luce. Una strana scelta, non trovi?”
“Eliphya è bella.”
“Uno show stupido, quasi infantile. Non capisco cosa ci trovi la gente.”
ONE si siede sul letto, gli occhi a scrutare il soffitto. Profumo di lavanda nell'aria, i capelli ancora lievemente umidi. Un abito delicato, dipinto a colori vivaci, un paio di calze bianche.
Vortag la osserva con cura, la paragona ai robot.
“Quanti ne hai di quei replicanti?”
“Sette o otto. Non sono macchine troppo sofisticate. Le accendi, le usi, le spegni. Sanno solo recitare la parte, tutto qui.”
Una lattina di birra, Vortag strappa la linguetta con i denti, schiuma frizzante sull'apertura.
“Come quello che ci hai mandato?”
Sputa il pezzo di metallo per terra.
ONE annuisce, un cenno del capo.
“Sì. Identici in tutto e per tutto. Sono uguali a me, ma non hanno difetti fisici. Sono la mia assicurazione sulla vita.”
“Ma al mondo ci sono centinaia di KZ-247... e condividono tutti il tuo aspetto. Come mai?”
Scrolla le spalle.
“Semplice. Ho posato come modella per il designer della serie, Victor von Kreen. Era il modo migliore per nascondermi, non trovi?”
Un'espressione divertita nell'iride smeraldina.
“Chi mai andrebbe a pensare che un'assassina prezzolata possa aver prestato il suo volto ad uno dei più affascinanti androidi in commercio?”
Vortag dosa male la forza, la lattina stritolata in mano, gli occhiali raggiunti da gocce di doppio malto.
“No, no!”
Li afferra, estrae un fazzoletto, li ripulisce con cura, li accarezza, li inforca di nuovo.
Curiosità sul volto della ragazza.
“Tu devi essere pazzo. Nessun uomo sano di mente si sarebbe fermato a chiacchierare con una mendicante, specie se inseguito dalla polizia.”
“Ho un mio sistema di valori e di priorità. Non è detto che coincidano con quelli della gente comune. Se questa è follia, sì, io sono pazzo.”
ONE si alza, infila le ciabatte, afferra un cilindro di metallo, chiude il ripostiglio dei replicanti.
“Mi sono già procurata una copia del rapporto della scientifica. La mia replica è stata distrutta con un proiettile Sachson 52; inoltre, aveva il simulatore vocale espiantato. Ne sai qualcosa?”
“Certo. Gliel'ho strappato io.”
Movimento rotatorio della testa, una mano a massaggiarsi il collo.
“Urlava come una disperata, non voleva venire con me dal don. Cosa potevo fare? Avrei attirato l'attenzione di tutti, altrimenti.”
Un lampo di sdegno nella pupilla.
“Ehi, ehi! Non fare tante storie! Dopotutto, è solo una macchina, l'hai detto anche tu!”
“Già, è solo che... non capisco cosa le sia successo. I droni di classe K sono costruiti in modo da provare una diversa gradazione di sentimenti. I K numerati, K-012 per esempio, hanno accesso a tutto il ventaglio di emozioni umane, i KA hanno un range più ristretto e così via fino ai KZ. I robot in mio possesso dovrebbero essere solamente in grado di copiare il mio comportamento e simulare la mia personalità. Tutto qui.”
Gomito appoggiato al davanzale, il bottone-pescecane sfrega sul marmo.
“Un errore di fabbricazione?”
“Può darsi.”
La ragazza apre lo specchio, una lente a contatto verde, la sistema sull'occhio cieco. Makeup color pelle, ammorbidente, applicato alla cicatrice. Chiude il beauty case, apre una cassettiera. Sfila le calze bianche, le sostituisce. Un paio nuovo, nere. Superano il ginocchio, le indossa. Stivaletti piuttosto bassi, si chiudono sopra la caviglia con la zip.
Vortag osserva senza battere ciglio.
“Sembri una replica, conciata così.”
“Esattamente quello che desidero.”
Si avvicina.
“Ascolta. Tu vuoi trovare l'uomo che ha ucciso il tuo capo, giusto? Anch'io, ma per un motivo diverso. Il mio obiettivo è mettere le mani sui suoi semi.”
“Uno lo avevi. Potevi far clonare quello.”
“Certo, come no? Secondo te non ci ho pensato? I laboratori che operano la clonazione sono pochi e ben sorvegliati. L'ultima struttura clandestina è stata chiusa due anni fa. Se avessi portato quel maledetto seme, mi avrebbero arrestato subito. No, l'unico modo per ricavarci qualcosa era venderlo. Subito. Al miglior offerente.”
“Chiaro.”
Il bastone pronto all'uso, la sicura scatta.
“Che ordini devo seguire, boss?”
“Ancora con questa storia? Non riesci proprio a pensare con la tua testa?”
“No. Ho bisogno di ordini.”
Un sospiro rumoroso.
“Quando siamo là fuori, fai finta che io sia la tua replicante da compagnia. Chiamami semplicemente Kay. Se incontriamo degli sbirri, lasciali a me. Torniamo a villa d'Orsale, magari Rosenmaester ha lasciato qualche traccia. La polizia non avrà ancora avuto il tempo di esaminarla per bene. Ha delle stanze nascoste?”
“Quattro o cinque. Ci vorrà qualche giorno prima che se ne accorgano.”
“Bene.”
Sfila una borsetta dall'attaccapanni, la pistola lucida al suo interno, il cilindro di metallo collocato con precisione al suo fianco.
“Non chiedermi cos'è. Segreti del mestiere.”
Vortag ghigna soddisfatto, i denti aguzzi in bella mostra. Si gratta i capelli, senza un motivo preciso, così per fare. ONE chiude gli interruttori, le lampade si spengono, buio in sala. Un ultimo sguardo al panorama, allo SHIELD. Gabbiani in volo, alti nel cielo. Il terminal per il treno sottomarino, direzione New Langdon. La torre del campanile.
Serra le imposte, sensori di movimento e antifurto attivi, sistema ad infrarossi inizializzato. Attraversa l'uscio, blocca la porta, sei cilindri blindati ad aggancio simultaneo. Una fortezza mascherata da appartamento.
Vortag scende le scale, un passo alla volta. La solita giacca nera aperta, i soliti pantaloni, i soliti occhiali, la solita capigliatura.
“Toglimi una curiosità... perché hai rifiutato di camuffarti? Era un ordine anche quello, mi sembra.”
“Oh, be'...”
Il naso affilato in direzione delle nubi, le lenti a riflettere il Sole.
“...semplicemente non mi va. Ecco tutto.”
VIII. Silman Simmerik
L'una e trentaquattro.
Tra ventisei minuti c'è la puntata speciale di Eliphya.
Non può perderla.
Solo ventisei minuti per dedicarsi al suo nuovo hobby: un bel gioco di costruzioni, dai sedici anni in su. Numero di pezzi variabile. Ne manca anche qualcuno. Peccato, non le fanno più le confezioni di una volta. Difficile rimontare una replicante, specie se il tuo compito è sezionarla.
Più difficile non pensare al trasferimento.
Senza la Kranzner non può operare... ed eccolo di ritorno sulle strade, a pattugliare come tre mesi prima. Orribile.
“Dunque... dove va questo cavetto? Qui?”
Inutile sbatterci la testa. Molto meglio provare a riassemblare la sua ultima paziente.
Tanto le macchine non provano dolore.
“No, mi sa che ho sbagliato.”
Un allegro chirurgo in scala uno a uno.
Ironia della sorte.
Le iridi viola scintillanti, il chiarore della lampada da tavolo. Di nuovo in strada, domani, con gli altri agenti.
“Che palle...”
Il connettore maschio si aggancia perfettamente alla femmina. Soddisfazione.
“Se fosse sempre così facile...”
Afferra la base del collo, la esamina un po'.
“Manca il simulatore vocale. Be', pazienza. Ne farò a meno, per ora. Tanto, non so neanche se riuscirò a riaccenderti.”
Poco importa. Un altro minuto andato. Solo venticinque ad Eliphya.
Ma è giusto dimenticare una persona morta solo poche ora prima?
No, forse no.
Tanto più che Rosenmaester è a piede libero. Come dovrebbe comportarsi un uomo a cui hanno ucciso la collega di lavoro? Mettersi a caccia del criminale?
La giustizia privata non esiste. Nessuno può biasimarmi per questo.
Un cavo si strappa. Le pinze strette troppo forte.
“Bah, non riesco a concentrarmi. Troppi pensieri.”
Ripone gli strumenti, accarezza ancora una volta quel dolce volto meccanico.
“Di te mi occupo domani sera.”
Si alza dalla sedia, osserva il risultato del suo lavoro. Il torace aperto, pronto ad ospitare un nuovo cuore, le braccia in ottimo stato, già connesse al tronco, la spina dorsale e l'addome completamente da ricostruire, le gambe ancora avvitate al bacino, senza troppi problemi.
Cosa resta da fare?
Rimpiazzare la parte mancante, fissare nuovamente il pannello frontale, montare la testa e saldare bene il collo.
Tutte operazioni piuttosto complicate, da assumere a piccole dosi, notte dopo notte.
Se lo forzo troppo, non è più un hobby.
Si sdraia sul divano, la testa sul manicotto.
“Come dovrei reagire alla morte della dottoressa Kranzner? Non vedo nessuna alternativa logica.”
Un sospiro sconsolato.
“Per me l'incidente è già chiuso, volto pagina e ricomincio... ma non sembra che questa sia la via che va per la maggiore. Dovrei disperarmi? No, sarebbe umiliante.”
Sistema il cuscino, la mano pronta sul telecomando.
“Tutti i colleghi domani si faranno avanti per consolarmi, belle parole condite da ipocrisia e frasi di circostanza. Uno spreco di tempo! Il mio funerale lo voglio in forma privata, senza camera ardente e senza parenti. Odio le condoglianze d'ufficio, le detesto, sono inutili, quasi dannose! Persone che non ti conoscono, che vengono a dirti quanto fosse caro per loro il defunto. Sì, certo. Come se a me potesse importarne qualcosa. Eh, chi sa quanto dolore hai provato... Io? Ma figuriamoci! La dottoressa era solamente un'arpia sfruttatrice. Quanto lavoro ho dovuto svolgere al posto suo! Figuriamoci se provo compassione per una così! Ora, cosa si aspettano da me? Che mi metta subito al lavoro per trovare Rosenmaester? Sì, può darsi.”
Sdraiato, quasi a testa in giù.
“Ma da dove inizio? Non mi sono ancora occupato del caso, io seziono androidi. A meno che...”
Venti minuti ad Eliphya.
Devo fare in fretta.
Si alza, raggiunge l'archivio. Un'immensa libreria, ricolma di testi scientifici, macchiata qua e là da qualche variazione sulla criminologia. Sale la scaletta, esamina i titoli, estrae un raccoglitore ad anelli. Scende, torna al divano.
“Vediamo un po'...”
Schede segnaletiche, foto frontali e profili, in ordine alfabetico.
“Come si chiama lo scagnozzo di d'Orsale? Ah, sì. S... Sc... Schlieber! Eccolo qui.”
Vortag Alexiei Schlieber. Trentadue anni. Nato a Berlino Ovest, regione del Concordato. Capelli neri sparati in aria, viso affilato, denti aguzzi in bella mostra, occhi azzurri molto stretti, pupille di dimensione ridotta. QI piuttosto basso. Elevata capacità di pensiero laterale. Precedenti per spaccio, estorsione, rapina a mano armata, contrabbando. Nessuna imputazione per omicidio, parecchie per lesioni personali. Condannato a sei anni di carcere, attualmente latitante a piede libero.
Interessante... diamo un'occhiata al referto psicologico.
Leggera forma di autismo, incapacità di azione indipendente. Schizofrenico.
“Tutto qui? Persino io sarei stato in grado di condurre un'analisi più dettagliata.”
Fascicolo chiuso, lasciato cadere per terra, sul tappeto.
“Schlieber non può essere Rosenmaester. Non ci crederebbe nessuno. La sua condizione psichica gli impedisce di progettare piani con lucidità. Non è un assassino credibile... però potrebbe dirci cosa ha visto. Non so, si può ritenere attendibile un tizio del genere?”
Il televisore si accende come da programma, sul sesto canale. Silman cancella tutto il resto, per un attimo.
La puntata speciale de La principessa dei petali di luce.
“Me n'ero quasi dimenticato...”
Titoli di testa, sigla iniziale, immagini rapide, flash, colori.
Ed ecco, subito, uno degli antagonisti, il Conte Sebastien.
Già, il Conte... un tizio dai capelli viola, vestito come un nobiluomo di fine ottocento che attacca con vortici di rose.
Fiori letali, usati come armi.
Un'occhiata distratta al quotidiano, gli occhi ritornano sullo schermo.
Ed ecco spiegato il nome.
Certo che i giornalisti sono proprio dei cani. Se un criminale lo chiami Rosenmaester, è ovvio che il primo che ti viene in mente è il Conte Sebastien. Ma perché usare un nome del genere? Pubblicità? Scarsa fantasia?
Forse.
Tendenza al sensazionalismo?
Più probabile, ma non è questo il problema.
Non è che se ad un criminale dai un nome da sfigato, allora diventa per forza uno sfigato a sua volta. Un nome non significa nulla, è solo un'etichetta. No, devo proprio smettere di pensarci, almeno per stasera.
Altrimenti, mi perdo il resto della puntata.
IX. Vortag Schlieber
“Ecco. Siamo arrivati.”
Rapido sguardo allo schermo del cellulare. Le tre e mezza di notte.
“Questa è la villa del don. Casa mia.”
Capelli biondi mossi dal vento, turbini di sabbia e foglie.
“Un pugno negli occhi. Quasi peggio dello SHIELD.”
Duecento metri quadrati su ogni piano, facciate dipinte di giallo sfumato, affreschi quattrocenteschi su ogni lato, palazzo con due ali, ingresso protetto da una fitta cancellata nera, filo spinato attorno al ferro scuro. Un parco immenso, alberi di legno pregiato, un fiume artificiale. Profumo d'erba appena tagliata, grilli che friniscono tra gli steli recisi, la Luna alta nel cielo.
“Buona idea, quella dell'auto a noleggio.”
“Ethan è un amico. Mi ha fatto un prezzo di favore.”
“Se uno psicopatico mi avesse puntato un bastone-fucile carico alla gola, penso che gli avrei fatto anche io un prezzo di favore.”
“Che cosa gli avresti venduto, per curiosità?”
Sguardo stizzito, silenzio. Non una parola.
Vortag riprende il discorso.
“Ad ogni modo, questa è Villa Magnificentia. Don Chaddo l'ha fatta costruire sul modello delle palazzine di caccia italiane. Seguimi, ti faccio strada.”
I sigilli della polizia, bande gialle e nere di fronte all'ingresso. Uno scarpone sul nastro, un cenno di invito. ONE lo supera, entra nel giardino. Un viale lastricato verso il portone principale.
“C'è qualcosa a cui devo stare attenta?”
“No, il don non avrebbe mai riempito il suo giardino perfetto di trappole o roba simile. La strada è sgombra fino alla porta.”
“E dopo?”
“Dopo? Niente. Non c'è altro. Se hai due guardie fidate, non hai bisogno di macchinari per proteggerti.”
Passi lunghi e ben distesi, andatura dinoccolata. ONE alle sue spalle, incerta, la mano pronta a frugare nella borsa, ad estrarre la pistola. Nessun movimento esterno, solo una gentile brezza notturna.
“Il portone è stato sfondato dal nostro assassino, non abbiamo nemmeno bisogno della chiave. Basta...”
Un calcio, l'uscio crolla a terra.
“...spingere.”
Il bastone in spalla, espressione di trionfo e sfida sul suo volto.
“Prego, signorina. Dopo di lei.”
ONE entra a passo svelto, quasi barcollando.
“Okay, raccontami com'è andata. Cos'hai visto, quando hai varcato la soglia?”
“Be', dunque... qui sulla destra ho trovato Earnest e Chibari. Erano sdraiati a faccia in giù, morti. I fiori erano saldamente ancorati ai loro polsi... ed erano rossi, rossi come il sangue. Subito dopo, mi sono voltato a sinistra...”
Un gesto ampio, rotazione di centottanta gradi.
“...solo per trovare Kardano, Jerome e Tryench nello stesso stato.”
Due passi in avanti, verso la scalinata.
“Non ho pensato nulla, dovevo solo portare il ginoide da don Chaddo. A momenti non mi sono nemmeno accorto di Loiss e Vassner. Erano morti anche loro, ovviamente. Stessa modalità.”
“Hai notato qualcosa di strano?”
“Non qui. Nell'ufficio del don, però...”
“Però cosa?”
“Ne parliamo là. È subito sulla destra, al piano di sopra.”
Scricchiolii, assi cigolanti, un ventilatore fermo.
“Prima di salire, ho incontrato Ivan. Gli ho dato un bel calcio, volevo controllare. Sai, Ivan fa sempre finta di morire, dopo essersi drogato.”
Denti digrignati, soddisfatti.
“Per fortuna, stavolta è morto sul serio.”
Sedici gradini di legno, l'accesso alla balconata.
“Greywound e Tatcher sono caduti da quassù. Me li sono trovati tra i piedi prima di raggiungere il pianerottolo. Lì invece c'era Rico. E lì Edwardo.”
“Che massacro...”
“Già, già.”
Parquet di legno pregiato, lampade a gas, ancora accese, quadri appesi ai muri.
“Sono dei Pollock originali questi?”
“No, solo copie. Gli originali stanno nei musei, troppa fatica trafugarli. I falsi costano poco e rendono bene.”
“Parole di don Chaddo?”
“Ovvio.”
Una porta massiccia, decorata con cura. La apre con irruenza. La solita scrivania, le solite pianticelle decorative, la puzza di sigaro cubano andato a male. Manca solo il suo corpo.
“Il tuo don si trattava bene, eh?”
Non la ascolta, va avanti, raggiunge la sedia in pelle, sguardo furtivo a destra, a sinistra, torna indietro.
“Lo champagne.”
“Eh?”
“Stamattina c'era una bottiglia di champagne, qui per terra. Era mezza incartata, tipo un regalo, hai presente?”
“E quindi? Cosa c'è di male?”
“Dopo ogni affare andato in porto, brindiamo tutti insieme nell'ufficio. È una tradizione. La bottiglia era vuota, quindi vuol dire che l'avevano finita gli altri. Devono aver bevuto mentre ero fuori a recuperare il tuo clone artificiale...”
Si gratta i capelli, poco convinto.
“Era uno Chignon-Varienne. Una marca importata, tipica di Aubépine, un paesino francese vicino alla centrale a distorsione del Benelance. Roba da intenditori. Ma il don non sa distinguere un vino pregiato dalla sciacquatura di piatti.”
ONE si accomoda sulla scrivania, accarezza la lamina d'oro.
“E il tuo don non è il tipo da spendere palate di soldi solo per ostentare la sua ricchezza?”
“Non per questioni di cibo. Non avrebbe mai comprato un liquore così costoso, qualcuno deve averlo inviato qui.”
Scrolla le spalle.
“Anche se fosse? I tuoi compagni sono morti per colpa dei semi, non sono stati avvelenati. Magari è il dono di qualche ammiratrice.”
“Non so, non è mai successo.”
Cammina avanti e indietro per la stanza, una sorta di strana eccitazione.
“No, non è mai successo, proprio no!”
Si sdraia sul muro, risata ossessiva.
“Sembra che non ci sia altro, siamo venuti qui per niente!”
“Non riesci a ricordare proprio nulla? Qualche dettaglio, anche insignificante...”
“Io ricordo tutto. Nessun dettaglio è insignificante. Ho una memoria fotografica, quasi perfetta. Riesco a rivedere la scena come se la stessi vivendo un'altra volta! Io che arrivo qui dentro, ruoto la sedia del don, lo trovo morto, la replicante che fugge, io mi giro per prenderla al lazo, non ho tempo di farlo. La porta si apre, uno sconosciuto le spara, la fa saltare in aria. Spara anche a me, ma riesco a flagellarlo con una frustata. L'intruso perde la presa, la pistola gli cade di mano, la raccoglie poi scappa come un forsennato. Punto. Tutto qui.”
Occhi sgranati.
“Non sei stato tu a spararle?”
“Non mi sembra di averlo mai detto.”
“Hai confessato di averle strappato il simulatore vocale, di averla vista esplodere in pezzi! Era logico pensare che l'avessi colpita tu!”
“Anche volendo, non avrei potuto. Il mio bastone monta confetti calibro nove. Il caricatore è universale, ma la canna no. Un Sachson 52 rimarrebbe bloccato a metà.”
“Hai visto il volto dell'assalitore? Sapresti riconoscerlo?”
“Sì, ovvio. Alla prima occhiata.”
Scende dalla scrivania.
“Questo semplifica le cose. Se quell'individuo è già schedato...”
Un click alle spalle, una pistola puntata.
“Vortag Schlieber!”
Le braccia tese, le iridi viola concentrate. Nota la replicante bionda, l'abito leggero, le calze nere, gli stivaletti. È identica a quella sul tavolo operatorio, a casa.
Ma è intera.
Digrigna i denti, le parole escono a fatica.
“Ti dichiaro in arresto. Non reagire o sarò autorizzato a premere il grilletto!”
Ghigno diabolico, calma apparente.
“Mettiamola così. Non premere quel grilletto o sarò costretto a reagire.”
X. ONE
Okay, ce l'ho in pugno, nel mirino. Se prova a fare un gesto sconsiderato, io lo ammazzo. Non pensavo di trovarlo qui, ho avuto fortuna.
Cercavo indizi che mi portassero da lui e, invece, eccolo qui, davanti a me. Devo solo stare attento, ora.
Muoviti e ti fulmino, Schlieber!
Ci metto un istante a premere il grilletto, un istante, capito?
Ti faccio rimpiangere di avermi rovinato la serata, di avermi fatto perdere lo speciale di tre ore in diretta! Per fortuna esistono i videoregistratori, altrimenti ti avrei sparato senza pensarci due volte.
No, a dir la verità lo avrei fatto lo stesso, Schlieber. Ti ha salvato il tuo ginoide da compagnia, ti ha salvato la sua scatola nera. Ora come ora non ho gli strumenti per aprirle il torace, rimuovere lo schermo in plastitanio e spaccarle il cuore a metà. Se ti uccido a sangue freddo, lei mi riprende. Se mi riprende, io sono fregato. Sono pur sempre un agente di polizia, non posso lasciarmi andare così. Un po' di calma e si risolverà tutto, ne sono certo.
Però è carina, la replicante, quel vestito le dona. Se fosse una ragazza vera... ma no, non è una ragazza vera, è solo un robot prodotto in serie. Come fa uno come Schlieber a possederla? Costano parecchio, non ne vendono in offerta speciale. Che sia un cane sciolto, un droide di classe K numerata che abbia deciso di lavorare come professionista? Be', da un droide di classe K numerata posso quasi aspettarmelo, sono quasi uguali agli esseri umani. Ora che ci penso, questo dovrebbe essere un KZ, un mero esecutore. Nessuna vera emozione, solo un bel giocattolino. Ma basta divagare, basta! Devo solo tenere la pistola puntata e nessuno si farà del male.
“Ho reagito, agente. Perché non spari?”
Questo, almeno, era il mio piano. Ora sono steso a terra, con la gamba legata da uno spago trasparente. Disarmato.
“Kay, cosa ne dici di restituirgli il revolver? Così magari riesce a premere il grilletto.”
“Signore?”
La replicante si avvicina, si esibisce in un solenne inchino. Vortag la fissa, poco convinto.
“Dolente di farglielo notare, ma questo suo comportamento non è consono agli ordini ricevuti.”
“Quello non era un ordine! Mi ha dato due possibilità. Io ho scelto la seconda, tutto qui!”
“Mi dispiace constatare come la sua mente non sia in grado di elaborare neppure le più semplici raccomandazioni.”
Un calcio nello stinco, senza essere vista. Vortag incespica, si abbassa leggermente. Un sussurro nell'orecchio, impercettibile, il tono irato.
“Cosa ci siamo detti prima di venire qui? Puoi ripetermelo? Anzi, no. Lascia stare. Lascia perdere.”
La ragazza si allontana dall'uomo, raggiunge il poliziotto.
“La condotta del mio padrone è riprovevole, vogliate scusarlo. Posso esserle d'aiuto, in qualche modo?”
Silman tenta di divincolarsi, di sciogliere la lenza.
Un grido rabbioso.
“Sì, come no! Ammanetta quel bastardo vestito di nero e portalo alla centrale di polizia.”
“Mi dispiace, non sono programmata per eseguire quest'ordine. L'operazione di ammanettamento è disponibile per le repliche di classe KS o superiore. Kreen Industries si riserva il diritto di...”
“Risparmiami la predica! Non ti ho chiesto di farci sesso, solo di immobilizzarlo!”
“Per cosa è ricercato il mio padrone?”
“Ha una condanna a sei anni sulla testa, ma non è per quello che lo stavamo cercando! Vogliamo solo interrogarlo come testimone oculare dell'omicidio di don Chad d'Orsale, maledizione!”
“Mi dispiace contraddirla, ma questa affermazione è incompatibile con...”
Stupida macchina. Tanto bella quanto limitata.
“Okay, okay... voglio solo parlarci un attimo, va bene? Liberami ora, ti prego.”
Un cenno di assenso. La ragazza raccoglie la pistola d'ordinanza, la consegna a Vortag.
“Con questa che ci devo fare?”
“Tienila con te, non si sa mai.”
Si china su Silman, gli libera le gambe dal nastro.
“Ora può rialzarsi, signore.”
Silman si mette a sedere, si massaggia il collo, risistema la giacca azzurra.
“Lo ammetto, mi hai sorpreso Schlieber. Non pensavo che riuscissi ad estrarre quel tuo dannato bastone così velocemente.”
Un secondo grilletto a fianco all'impugnatura, la sommità dell'arma si apre, rivelando una canna lucente, rigata, calibro nove.
“Muoviti piano, agente. Non ho molta pazienza. Chi stai cercando?”
Sguardo sprezzante, pieno di collera.
“Rosenmaester.”
ONE gli porge la mano.
“Lasci che la aiuti.”
Silman la stringe, si rialza in piedi, le accarezza i capelli. Un sorrisetto malizioso.
“Mi sa che dopo ci rivediamo.”
“Smetti di fare il cascamorto, sbirro. Se vuoi te la vendo, ma non ora.”
I due uomini, uno di fronte all'altro, lo sguardo fisso di Silman, gli occhiali scuri di Vortag.
“Sei un criminale ricercato, Schlieber. Senza d'Orsale sei un uomo finito, la polizia ti sarà addosso prima che tu possa accorgertene. Se ti costituissi e collaborassi con noi, risparmieresti perlomeno due anni di carcere.”
Su dodici, ma questo è meglio non specificarlo.
Punta il bastone alla gola.
“Al tempo, signor... signor...”
“Silman Simmerik.”
“Okay, signor Silmansimmerik, mettiamola così. Io devo trovare i semi di Rosenmaester. E devo farlo di persona. Non sarebbe la stessa cosa, ne convieni?”
Un secco ta-clack, il colpo in canna.
“Non vuoi veramente uccidere un poliziotto davanti ad un ginoide, vero? Sai che se le analizzano la scatola nera, tu finisci nelle grane?”
Una gomitata sul collo. Silman strabuzza gli occhi, un'espressione sorpresa, barcolla per un attimo. Un ago piantato nella vena, una minuscola siringa.
L'uomo crolla a terra, privo di sensi.
ONE in piedi, alle sue spalle.
“Cosa ti avevo detto a casa mia? Degli sbirri me ne occupo io! Cosa non ti è chiaro di questa frase? Era un ordine!”
“Perché l'hai messo a nanna? Mi stavo quasi divertendo.”
“Sarebbe stato solo d'intralcio... e mi sarei potuta tradire, alla lunga. Non è semplice imitare una replicante di classe KZ!”
Vortag ripone il bastone, lascia la pistola per terra, scavalca il corpo di Simmerik. Passi svelti verso l'uscita, i cigolii del legno come sottofondo.
“Andiamo, abbiamo già perso troppo tempo.”
“Ehi, ehi! Un momento! E le stanze nascoste di cui mi avevi parlato?”
“Ah, quelle? Non so neanch'io dove sono. Se ci sono. Te l'ho detto solo per farmi scortare fin qui. Dovevo recuperare un oggetto che ho portato via dalla scena del crimine.”
ONE lo insegue zoppicando.
“Tu hai nascosto...”
“La bottiglia di champagne. L'ho presa e l'ho sotterrata in giardino. Non volevo che gli agenti della scientifica la trovassero, potevano farsi un'idea sbagliata sul don! Magari sui loro rapporti avrebbero scritto che è un gran bevitore, che spende denaro in liquori! Ma non è vero, dovevo evitarlo, capisci?”
“No. La motivazione è stupida, molto stupida. Forse troppo anche per te.”
Un sospiro di sconforto.
“A questo punto, ci conviene recuperarla. Magari la analizziamo da me, ti va? Ho allestito un piccolo laboratorio chimico in uno dei miei rifugi.”
“Perché, quanti ne hai?”
Occhiolino ammiccante, l'iride verde scintilla alla luce delle lampade a gas.
“Be', questo è un segreto!”
XI. KZ-247
>Analisi approfondita completata.
>Sensori ambientali funzionanti: trentadue su centoquaranta.
>Impossibile controllare lo stato della struttura. Blocco addominale danneggiato o assente.
>Avvio del sistema principale compromesso, rivelata assenza centro mnemonico principale, attivato disco di scrittura secondario per annotazioni a breve termine.
>Stato dell'elaboratore primario: funzionalità al cento per cento.
>Involucro esterno danneggiato, mobilità compromessa; arti attivabili: due su quattro.
>Mircocircolazione cerebrale stabile, pompa secondaria attivata a pieno regime. Macrocircolazione ferma, impossibile ripristinare senza procedura di bypass.
>Riscontrate avarie multiple alla paratia toracica, simulatore vocale danneggiato o espiantato, stato complessivo di attività del sistema: otto per cento.
>Core di memoria di base – relazioni di causa-effetto, comparazioni semplici – intatto.
>Procedura di reset avviata, caricamento impostazioni di costruzione.
>Sistema androide K-number versione 1.2.7, Kreen Industries. Reboot schede audio-video, formattazione centro di memoria ausiliario.
>Attendere, il completamento dell'operazione potrebbe richiedere alcuni minuti.
>Simulatore di coscienza inizializzato, processi cognitivi abilitati, ripristino memoria di backup, attivazione sistema polmonare e pompa d'emergenza. Livello dell'olio lubrificante: ottantasette per cento.
>Attivazione chiusura d'emergenza per i canali inattivi, creazione di bypass in corso.
>Macrocircolazione ridotta inizializzata, elaboratore secondario in piena efficienza.
>Alimentazione sotto il livello minimo, autonomia residua stimata: dalle due alle sei ore.
>Configurazione risparmio energetico applicata.
>Attivazione interfaccia utente.
Apre gli occhi, di soprassalto.
Una barella, bianca, morbida. Pezzi di un corpo, del suo corpo, sparsi per la stanza. Alcuni affiorano da uno scatolone.
Ruota lentamente il collo, i servomotori al minimo per consumare meno. La mano destra trema, si muove, prima il mignolo, poi il medio, le altre dita. Lo stesso per la sinistra. Prova a piegare il ginocchio.
Invano.
Dove sono?
Poca luce, visibilità ridotta, un televisore acceso. Una figura umana sullo schermo, uno strano tizio vestito in modo appariscente, mascherina, mantello, cappello costoso. Il cervello rubrica l'informazione come irrilevante.
Sposta il braccio destro, lo porta a sfiorarsi l'addome.
Un sospiro amaro.
Il rivestimento toracico assente, la placca di plastitanio rimossa, il cuore ridotto ad un orribile ammasso di ferraglia bruciacchiato. Il braccio sinistro cerca le gambe, non le trova. Tenta di ricordare, di richiamare informazioni dalla memoria di backup, di recuperare qualche frame del suo passato.
Solo quattro file salvati sulla memoria d'emergenza...
Il processore richiama una prima immagine, sfocata, indistinta. Una villa. Di fronte alla villa, un uomo, piuttosto alto. Capelli neri, occhiali da sole triangolari, bocca da squalo. La tiene per mano.
Una frase.
“Rico è un idiota. Non è vero che dobbiamo distruggerti. Solo smontarti, eh? Ma per breve tempo, poi ti rimettiamo a posto, promesso!”
“Lasciami andare, lasciami subito!”
“Nessuno ti ha mai detto che urli troppo?!”
Un bastone in mano, uncinato, un colpo preciso alla sua gola, le strappa i cavi del simulatore vocale.
Effetto neve.
File danneggiato. Impossibile proseguire la lettura.
Un mugolio sconsolato.
Provo ad aprirne un altro...
Cambio di scena. Una ragazza, pelle piuttosto scura, bionda. Uguale a lei. Le manca una gamba, ha una ferita sul volto.
“Replica Sette, devo affidarti una missione pericolosa, potresti anche essere distrutta. Vorrei che il tuo elaboratore registrasse questa informazione, okay? Il seme che ti ho fissato al cuore è molto importante. Lascia che ti smontino solamente in presenza di Chad d'Orsale. Se qualcuno tenta di compromettere le tua funzionalità, sei autorizzata a fuggire e tornare alla base.”
Effetto neve.
File danneggiato. Impossibile proseguire la lettura.
Informazioni inutili, nessuna vera e propria rivelazione.
Solo due file rimasti.
Continuiamo, tanto non mi costa nulla...
Una porta, a poca distanza, decorata, impreziosita da fregi. Le urla di qualcuno alle sue spalle, l'uomo-squalo, a giudicare dalla voce. La porta si apre, un secondo uomo, diverso dal primo. Le punta addosso un revolver, ansia, subroutine di panico attive.
L'esplosione, i sensori impazziscono. Gli occhi si spengono, schermo nero.
È così che mi hanno distrutta? Quell'uomo...
L'elaboratore richiama l'ultimo file.
Una nuova scena, completamente buia, solo voci. Grida di dolore, una donna, la voce di un'altra persona, sconosciuta. Gli analizzatori ricostruiscono un'alta percentuale di terrore nel timbro vocale.
Ancora nessuna immagine.
Silenzio, all'improvviso.
Rumore di passi, affrettati, in avvicinamento.
Uno scoppio nel vuoto, olio lubrificante nel torace. Apre gli occhi per un istante. La sagoma di una finestra chiusa, in alto.
Avaria disco di memoria primario, avaria pompa principale, avaria totale del sistema! Spegnimento d'emergenza! Fine.
Tutto qui? Peccato.
Ruota lo sguardo verso il televisore. La fiction prosegue, il tizio fasciato nel lungo mantello si produce in un orribile monologo da antagonista psicopatico. Compare una ragazza, l'eroina.
Il computer cataloga le immagini come irrilevanti, ma non è importante. KZ-247 non stacca gli occhi dallo schermo, segue la vicenda, pur con troppe domande prive di risposta.
Chi è il nobile folle che utilizza le rose come armi?
Chi è la ragazza dagli occhi scintillanti?
Perché combattono?
Troppe, troppe domande. Tanto vale non curarsene e godersi lo spettacolo, fintanto che la batteria regge. Può essere stupido, certo... ma è bello ricostruirsi dei ricordi, per quanto futili, se non sai a quanto ammonta la tua autonomia residua. Rende la pillola meno amara, predispone ad un dolce spegnimento.
Lo sguardo rapito dai fotogrammi, dalle frasi, dai costumi, dalle ambientazioni.
Un ultimo, dolce sospiro.
Spero solo che la carica duri abbastanza da veder finire la puntata...
XII. Rosenmaester
Quindi, Vortag Schlieber è sfuggito all'arresto.
Certo che i poliziotti sono proprio degli incapaci, per cosa lo prendono lo stipendio, per scaldare le poltrone?
Che palle, mi toccherà iniziare da capo...
Quell'idiota mi ha visto in faccia, potrebbe riconoscermi, rendere il mio volto pubblico. Sai che risate?
Mi immagino già i telegiornali, dopo la mia cattura: il cronista imbellettato, pieno di cerone fino al midollo, intervista i miei vicini di casa, le classiche domande idiote, le classiche risposte idiote, era una persona tranquilla, non ha mai fatto male a nessuno, chi l'avrebbe mai detto, un tipo così a modo...
Già, già, potrei continuare per ore.
E intanto, Vortag Schlieber è a zonzo per la città.
Che beffa, eh?
L'unico testimone che può incastrarmi... a piede libero. Non penso che la deposizione di un pluripregiudicato sia considerata propriamente attendibile, ma non si sa mai.
Quel che è certo è che devo farlo tacere, per non correre rischi.
Possibilmente, senza essere visto.
Altrimenti, mi toccherà passare al piano B. Non è una bella alternativa, è quanto di più lontano possibile dalla perfezione. Ci andrebbero di mezzo degli innocenti... e questo non mi va giù.
Per niente.
Sono i parassiti quelli che devono morire, solo ed esclusivamente loro.
Certo, se non avessi altra scelta, il piano B sarebbe l'unica carta da giocare.
L'ultima carta da giocare.
Be', il test generale ha funzionato davvero bene, non pensavo che morissero tutti così in fretta, quei cani. Tredici vittime in un colpo solo. Un ottimo risultato, no? Allora... perché mi preoccupo?
Forse ho solo paura del potenziale della mia ultima invenzione. Sì, dev'essere così. Se mi sfuggisse di mano, se la utilizzassi male... no, inutile farsi scrupoli. Ho già trentasei anime sulla coscienza, e il numero è destinato a crescere. Non posso più fermarmi, ormai. Se anche dovessi ricorrere alla soluzione estrema... ben venga. Tanto, un morto in più o in meno non fa più differenza.
Se mi beccano, ho l'ergastolo assicurato.
Se Vortag parla e la sua testimonianza è ritenuta valida, io sono fregato.
Se però lo riconoscono incapace totale di intendere e volere, io sono salvo.
No, troppi problemi, troppi se.
Facciamo che lo trovo e gli sparo un bel colpo in piena fronte, un bel proiettile calibro dodici e sessantacinque.
Tolto di mezzo lui, non avrò più problemi, attuerò il piano A senza che possano beccarmi, senza bisogno di ricorrere alla mia arma segreta.
La società libera dai parassiti, dagli insetti che la corrodono dall'interno, dall'immondizia che regna sovrana, depurata da bellissimi fiori azzurri, campi sterminati di fiori azzurri, così delicati, così... perfetti. Che provino a seppellirli, i morti. Vedranno germogliare intere aiuole di corolle purpuree, il cimitero diverrà un bellissimo prato multicolore, i loro nomi saranno dimenticati. In fretta. Già, un bel parco, un parco dove i bambini potranno giocare a calcio, tra innocui, splendidi fiorellini. Sì, innocui, perché una volta terminata la mia opera, non avranno più bisogno di uccidere.
E il mondo diverrà uno splendido giardino, ricoperto da distese di gioiosi virgulti multicolori.
Niente rose, però.
Ad ogni modo, meglio essere cauti. Prima ultimo i preparativi per il piano di riserva, poi mi metto in caccia.
Non potrai sfuggirmi, Schlieber.
Ovunque tu sia diretto.
XIII. Silman Simmerik
La porta si apre, Silman corre trafelato.
“Jeff! Ormai è sicuro, Schlieber è implicato nella morte di d'Orsale, è tornato alla villa per inquinare le prove!”
Un uomo piuttosto corpulento all'ingresso, occhi stretti, appiccicati dalla sonnolenza.
“Calmati, ragazzo. Lo sai che ore sono? Se gridi in questo modo, ci denunciano...”
L'agente si stiracchia, cercando di trovare un senso a quell'irruzione fuori programma.
Invano.
“Silman, spero che tu abbia un ottimo motivo per venire a rompere le scatole in centrale alle quattro del mattino.”
Pugni sbattuti sul tavolo, con violenza.
“Ho fatto un sopralluogo a villa Magnificentia, stanotte. So cosa stai pensando, ma avevo un sospetto, volevo verificarlo. Una volta arrivato là, ho trovato i sigilli rimossi e le bande di plastica calpestate. Cosa dovevo fare? Chiamare la centrale? Sì, forse avrei dovuto, ma ho pensato che fosse meglio verificare prima di causare un falso allarme. Così, sono entrato nella magione, pistola alla mano. Indovina un po' chi mi sono trovato davanti?”
“...non mi dirai...”
“Proprio lui. Stava discutendo con una replicante, stesso modello di quella che ho sezionato ieri. Mi hanno steso, ho passato l'ultima mezz'ora svenuto su una riproduzione del Guernica.”
Prende fiato, un attimo di pausa.
“Ora dimmi... pensi che sia penetrato là dentro solo per una scappatella? È solo una coincidenza che Chad d'Orsale sia morto in quelle stanze meno di ventiquattro ore fa?”
L'agente si massaggia i capelli, raccoglie i pensieri, tira le fila del discorso.
“Capisco. Facciamo che compilo un verbale, tu deponi la tua testimonianza e domani mattina scatta la caccia all'uomo, va bene? Non posso buttare giù dal letto mezzo corpo di polizia solo perché...”
“Devi farlo, Jeff. Ora. Quei luridi scarafaggi sono stati trucidati da Rosenmaester. E Schlieber è stato visto sulla scena del crimine. Quanto fa due più due, Jeff?”
“Non quattro. Almeno, non in questo caso. Ci vogliono prove, Silman. Okay che Schlieber è un poco di buono, colto più volte in flagranza di reato, pieno di droga fino ai capelli, ma non basta.”
Silman quasi sdraiato sul divanetto, in sala d'attesa, tono di voce arrogante, tendente al frustrato.
“Vuoi dirmi che dovrò aspettare almeno altre tre ore?”
L'agente esce dal gabbiotto dell'ingresso.
“Sono le procedure, non posso farci nulla. Ad ogni modo, non credevo che questo caso ti stesse così a cuore.”
“Quel bastardo ha ucciso la dottoressa Kranzner, Jeff. Il mio capo.”
“Vuoi che non lo sappia, Silman? Non è questo che intendo dire. Mi hai semplicemente sorpreso.”
“Sorpreso?”
“Silman... non hai pianto nemmeno al funerale dei tuoi, non hai giurato vendetta, niente di niente! Hai solo mandato tutti a quel paese perché non volevi perdere tempo ad ascoltare le condoglianze. Hai seguito per un quarto d'ora la messa e poi sei tornato a lavorare al computer, come se niente fosse. E si parlava di tuo padre e tua madre! Non dirmi che provavi più affetto verso una sconosciuta con cui hai lavorato sì e no due settimane, perché non ci credo. Non sei capace di legarti affettivamente a nessuno, non lo sei mai stato. Tuo padre me lo ripeteva spesso...”
Silman digrigna i denti.
“E va bene, hai ragione. La dottoressa può anche andarsene all'inferno, non me ne importa proprio nulla. Il punto è che uccidendola in quel modo, davanti ai miei occhi, Rosenmaester mi ha umiliato. Professionalmente parlando, intendo. Ora che ho un elemento concreto per rintracciarlo e sbatterlo dentro, mi sembra logico che prema per arrestarlo al più presto!”
Passi pesanti nella sua direzione. Jeff Larkie si avvicina al divanetto, raggiunge Silman, lo fissa negli occhi, in quelle iridi viola quasi inespressive. Un omone di centottantasette centimetri per novanta chili di fronte ad una recluta alta dieci centimetri in meno con due soli anni di servizio attivo alle spalle.
“L'irruenza non ti porterà da nessuna parte, Silman. Meglio se aspetti ancora un po'.”
Aspettare, certo.
E intanto, l'unico indiziato se la svigna tranquillo, senza che nessuno possa fermarlo o anche solo...
Un'idea fulminante.
“Schlieber è un sorvegliato speciale, giusto? Allora dobbiamo per forza avergli impiantato di uno di quei chip per monitorare gli spostamenti.”
“Dove vuoi arrivare?”
“Il codice. Dammi il codice di localizzazione!”
“Non è molto legale... se aspetti tre ore...”
“Se aspettiamo tre ore, quello è capace di far perdere le sue tracce. Per sempre.”
L'agente si siede, lo sguardo diretto al pavimento, gli occhi fissi, immobili.
“Allora, Jeff? Se riuscirò a catturarlo, parte del merito andrà a te. Non saresti contento di abbandonare questi maledetti turni di notte? Con un arresto così importante...”
Jeff gira i pollici, vorticosamente.
“Ci vuole l'autorizzazione del prefetto. Senza ho le mani legate e...”
“Sì, capisco.”
Sorriso agghiacciante.
“Capisco che non hai nessuna intenzione di fare carriera. Be', pazienza.”
Un respiro profondo.
“Io l'opportunità te l'ho data.”
Jeff grugnisce, irritato.
“Solo un'occhiata veloce, okay? Troverai un bigliettino col codice di accesso sulla tastiera. Io ufficialmente non ne so nulla, sono stato qui tutta la notte e non ho visto entrare nessuno. Aspetta solo due minuti.”
Un sorrisino compiaciuto.
Silman attende il ritorno di Jeff, si dirige verso il terminale, accede al programma di tracciamento. Un post-it scritto a mano con rapidità, la password di sedici cifre associata al fuggitivo. Inserisce il codice, conferma, pochi click ed ecco la mappa. Sgrana gli occhi.
“Cosa significa segnale assente?”
Un conato d'ira, si ferma, un respiro, un respiro, ancora un respiro.
“Calma, ragioniamo con calma. Evidentemente, è in un luogo schermato, tipo una galleria o qualcosa del genere. Vediamo se riesco a risalire all'ultima posizione nota...”
Il mouse si sposta, compare un menù a tendina, seleziona la terza opzione. Un punto giallo lampeggiante sulla cartina virtuale. Un edificio nei pressi dell'acquedotto, abbandonato da anni.
“Interessante... potrei seriamente prendere due piccioni con una fava...”
Scrive due appunti sul cellulare, chiude il programma, strappa il post-it, lo getta nella spazzatura, si alza, si dirige verso l'uscita.
Un timido cenno di saluto da parte di Jeff, Silman non lo nota, passa oltre, ignora le imprecazioni del collega.
Sale in macchina, chiude la porta, le chiavi girate. Il rombo del motore sovrasta il frinire dei grilli.
“Non riuscirai a sfuggirmi, Schlieber. Non questa volta.”
XIV. ONE
“Questa è l'opera di un genio. Non ci sono dubbi.”
“Ah, sì?”
Vortag vaga per lo scantinato, si ferma di tanto in tanto, analizza divertito alcuni macchinari.
“Non capisco nulla di strumenti scientifici. Questo che cos'è?”
“Solo un estintore. Hai presente? Quelle bombole dotate di ugello in dotazione ai pompieri?”
“No, ma fa lo stesso.”
ONE indossa un lungo camicie bianco, guanti neri molto spessi, una mascherina per la respirazione assistita.
“L'analisi microbiologica dello champagne è sorprendente. Rosenmaester è... immenso. Non pensavo che un semplice essere umano potesse inventare una simile aberrazione!”
“Cosa significa? Aberrazione, intendo.”
“Mostruosità, in questo caso. Questa bottiglia contiene forse una delle armi più letali mai concepite. Vuoi dare un'occhiata al microscopio ottico?”
“Non ci tengo, grazie. L'ho già visto due volte dall'esterno. È noioso.”
ONE scrolla le spalle sconsolata.
“Facciamo che non ho sentito, ti va? Ad ogni modo, tenterò di descriverti cosa ho scoperto. In maniera semplice.”
Vortag si siede su uno sgabello, gli occhi fissi sulle gambe flessuose della ragazza.
“Comincia pure.”
ONE si sfila il camice e la mascherina, si accomoda su una poltrona.
“E tu smettila. Ne ho abbastanza del tuo sguardo, da quando ci siamo incontrati non fai altro che squadrarmi come se fossi una bambola!”
Gli occhi di Vortag fissi nei suoi.
“Agli ordini.”
ONE si accarezza i capelli, li arriccia con le dita.
“Dunque, da dove cominciare? Uhm... okay. Vortag, hai presente la tua penultima visita a villa Magnificentia? Ti ricordi cos'hai visto?”
“Tredici persone morte con fiori che spuntavano dai polsi.”
“Ricordi se hai visto anche le radici?”
“Sì, ricordo tutto. Non ho visto radici affioranti. Erano gli steli ad emergere dalle ferite. Se c'erano radici, erano sottopelle.”
“Quindi i semi sono nati all'interno. Sei d'accordo?”
“Penso di sì.”
“Com'è possibile, secondo te? Qualcuno deve averceli messi, non trovi?”
“Sì.”
ONE chiude gli occhi, si massaggia il mento, ciocche bionde sulle palpebre.
“Vortag... quello che non riuscivo a spiegarmi era come avesse fatto l'assassino a piantare i semi nei polsi delle sue vittime, senza essere visto o fermato. Dall'esterno sarebbe stato praticamente impossibile, a meno di non effettuare una complessa operazione chirurgica. Perché non tagliar loro direttamente le vene, allora? Non sarebbe stato più semplice?”
Scuote la testa, lentamente. Una breve pausa per riprendere fiato.
“Vedi... all'inizio ho seriamente pensato che fossi stato tu ad ucciderli, che tu fossi Rosenmaester. Una doppia identità mica male, eh? Un handicappato mentale, pregiudicato, con la mania delle armi, incapace di costruire pensieri coerenti – o quasi. Chi avrebbe mai sospettato di te?”
“Tu lo hai fatto.”
Un sorriso divertito.
“Perché io ho una mente contorta! Dopotutto, sono una mercenaria che si finge una replicante a cui lei stessa ha dato l'aspetto! Ad ogni modo, questa ipotesi è caduta quasi subito, il tempo di arrivare con te alla villa.”
“Spiegati meglio.”
“Nel mio covo ti ho rivelato di volere a tutti i costi quei semi. Se tu fossi stato il vero Rosenmaester, mi avresti uccisa durante il tragitto, lontano da testimoni. Solo uno stupido non l'avrebbe fatto, nella tua posizione.”
Vortag ride, ride di gusto. ONE socchiude le palpebre, sdegno nello sguardo.
“Posso continuare?”
“Fai pure.”
“Questa è la mia ricostruzione: il mio replicante fugge, tu lo insegui. Un fattorino porta una bottiglia di spumante come regalo al don. È di marca pregiata, ancora sigillata, senza buchi o roba del genere sul tappo. Il tuo don non si fida, comunque, e la fa stappare da uno dei suoi tirapiedi. Un altro – o lo stesso – è costretto ad assaggiarne il contenuto. Passa mezz'ora, non succede niente. Magari la analizzano pure, ma non trovano nulla di sospetto. Allora cosa fanno? Brindano tutti assieme, mentre tu sei fuori, brindano in calici di cristallo, come al solito.”
“Come fai a sapere che i calici sono di cristallo?”
“Se mi fai finire, te lo spiego. Dov'ero rimasta? Ah, sì. Dopo venti minuti, le piante germogliano dai polsi e li prosciugano. Tu torni e li trovi morti. Ecco qua. Fine.”
Vortag si gratta la testa.
“Non capisco. Dov'erano i semi?”
“Era quello che volevo mostrarti prima. Erano disciolti nello champagne.”
“Non ci credo. Come avrebbero fatto a svilupparsi? Se erano sciolti come il sale, erano troppo piccoli per...”
“La risposta è semplice quanto efficace. Retrovirus a RNA, trasportati da una proteina carrier. Raggiunti i polsi, hanno stimolato il tessuto venoso a sviluppare le simpatiche pianticelle. Durata del processo: venti-venticinque secondi. Una morte veloce quanto inarrestabile.”
“Per quale motivo l'assaggiatore non è morto, allora?”
“Dimmi, il don beve sempre in bicchieri di cristallo?”
“No. Per l'acqua e le bibite normali usa tazze di ceramica. Perché?”
“L'intero sistema proteina-retrovirus è stato sviluppato per attivarsi solamente in contatto con un determinato tipo di materiale. Indovina quale?”
“Non sono capace di rispondere a domande così complicate. Dimmelo tu.”
“Il vetro di cui sono fatti i bicchieri da brindisi del don. Solo ed esclusivamente quello. Modificando leggermente i parametri del carrier è possibile selezionare una sostanza diversa.”
“Ma analizzando il liquore...”
“No, non avrebbero trovato nulla. Erano praticamente invisibili. Io ho avuto fortuna.”
“Fortuna?”
“L'intero sistema si denatura dopo circa sei ore dall'esposizione all'aria. I carrier, per così dire, impazziscono e attecchiscono sul vetro comune. Se osservi col microscopio un frammento della bottiglia, non puoi fare a meno di notare una moltitudine di minuscole radici – parlo di qualche micron di diametro. Ad occhio nudo non le vedrai mai... ma ci sono.”
“Ah.”
ONE si alza, torna al banco di lavoro. Vortag si avvicina.
“Se l'avesse sequestrata la scientifica?”
“Gli sbirri avrebbero distrutto le prove, senza saperlo. Il nostro assassino è molto, molto furbo. Sarebbe bastato conservarla al freddo o metterla sottovuoto per disgregare le microstrutture, già semidenaturate. Per accorgersene, avrebbero dovuto analizzarla in un ambiente non sterile. Certo che con un sistema del genere si potrebbe...”
Sgrana gli occhi.
“Mio Dio! Forse ho capito quale sarà la sua prossima mossa...”
Una pacca sulla zazzera di capelli biondi.
“Brava ONE. Sono contento che tu sia il mio capo. Sei più bella di don Chaddo. E profumi di lavanda.”
La mano si muove lungo il vestito leggero.
ONE la ferma con decisione.
“Non farti strani idee, Schlieber. Se provi a sfiorarmi anche solo con un dito, ti ritrovi a terra con entrambe le braccia fratturate. E qualcosa di meno in mezzo alle gambe. Ricevuto?”
Si ritrae, punto sul vivo.
“Ricevuto.”
XV. Gran finale, atto primo: Convergenza
Silman svita il tappo del thermos, si versa un caffè. Vortag Schlieber si farà vivo – eccome se si farà vivo. Qualunque sia lo stabile in cui si è nascosto. La strada è una sola, basta attendere con calma e pazienza. Svuota il contenuto della tazza, assapora l'aroma annacquato della bevanda solubile, calda al punto giusto.
Non posso – non devo – addormentarmi. Là dentro c'è la soluzione del caso Rosenmaester, il colpevole da consegnare alla giustizia. Dopo questo arresto, nessuno sentirà più parlare di omicidi floreali. Nessuno! Sì, ne sono certo. Con questa notte, cala il sipario sul caso.
La sicura della pistola scatta, dodici bossoli desiderosi di prendere una boccata d'aria fresca. Una semiautomatica da urlo, la pistola d'ordinanza: una Wentzel Sandstorm da nove millimetri, argentata. Ne accarezza la canna lucida, un tocco leggero sui meccanismi.
Spero di non avere bisogno di te...
Chiude il thermos, ne sfila un altro dalla borsa, più piccolo.
Devo solo stare attento a non confondermi. Sarebbe imbarazzante.
A fari spenti, nel buio, una struttura macilenta e sofferente a pochi passi, crepe nell'intonaco, vernice scrostata, insegna sbiadita: l'acquedotto municipale di Northern Algol, un centro piuttosto importante in Britannia. La prima città normale alle spalle di St. Patrick, l'unica a rifornirla.
Se St. Patrick cedesse, le prime vittime sarebbero gli algolesi e la loro economia. Se St. Patrick fosse liberata dal suo SHIELD per cessato pericolo, idem. A Northern Algol fa comodo che St. Patrick rimanga una città-barriera. Ci lucrano sopra, in ogni modo. Anche Chad d'Orsale guadagnava milioni, spacciando triadina. Già, triadina... quella droga si vende come il pane sotto la cupola scura. Ora che d'Orsale è morto, chi provvederà ad alimentarne il mercato nero?
Silman scrolla le spalle.
Problemi dei trifoglini, non miei.
Il motore della Kramers Ontario in sottofondo, un lieve mormorio rilassante.
Se Vortag si fa vivo, ingrano la prima e parto.
Semplice e veloce.
Ripone il secondo contenitore al suo posto, si sdraia sul sedile. Uno sbadiglio poco convinto.
Che ore sono?
Alza il polso sinistro, svogliatamente. Le cinque e venti del mattino.
Spero che il videoregistratore non abbia fatto brutti scherzi. Quando torno a casa, voglio vedermi tutta la puntata speciale di Eliphya. Muoio dalla voglia di accendere quel televisore, maledizione!
Uno scricchiolio nel silenzio. Abbassa la radio. Una porta si apre, una luce dall'interno. Due figure nell'ombra, una più alta e imponente, l'altra esile e sottile.
Bingo.
Si dirigono verso l'edificio fatiscente, in silenzio.
Non serve nemmeno la macchina.
Silman spegne il motore, apre la portiera, passo felpato, tranquillo.
Non devono sentirmi. Non devono capire che mi sto avvicinando!
Focalizza l'immagine, deve essere sicuro che siano loro. L'uomo è muscoloso, profilo appuntito, naso affilato, capelli sparati in aria. La ragazza ha i capelli lunghi, un abito corto.
Se non sono loro, ci assomigliano molto.
Carica un colpo in canna, il fallimento non è un'opzione.
Vortag Schlieber...
Un sorriso contratto, una smorfia divertita.
Sto venendo a prenderti!
**
“La porta è chiusa. Come pensi di entrare?”
“Proprio tu me lo chiedi? Fosse per te, l'avresti già buttata giù a calci. Io dispongo di metodi più raffinati.”
ONE estrae il cilindro metallico dalla borsa, lo avvicina alla toppa, preme un pulsante sulla superficie lucida. Un sottile ronzio pervade l'atmosfera notturna, disturbando il canto soffuso della natura. Il cilindro si illumina di verde, per un istante. La base si ritrae, lasciando spazio ad una chiave. ONE la inserisce nella serratura, due giri, uno scatto. Il congegno si ricompatta, la chiave sparisce. La porta si schiude.
“Passepartout universale. È sufficiente metterlo a contatto con la serratura. In tre secondi ne copia la struttura interna e genera un terminale compatibile. Se vuoi te ne vendo uno.”
“Non ora.”
Un passo in avanti, verso l'interno. Buio assoluto, lampade spente, neon inerti. La mano tasta nervosamente il muro, alla ricerca disperata di un interruttore.
“Sia fatta la luce.”
Flash inaspettato, i locali illuminati fiocamente prendono vita. Vortag si stropiccia le palpebre. Occhi stretti, iridi azzurre di dimensioni ridotte. Il rammarico di non poter indossare i suoi occhiali preferiti, di notte. Un'espressione enigmatica sul volto.
“Problemi?”
“Perché mi hai portato in questo posto? Dal tuo laboratorio siamo passati prima ad un altro tuo rifugio, poi ad un altro ancora... e ora, eccoci qui ad ammirare tubature! Che senso ha?”
La mano di ONE sfiora delicatamente i pannelli di controllo.
“Ricordi quello che ti ho detto al laboratorio?”
“Uh... no. Mi dispiace.”
“Il modo in cui è morto don Chaddo. Ti dice niente?”
“No, niente. È tutto troppo difficile.”
“Lo sospettavo.”
Un rapido controllo delle valvole.
“Se Rosenmaester ci ha preceduto...”
Rumore di passi, un movimento in lontananza. Una figura inginocchiata nei pressi di una delle vasche. Vortag corre, corre a perdifiato, imbraccia il bastone, ruota su se stesso a velocità folle, il cavo di nylon sibila nell'aria, aggancia le caviglie dello sconosciuto, lo trascina a terra prima che possa reagire. Un urlo di terrore, ONE arretra di qualche metro, il cuore a mille.
“Chi diavolo è quello?”
Un ghigno aguzzo, la bocca di squalo in bella mostra.
“Chi se non Rosenmaester?”
Il filo teso, Vortag si avvicina, passo dopo passo. Il trionfo dipinto sul suo volto.
“Cosa vuoi fare?”
La figura ammantata tenta di divincolarsi, di rialzarsi. Un gesto fulmineo, la mano nella fondina, una pistola puntata. Uno scatto di reni, Vortag strattona il bastone, lo sparo si perde nel vuoto, buca il soffitto. Lo sconosciuto rimane paralizzato per un attimo, un attimo solo.
Ma è sufficiente.
Il volto appiccicato al terreno, le braccia dietro la schiena chiuse in una chiave articolare, Vortag trionfante.
“Cosa voglio fare? Non lo so. Io l'ho bloccato perché siamo qui per bloccare Rosenmaester. Se non me lo avessi detto, non mi sarei mosso.”
ONE lo raggiunge con la sua camminata instabile, più velocemente possibile.
Vortag afferra il cappuccio, lo tira con forza, rivelando il viso della sua preda. Amara insoddisfazione.
“Che delusione. Non è lui.”
“Cosa? Vuoi dirmi che tu...”
Un'esplosione nel buio, frammenti di tessuto colorato in volo. ONE urla, lacrime di dolore, le ultime lacrime. Crolla a terra, squartata, tagliata a metà da un proiettile deflagrante.
Vortag incredulo, i sensi bloccati.
“Don Chaddo è già all'inferno, Schlieber.”
Una Sachson 52 nella mano destra, l'indice sul grilletto.
“Cosa ne dici di raggiungerlo?”
XVI. Gran finale, atto secondo: Apparenza
Uno sparo, uno sparo bello forte. Poi un urlo. Una cornice niente male.
Per il set di un film d'azione.
Silman respira, respira a fatica.
Un urlo quasi umano, orribile.
Il cuore impazzito, le mani sudate a trattenere la pistola.
Schlieber, la replicante, il tizio incappucciato, Rosenmaester... un caos allucinante.
Difficile capirci qualcosa.
Ora devi pensare, pensare a come agire. Un passo falso e salta tutto. Calma, calma e tranquillità.
Si avvicina, nell'ombra, lentamente, l'arma in pugno, lucida, scintillante.
Troppi neon, troppa luce.
Schlieber in piedi, il bastone in mano, il cavo teso, annodato attorno alle caviglie dello sconosciuto.
Il corpo della replica a terra, aperto a metà, le gambe a circa cinquanta centimetri dal resto del corpo.
Una Sachson 52.
Un'arma letale, da mafiosi.
Difficile procurarsene una.
Rosenmaester pronto all'atto finale, un sorriso nervoso sul suo volto.
Devo stare attento, non deve vedermi, altrimenti...
Un brivido freddo. Scuote la testa.
No, no, devo essere sicuro di me stesso, non devo vacillare, non ora. Se agisco con tranquillità, tutto si concluderà per il meglio.
**
“Schlieber, come puoi notare siamo al capolinea. Non dirò che non volevo colpire la tua replicante, perché non è vero. Con i sensori spenti non potrà registrare il mio volto, né la mia voce. Dovevo premunirmi, capisci?”
Apre la giacca, rinfodera la Sachson, la sistema accanto ad una seconda pistola.
“Solo una calibro dodici e sessantacinque con proiettili a scoppio ritardato avrebbe potuto disattivarla, lo sai anche tu. Per gli uomini non uso questi metodi, sono un po' troppo rozzi.”
Vortag si alza dal pavimento, perde di vista la figura ammantata, il corpo straziato di ONE sulla sua sinistra.
“Non respira più. Sono stato più preciso, questa volta.”
Sorrisetto macabro sulla bocca da squalo.
“Cosa vuoi da me? Non certo uccidermi, lo avresti già fatto. Sono scemo, ma queste cose le capisco anch'io.”
“Un applauso alla tua perspicacia. Ad ogni modo, mi servi, Schlieber. Fra poco meno di venti minuti, qui sarà pieno di sbirri. Ne avevi anche uno alle calcagna, ma non te ne sei nemmeno accorto. Buffo, eh?”
“Quindi?”
Estrae un contenitore dalla tasca.
“Ti troveranno vicino alla vasca dell'acquedotto con questo in mano. A quel punto, sarai arrestato al posto mio. E Rosenmaester, magicamente, svanirà.”
Un passo in avanti.
“Certo che non sei messo molto bene. Il tuo frustino da domatore di barboncini è saldamente legato a questo... questa... già, chi diavolo hai braccato, Schlieber? Fammi vedere un po'...”
Vortag punta il manganello a mo' di pistola.
“Non ti avvicinare.”
Preme un grilletto, clangore meccanico, sopra al mulinello del nastro compare una canna lucida.
“Questo frustino spara supposte di piombo. Spero che ti piacciano.”
Rosenmaester si massaggia il mento.
“Interessante. Sai, Schlieber... penso di averti sottovalutato. Non tutti avrebbero capito il mio prossimo obiettivo solamente analizzando la morte di don Chaddo. Come hai fatto a...”
“Io non ho capito nulla. È stata ONE.”
“ONE?!”
Arretra, scosso da un tremito.
“Ti ha aiutato ONE? Sapevo che d'Orsale era in affari con lui, ma...”
Scuote la testa.
“No, questo spiega molte cose. Ad ogni modo...”
Osserva il quadrante dell'orologio, con noncuranza.
“...tra un quarto d'ora sarai dietro le sbarre. Certo, tu conosci la verità, ma con tutte le prove che ho seminato a tuo carico... chi mai potrà crederti?”
Estrae la Sachson 52, la lancia per terra.
“Non ci sono le mie impronte sopra, indosso guanti di plastica e un bel soprabito removibile che ha raccolto tutte le tracce di polvere da sparo. Ho vinto, Schlieber.”
“Tu uccideresti un uomo con una pistola?”
“No. È un metodo barbaro, io dono una dolce morte ai parassiti della società, ai politici corrotti, a chi si comporta male in genere, a chi non segue la mia idea di buona condotta. Io non uccido proprio nessuno, non lo farei mai.”
“Allora perché hai sparato a ONE?”
“Io ho...”
Il volto scatta verso destra, verso il corpo inanimato.
“Non... non era una replicante?”
Corre verso di lei, si inginocchia.
“Non posso crederci... io pensavo che...”
Le mani sul suo viso angelico, gli occhi chiusi, come se stesse dormendo, i dolci capelli biondi, lunghi e lucenti, la cicatrice nascosta dal makeup, il collo esile e delicato, i resti di un vestito leggero, la linea dell'ombelico, la pelle scura, morbida, profumata, lo squarcio nell'addome.
Un click alle sue spalle.
Il palmo si stacca dal corpo, afferra la seconda pistola, la punta verso Vortag.
“Io non ho ucciso nessun innocente, non ho mai ucciso un innocente! Non volevo farlo, non era il mio scopo!”
“L'hai fatto, invece. Cosa ne dici di costituirti?”
Scrolla le spalle.
“Dico che non mi va. Ho commesso un errore, lo ammetto. Credevo che fosse una replica, non è stata colpa mia.”
Sirene in lontananza.
“Stanno arrivando...”
Vortag sorride.
“Senti, cosa ne vuoi fare di questo tizio incappucciato? Ha sentito tutto, ha visto tutto.”
La mano sinistra in tasca, estrae un seme.
“Gli donerò l'eutanasia.”
Vortag incrocia le braccia, il bastone in posizione.
“Non è una contraddizione? È innocente anche lui.”
“Hai ragione, ma non posso fare altrimenti. E poi, non sarò io ad ammazzarlo, ma questo minuscolo seme. Le mie mani non si sporcheranno del suo sangue.”
Vortag riavvolge il nastro. La figura ammantata si alza da terra, una protesi a sostituire la gamba sinistra, una benda sull'occhio, una cicatrice sulla guancia, un'iride verde decisa, fissa su di lui.
“No, grazie, Non mi va di diventare un vaso di fiori.”
XVII. Gran finale, interludio I
“Dottor von Kreen? C'è una ragazza che vuole vedervi.”
“Falla entrare.”
“Permesso?”
“Accomodati. Ho ricevuto la tua lettera e le tue foto. Ti ringrazio per essere venuta qui il prima possibile.”
“Quindi per lei non è importante se sono... deforme?”
“Deforme è una parola grossa.”
“Mi manca una gamba, dal ginocchio in giù; sono cieca da un occhio; ho una cicatrice profonda sulla guancia... come altro potrei definirmi?”
“Sfortunata, forse... però hai indubbiamente un bel fisico. Pelle né troppo chiara, né troppo scura, capelli dorati, lucidi, un naso delicato, arti proporzionati. Una combinazione perfetta per le mie creature.”
“Vuole costruire solo ginoidi attraenti, a quanto pare.”
“Non è esatto. Io sto mantenendo la promessa che ho fatto ad un'amica. Le mie creature devono rispondere all'idea canonica di bellezza, costruite un'immagine di pace e serenità per il mondo.”
“E spera di riuscirci con delle macchine?”
“Lo ammetto, è un'utopia, una pura e semplice utopia... ma io sono un sognatore. Mai rinunciare ai sogni, mai.”
“Mi permetta solo una domanda... è stato lei ad inventare il propulsore a yrite?”
“No, non l'ho creato io. Possiamo dire che sono stato il primo ad utilizzarlo su larga scala.”
“Capisco.”
“Ora, bando ai convenevoli. Qual è il tuo prezzo? Dubito che tu abbia deciso di posare per me gratis.”
“So di per certo che il mio aspetto sarà utilizzato per la nuova classe KZ-247. I droidi di classe KZ sono dei semplici burattini programmabili.”
“Questo lo so, li costruisco io. Arriva al punto.”
“Come pagamento, desidero solamente due cose: un droide di classe K numerata con il mio aspetto su cui scaricare la mia matrice neurale e una protesi artificiale per la mia gamba. Tutto qui.”
“Un replicante identico a te? Difetti compresi?”
“Sì, difetti compresi. Questo è il mio prezzo.”
“Nessun problema, mi sembra una richiesta ragionevole.”
“Bene. Mi chiami quando avrà bisogno di me. Sa come contattarmi, in caso.”
“Aspetta solo un attimo... come hai detto di chiamarti?”
“Sapphire Holten.”
“...”
“Qualcosa che non va?”
“No, niente. Solo una strana sensazione. Mi sembra di averti già visto da qualche parte, ma purtroppo il tuo nome non mi dice nulla.”
“Stia tranquillo è solo che il mio nome...”
Non dice più nulla a nessuno.
XVIII. Gran finale, atto terzo: Rivelazione
Vortag sogghigna.
“Bentornata dal regno dei morti.”
La ragazza si alza da terra, ripulisce le spalle dalla polvere. Una coda di capelli biondi lunghi, una tuta aderente violacea, un coltello nel fodero, una mantellina nera. Scrolla il capo, posiziona con cura la benda sull'occhio sinistro.
“Grazie, ma non ci sono mai stata.”
Un passo indietro, si risistema i capelli.
Rosenmaester sorride divertito.
“Fammi indovinare. Quella era una replica, giusto? Tu devi essere ONE, allora. Quella originale, intendo.”
Vortag inclina la testa, tenta di capire.
“Vuoi dirmi che finora ho eseguito gli ordini di un robot?!”
Un cenno di assenso.
“Non potevo mettere a repentaglio la mia vita, Schlieber. Per quanto ne sapevo, potevi benissimo essere il vero Rosenmaester. Non volevo rischiare di essere uccisa. Ti ho tenuto sotto controllo tramite i suoi occhi, gli occhi della mia... sorellina.”
Poche lacrime, evaporano subito, bruciate dall'ardore.
“Comunque, devo ammettere che è interessante trovarsi al cospetto di Rosenmaester... e scoprire di averlo già incontrato.”
**
Silman è fermo, in attesa, la pistola puntata.
Se fa una mossa avventata lo brucio, ci metto un attimo a sparare.
Respiro affannoso, celato da una falsa aria di tranquillità. Osserva la scena dalla sua posizione, ha tutto sotto controllo. ONE, Vortag, Rosenmaester. Tutto. L'eccitazione del cacciatore di fronte alla preda, un'iniezione di adrenalina pura, endovena, già in circolo.
Devo solo stare calmo. Tutto andrà come previsto...
La fronte imperlata di sudore, le pupille strette, fisse, immobili.
Se tutto va bene, non avrò bisogno di ricorrere al piano B.
**
Vortag snuda il bastone, il dito sul grilletto. Approfittare della sorpresa di Rosenmaester, bloccarlo. Buona idea, davvero. L'importante è metterla in pratica.
“Non ci provare, Schlieber. Se non te ne sei accorto, ho una pistola carica in mano. E non posso certo farmi scrupoli. Tu sei un pluripregiudicato, lei è ricercata per crimini vari... non si può certo dire che siate due stinchi di santo. Sicuramente, siete meno innocenti di me. Non c'è nulla che mi impedisca di freddarvi.”
Iridi viola, inespressive, in movimento, a controllare entrambi. I capelli castani lisci, lunghi fino alle spalle.
“Non ho messo in piedi questa sceneggiata per vederla fallire miseramente davanti ai miei occhi.”
ONE lo squadra dalla testa ai piedi, centimetro dopo centimetro, non trascura alcun dettaglio.
“Silman Simmerik, presumo. Agente di polizia di Northern Algol, laureato in robotica e biotecnologie avanzate, specializzando in roboautopsie.”
“Ci siamo già presentati, se non ricordo male.”
“Sì. In quella occasione, mia sorella ti ha abbattuto con una gomitata e un po' di anestetico. Quanto sei rimasto svenuto? Un'ora?”
“Un po' di meno. Non è stato simpatico rinvenire sul Guernica con un'emicrania simile. Mi ha giocato un bello scherzo, sai? Ho dovuto rivedere completamente la mia strategia.”
“Lo scherzo peggiore me lo ha giocato Vortag. Come ha fatto a non riconoscerti, a villa Magnificentia?”
Silman si passa la mano tra i capelli, con tranquillità disarmante.
“Mia cara, ora sei tu che cadi in errore. Schlieber mi ha sicuramente riconosciuto... ma tu non gli hai chiesto esplicitamente di dirtelo. Vortag è un ritardato, risponde solo a domande dirette. Per me è stata una manna, un dono insperato.”
ONE si volta di scatto verso lo squalo.
“È vero?”
“Tu volevi i suoi semi, non lui!”
La ragazza si strappa la benda per la rabbia, lascia scoperto l'occhio cieco, l'iride bianca come un cencio. Rosenmaester ride, una risata sadica, fragorosa.
“Cosa devo dire? È andato tutto alla perfezione, tutto! Ora vi spiego come si svolgerà il copione: i miei colleghi entrano, vi arrestano con l'accusa di essere me, Rosenmaester sparisce per un paio di settimane – giusto il tempo di rafforzare i sospetti su di voi – e poi...”
“Poi cosa?”
Scuote la testa, distrattamente.
“Non ha senso parlarvene. Mia cara, io non sono uno di quei cattivi da fumetto che rivelano il loro piano prima di averlo messo in atto. Non sarei credibile, non trovi?”
Sirene spiegate, a poca distanza. Un vociare confuso, agenti in divisa pronti ad irrompere nel palazzo.
“Comunque, se proprio ci tenete a saperlo, dirò che vi ho trovato in possesso di questo seme e di quel contenitore lì, quello ai piedi di Vortag. Questo sarà sufficiente a garantire il vostro arresto. Cosa ne dite?”
ONE avanza, un passo dopo l'altro, claudicante. Si china sul quel corpo immobile, così simile al suo, così diverso. Stesso colore della pelle, stessi capelli, stesso viso, stessa cicatrice. La accarezza dolcemente.
“Che sei un'idiota, Simmerik.”
Sorpresa sul suo volto.
“Prego? Cosa dovrebbe significare?”
“Né più, né meno di quello che ho detto. Se gli sbirri entrano qui dentro, sarai tu ad essere arrestato.”
Megafoni da trattativa accesi, prime parole dell'ufficiale di polizia, destinate a rimanere inascoltate.
“Non vedo come questo sia possibile.”
“La memoria del ginoide. Tu non puoi distruggerne il cuore, non adesso. Non sei attrezzato per farlo, avresti bisogno di molto, troppo tempo.”
Silman sospira, noncurante.
“Dimentichi un dettaglio fondamentale. Lei non mi ha visto, ONE. Le ho sparato alla schiena senza farmi riprendere dalle sue telecamere. Ha smesso di funzionare, non ha neppure registrato il suono della mia voce. Per lei, io sono solamente l'agente di polizia Silman Simmerik che, con estremo sprezzo del pericolo, ha tentato di arrestare il pericoloso criminale noto come Vortag Schlieber, uscendone – ahimè – malmenato. Come può un database così incompleto farmi arrestare? Non esiste nessuna prova a mio carico, nella sua memoria.”
“Nella sua forse no...”
ONE impugna il coltello, alza il braccio sinistro, chiude l'occhio. Un taglio netto, preciso, a livello dell'omero.
Frammenti metallici, cavi e motori a vista sotto la tuta viola, tra la spalla e l'avambraccio.
“...ma nella mia sì!”
XIX. Gran finale, atto quarto: Piano B
“Non... non è possibile...”
Vortag barcolla, si allontana di scatto. La mano di Silman trema.
“E... e questo cosa significa?”
La pistola perde il bersaglio, gocce di sudore sulla fronte.
“Non mi dirai che... che la replica sei tu?!”
“Kreen Industries K-032, modello speciale, fuori produzione. Serie K numerata. Non so se capisci cosa significa.”
Si scioglie la treccia, i capelli ricadono sulle sue spalle.
“Sono una persona vera... solo che il mio corpo è di metallo e ceramica, carbonio e leghe leggere. Tutto qui. Ero la guardia del corpo di mia sorella, la sua ombra, la sua garanzia sulla vita. Come lei, anch'io sono ONE.”
Le palpebre chiuse, la voce rotta dalla commozione.
“L'unica rimasta.”
Gli agenti si accalcano davanti all'ingresso, pronti all'irruzione, sfondano la porta, la pistola in mano.
Una risata nervosa, Silman ripone il seme in tasca, estrae un telecomando.
“A quanto pare, non mi lasciate altra scelta. Mi dispiace, non volevo veramente farlo. Dovrò ripiegare... sul piano B.”
Il pollice tremante raggiunge il tasto rosso. Digrigna i denti, contrae i muscoli, uno spasmo inarrestabile.
Grida alle sue spalle, i poliziotti cadono a terra, rantolano, si dimenano.
Troppo tardi. Troppo... tardi.
Fiori scarlatti, germogliati in un istante, emergono dai polsi, li dissanguano completamente, uno dopo l'altro. Ventidue agenti di polizia, distesi sul pavimento, espressioni contorte sui loro volti. Cadaveri sulle scale, nell'atrio del palazzo, di fronte all'ingresso.
“Il boccione dell'acqua della centrale non è così difficile da manomettere. È stato semplice disciogliervi una fialetta di semi liquidi ad attivazione elettronica. Ho infettato tutti i miei colleghi – proprio tutti – dal primo all'ultimo. È stata sufficiente una trasmittente da poche sterline per attivarli. Devo dire che sono sorpreso, non mi aspettavo che fossero così efficienti.”
Vortag si avvicina ai corpi esanimi, li prende a calci.
“Sono veramente morti. Come Ivan. E Rico. Ed Edwardo. E il don.”
ONE trattiene un conato di vomito.
“Non capisco... era questo il piano B? Uccidere i tuoi colleghi?”
Silman si avvicina alla vasca, raccoglie il contenitore lanciato a Vortag.
“Non esattamente, piccola. Tu hai visto solo la punta dell'iceberg.”
Posa teatrale, studiata ma spontanea, Vortag si ferma ad osservarlo.
“Sono morti anche gli sbirri in centrale?”
“No, Vortag. Non è possibile, quel telecomando...”
“Cosa mi costa ammetterlo? Sì che sono morti.”
“Eh?”
Silman raggiunge il bordo, sfiora il liquido con l'indice.
“Pensate ad un'enorme rete, un insieme di microcelle che ricevono un segnale e lo ripetono all'infinito, in tutta la città.”
ONE spalanca le palpebre, arretra di un passo.
“Per una rete servono delle antenne. Quando le hai posizionate?”
Il palmo sulla fronte, un ghigno soddisfatto.
“E chi ha parlato di antenne? Siete completamente fuori strada! I ripetitori sono i semi stessi! Una volta condensati nelle vene dei polsi, sono in grado di trasmettere segnali elettrici su una determinata frequenza. In questo modo, ogni persona infetta si trasforma in una ricetrasmittente!”
Silman gesticola, traccia segni in aria con le mani.
“Nell'istante stesso in cui ho premuto l'interruttore, i miei semi si sono attivati, uccidendo all'istante tutti i portatori sani.”
“L'intero distretto di polizia?”
“Più o meno.”
Silman allunga il braccio, ruota il coperchio del barattolo, lo apre, lo rovescia.
“Aspetta cosa stai facendo? Non vorrai...”
Un sorrisetto soddisfatto.
Non accade nulla.
“Vuoto?”
“Sì.”
Silman getta il thermos, si siede su un tubo.
“Cosa ne dite se vi racconto una storia? Non è lunga, solo un po' complicata.”
Braccia conserte, gambe incrociate, il trionfo stampato sul suo volto.
“Dunque, da dove posso cominciare? Ah, sì. Io sono Rosenmaester. Voglio depurare il mondo da tutta la schifezza che lo infesta. Politici, finanzieri, criminali, chiunque non segua le mie regole. Compio alcuni esperimenti con i miei primi semi, poi raffino la tecnica e creo i miei fiori solubili. Ma un test va storto. Tu, ONE, trovi un seme che non ha attecchito e lo vendi all'asta. Lo acquista quel balordo di Chad d'Orsale. Cosa faccio? Be', tento l'impresa. Champagne adulterato, un tonico niente male. Muoiono tutti, tutti tranne Vortag Schlieber, una figura minore, un ritardato con problemi psichici, inviato alla ricerca di un droide fuggito. Me lo trovo davanti, durante la mia ispezione, sparo alla replicante. Sto acquisendo un master in roboautopsie, non so esattamente quale parte devo distruggere, comunque nessun problema: il robot sarà affidato ad Emmelyn Kranzner, di cui io sono assistente. La dottoressa rimuove il pannello protettivo, viene infettata dal seme, muore. Ovvio, dato che non indossa questi.”
Si sfila i guanti, li getta a terra.
“Sapete? I semi reagiscono al calore del corpo umano, non si attivano sotto i trentasei gradi, né se sono a contatto con uno spesso strato di materiale isolante. Una bella idea, mi permette di maneggiarli senza problemi, con le dovute precauzioni. Comunque sia... io mi avvicino, sparo al cuore del robot con la Sachson che ho portato con me di nascosto, apro la finestra per simulare l'intervento di un cecchino. Mi credono, sono libero di andarmene. Devo solo trovare Schlieber ed utilizzarlo come falso colpevole. Una volta che il babbeo è stato arrestato al mio posto, nascondo i miei semi in pacchi regalo per i bastardi che voglio uccidere e faccio piazza pulita. Rosenmaester scompare e Silman Simmerik continua a lavorare in polizia.”
Un sospiro contrariato.
“Questo era il piano A, la mia intenzione primaria. Per colpa vostra, non ho potuto portarlo a termine. Ho dovuto ripiegare sull'alternativa: versare i miei nuovi semi a moltiplicazione rapida nelle cisterne dell'acqua potabile. Riesci ad immaginare il risultato?”
“Tutti quelli che hanno bevuto l'acqua di rubinetto...”
“Esatto! Morti, tutti quanti, alla pressione di un semplice tasto.”
Apre la mano, il telecomando in bella mostra.
“Questo tasto.”
“Ma il recipiente era vuoto.”
“Vortag, mi deludi. Secondo te, vi avrei raccontato il mio piano nei dettagli, se aveste potuto ancora interferire? L'ho già messo in atto, tre giorni fa. Questo recipiente serviva solo ad alimentare la mia messinscena e proseguire col piano principale.”
Scrolla le spalle con noncuranza.
“Sfortunatamente, ho dovuto premere il pulsante.”
ONE sgrana gli occhi, tutto il corpo trema per un lungo istante.
“Non dirmi che...”
Un sorriso stanco, rassegnato, una scintilla di follia nelle iridi viola.
“Se vuoi non te lo dico, mia cara, ma sarebbe perfettamente inutile: sappiamo benissimo entrambi quale scenario ci aspetta là fuori.”
XX. Gran finale, interludio II
Silenzio per le vie della città, solo silenzio. Non un respiro, non un rumore.
Auto spente, con le chiavi inserite, borse cadute, palloni immobili. Nessuno passeggia, nessuna madre con i bambini, nessuna coppia di innamorati, nessun poliziotto di quartiere.
Il commissario Arocco è sdraiato nel suo letto, immobile, cereo.
Jeff Larkie, fermo davanti al computer, in quella guardina troppo stretta. L'ennesimo, massacrante, turno di notte.
Il fattorino della Spectra Express alla guida del suo furgone, pigramente parcheggiato in mezzo alla strada.
KZ-247 stesa sul lettino, di fronte ad uno schermo, le palpebre chiuse. Lo show di Eliphya è terminato da un pezzo, così come l'autonomia della sua batteria interna.
Emmelyn Kranzner è chiusa in una tomba, non può ammirare lo spettacolo.
Il vento crea minuscoli mulinelli di polvere e foglie, batte le strade lastricate, nel vuoto assoluto. Non può vedere, il vento, non ha gli occhi. Non si accorge dell'immenso prato fiorito, delle decine di corolle delicate, sbocciate in un istante al chiarore della Luna.
Non è curioso, il vento. Non si pone domande.
Un pianto lontano, un bambino nella culla che non riesce a prendere sonno. Piange sconsolato, cercando disperatamente una risposta.
Solo la brezza lo ascolta, solo la brezza lo conforta.
Un televisore acceso, un programma di cabaret che nessuno guarderà, una giostra scrostata in periferia, luminosa, i cavalli che ruotano avvolti da poche note allegre, distorte dalle casse malandate.
La notte striscia sui muri, i sensi in allerta, guardinga, terrorizzata. Non comprende il motivo di quel silenzio assordante.
Non sa che l'intera Northern Algol si è addormentata.
Per non svegliarsi mai più.
XXI. Gran finale, chiusura: I Fiori del Male
“Stai bluffando, non è così?”
“Perché dovrei, mia cara? Posso ammetterlo senza problemi, non ho più nulla da perdere. Ho solo applicato la soluzione definitiva, tutto qui. Un messaggio al mondo, qualcosa del tipo io posso colpire chi voglio, quando voglio, come voglio. Li immaginate i titoli dei giornali di domani? Intera città sterminata. Milioni di vittime. Sono quelle notizie che generano audience. I cronisti dovrebbero ringraziarmi.”
Vortag si gratta i capelli, confuso.
“Non sembra bello, ad orecchio.”
Silman scrocchia il collo.
“Questione di gusti. Ora siamo arrivati al momento dei saluti, direi. Sono tutti morti, nessuno può arrestarmi.”
Estrae la pistola, la Wentzel Sandstorm d'ordinanza.
“Rosenmaester si sposterà in un'altra città, sotto falso nome... e lì continuerà il suo operato.”
L'iride verde attraversata da un sussulto, determinazione, rabbia. ONE stringe il pugno, i tendini si contraggono, i muscoli si gonfiano.
“Non puoi cancellare la mia memoria con quella. Neanche la Sachson ti può aiutare. Anche se ti spostassi, io potrei testimoniare contro di te!”
“Sei davvero stupida, ONE. Una volta che ti avrò disattivato, getterò il tuo corpo in fondo alla vasca dell'acquedotto. Chi mai verrà a cercarti, là sotto? Quando ti troveranno, avrò già cambiato volto, nessuno sarà più in grado di riconoscermi.”
Un sorriso stampato sul volto.
“Come vedi, ho pensato a tutto.”
Vortag scatta in avanti, un passo nervoso, l'espressione smarrita.
“Perché noi non siamo morti?”
La mano di ONE sulla sua spalla.
“Vortag... la tua villa, la villa di don Chaddo è rifornita da un acquedotto privato. Tu non hai bevuto quella roba, io neppure. Non mi sono mai fidata dell'acqua di rubinetto.”
“Tu sei un robot, io mi chiedevo come mai Silman è ancora vivo. Neanche lui ha bevuto?”
“Bottigliette di plastica, hai presente? Comunque sia, ho evitato accuratamente di lavare la verdura o ingerire qualunque alimento entrato in contatto con i miei semi solubili, in questi ultimi tre giorni. Non ti sembra logico, Vortag?”
Denti da squalo in bella mostra, aguzzi, occhi piccoli, decisi. Snuda il bastone, preme il grilletto due volte, la sommità si apre, la canna di fucile emerge dal corpo centrale.
“Non male, Simmerik. Cosa ne dici se ti mando all'inferno? Biglietto di sola andata!”
Silman si abbassa, rasente al suolo, spara due colpi. Vortag nascosto dietro un tubo, i proiettili sibilano, ONE colpita di striscio alla spalla.
“Sei un'idiota, Schlieber! Cosa speri di ottenere? Se mi fermi ora, i parassiti non conosceranno la loro punizione! Lasciami andare e libererò questo stato dal male che lo divora!”
“Non ho capito un'acca, Simmerik. So solo che devo prendere i tuoi semi. Me l'ha ordinato ONE.”
ONE massaggia la ferita, si accuccia accanto ai dotti primari, pronta a scattare.
Altri tre spari, in rapida successione.
I bossoli feriscono l'intonaco, lasciano solchi profondi. Silman barricato dietro al pannello di controllo, le iridi viola in moto continuo. Si volta verso l'uscita.
Meno di dieci metri. Tre, quattro secondi al massimo.
La salvezza a pochi passi.
Esce allo scoperto, svuota il caricatore contro le pareti, Vortag immobile, nascosto da qualche parte. Silman gli volta le spalle, corre all'impazzata.
Un dito sul secondo grilletto, la canna rientra nel bastone, il manganello brandito a mo' di frusta. Il filo di nylon sferza l'aria, si aggancia alla gamba di Simmerik, lo trascina a terra, la pistola cade di mano.
“Il seme!”
ONE si rialza, corre verso Rosenmaester.
Uno scatto di reni, Silman afferra l'arma, spara alla gamba meccanica. La protesi salta in mille pezzi, la ragazza a terra.
Movimento rapido del braccio, la frusta si tende, Silman ruota su se stesso, cade di schianto sul fianco, il seme esce dalla tasca.
Vortag cammina lentamente, il cavo trattenuto con tutta la sua forza.
Un secondo strattone.
Le braccia mulinano senza controllo. Silman riapre gli occhi, riprende i sensi.
E l'orrore si impadronisce della sua mente.
E... ehi! Cosa...
È prono sulla gomma marcia, la mano destra sul suo petto, la sinistra distesa sul pavimento, ma il seme? Dov'è il seme?
Dov'è? Dov'è? Non lo vedo! Non lo vedo! Me l'ha rubato? No, no!
Una fitta al polso. Silman ruota il braccio, rapidamente. Piccole radici increspate tra le vene, un fiore minuscolo germina, germoglia a velocità impressionante.
“No... no!”
Cerca un coltello, per tagliarsi la mano, per impedire alla sua stessa creatura di ucciderlo.
“No! No!”
Nessun coltello, proprio nessuno!
Si dimena, cerca un appiglio, non lo trova. La corolla scintillante, un crisantemo emerso dal nulla, ancora del suo colore originale.
Ho ancora tempo! Ho ancora una possibilità! Voglio tornare a casa! Voglio vedere la puntata di Eliphya!
“Datemi un coltello, un'arma, qualsiasi cosa! Qualsiasi! Vortag, aiutami! Non voglio morire così!”
Vortag si china su di lui.
“Ogni tuo desiderio è un ordine.”
Il colpo in canna, il bastone addossato alla sua tempia. Silman sgrana gli occhi.
“Cosa...”
Un'esplosione nel silenzio.
Il braccio di Silman esanime, il fiore lievemente arrossato. Una pozza vermiglia, a pochi centimetri di distanza.
Vortag sorride, realizzato.
“Sei morto in un altro modo. Non sei contento?”
XXII. Epilogo
Rotaie, rotaie, rotaie. Rumori di fondo, un treno in movimento, ad alta velocità.
“Sai? Ancora non capisco come hai fatto a convincermi.”
“Non è stato difficile, Vortag.”
ONE apre il finestrino, lascia che il vento le accarezzi la pelle.
“Dove siamo diretti?”
“Non lo so. Questo era il primo treno in partenza. Ci sono salita così, senza pensarci.”
“Hai rinunciato all'idea di riparare tua sorella?”
“E come? Non sono in grado di ricostruire un droide K numerato. Ho solo recuperato il suo cuore...”
Occhi umidi, celati da ciocche ribelli.
“... sarà il mio più bel ricordo di lei.”
Vortag accasciato sul divanetto.
“Mi hai fatto un bello scherzo, all'acquedotto. Credevo veramente che fossi morta.”
“Era un bluff, ovviamente.”
Campagne sullo sfondo, una mucca bruca svogliatamente l'erba. Pecore a non finire.
“Sotto la tuta avevo uno strato di materiale meccanico. Sai com'è, devo essere sempre pronta a spacciarmi per una replica.”
“Quindi Silman ha ucciso un robot.”
“Lei era qualcosa di più di un robot.”
Una maglietta bianca lunga fino all'ombelico, un paio di pantaloni marroni, stivali neri, i capelli biondi sciolti.
“Volevo incastrare Silman, costringerlo a cedere. Purtroppo ho ottenuto il risultato opposto. Per colpa mia, ha ucciso un'intera città.”
Un pianto sommesso, si volta per non farsi vedere.
“Cinque milioni e mezzo di morti. Solo tremila superstiti. È stata un'ecatombe.”
Vortag si sistema gli occhiali neri, triangolari. Chiude i polsini a forma di pescecane.
“Mi è sembrato di tornare a villa Magnificentia. Tutti quei cadaveri fioriti per strada...”
“No. Non è stata la vista dei corpi a spaventarmi.”
Si asciuga le lacrime con un fazzoletto.
“Il silenzio, Vortag. È stato il silenzio a farmi saltare i nervi. E quel vagito lontano! Mio Dio, riesci ad immaginarlo? Un bambino in una culla che chiamava i genitori! Entrambi morti! Ero sul punto di svenire.”
“Ma quel neonato lo abbiamo recuperato, no? Lo abbiamo portato all'ospedale di Carrick.”
“Non era quello il discorso, Vortag. Grazie comunque.”
Una galleria, il treno sferraglia senza meta.
“Cosa farai ora, ONE?”
“Abbandonerò questo nome, prima di tutto. Da oggi torno ad essere Sapphire Holten. Con il crimine ho chiuso, questa esperienza mi ha scioccato.”
Un sospiro amaro.
“Penso che mi trasferirò in Benelance. Lì ho ancora qualche amico. Tu invece?”
Vortag ride sguaiatamente.
“Non ne ho idea. Magari potrei venire con te.”
“Scordatelo.”
Il convoglio rallenta, una vecchia stazione, i muri scrostati, poche finestre, graffiti ovunque.
Immagini di vita, gabbiani che giocano con delfini, ombre dagli occhi scintillanti aggrappate alla luna, un cuore pulsante avvolto da spine. Aiuole ben curate, cespugli di rose. Due soli binari, il nome illeggibile.
“Carino questo posto. Come si chiama?”
“Leverande. Ci sono stato una volta per conto del don. Dovevo smerciare una partita di cocaina.”
La motrice frena, si ferma. Un sibilo tenue, le porte si sbloccano. Sapphire si alza dal divanetto.
“Ho voglia di vedere qualcosa di bello. Io scendo qui.”
Raccoglie la borsa, i suoi pochi effetti personali, tira giù la valigia dal portapacchi.
“Devo sbrigarmi prima che il treno riparta.”
Corre verso l'uscita, trafelata. Vortag fermo, impassibile.
“Tu non vieni?”
“No.”
La ragazza indugia sulla soglia per un attimo. Il capotreno le fa segno di scendere, di affrettarsi.
“Il don aveva un'altra villa, a Carthias, dall'altra parte dello stretto. Me ne sono ricordato ora. Andrò là.”
“Allora... addio Vortag. E buona fortuna.”
Un sorrisetto divertito, le tende la mano inguantata. Sapphire la stringe, un cenno col capo, poi via, verso la stazione.
Le porte si chiudono, il volto di Vortag scompare dietro i finestrini scuri.
E il treno riprende la sua corsa, verso una destinazione ignota.
IIIXX. ...ettoN al
“Che perfezione! Quanta purezza!”
Gli occhi oscillano, a destra, a sinistra, tra i fiori, tra le corolle, sotto il pallido disco d'argento. Palazzi vuoti, silenziosi, infestati da rampicanti. E il silenzio.
“Qui la notte è perfetta, è perfetta! Ah, quanta purezza! Ah, la notte! La notte!”
Alza il polso martoriato da un crisantemo, un fiore pallido, appena rossiccio.
“Che bella, la notte! Che belli i fiori! Ah, sì! I fiori! Però la notte è meglio, eh? E se le parlassi? Bello, bello! Sì, potrei parlarle! Magari mi ascolta, eh? Magari mi risponde pure!”
La mano raggiunge la testa, la accarezza con decisione, con precisione, il foro d'ingresso, il foro d'uscita.
“Non sarebbe bello se la notte fosse così ovunque? Potrei portarla, potrei farlo. Già, già! Ma ora devo incontrarla, devo vederla. Altrimenti, che senso ha?”
Le dita strette in un pugno.
“Eh, eh! Se sono qui è perché lo vuole lei, è perché lei mi ascolta, ascolta le mie preghiere. Tutti morti, tutti! Tranne me! Eh, eh! Eh, eh!”
Una cantilena appena accennata, passi lenti nel buio.
E la notte a fargli da scudo.