Cross! - Atto Terzo (2017, incompleto)

"Cross!" è IL mio racconto, IL mio romanzo che più si avvicina ad una light novel shonen. Sono passati duecento anni dall'ascesa del Maligno, che ha preso il controllo della Terra dopo essere uscito dall'Inferno con le sue armate. Due secoli dopo, un prete armato del Chiodo della Vera Croce, intraprende una crociata solitaria, un pellegrinaggio verso il territorio del Maligno, col fine ultimo di esorcizzare qualunque demone incontri sulla sua strada. "Cross!" è semplicamente fuori di testa e lo adoro per questo. Atto Primo e Atto Secondo sono completi, sfortunatamente, Atto Terzo non ha mai visto la luce del Sole ed è stato lasciato incompiuto. Ad ogni modo, i primi due Atti possono essere letti come storie complete, con un inizio ed una fine. Spero che le avventure di Padre Thornheart Ashburnt e dei suoi improbabili alleati possano strapparvi qualche risata, come è successo a me mentre le scrivevo.
Dove eravamo rimasti:
Tempi duri al di là del Confine! Padre Ashburnt ha raggiunto il territorio del Maligno assieme ai suoi compagni... ma non senza imprevisti: demoni ricercatori, angeli impazziti, il Santo Padre alle calcagna, il tutto condito da situazioni equivoche ed eventi imbarazzanti. D'altronde, cos'altro può capitare quando un'ex-succube ed una spia doppiogiochista diventano quasi ufficialmente una coppia e Mikael non è più Mikael (anzi, non è mai stata Mikael) ed è ora un grazioso ibrido chiamato – con poca fantasia – Patchwork? Per complicare ancora un po' la situazione, nuovi bizzarri alleati si sono aggiunti al gruppo e una Santa Reliquia è stata distrutta per sempre.
Dall'altro lato delle Terre Desolate, padre Rejo – l'esorcista della Sacra Sindone – è venuto a sapere da San Giovanni (Yehohanàn) che Dio è morto e che il mondo poggia sulle spalle del Maligno. Ciononostante, è fermamente deciso ad intraprendere la sua crociata per distruggerlo. La prossima tappa del suo gruppo è la misteriosa città di Dite...
0. Tre anni prima
“Magdalen!”
Una casa di campagna, vigneti immensi fino alle colline, fino al sole calante. Una giovane donna, esile, capelli azzurri lunghi fino alla base della schiena, occhi rossi luccicanti, un cappello di paglia, un vestito bianco corto, sandali a completare il dipinto. La voce di un uomo a chiamarla, giovane anche lui.
“Magdalen! Ti ho cercata dappertutto!”
“Thorn...”
L'uomo respira affannosamente, si sistema gli occhiali da vista. Media altezza, capelli arancioni occhi di smeraldo, vestito in un elegante completo scuro. La giovane lo bacia sulla guancia, lo aiuta a rialzarsi.
“Adoro questo posto. Grazie, grazie di avermici portato! È così bello, Thorn!”
Thorn scrolla le spalle, abbozza un sorriso.
“Ne sono contento. L'ho comprato per me... per noi. L'eredità di mio padre, Leonheart. È la nostra casa, ora. Dopo il matrimonio, ci stabiliremo qui, lontani dal mondo, e avremo tutti i bambini che hai sempre voluto.”
“Dici che vedremo anche le balene volanti? E gli spiriti dei navigatori celesti?”
“... Magdalen, non esiste nulla del genere.”
“Eeeeh? Ma i miei amici...”
“Ne abbiamo già parlato, Magdalen. Non puoi fidarti dei tuoi amici immaginari. Ma non è un problema, quando vivremo assieme, non sarai più sola.”
Magdalen ricambia il sorriso, arrossisce lievement.
“Thorn... te l'ho già detto, io non sono mai stata sola. Ho un sacco di voci in testa che mi tengono compagnia da quando sono nata.”
“... a quelle mi riferivo, alle voci. Quelle per cui a momenti non venivi bruciata sul rogo.”
“Questo è un colpo basso! Non è colpa loro se qui sono tutti così arretrati!”
“Magdalen... mio zio Ironheart è un esorcista della Santa Chiesa, mio padre Leonheart è stato una Guardia Svizzera per il papa ed è morto in servizio, cosa ti aspettavi? Che la mia famiglia accogliesse a braccia aperte una diciannovenne non-credente, non-battezzata che dice di sentire voci di persone inesistenti ad ogni ora del giorno?”
Magdalen si getta su di lui, lo abbraccia.
“... quando sono con te, rimangono mute. Mi lasciano in pace, sanno che voglio stare sola con te. Rispettano i miei desideri, non sono cattive. È questo mondo che è stupido!”
“Beh, il nostro pianeta è giovane, ha solo seimila anni, dopotutto.”
Magdalen lo osserva con aria di rimprovero.
“Thorn, non dire fesserie! Smettila di ascoltare quel gorilla di tuo zio, ti fa il lavaggio del cervello!”
Thorn rimane in silenzio, osserva i suoi occhi di rubino accendersi come braci al tramonto.
“Questo pianeta esiste da sei miliardi di anni. Ruota attorno al Sole – da cui dista circa centocinquanta milioni di chilometri – in approssimativamente trecentosessantacinque giorni, ad una velocità orbitale media di ventinove virgola otto chilometri al secondo. E ne abbiamo le prove!”
Thorn scoppia in una risata di cuore, bacia Magdalen sulla fronte.
“Lo so, lo so, piccola! Ti stavo solo mettendo alla prova!”
“Guarda che se tiri ancora in ballo la Bibbia, giuro che prendo un metro e faccio il giro del mondo per dimostrarti che ho ragione, poi ti prendo a calci! Sono seria, Thorn! Smettila di seguire quello che dice il Papa come se fosse la verità! Quel vecchio incartapecorito diffonde solo menzogne!”
“Non ce ne sarà bisogno, Magdalen, ti credo, ti credo!”
I due si abbracciano, Magdalen poggia la testa sulla spalla di Thorn.
“Quando sarà il matrimonio? Hai già prenotato la chiesa?”
“Tra tre mesi, così avrai tempo di farti battezzare e di prendere comunione e cresima. Lo celebrerà zio Ironheart.”
“Di tutti i preti, proprio lui...”
“Era il primo disponibile e l'unico a chiudere un occhio... sulle tue bizzarrie. Certe volte ti comporti come una bambina che non ha idea di come funzioni il mondo.”
“Forse perché lo sono.”
Un silenzio leggero, interrotto solo da una dolce brezza in sottofondo. Magdalen chiude gli occhi, si lascia cullare da Thorn.
“... Thorn, la nostra sarà una favola a lieto fine, vero? La ragazza venuta dal nulla e il figlio di una nobile casata che si innamorano e decidono di vivere assieme... anche se sono così giovani.”
“Non potrei chiedere di più.”
“Ascolta...”
Magdalen si allontana un poco, lo fissa negli occhi, il rubino incontra lo smeraldo.
“... cosa faresti se un demone irrompesse nella chiesa il giorno del nostro matrimonio e mi rapisse, portandomi via con sé?”
Thorn le strizza la guancia con due dita, osserva divertito la smorfia sul suo viso.
“Lo inseguirei in capo al mondo, lo prenderei a calci in culo e ti porterei indietro con me.”
“Come il principe di una fiaba?”
“Come il principe di una fiaba.”
Magdalen si massaggia la guancia arrossata, si accoccola tra le braccia del suo futuro sposo.
“Sarebbe fantastico, Thorn. Una storia perfetta. Un modo incredibile per coronare la nostra vita assieme! Non sarebbe un finale incredibile?”
“Ascoltami, piccola... non permetterò mai ad un demone, neanche fosse Belzebù in persona, di separarci.”
Thorn accompagna le sue parole con un segno della croce.
“Parola di Thornheart Ashburnt.”
1. L'Uomo nello Specchio (I)
Il fruscio delle fronde, il soffio della brezza leggera, lo scroscio gentile di un fiume in lontananza. La Luna fa capolino in alto nel cielo, rischiarando con dolcezza le cime degli alberi. Il frinire dei grilli, un concerto di cicale in sottofondo. E il borbottio di un motore guasto. Condito da una pioggia di insulti.
“Aaaargh! Dannato. Bastardo!”
Sinisa gira la chiave più volte, preme a fondo l'acceleratore, tira la leva del cambio sin quasi a sradicarla. L'indice scorre tra i controlli, le spie luminose accese a intermittenza, le luci di un albero di Natale fuori stagione. Un sospiro alle sue spalle. Rejo rotea le pupille, le braccia incrociate, la schiena poggiata al fianco della vettura.
“Sono due ore che provi a farla ripartire. Forse è ora di smetterla e di trovare un luogo sicuro dove passare la notte, no?”
“Uuuuh...”
Sinisa strappa la chiave dal quadro comandi, un movimento secco, le unghie graffiano il volante, le lacrime sgorgano dagli occhi, le iridi viola appannate.
“L'ho... l'ho delusa, padre Rejo! È tutta colpa miaaaaa! Non ho saputo scegliere una macchina decente! Il Santo Padre mi ucciderà quando saprà che la missione è fallita a causa...”
“E piantala!”
Un pugno sulla nuca, la fronte stampata sul clacson, lo squillo di tromba. Alcuni scoiattoli sussultano per lo spavento, un paio di uccelli senza ali fanno capolino dai cespugli. Liliel sdraiata sul tettuccio della macchina, lo sguardo alla Luna, le mani come cuscino, le gambe accavallate. L'aureola risplende, un tiepido bagliore nell'atmosfera notturna.
“Unghiefucsia, sei una lagna mostruosa. Se non fosse stato per te, a quest'ora avremmo già trovato un riparo.”
Rejo solleva i palmi al cielo, scuote il capo con rassegnazione.
“Mi dispiace ammetterlo, ma stavolta il pupazzo ha ragione.”
Liliel rotola sul tetto, una venuzza in rilievo sotto i capelli candidi.
“Pupazzo, rottame, manichino a molla... certo che ne ha di fantasia, quando vuole descrivermi.”
Uno sbuffo seccato, le palpebre calate.
“Non meriti risposta.”
Sinisa emerge dall'abitacolo, apre il bagagliaio, osserva malinconicamente il contenuto.
“E... e ora come ci portiamo dietro tutto? Cibo, vestiti, le indulgenze! Aaaah! Non posso pensare di lasciarle qui! P... padre Rejo, come...”
“Abbiamo problemi più urgenti. Tipo, sopravvivere. Ricordi cosa ci ha detto Yehohanàn? Di notte, questi boschi pullulano di lupi e di demoni. A questo punto, ci conviene proseguire a piedi. E in fretta.”
Liliel si mette a sedere, la mano attorno all'orecchio.
“Sento lo scroscio dell'acqua, a ovest. Un fiume, forse. Se lo raggiungiamo, dovremmo essere più al sicuro che qui.”
Rejo non aspetta, muove il primo passo. In direzione opposta a quella indicata da Liliel.
“Ehi! Ma mi ascolti quando parlo?!”
“No. Ho inserito un filtro nel mio cervello per eliminare automaticamente la tua voce. Devo dire che funziona a meraviglia.”
Liliel salta giù dal tetto, unisce le mani dietro la schiena, mormora qualcosa di incomprensibile.
“... simpatico come un'orticaria...”
Sinisa trascina le valigie con sé, segue il duo a poca distanza.
“E... ehi! A... aspettate! Non posso portare tutto da solo!”
Un'occhiataccia torva in risposta.
“Chi di noi tre ha scelto un'auto difettosa e si è ostinato a cercare di farla ripartire?”
Sinisa deglutisce a fatica, si dirige rapidamente verso il bagagliaio, scarica alcune valigie, ne sistema un paio sulla schiena, le altre tenute per le maniglie. Rejo allunga il passo, Liliel trotterella attorno ai due. Un fruscio nella vegetazione, alcuni rami piegati. Liliel si ferma, osserva i dintorni per un attimo. Silenzio assoluto, non un rumore.
“Strano...”
Sinisa avanza lentamente, la montagna di bagagli trasportata con sovrumana devozione. Un luccichio alla sua sinistra, un movimento notato con la coda dell'occhio. Sinisa sistema gli occhiali, ruota rapidamente il capo. Niente.
“Uh?”
Rejo osserva innervosito, incrocia le braccia.
“La smettete di fermarvi ogni quindici secondi? Cosa c'è di così interessante qui attorno? Aspettate, magari provo ad elencarlo.”
Il moto rapido dell'indice, centoottanta gradi di rotazione.
“Stupidi alberi, stupidi cespugli, stupidi scoiattoli, stupidi uccelli senza ali, stupide fronde, uno stupido sentiero, stupidi cadaveri di demoni impiccati, stupidi...”
Un istante di gelo, l'indice torna indietro di scatto.
“Eh?”
La mandibola di Sinisa si schianta per terra, Liliel strabuzza gli occhi.
Cuccioli. Decine di cuccioli. Impiccati con fili sottili, quasi come tela di ragno. Rejo si avvicina lentamente ad uno di loro, sfiora la pelle scura.
“Sono morti.”
Liliel si stringe tra le braccia, i mozziconi di ala sbattono con furore, la voce acutissima.
“C... che crudeltà! Così, non possono neanche reincarnarsi...”
Rejo stringe le palpebre, rotea il capo.
“Cosa vuoi dire?”
“Se non toccano terra, i corpi non possono dissolversi ed essere riassorbiti o ridistribuiti! Lo sa, no, come nascono i nuovi demoni? Anche per noi angeli è lo stesso...”
Rejo sbuffa, le spalle scrollate con noncuranza.
“L'unico demone buono è un demone morto. Sono i vivi a preoccuparmi.”
Un rapido segno della croce, l'aura dorata divampa.
“Sudario eterno, secondo miracolo – Rete Mistica!”
Le spire della sindone si dipanano dalla schiena, stringono le membra delle creature. Lampi di luce, un flusso continuo di informazioni.
“Voglio scoprire l'artefice di questo massacro! Un mostro capace di uccidere così tanti cuccioli in un modo così atroce...”
Rejo strabuzza gli occhi, le pupille dilatate.
“N... non ha senso! Nella loro memoria vedo solo... solo un demone cieco. Poi, buio. E basta. Solamente... buio.”
Sinisa trema come una foglia, le ginocchia come un budino. Liliel si aggrappa al braccio di Rejo, lo stringe con forza.
“P... padre Rejo... un demone che uccide altri demoni? N... non ha senso!”
“L... lasciami!”
Rejo scuote il braccio, lascia cadere Liliel. Le spire della sindone si riavvolgono nel corpo, la mente scandaglia i paraggi.
“Padre?”
Un ruggito animalesco, il ringhio di una bestia feroce.
“Silenzio, pupazzo! Sto cercando di concentrarmi!”
Le mani giunte in preghiera, i denti digrignati, le palpebre serrate.
“Sudario eterno, primo mistero – Spire della Sindone!!!”
Le bende si espandono dai polsi di Rejo, puntano come una freccia tra gli alberi, si contorcono in una lancia improvvisata. Un rumore metallico, i tentacoli si sfaldano, tornano a Rejo.
Un battito di mani in risposta, un fruscio tra le fronde.
“Oh, ma pensa te... complimenti. Davvero complimenti.”
Passi leggeri attraverso la vegetazione, una figura snella emerge dagli alberi. Scarpe di cuoio, pantaloni in tinta, giacchetta di pelle scura in perfetto ordine. Un tatuaggio attorno all'occhio sinistro, iridi verdi, capelli rosati acconciati in un ciuffo vaporoso. Uno specchio d'argento nella mano destra, un pettine in quella sinistra. Rejo socchiude le palpebre.
“Un essere umano...”
Un sorriso sprezzante, il pettine passato attraverso le ciocche ribelli.
“Uh, uh. Mi chiamo Rigel Narcisso. Abito in una casa poco distante da qui. Ho sentito delle urla e sono corso a vedere cosa fosse successo. Non mi sarei mai aspettato di incontrare due uomini e un angelo handicappato. Ah, ma pensa te!”
Rejo spegne lentamente l'aura, richiama le spire.
“Quindi sei della zona. Quanto dista Dite?”
Rigel incrocia le braccia, solleva il palmo al cielo.
“Dite? Oh, oh! Sono almeno altri dieci chilometri di cammino verso ovest. Non penserete davvero di raggiungerla, mi domando...”
L'indice puntato verso Rejo, diretto tra gli occhi.
“... specie con tutta la stanchezza che ti si legge sul volto, caro. No, tu non puoi reggere ancora a lungo, basta guardarti in faccia.”
Le pupille di Rigel indagano il volto di Rejo, ogni ruga, ogni poro della pelle.
“Oh, mamma mia, che occhiaie spaventose! O non dormi da due giorni, o l'angioletto sta animando le tue notti in maniera egregia!”
Il volto di Liliel divampa, la voce bloccata in gola. Rejo scuote il capo, sbuffa indispettito.
“... per carità, smettila di dire idiozie.”
“In ogni caso, dovresti riguardarti un po'. Il tuo riflesso non promette niente di buono...”
Il polpastrello scivola sullo specchio, punta sulla figura di Rejo. Un ghigno sadico, la lingua inumidisce le labbra.
“... e la tua anima corrotta è nera come il carbone, padre Yanma Rejo, portatore della Sacra Sindone!”
Rigel ruota su se stesso, lancia il pettine in aria. La mano sinistra danza con gesti eleganti, gli occhi chiusi, le labbra contratte in una smorfia. Rejo allarga le braccia, l'aura divampa.
“Come...”
Sinisa lascia cadere i bagagli, estrae il pennello, assume posizione di guardia. Liliel balza all'indietro, la mano destra al cielo, la sinistra a sostenere il gomito. Rigel chiude il pugno, l'energia concentrata tra le dita.
“Silver Crystal Flaaaaash!”
Un lampo argenteo, polvere di stelle, un turbine di frammenti di vetro. Rejo scarta di lato, Sinisa e Liliel si gettano a terra. Rigel afferra il pettine al volo, sistema i capelli.
“Oh, ma pensa te! Booth aveva ragione, dopotutto. Ho trovato gli assassini della mia povera sorellina Nyce.”
Rejo contrae i muscoli, si rialza, spolvera la tonaca.
“Quella mocciosa che ha tentato di uccidermi sul treno...”
Rigel stringe le dita fino a graffiarsi con le unghie, un mugolio prolungato.
“Quella mocciosa è stata costretta ad attaccarvi. Invece di aiutarla, voi...”
Una risata improvvisa, macabra.
“... oh, beh. Ma cosa potevo aspettarmi? Dopotutto... la tua anima è così sporca, padre!”
Rigel alza la mano, solleva lo specchio.
“Diamole una ripulita!”
2. L'Uomo nello Specchio (II)
Il pugno attraversa la superficie lucida, si schianta con forza sull'immagine riflessa. Rejo piegato a metà, la bocca spalancata in una smorfia di dolore.
“U... ugh!”
Sinisa urla a squarciagola, tende la mano.
“P... padre Rejo!”
Un altro pugno attraverso lo specchio. Il mento di Rejo scatta all'insù, gocce di saliva sparse, l'impatto violento col suolo. Rigel ridacchia, si esibisce in un inchino perfetto.
“Glielo dicevo che aveva bisogno di riposo, padre.”
Un urlo acuto, Sinisa strabuzza gli occhi.
“Padre Rejoooo!”
Sinisa stringe la mano, il pennello puntato contro il nemico.
“Nessuno può attaccare un esorcista della Santa Chiesa senza subirne le conseguenze! Pennello dell'Artefice, proiezio...”
“Umph.”
La mano di Rigel si fonde con la superficie trasparente, colpisce il riflesso. Sinisa si piega a metà, vola contro un albero, spezza il tronco per l'impatto. Gli occhiali volteggiano in aria, rimbalzano per terra, una lente incrinata. Rigel si spazzola la spallina della giacca, un sorriso soddisfatto tra le labbra.
“Ah, ma pensa te! Quindi sarebbero queste le conseguenze? Brrr... tremo come una foglia.”
Liliel deglutisce a fatica, si avvicina a Rejo, scrolla il braccio con forza.
“P... padre Rejo? Padre?”
Rigel pettina i capelli con un gesto sprezzante, punta lo specchio verso la ragazza.
“Sei rimasta solo tu, angioletto... ma sarò galante. Se te ne vai, ti risparmierò la vita.”
Le spalle scrollate, il capo scosso.
“Sai com'è, non mi piace picchiare le donne.”
Un bagliore verde attraversa l'aria, la mano di Liliel levata al cielo.
“Ah, sì? Peccato...”
Una lama emerge dal nulla, l'impugnatura stretta tra le dita sottili. Taming Sari svetta maestosamente, scintillando alla luce della Luna.
“... io non mi faccio problemi a pestare gli uomini!”
Rigel socchiude le palpebre, ripone il pettine nel taschino della giacca. Liliel sfodera l'arma, rimane a distanza di sicurezza. Un passo, un altro passo, un moto circolare attorno ad un centro comune, mantenendo il contatto visivo. Liliel respira profondamente, tiene lo specchio sotto controllo. Rigel batte il piede per terra con curata teatralità.
“Oh, dovrò andare contro il galateo per uccidere un angelo difettoso. Che volgarità...”
Liliel continua ad osservare, la mente concentrata su quanto visto in precedenza. Rigel rotea gli occhi, alza la mano libera, apre l'indice, il pollice, il medio.
“Silver Crystal Flash!”
Un raggio argenteo sprigionato dal palmo, il bagliore di cento stelle. Liliel rotea rapidamente la daga, caratteri orientali compaiono sulla lama.
“Taming Sari, rispondi al mio canto! Petali di Sangue!”
Una raffica di frammenti diretti verso il nemico, il raggio intercettato, deflesso. Alcune schegge attraversano il flusso di energia, raggiungono il bersaglio. Uno squarcio appena sotto l'occhio, un rivolo di sangue lungo la guancia. Rigel porta la mano al volto, la ritrae, osserva allibito.
“Come hai... osato?”
Un rumore sordo, Rigel alza lo sguardo, Liliel in salto, la lama sguainata. L'uomo inarca il busto, evita l'assalto per un soffio, alcune ciocche di capelli strappate. Liliel atterra malamente, rotola per terra. Rigel apre la mano, solo il mignolo lasciato piegato.
“Silver Crystal Novaaaaa!”
Un anello di luce attorno al braccio, un raggio di potenza immane scaturisce dal palmo. Liliel si fa scudo con Taming Sari, l'impatto violento, il corpo scagliato all'indietro, le scarpe solcano il terriccio umido. Una pioggia di vetro, la pelle di Liliel ricoperta di tagli, squarci sulla maglia, sui pantaloni, sulle mani, sui mozziconi d'ala.
“Aaaah!”
Rejo affonda le unghie nella polvere, si rialza di scatto.
“Sudario eterno, primo mistero – Spire della Sindone!”
Tentacoli di tessuto ocra emergono dal corpo di Rejo, convergono sul bersaglio. Rigel stringe le palpebre, alza lo specchio, solleva il pugno.
“Forse non ci siamo capiti!”
La mano attraversa la superficie dello specchio una, due, tre volte. Le spire bloccate a mezz'aria, il corpo di Rejo scosso da colpi violenti. Rejo punta i piedi, mantiene la posizione. Liliel vince il dolore, stringe l'impugnatura del kris con forza. Rigel morde nervosamente il labbro, chiuso tra due fuochi.
“Ma pensa te. A quanto pare non avete intenzione di desistere...”
Un movimento rapido, un calcio rotante, Liliel colpita in pieno viso. La rotazione continua, una gomitata nello stomaco, Liliel incespica, crolla in ginocchio senza fiato. Rigel salta all'indietro, una capriola in aria, un colpo di tacco sul mento di Rejo, il contraccolpo, l'atterraggio elegante.
“... be', peggio per voi.”
Rejo ripulisce la saliva, la mano tremante, i muscoli contratti.
“Il tuo maledetto specchio mi sta dando sui nervi...”
Le braccia spalancate, l'energia scorre attraverso le nervature della sindone.
“... ora voglio capire come funziona!”
“Tsk.”
L'indice di Rigel attraversa la superficie riflettente, il capo di Rejo rimbalza all'indietro, l'energia dissipata.
“Ugh.”
Rigel immerge la mano dentro lo specchio, apre tutte le dita tranne il mignolo. Rejo sente una stretta al cuore, le pupille ridotte a puntini microscopici.
“Goodbye, padre Rejo. La tua anima marcia esploderà in un concerto di mille soli ardenti.”
Un anello di luce attorno al braccio di Rigel, filamenti luminosi lungo la pelle.
“Silver Crystal...”
“... Essenza Sfregiataaaa!”
Un bagliore verde, uno squarcio scintillante. Il braccio sinistro di Rigel spiccato dal busto, lo specchio in volo. Taming Sari circondata da un'aura fiammeggiante, Liliel di nuovo in piedi, ansimante, le ferite aperte, un occhio chiuso, i moncherini oscillanti. Prima di cadere di nuovo in ginocchio, priva di forze. Rigel strabuzza gli occhi, perde l'equilibrio, l'energia condensata esplode, il raggio emesso a tutta forza. Una parte colpisce lo specchio, ne viene assorbito. Il fianco di Rejo trafitto, un'esplosione violenta, l'abito bianco ricoperto da una pioggia vermiglia.
“Argh!”
Rigel rotola a terra, la mano sulla spalla, inzuppata di sangue.
“Silver... Crystal... Flash!”
Rigel spara il colpo contro ciò che resta del suo avambraccio, il calore sprigionato cauterizza la ferita, blocca l'emorragia. Un colpo di reni, lo specchio atterrato a pochi centimetri.
“Devo riprenderlo...”
La mano estesa, le dita a quasi a contatto con la cornice lucida. Un bagliore dorato alle sue spalle, Rejo completamente ristabilito, pronto alla chiusura.
“Sprofonda nel baratro della disperazione! Sudario eterno, primo mistero – Spire della Sindoneee!”
I tentacoli di lino si contorcono, sibilano come le teste di idra. Rigel afferra l'impugnatura dello specchio, lo ruota verso Rejo. Le spire vengono attirate dalla superficie riflettente, assorbite al suo interno.
“Ma cosa...”
Rejo non ha tempo di finire la frase. Le spire riemergono dall'interno suo stesso corpo, impalandolo in ogni direzione, tra urla strazianti di dolore. Rigel sogghigna, si rialza, si avvicina lentamente all'esorcista, ammira il risultato con piacere. Sinisa privo di sensi tra i resti di un albero spezzato, Liliel in ginocchio quasi priva di forze, Rejo riverso a terra, il busto dilaniato. Un sorriso forzato.
“M... ma pensa te. H... ho perso un braccio per sistemarvi.”
Le spalle scrollate con noncuranza.
“U... Umph. Ne è valsa la pena. Booth mi ricoprirà d'oro se gli porterò la Sindone...”
Una scheggia di metallo a velocità supersonica, a pochi millimetri dalla tempia. Rigel ruota il capo, solleva lo specchio. Liliel in posizione di guardia, le gambe instabili, il respiro pesante. Le iridi viola brillano nel buio notturno, Taming Sari riluce come uno smeraldo. Rigel si morde le labbra, gli occhi passano rapidamente dallo specchio all'angelo, sudore freddo.
“Vuoi veramente attaccarmi... sapendo che posso ucciderti con la tua stessa arma?”
Liliel espira profondamente, cerca il contatto visivo.
“Puoi smetterla di recitare, idiota. Guarda che ho capito.”
Rigel si irrigidisce, mantiene la distanza. Liliel continua imperterrita, la voce sempre più decisa, le forze rinvigorite.
“Mi hai sempre attaccato con i tuoi raggi, finora. Non hai mai usato lo specchio per colpirmi. Nemmeno una volta.”
Liliel si lancia verso l'avversario, il kris brandito con violenza. Rigel para con il retro dello specchio, scivola all'indietro. L'angelo riprende fiato, prepara un altro assalto.
“Ma Rejo e Sinisa li hai liquidati così facilmente grazie ai tuoi riflessi! Perché per me dovrebbe essere diverso?”
“Che vuoi farci, sono un gentleman. E tu sei una donna!”
Rigel scaglia lo specchio in alto, apre tre dita.
“Silver Crystal Flash!”
Liliel scarta di lato, si aggrappa al ramo di un albero, lo usa per darsi la spinta. Il raggio squarcia le fronde, manca completamente il bersaglio. Rigel alza la mano, afferra lo specchio al volo. Liliel agita il kris, urla il suo mantra a squarciagola.
“Taming Sari, ascolta il mio canto! Essenza Sfregiata!”
Un'onda verdastra fende l'aria, distorce lo spazio. Rigel la evita per un soffio, perde l'equilibrio, scivola, la schiena a terra. Liliel salta dal ramo, l'adrenalina inibisce il dolore.
“Guarda che ho capito, Rigel! Grazie al tuo specchio, puoi colpire l'anima di chiunque vi si sia riflesso almeno una volta... e, danneggiando l'anima, ne ferisci anche il corpo, non è così?”
Rigel scosta il capo appena in tempo, la daga piantata nel terreno. Rotazione rapida sul fianco, il ritorno alla posizione eretta. Liliel arretra, le pupille si assottigliano, le iridi virano dal viola al rosso. La lama portata alle labbra, la lingua scorre sul metallo.
“Ma io non ho un'anima! Io sono solo una creatura artificiale!”
Rigel si guarda attorno, analizza la situazione. Alberi alle sue spalle, ai lati. Nessuna possibilità di fuga. Un grugnito indispettito, lo specchio lasciato cadere per terra, il rimbalzo della cornice, la mano completamente aperta. La determinazione di giocarsi il tutto per tutto. Liliel solleva l'arma al cielo, fiamme verdastre attorno al metallo.
“Taming Sari, sovrasta il mio canto...”
Rigel digrigna i denti, spalanca gli occhi, alza il braccio. Strali di energia bizzosi, concentrati attorno alle spalle, tre cerchi in successione, dal gomito al polso.
“Silver Crystal...”
“... Squarcio nei Cieli!”
“... Eeeeeend!”
Un raggio argenteo esplode dal palmo di Rigel, la lama del kris taglia la realtà, divide la materia. Il raggio si spezza a metà, si disperde, mentre la lama eterea procede senza incontrare resistenza. Rigel intensifica l'attacco, emette il massimo dell'energia. Ma non basta. Il braccio destro si stacca con violenza, disintegrandosi in una nuvola di cenere, il sangue coagulato dal calore.
“Aaaagh!”
Rigel mantiene a fatica l'equilibrio, il volto segnato dal dolore. Liliel sorride sarcastica, gli occhi di brace, la daga leccata con lascivia. Rigel corruga la fronte, la voce ridotta ad un sussurro.
“M... ma pensa te. A quanto pare, h... ho perso.”
Uno scatto violento, lo specchio afferrato con i denti, ruotato verso il suo viso.
“... o forse no?”
Liliel rotea l'arma, piega le ginocchia.
“C... cosa vuoi fare?”
Un occhiolino malizioso, la testa premuta contro la superficie di vetro.
“Semplice...”
La guancia attraversa il riflesso, le labbra deformate in un'espressione ambigua.
“... prendere il possesso di un corpo più forte!”
3. L'Uomo nello Specchio (III)
La lama di Liliel scatta con un guizzo, raggiunge il collo di Rigel, la testa ancora a metà del passaggio. Il metallo scivola sulla pelle, senza tagliarla, attende un istante.
“Muoviti ancora di un centimetro e ti ammazzo.”
“Oh, che paura!”
La fronte e gli occhi attraversano la superficie, il resto del corpo si inarca.
“Ti avevo avvertito.”
Un movimento secco del polso, la daga recide il collo di Rigel.
“Come se cambiasse qualcosa...”
Le labbra si contraggono per un istante, prima di pronunciare le ultime parole.
“... il mio cervello è già passato dall'altra parte!”
“No!”
Taming Sari tenuta in verticale, un colpo secco sul vetro. Lo specchio esplode in una miriade di frantumi, vetro impalpabile svanito nel nulla. Le iridi di Liliel tornano viola, l'automatismo perduto. Un istante di confusione, il cadavere steso di fronte a lei.
“Hhh... !!!”
La mano portata di fronte alla bocca, gli occhi lucidi, il dolore dalle ferite. L'arma lasciata cadere, Liliel si affloscia come un sacco di patate. Un fiume di lacrime a rigare il viso della ragazza, il respiro pesante. Un lampo di lucidità, i palmi puntati al suolo.
“U... un corpo... più forte?”
Liliel scatta in piedi, cade, si rialza.
“Padre Rejo! No!”
Rejo ancora steso per terra, le ferite rigenerate lentamente, grugniti e mugugni. Liliel si getta su di lui, lo afferra per il braccio.
“Padre, si svegli! Padre!”
“... ugh...”
Liliel si inginocchia accanto a lui, gli stringe il polso.
“Non deve cedere! Non può permettergli di prendere il controllo!”
Rejo sputa saliva, le piaghe quasi risanate del tutto. Gli occhi spalancati all'improvviso.
“... Ah, ah! Ah, ah! Bene, bene...”
Liliel lascia la presa, arretra di alcuni passi.
“N... no!”
Rejo si alza in piedi, serra i pugni, una risata folle, incontrollata, la voce roca.
“... era proprio quello che speravo...”
L'aura dorata divampa, brucia come un fuoco inestinguibile.
“... userò tutto questo potere...”
Liliel impugna Taming Sari, tenta di calmarsi, di mantenere il controllo. Le guance irrorate di lacrime, i singhiozzi, il panico.
“... padre? No, lei... lei è più forte di così! Lei...”
“... per cancellarlo dalla faccia della Terra!”
“Eh?!”
Rejo piega le gambe, un ghigno omicida stampato sul viso, le vene in rilievo.
“Spero che tu mi stia ascoltando, Rigel Narcisso! Hai commesso un errore madornale a cercare di rifugiarti dentro di me!”
L'aura raggiunge il cielo, gli alberi piegati dalla violenza del turbine.
“Sudario Eterno, quarto miracolo – Purificazione dell'Anima! Disgrega tutto ciò che di demoniaco ha infestato il mio corpo! Oraaaaaa!”
Un'esplosione di luce, la notte trasformata in giorno per un istante. Una colonna fiammeggiante sovrasta la Luna e le stelle, ergendosi per decine di metri, dominando l'orizzonte.
La foresta in silenzio per un lungo istante, gli scoiattoli, gli uccelli, i lupi in religioso silenzio. Un rumore metallico in lontananza. Passi lenti, insicuri, il trascinarsi di un mantello sul terriccio umido. La vampata di luce percepita chiaramente, nonostante la cecità. Nonostante il metallo fuso abbia intasato ogni fessura, impedendo agli occhi di vedere. La mano artigliata tasta gli alberi ai fianchi del sentiero, il filo di energia come faro.
“... Ashburnt?”
La voce rimbomba, amplificata dall'elmo. L'eco rimbalza sulle cortecce, mentre il demone si avvicina, metro dopo metro, centimetro dopo centimetro.
Rejo cade in ginocchio, i palmi premuti contro il terreno, il fiato corto. Liliel in disparte, quasi spaventata.
“... padre Rejo? Tutto a posto...?”
“Magnificamente. Non mi sono mai sentito meglio.”
Un fendente improvviso, Taming Sari sguainata, puntata alla gola dell'uomo. Rejo osserva sorpreso, il viso contratto nervosamente.
“E... ehi, pupazzo... cosa ti prende?”
“Dimostrami che sei tu! Dimostrami che sei veramente tu!”
“C... cosa?”
“Se Rigel ha preso il possesso del tuo corpo, io ti uccido! Convincimi di essere padre Yanma Rejo! Dimmi qualcosa che solo tu puoi sapere!”
“Umph. Potrei raccontarti la storia della mia vita nei dettagli più fini.”
“Certo, come se la conoscessi! Potresti prendermi in giro dalla prima all'ultima parola!”
La voce acuta, un grido disperato.
“Parlami di me! Dimmi qualcosa che Rigel non può aver studiato! Anche se quel bastardo ha preso il controllo del tuo corpo, non può aver già letto interamente la tua anima!”
Rejo rotea gli occhi, chiude le palpebre. Un sorriso appena accennato.
“Va bene, pupazzo – anzi, no, Liliel... da dove posso iniziare? Un demone senza nome ti ha strappato le ali meno di una settimana fa. Da allora, continui ad assumere antidolorifici di nascosto, anche se fai finta di stare bene. Corre voce che tu abbia una cotta per tua sorella Mikael. Sono stati i mocciosi a dirlo a Cyrael... e Sinisa ha colto l'occasione al volo per reclutarti, considerandoti perfetta per non indurmi in tentazione. Yehohanàn ti ha ricaricato le batterie per evitare che ti spegnessi. Sinisa ti considera poco più di un bagaglio a mano, io continuo a provocarti, sapendo che ti dà fastidio. Ami la panna, il gelato alla fragola e le sorgenti termali. Odi me e Sinisa, ma non puoi fare a meno di sopportarci.”
Un rumore metallico, Taming Sari lasciata cadere, un abbraccio spontaneo, una pioggia di lacrime.
“P... padre Rejo...”
Un singhiozzo sollevato, tutta l'adrenalina scorre via.
“:.. è... è proprio lei! Sono così felice...”
Rejo sospira profondamente, stringe la mano della ragazza. Un leggero rossore sul viso, gli occhi distolti dagli strappi sugli abiti.
“Sì, sì, okay. Ora... puoi smetterla di premere il tuo seno contro il mio petto? Va bene che sono un prete e so controllare i miei istinti, ma...”
Liliel si stacca immediatamente, il volto paonazzo.
“M... mi scusi, mi scusi! Non era mia intenzione...”
Rejo solleva la mano, le pupille ristrette.
“Zitta.”
“U... uh?”
Passi in avvicinamento. Lenti, cadenzati. Il terriccio smosso, nuvole di polvere, fruscii tra i cespugli. Una voce tra gli alberi, una voce inumana.
“Ashburnt... Ashburnt, sei tu? Questa energia, questo bagliore...”
Rejo congiunge le mani in preghiera, l'aura dorata divampa. La Sindone emerge dalla pelle, le spire ocra si materializzano in un istante.
“Chi sei?! Mostrati!”
Una sagoma scura emerge dalla selva, gli artigli sguainati, un mantello organico ricoperto da venuzze e condotti, in continua pulsazione. Un elmo metallico a quattro facce, ricoperte di scanalature e fessure, quasi completamente otturate da grumi di acciaio fuso.
“Ah, ora ti vedo... tu non sei Ashburnt.”
“Un demone...”
Liliel fa appello a tutte le forze residue, tenta di ricomporsi. Rejo allarga le braccia, pronto all'assalto. Il demone punta l'indice verso di lui.
“Fermati. Non ho alcuna intenzione di lottare. Nel mio stato, non avrei alcuna possibilità di vittoria.”
Rejo si rilassa, lascia rientrare la Sindone.
“Chi sei? E perché conosci padre Ashburnt?”
Un colpo di tosse ripetuto, il rimbombo dell'elmo.
“Il mio nome è Ramante, sono l'esarca dei territori vicini al Confine. Ho incontrato Ashburnt a Limularia. È stata la sua cricca a rendermi quasi cieco...”
Gli artigli contratti, fin quasi a ferire il palmo della mano.
“... e ad uccidere Esakiuro.”
Rejo studia il nuovo arrivato con calma, tenta di percepirne l'ostilità, senza successo. Un lungo sospiro.
“Il mio nome è Yanma Rejo, esorcista della Sacra Chiesa Cattolica e portatore della Santa Sindone. Sto proseguendo nel mio viaggio per raggiungere la Rocca del Maligno per chiarire un paio di cose e regolare i miei conti con lui. Ma, prima, devo recuperare padre Ashburnt e fargli una bella lavata di capo.”
“Oh, un altro esorcista dal passato oscuro...”
Una risata soffocata, le mani battute con forza.
“... perfetto! Davvero perfetto! Lo sai, Rejo? Questo è il tuo giorno fortunato!”
Ramante si avvicina, fili invisibili a guidare i suoi passi, ad evitare di sbagliare strada, tutti i sensi secondari attivi per sopperire al deficit visivo.
“Io posso guidarti fino alla Rocca.”
Liliel sobbalza, Rejo aggrotta le sopracciglia.
“Ma per favore! Io potrei voler uccidere il tuo signore e padrone, e tu...”
“Che si frigga! Non me ne importa più nulla! Devo trovare il verme che ha assassinato Esakiuro! Voglio la sua testa!”
Liliel deglutisce a fatica, tenta di mantenere la lucidità necessaria, di pensare a come reagire.
Siamo due contro uno, e lui è cieco. Ma, un momento...
Un flash nella mente.
“... Sinisa! Ci sono completamente dimenticati di lui...”
Rejo fa un cenno col capo, in direzione dell'albero abbattuto.
“Allora vai a rianimarlo, forza. Al resto penso io.”
Un colpetto di tosse, Rejo si schiarisce la voce.
“Fammi capire bene, demone. Tu vuoi portarmi alla Rocca del Maligno, in cambio di vendetta. Come faccio ad essere sicuro che non sia una trappola? Ma, soprattutto... perché dovrei aver bisogno dei tuoi servigi?”
“Il modo più veloce per raggiungere la Rocca è seguire il corso dell'Acheronte. C'è un barcaiolo poco distante da qui, ho sentito il suo richiamo. Si chiama Salmagro, è l'unico essere vivente a conoscere la via tra tutte le infinite diramazioni del fiume. E Salmagro preferirebbe farsi ammazzare, piuttosto che guidarvi là...”
Un ghigno celato dal casco.
“... a meno che non sia io a garantire per voi.”
“Cosa mi impedisce di prendere un'auto a Dite e dirigermi via terra?”
Movimenti rapidi della mano, come a disegnare un mappa immaginaria.
“Dite non esiste più. È sparita dalla carta geografica poche ore fa. Così come Limularia. E Verence. E molte altre città. Non c'è più tempo, padre Rejo. Via terra, avrebbe bisogno di almeno una settimana, senza conoscere la strada esatta. Con il traghetto, è solo questione di ore.”
“D'accordo.”
La mano protesa in segno di accettazione. Ramante stringe goffamente la presa. Le spire della Sindone emergono dalla manica di Rejo, avvolgono l'avambraccio del demone, si insinuano sotto la pelle.
“Ma che diavolo...”
“Sudario eterno, terzo miracolo – Trenta Denari!”
Una stretta al cuore, Ramante incespica, il dolore nei muscoli. Poi, tutto ad un tratto, il silenzio.
“C... cosa mi hai fatto?”
Rejo scrolla le spalle.
“Solo una precauzione. Se proverai a venir meno alla parola data, il seme della Sindone che ho impiantato nel tuo corpo ti stritolerà il cuore.”
Un ringhio sotto la maschera.
“Va bene, padre Rejo. Non c'è che dire, lei ha un'enorme fiducia nel prossimo.”
“È l'unico motivo per cui sono ancora vivo.”
Un grugnito dall'altro lato del sentiero, Sinisa torna lentamente alla realtà.
“Ugh... ma che cavolo...”
Liliel gli porge gli occhiali e il pennello, lo aiuta ad alzarsi.
“Ben svegliato, Unghiefucsia. Dormito bene?”
“C... che fine ha fatto quel...”
Il cadavere smembrato ancora in mezzo al sentiero, il viso di Sinisa vira verso il blu.
“Aaaaaaah! C... che schifo!!!”
Sinisa distoglie rapidamente lo sguardo. Solo per incontrare Ramante.
“Waaaaaah! E questo chi è?! Aiuto! P... padre Rejooooo!”
Liliel gli tira un pugno sulla nuca, la faccia premuta nel fango.
“Calmati, idiota!”
Rejo si china su di lui, lo prende per mano.
“Sinisa, costui è Ramante, un demone che si è offerto di guidarci fino alla Rocca del Maligno.”
“U... un demone che...”
“Ti spiegherò tutto dopo. Ora mettiamoci in marcia, forza.”
Sinisa annuisce, cammina in coda al gruppo. Un grugnito gutturale, Rejo stringe le palpebre.
“A-ehm... non stai dimenticando proprio nulla, Sinisa?”
“U... uh?”
L'indice puntato verso l'ammasso informe di valigie. Sinisa spalanca la bocca.
“I... i bagagli! Mi scusi! Mi scusi! Li... li prendo subito!”
Sinisa afferra le maniglie, carica il peso sulla schiena, sistema gli occhiali prima di continuare. Uno sbuffo sollevato, parole masticate sottovoce.
“Ah, ma pensa te! Alla fine, è andato tutto come previsto...”
4. I Confini del Vuoto (I)
I raggi del Sole irrorano la Piana della Solitudine, riflessi dalla sabbia scura. Scintillii metallici, l'immensa fusoliera di una aeronave a dominare il panorama, circondata da vortici di polvere. Un gruppo di persone a terra, tecnici al lavoro per riparare i danni al sistema di guida. Un uomo vestito di nero a seguire da vicino le operazioni, croci bianche a decorare gli abiti.
“Com'è la situazione?”
Uno dei tecnici asciuga il sudore dalla fronte, apre un pannello di controllo poco fuori dalla cabina di pilotaggio.
“Beh, potrebbe andare peggio. Il pilota automatico non è in grado di gestire il decollo da solo, ma una volta in aria può riportarci al di là del Confine senza problemi. I motori sono in buono stato e – salvo un paio di settori – possiamo dire che la Heiligengeist è praticamente integra...”
Gli occhi ruotati, un grugnito seccato.
“... certo che se quegli idioti avessero risparmiato almeno un pilota, sarebbe ancora meglio. Ma dico, che bisogno c'era di farli fuori entrambi?”
L'uomo in nero deglutisce rumorosamente, il guanto a massaggiare il capo.
“G... già! Chi mai si comporterebbe in modo così stupido? Eh, eh... eh, eh!”
Una rapida occhiata al polso vuoto.
“Uh! Come si è fatto tardi! Devo... devo andare a controllare se il dottor Kobase ha bisogno di aiuto con il carburatore del bisturi!”
Il tecnico corruga la fronte, lo sguardo smarrito.
“Ma, signore... lei non ha nemmeno l'orologio...”
“C... che sbadato! Ecco perché sono sempre in ritardo! A... a dopo!”
L'uomo in nero si allontana, passi rapidi e nervosi, il cigolio di una sedia a rotelle spinta con forza. Una voce annoiata dalla carrozzina, un lecca lecca stretto tra le labbra sottili, i capelli rosa scostati con calma.
“A cosa si riferiva, Reban?”
“N... niente! Assolutamente a niente!”
Ciel abbozza un sorriso forzato, stringe la mano inguantata.
“Va bene, allora non mi preoccupo! Finché sei con me, va tutto bene...”
Gli occhi leggermente inumiditi, un tremito nella voce.
“... a... anche se non posso più camminare.”
Reban spinge la carrozzella, accarezza i capelli della ragazza.
“Il prete non è riuscito a fare di più. È passato troppo tempo da quando quel mostro ti ha tagliato le gambe. Quanto vorrei rendere il favore a quello scherzo della natura!”
Ciel sgrana gli occhi, i denti stretti, l'indice battuto ripetutamente sulla manica dell'uomo.
“E... ehm, Reban?”
“Se solo fossi stato con te, quella bestiaccia orribile non avrebbe avuto occasione di ferirti, Ciel! Avrei fermato la sua spada e gliela avrei infilata su per il...”
“R... Reban?!”
Uno strattone forte al pastrano scuro, entrambe le mani tirano la stoffa nera. Azaleth sbuffa, seccato.
“Sì, che c'è? Perché...”
“Dove mi avresti infilato cosa?”
Un tono gelido alle sue spalle, la voce da venti centimetri più in basso. Azaleth ruota nervosamente il capo, gli occhi si posano sulla figura minuta. Iridi eterocromatiche, capelli di cento colori diversi, pelle di ceramica solcata da striature di pece. Un abito corto rosa, sei braccialetti fluorescenti attorno al polso, un paio di infradito. Una coda lanceolata in moto continuo, la mano demoniaca a massaggiare il mento. Azaleth trattiene il fiato, una tinta cianotica si propaga lungo tutto il viso.
“... Kkk!”
Patchwork incrocia il suo sguardo senza scomporsi, un sorrisetto divertito appena accennato.
“Uffa, te lo sei già scordato? Peccato, sembrava eccitante!”
Azaleth aggrotta le sopracciglia, tenta di articolare qualche parola di senso compiuto.
“E... eccitante?”
Patchwork scrolla le spalle, la coda arrotolata sotto le pieghe del tessuto. La lingua biforcuta saetta attraverso le labbra, il sibilo di un serpente.
“Magari un po' doloroso, all'inizio... ma il dolce pensiero di ripagarti con la stessa moneta subito dopo mi avrebbe arrapata da morire...”
Un luccichio malevolo nell'iride d'oro.
“... specie perché il tuo corpo non può autorigenerarsi come il mio!”
Azaleth arretra di un paio di passi, si nasconde dietro la sedia a rotelle. Ciel proietta le mani in avanti, le agita a velocità folle.
“S... stava solo scherzando! N... non lo pensava veramente!”
Patchwork allunga la mano demoniaca, accarezza la guancia della ragazza.
“Oh, sarà meglio per lui e per questo bel visino, piccola! Mi dispiacerebbe farti del male...”
Patchwork si china su Ciel, tira il colletto del poncho.
“... sei così carina, dopotutto. Ah! Così fragile, indifesa...”
Un bacio sulle labbra, davanti allo sguardo ebete di Azaleth. Ciel preme contro il petto della creatura, la respinge con forza. Patchwork ridacchia divertita, la coda si attorciglia come un serpente. L'aureola brilla a intermittenza, in sincronia con la sua voce squillante.
Azaleth trascina via la carrozzella, inversione a U, corsa sfrenata. Le ruote anteriore in impennata, Ciel stringe i braccioli.
“R... Reban?!”
“O... oh, che sbadato! Sono in ritardo! Dobbiamo andare subito da Kobase per il check-up! Viaaaa!”
Patchwork osserva la fuga dei due senza battere ciglio.
“Non sapevo che fossi così spinta, Patch.”
La zazzera bluastra di Vrai fa capolino da una scaletta laterale, una cassetta degli attrezzi ad accompagnarne la figura. Patchwork unisce le mani, incomincia a stiracchiarsi.
“Oh, neppure io! Devo ancora capire per bene quali sono le esigenze di questo corpo!”
Vrai cammina nella sabbia, gli stivali trascinati nella polvere.
“Lascia che ti faccia un breve riassunto... non hai bisogno di mangiare o di bere, se non per tuo piacere personale. La tua pelle e i tuoi organi hanno un altissimo fattore rigenerativo... inoltre, puoi riplasmare la loro forma in maniera sorprendente.”
Patchwork punta l'indice contro il petto di Vrai, socchiude leggermente le palpebre.
“Oh, interessante! Hai scoperto tutto questo durante la tua breve... ehm... ispezione? Certo che potevi avere più riguardo per una ragazza...”
Vrai alza gli occhi al cielo.
“Preferivi che se ne occupasse Kobase?”
“Oh, no! Tu sei andato benissimo. Hai un tocco così delicato...”
Patchwork lo bacia sulla guancia, prima di correre via di gran carriera. Vrai scuote la testa, tira fuori un taccuino. Un corvo meccanico si posa sulla sua spalla, gracchia indispettito.
“Craaaa! Vrai, stai attento! La sua personalità è ancora instabile!”
“Me ne sono accorto, Karakuri VIII. Non sembra più nemmeno la stessa.”
Il corvo zampetta, consegna una stilografica al suo padrone. Vrai inizia a scrivere con grafia elegante, annota alcuni dettagli.
“... elevate tendenze masochistiche/edonistiche. Si consiglia una sorveglianza costante.”
“Craaaa! Pensi che sia colpa della fornace?”
Vrai ripone il quadernetto nel tascone della felpa, intreccia il codino di capelli tra le dita.
“Chi lo sa? Quale parte di Balmung si sia risvegliata dentro di lei è ancora un mistero, anche se un'idea sto iniziando a farmela.”
Il corvo becchetta sulla spalla, raccoglie le ali.
“Craaaa! Ti sei reso conto che stai parlando con un pupazzo a cui stai prestando la voce come ventriloquio? Stai dialogando con te stesso, Vrai!”
“Più esattamente, Karakuri VIII...”
Un sospiro sconsolato.
“... sto parlando con l'unica persona in grado di capirmi.”
**
“Com'è la situazione? Qualche movimento?”
“Zero. Solo un paio di cuccioli, ma niente di strano. Per essere a due passi dal quartier generale del Maligno, mi aspettavo qualcosa di meglio.”
“Sembri quasi dispiaciuto.”
“Umph.”
Un ronzio intermittente in sottofondo, Ledger aggiusta la distanza focale, la pupilla si dilata e si contrae a tempo.
“Niente, qui stiamo solo perdendo tempo. Perché mi ha proibito di chiedere a Vrai di mandare uno dei suoi corvi in avanscoperta? Ci saremmo risparmiati la scarpinata!”
“Non mi fido di quegli aggeggi meccanici. Preferisco vedere le cose con i miei occhi, Led.”
Ashburnt si ripara dietro ad alcuni cespugli bassi, lascia che sia la spia ad osservare. Un palazzo immenso sullo sfondo, torri, guglie, vetrate gotiche, antenne, cristalli lucenti. Una corona di nuvole plumbee a circondare l'ingresso maestoso. Ashburnt fischia ammirato, indica la struttura da lontano.
“Certo che il Maligno si tratta bene, eh?”
“Quella non è nient'altro che la punta dell'iceberg. Il Trono del Maligno è nascosto nelle profondità della terra. O, almeno, questo è quello che si dice.”
Ledger si lascia scivolare a terra, preme il cappello sul capo.
“Okay, qual è il piano, padre?”
“Semplice...”
Ashburnt sorride sornione, incrocia le braccia.
“... entro e spacco tutto.”
Ledger stringe le palpebre, gli occhi fissi sul prete.
“Padre, sta scherzando, vero?!”
Ashburnt scuote il capo, gratta i capelli con calma.
“Uh... perché?”
Ledger inarca un sopracciglio.
“Stiamo parlando del Grande Avversario! Una creatura dai poteri poco inferiori a quelli di Dio stesso e di certo più forte della maggior parte degli angeli. Attaccare a testa bassa è così stupidamente suicida che nessuno potrebbe averlo seriamente preso in considerazione!”
“...”
Una pausa per riprendere fiato, Ledger stringe il pugno con forza.
“Io mi sono fidato ciecamente di lei, padre. Ho rinnegato la mia fede nel Pontefice, tradito i Servi della Croce per seguirla nella sua folle impresa. Ora che siamo arrivati a destinazione, esigo sapere come pensa di uccidere il Maligno!”
Ashburnt massaggia nervosamente il mento, lo sguardo vagante.
“Uhm... sai che non ci ho mai pensato, Ledger? È una bella domanda in effetti...”
Ledger congelato per un istante, le pupille microscopiche, i muscoli irrigiditi. Ashburnt gli tira una pacca sulla spalla, si siede accanto a lui.
“... oh, ma non preoccuparti! Troverò una soluzione! E poi, c'è ancora tempo, no? Prima dobbiamo arrivare al Trono!”
Ledger stampa la mano sulla fronte, sudore freddo, colorito bluastro.
“... un idiota. Ho sacrificato tutto per seguire un idiota... e me ne sono reso conto solo ora...”
Un lungo sospiro, le dita a stringere il setto nasale.
“... pazienza, ormai siamo qui. Tanto vale fidarsi ancora per un po'.”
Ledger torna alla posizione di osservazione, scandaglia il territorio nemico fino all'ingresso del mausoleo. Alcuni cuccioli vagano senza meta, altri si accaniscono sul cadavere di uno schelairone. Ad un tratto, un'oscillazione, la realtà distorta come uno schermo smagnetizzato. Ledger socchiude le palpebre, le riapre. I corpi dei cuccioli oscillano, uno dopo l'altro. Nessuna reazione dei mostri, l'anomalia passa attraverso senza fermarsi.
“Non mi piace...”
Un ronzio quasi inudibile, i confini della distorsione via via più definiti. Ashburnt fa capolino dal cespuglio, tenta di seguire lo sguardo di Ledger.
“Cosa c'è che non...”
“Giù”
Una spinta violenta, entrambi gli uomini a terra.
E un vortice di energia squarcia il tessuto della realtà.
5. I Confini del Vuoto (II)
“Uh... Ogotchka?”
Ogotchka ruota goffamente il capo, le braccia corte riposano sul panciotto, la tuba inclinata in avanti. Di fronte ai suoi occhi, il volto imbarazzato di una ragazza.
“Sono un po' impegnato ora, Eden. Stiamo cercando di rimettere in sesto i camion del circo, non ho molto tempo da...”
“Posso parlare con Misia?”
Ogotchka allunga il braccino, l'indice puntato verso un telonato.
“Sta riparando un motore con Sasoo, non è il momento adatto per...”
“Ah. A... allora niente, passerò più tardi.”
“Uhm...”
Gli occhi del demone scrutano il volto della ragazza, le palpebre strette come per focalizzare la vista.
“Sicura di non volerne parlare con me? Di solito, sono bravo a dare consigli.”
Eden mulina le braccia, scuote il capo nello stesso istante.
“N... no, grazie! È una questione... ehm, tra ragazze e...”
“Riguarda Ledger, vero?”
Il volto di Eden avvampa, passa dal paonazzo al vermiglio attraversando tutte le gradazioni di colore intermedie.
“E... eh?! Come...”
Ogotchka ridacchia divertito, batte le mani sul panciotto.
“Piccola, è fin troppo evidente! Sei sempre estroversa e sicura di te... tranne quando pensi a lui! Dovrei essere cieco per non accorgermene!”
“Ah...”
Il demone preme l'indice contro l'addome della ragazza, picchietta più volte in successione.
“Allora? Cosa è successo?”
“Non so se...”
Uno sbuffo indispettito.
“Fidati di questo vecchio demone! Lavorando a contatto col pubblico e crescendo Vrai come un figlio, ho imparato a leggere i cuori delle persone e a comprendere gli umani quasi meglio dei miei simili.”
Eden trae un sospiro profondo, le sillabe scivolano a fatica attraverso i denti.
“Ok, va bene. Riguarda proprio... Ledger.”
Un paio di secondi di silenzio, il tempo di rimettere assieme i pensieri.
“Ho provato a fargli capire... che vorrei avere dei bambini con lui. Più di una volta. Ma la sua reazione... sì, insomma, è sempre una via di mezzo tra terrore e incredulità. Volevo sapere se è normale.”
Ogotchka si massaggia il mento, gli occhi ruotano inquieti.
“Beh, non è così strano. È una decisione difficile.”
Eden stringe i pugni, digrigna i denti.
“D... difficile?! Alla fine, sono io quella che si fa nove mesi con la pancia gonfia e gran finale di dolori lancinanti in sala parto! Puoi spiegarmi perché per lui dovrebbe essere difficile?!”
“N... non è questo il problema, Eden! È... è tutto quello che viene dopo! Non è che il bambino si cresce da solo! Non funziona come per i demoni! Devi accudirlo, curarlo, crescere insieme a lui! Forse Ledger non si sente pronto... non ancora, almeno. Forse ha davvero paura.”
“Oh...”
Ogotchka si schiarisce la voce, la mano batte sulla pancia due, tre volte.
“Ora capisci, piccola? Devi discuterne seriamente con lui, senza essere troppo aggressiva. Ledger non sembra uno capace di mostrare i suoi sentimenti in modo diretto. Aspetta il momento giusto, stagli vicina e vedrai che la situazione si risolverà... in un modo o nell'altro.”
Eden annuisce, abbozza un sorriso.
“Hai ragione, Ogotchka. Grazie mille.”
Eden alza lo sguardo, un'occhiata distratta all'hangar, alla bizzarra collaborazione tra i meccanici della Heiligengeist e i demoni del circo. Le guardie supersoniche riprogrammate da Vrai garantiscono l'ordine, si aggirano tra i corridoi con la lancia in resta.
“A proposito... lo hai mica visto da qualche parte? Credevo che fosse nell'hangar con padre Cross, ma non ho trovato nessuno dei due.”
“Sono andati in perlustrazione circa venti minuti fa. La Porta dell'Inferno si trova a meno di un chilometro da qui.”
Un brivido lungo la schiena, Eden trema per un istante. Il demone se ne accorge, i quattro occhi puntati sulla ragazza.
“Cosa c'è?”
“N... non avranno in mente di assaltare il palazzo del Maligno da soli... vero?”
Una sonora risata rimbomba nella sala, il muso rettiliforme di Ogotchka deformato dall'ilarità.
“Oh, oh! Questa è buona! Nemmeno l'ultimo degli imbecilli potrebbe pianificare un gesto così sconsiderato!!!”
Il demone si asciuga le lacrime, batte sonoramente i palmi sull'addome.
“No, piccola Eden! È praticamente impossibile che si siano messi in pericolo come due deficienti! D'altronde, dopo quello che vi ho raccontato sul guardiano...”
Il viso di Eden arrossisce violentemente, gli occhi ristretti.
“O... Ogotchka? Tu non ci hai raccontato proprio nulla.”
Ogotchka si gratta la testa poco convinto.
“Ah, no? Non vi ho parlato del demone che protegge la porta dell'Inferno? Che strano, eppure ero sicuro...”
Eden irrigidita, i denti stretti.
“È... è pericoloso?”
Ogotchka risponde con una punta di orgoglio.
“Oh, eccome se lo è! Dicono che la sua tecnica speciale sia in grado di cancellarti dall'esistenza, ma non ho mai...”
Un bang supersonico, una nuvola di polvere sollevata dalla corsa sfrenata, Ogotchka gira come una trottola. Istanti confusi, una figura salta da un lato all'alto del corridoio, una chiave estratta dai pantaloni. Il rombo di un otto cilindri, una dune buggy parte in impennata poco fuori dall'hangar, nubi di fumo nero dal tubo di scappamento. La figura minuta di Patchwork avvistata per un istante sul sedile del passeggero, Vrai sballottato sul sedile posteriore. Poi, l'auto sparisce dalla visuale. E il ringhio selvaggio di Eden si fonde con il ruggito del motore.
**
Ledger si rialza da terra, sistema il cappello. La pupilla zooma, ingrandisce l'immagine, osserva i contorni della distorsione. Un canyon aperto a pochi metri dalla sua posizione, cespugli e rocce tagliati di netto, come se un disegnatore li avesse cancellati con una gomma. Un confine circolare tra la vita e la morte, la distruzione racchiusa in uno spazio limitato.
Scosse elettriche in lontananza, un profilo appena accennato avanza lentamente verso i due uomini.
“Padre? Abbiamo rogne.”
Ashburnt si mette a sedere, massaggia il capo con estrema calma.
“Quando mai non ne abbiamo avute?”
Una rapida occhiata al di là del cespuglio, le palpebre strizzate in cerca del nemico.
“Non lo vedo, Ledger. E non percepisco nemmeno la sua anima.”
“Se è un demone, non ha un'anima. Almeno, di solito.”
Un concerto di scintille, la sagoma distorta si muove in lontananza.
“Un altro colpo!”
Ledger afferra Ashburnt per il colletto, lo lancia nella sabbia. La parete alle loro spalle brilla di luce propria, prima che una voragine la spezzi a metà. Ashburnt ingoia la saliva, impugna il crocefisso.
“Non lo percepisco! Continuo a non trovarlo!”
“Lasci fare a me.”
Ledger chiude l'occhio destro tre volte di seguito, lo riapre di scatto. Al posto delle tinte grigie e azzurre del mondo ordinario, varie tonalità di rosso e giallo, su sfondo blu e viola. Una sagoma per ogni essere vivente, a patto che emetta calore. Due, tre, quattro cuccioli. Una quinta creatura, di forma diversa. Umanoide, le mani giunte al cielo, le gambe divaricate, una specie di criniera a coronare la testa. Nessun altro dettaglio, solo la posizione. Ma è abbastanza.
“Mano fantasma...”
Il braccio spettrale emerge dalla spalla sinistra, si consolida, assume la forma di un fucile. Ledger si inginocchia, prende la mira.
“... Sharpshooter Inferno!”
Il proiettile vola alla velocità del suono, una lancia acuminata ad alta precisione. La creatura incrocia le braccia, le porta a protezione del volto. L'impatto, l'esplosione bluastra, il rilascio di energia eterea. Subito dopo, un raggio in risposta, senza un bersaglio preciso. Il tronco di un cucciolo scompare in un istante, la sorpresa dipinta sul viso deforme. Dalle membra staccate, una pioggia di sangue, prima che il cervello perda conoscenza. E il corpo si tramuta in un cumulo informe di cenere.
“...”
Un grugnito dal nulla, scintille, fulmini tra la polvere sollevata. Il camuffamento ottico disattivato dalla violenza dell'impatto, nessun altro modo per nascondere la sua presenza.
Una figura imponente avanza senza timore, a testa alta.
Pelle blu corazzata, viso liscio, privo di lineamenti, occhi gialli scintillanti senza iride o pupilla, lunghi, vaporosi capelli oltremare. Una voce carica di tensione, l'odio sputato ad ogni parola.
“Non avvicinatevi più di così, o ve ne pentirete.”
Ashburnt inquadra il nemico, digrigna i denti.
“P... percepisco un rancore incommensurabile, il desiderio viscerale di ucciderci! C... chiunque sia, dobbiamo stare attenti!”
Ledger rimane in silenzio, lascia scomparire l'arto spirituale. Il Guardiano osserva entrambi gli avversari, un'aura rosso sangue circonda il corpo demoniaco.
“Un esorcista... qui? Alla Rocca?! Voi porci della Chiesa... cos'altro volete portarci via?!”
Le mani unite, sollevate assieme, i piedi piantati saldamente a terra. Ashburnt lo imita, assume la stessa posizione. Le voci sovrapposte, diversi mantra recitati nello stesso momento.
“Rosario divino, secondo mistero...”
“Delirio del vuoto! Attivazione!”
“... Fiamme di Sodomaaaaa!!!!”
“Boundary of Emptiness!!!!”
Entrambi i contendenti abbassano le mani, fiamme biancastre scaturite dai pugni di Ashburnt, l'impulso cancellante generato dalla tecnica del demone. Il risucchio del vuoto contro le vampe eterne, i due poteri contorti, abbracciati, un'esplosione di luce al contatto.
Un'onda d'urto colossale, i duellanti sbalzati all'indietro. Ashburnt frena con i talloni, scava solchi nel terreno arido, il suo avversario reagisce allo stesso modo, mantiene la posizione eretta.
Ashburnt si inumidisce le labbra, abbozza un sorriso.
“Interessante...”
Il demone stringe gli occhi, punta il dito verso l'esorcista.
“Hai... fermato la mia tecnica...”
I cuccioli si irrigidiscono, sudore freddo sulla pelle scura. Uno si allontana pian pianino, un altro sparisce sottoterra, senza far rumore. L'ultimo rimane ad osservare, come imbambolato, gli artigli tremanti. Ledger respira profondamente, la potenza distruttiva dei due attacchi confrontata in un istante.
“Le Fiamme di Sodoma sono state annullate fino all'ultimo atomo! Se Ashburnt avesse risparmiato le energie...”
Il demone inizia a muoversi in cerchio, passo dopo passo, senza distogliere lo sguardo dal prete. Ashburnt ricambia la cortesia, gli occhi fissi sulla preda. Due squali attorno ad un centro comune, scintille dorate contro lingue vermiglie. La mano del demone si accende di luce scarlatta, Ashburnt unisce l'indice e il medio.
“Posso sapere il tuo nome, esorcista?”
Ashburnt aggrotta la fronte.
“Che modi! Non si usa più presentarsi? Voi demoni non avete proprio creanza!”
Un rapido segno in aria, una scia di energia sacra impressa nel cielo.
“Io sono padre Thornheart Ashburnt, inviato dal Santo Concilio per uccidere il Maligno e liberare il mondo dalla sua scomoda presenza! E, come tale...”
L'aura dorata divampa, circonda il corpo, scorre come un fiume in piena.
“... TI ESORCIZZO!!! Rosario divino, primo mistero – Folgore Angelicaaaaaa!!!!”
Una croce scintillante scaturisce dalla punta delle dita, si espande verso il nemico. Il demone alza la mano, bagliori scarlatti attorno al palmo.
“Io non ho un nome, padre. Non ce l'ho più, dai tempi della caduta! Il tuo Dio me lo ha portato via!!! Delirio del vuoto! Attivazione!”
Un sigillo prende forma di fronte al demone, un cerchio rossastro attraversato da glifi multiformi.
“Dead Star Almageeeeeest!”
Il sigillo si ramifica, si contorce, circonda completamente il demone in una sfera nera come la notte. La folgore si schianta contro lo schermo, rimbalza, incenerisce l'ultimo cucciolo rimasto. Poi, la deflagrazione. La sfera esplode in mille frantumi, libera tutta l'energia accumulata. I cespugli sradicati, le pietre polverizzate, la realtà distorta e risistemata in un paio di secondi. Ashburnt copre istintivamente il volto, Ledger arretra di alcuni passi. Il demone incrocia le braccia, assapora l'espressione smarrita dei suoi avversari.
“Io ho perso tutto, esorcista. Dentro di me, è rimasto solo vuoto. Un vuoto vertiginoso che non può essere spiegato a parole...”
Filamenti neri si disperdono lungo il terreno, una ragnatela di pece in un raggio di decine di metri, nascosta sotto la sabbia.
“... un vuoto che divorerà ogni cosa.”
Decine di bocche serpiformi emergono contemporaneamente dal suolo, si avventano senza preavviso su Ashburnt.
“Maledetto! Rosario divino, primo mistero – Folgore An...”
Prima che possa finire l'invocazione, le zanne del nulla si avventano sul suo polso destro.
Strappando via la mano con violenza.
6. I Confini del Vuoto (III)
“P... padre Ashburnt!”
Ledger urla a squarciagola, osserva con orrore il polso mozzato. La mano destra rotea in aria per qualche istante, prima di ricadere al suolo, insanguinata. Il polso di Ashburnt si tinge di vermiglio, il dolore risale lungo i nervi, manda in tilt il cervello.
“G... gyaaaaah!”
Ashburnt crolla in ginocchio, serra il polso con la mano superstite, tenta di fermare l'emorragia. Il Guardiano incrocia le braccia, scintille giallastre dagli occhi. La voce rimbomba con violenza, come il ruggito di un leone. Il serpente di vuoto si disgrega dopo alcuni istanti, lascia cadere l'arto mozzato a pochi metri dall'esorcista.
“Dunque, vediamo se ricordo bene... padre Ashburnt, l'esorcista con il chiodo della Vera Croce nell'indice della mano destra. L'uomo che ha ucciso innumerevoli demoni. Mi sorprende che nessuno di loro abbia capito come sconfiggerla.”
Una brezza improvvisa, il Guardiano si porta di fronte al nemico. Un montante sotto al mento, il capo di Ashburnt rimbalza, il corpo scagliato contro la parete rocciosa.
“Eppure, era così semplice.”
Il Guardiano piega le gambe, scatta in avanti, segue Ashburnt in volo. Una scarica di pugni e calci sull'addome, senza distogliere lo sguardo. Ashburnt sputa saliva, il sangue straripa dalla ferita.
“Tutto il suo potere è concentrato lì, nella mano!”
Un calcio rotante dietro la nuca, Ashburnt scaraventato in direzione opposta, contro un'altra parete di roccia. L'impatto lo lascia senza fiato, i muscoli si rifiutano di reagire. Il Guardiano scende rapidamente al suolo, rimbalza a velocità doppia.
“Quindi, adesso è completamente inerme!”
Il Guardiano colpisce la schiena di Ashburnt, entrambi i piedi uniti a premere sulla colonna vertebrale. Un sonoro crack, le pupille ridotti a fantasmi microscopici, un urlo di dolore strozzato.
“Gwww...”
Il Guardiano rimbalza, prende posizione. Le mani giunte, le gambe divaricate, i piedi ben piantati a terra.
“Delirio del vuoto! Attivazione! Boundary of...”
“Artigli dell'Idraaaa!”
Ledger compare alle spalle del nemico, la mano spettrale sguainata.
“Umpf.”
Il Guardiano ruota rapidamente su se stesso, evita l'attacco, afferra il braccio umano, sfrutta la spinta di Ledger per scagliarlo via. Ledger rotola sul terreno, riprende posizione. Il respiro affannato, lo sguardo smarrito. Il Guardiano scuote il capo.
“Attaccarmi con un colpo ravvicinato. Mentre carico la mia mossa. Dopo aver osservato la rapidità dei miei movimenti. Non è stupido? Voglio dire... tu sei un cecchino. Prima, hai cercato di spararmi, no?”
Ledger materializza il braccio fantasma, lo espande come scudo, rimane in attesa.
“Avrei rischiato di colpire Ashburnt.”
Il Guardiano sogghigna, stringe i pugni.
“Che senso ha proteggere un uomo che non ha più alcun potere?”
“Più di quanto tu creda.”
Il Guardiano getta un'occhiata distratta al corpo di Ashburnt, al viso segnato dal dolore, le gambe disarticolate, il sangue raggrumato attorno al moncherino. Poi, lo sguardo si posa su Ledger.
“Quanto durerai? Due secondi? Tre?”
“U... uh?”
Un gancio supersonico nello stomaco, un calcio sul collo, Ledger in volo. Le mani unite, le gambe divaricate.
“Delirio del vuoto! Attivazione! Boundary of Emptiness!”
La realtà si distorce, la sabbia cancellata, il terreno sfregiato. Ledger allunga il braccio spettrale, gli artigli si conficcano nel terreno, lo allontanano dalla traiettoria del colpo. Ledger ruzzola sulla ghiaia, si porta in ginocchio. Un grido dall'altro capo della gola. Ashburnt vince il dolore, digrigna i denti.
“Ledger! Prendi la mia mano! Forse posso...”
“Non ora, padre!”
Una schivata fulminea, il flusso del vuoto manca il bersaglio per pochi centimetri. Il Guardiano si lancia verso Ledger con furia animalesca, scatena un diretto micidiale. Le nocche si infrangono sulla roccia, evitate all'ultimo istante. Ashburnt serra il pugno, fin quasi a ferirsi il palmo con le unghie.
“La Vera Croce... non è solamente un oggetto. È un tutt'uno con la mia anima. Io... non posso arrendermi... così.”
Un'aura dorata divampa attorno al corpo dell'esorcista, attorno alla mano mozzata, il flusso di sangue si arresta, raggruma, ottura i vasi interrotti. Due fiamme scintillanti, unite e separate allo stesso tempo. Il Guardiano si ferma per un istante, interrompe la carica.
“Uh? Cosa...”
“R... rosario divino, primo mistero...”
Ashburnt si piega per il dolore, le gambe non rispondono ai comandi, il corpo accasciato sullo sperone di roccia. Prima di urlare con tutto il fiato che ha in corpo.
“... Folgore Angelicaaaaaaa!”
Uno strale luminoso emerge dalla mano tagliata, una croce di luce abbagliante. Il Guardiano si blocca all'istante, salta verso l'alto. La croce si infrange sulle rocce, bruciandole al contatto, senza scalfire il nemico. Il Guardiano atterra malamente, tenta di ricomporsi.
“... un asso nella manica... di questa portata?!”
Il demone avverte la tensione, congiunge le mani, le alza al cielo.
“N... non è servito a niente Ashburnt! Il tuo attacco disperato non ha avuto alcun effetto!”
Ashburnt sorride, l'indice sinistro puntato verso il demone.
“Attacco disperato?”
“Delirio del vuoto! Attivazione!”
“No, il termine giusto è...”
“Boundary of Em...”
“... diversivo!”
La mano spettrale si immerge nella criniera, afferra il cranio del Guardiano, lo sbatte a terra con violenza.
“Sorpresa!”
La testa affonda nella sabbia, Ledger preme il ginocchio sulla schiena del demone. Il Guardiano si dimena, ringhia come un animale ferito. Uno scatto di reni, l'artiglio perde la presa. Il demone rotola sul terreno, tenta di riprendere la posizione. La pupilla di Ledger si restringe, inquadra la mano di Ashburnt.
“Ora o mai più! Mano Fantasma – Mitra Spettraleee!!!”
Ledger lascia la presa, l'artiglio si trasforma, un proiettile di energia sparato alla massima velocità. Il colpo impatta sul terriccio, l'onda d'urto lancia la mano in volo, la traiettoria calcolata con precisione millimetrica. Ashburnt prende l'occasione al balzo, richiama le sue ultime forze.
“Intervento divino... primo miracolo...”
La mano circondata da un'aura dorata, il polso ferito quasi a contatto.
“... Guarigione degli... Infermi!”
Uno scoppio di scintille, la carne si riforma, le ossa ricongiunte. Il Guardiano strabuzza gli occhi, scuote il capo con forza.
“No! Nooooo!”
Ashburnt riesce ad alzarsi, le gambe tornano sotto il suo controllo. Il demone si rialza, un pugno fulmineo allo stomaco di Ledger, ancora in posa. Ledger vola contro la parete di roccia, sbatte la testa, scivola a terra privo di sensi. Ashburnt unisce le mani, le porta al cielo, divarica le gambe.
“Pagherai per tutto il dolore che mi hai causato!”
L'aura esplode, brucia come un incendio indomabile. Il Guardiano mima la posa, vampe vermiglie attorno al corpo.
“Per l'ultima volta... nessun porco della Chiesa metterà piede nel Suo palazzo! Dovesse costarmi la vita!”
Le aure divampano, tutte le forze raccolte nell'attacco, una gara per caricare il colpo alla massima potenza, prima dell'avversario.
“Rosario divino, secondo mistero...”
“Delirio del vuoto! Attivazione!”
Le mani scendono nello stesso istante, energia bianca e vuoto di vertigine pronti al confronto.
“Fiamme di Sodomaaaaa!!!”
“Boundary of Emptiness!!!”
Ancora una volta, i due colpi impattano. Le fiamme sacre contro il vortice di nulla. Scintille al contatto, scariche improvvise, tuoni. Le grida dei due contendenti si mischiano al fragore delle esplosioni, l'odio superato dalla volontà di prevalere, di dimostrarsi più forte dell'altro. Poi, l'esplosione. L'onda d'urto attraversa il campo di battaglia, spezza gli arbusti, trascina la sabbia in turbini immani. La nube di polvere si dirada lentamente, il contatto visivo restaurato poco per volta.
Il Guardiano in ginocchio, il corpo sfregiato, il respiro pesante. La mano preme contro il terreno, la criniera lordata dalla sabbia grigia. Di fronte a lui, un corpo sdraiato a terra. Ashburnt. Vivo, illeso forse. Ma incosciente.
“H... ho vinto. Sua Eccellenza... ho vinto...”
Il Guardiano si rialza a fatica, alza l'indice al cielo.
“E... ehi, Dio! È tutto qui... quello che sai fare? Sono... sono questi i tuoi servitori più forti?! Ho vinto! Ho sconfitto il tuo esorcis...”
Una fitta lancinante al petto, il busto piegato a metà. Le bruciature di energia sacra pulsano, i nervi nel caos. Un gemito, il dolore sopportato a fatica.
“... gggh... fa male...”
Un sospiro sollevato, il viso raggiante di pace interiore.
“... ma non importa. Ho protetto Sua Eccellenza. Ho protetto colui che mi ha ridato una vita, dopo la Caduta. Nessun prezzo... è troppo alto.”
Un crogiolo di ombre puntiformi, la luce del Sole interrotta da... qualcosa. Il Guardiano solleva lo sguardo, incapace di trovare una risposta. Poi, sgrana gli occhi.
“E... eh?”
Una cupola di spade levitanti, puntate su di lui da ogni direzione. Gli occhi vagano lungo il crinale della gola, trovano tre sagome. Un ragazzo dai capelli blu, una ragazza bionda e una bizzarra creatura a metà tra un angelo e un demone.
“L'esorcista... era solo l'avanguardia?!”
Il ragazzo dai capelli blu schiocca le dita, una voce gelida e impersonale.
“Si chiuda il sipario.”
Le spade scintillano, iniziano a ruotare attorno al nemico, pronte a calare come una pioggia di morte. Il Guardiano ringhia, incrocia le braccia.
“No, non dopo aver... faticato così tanto. Non è... giusto...”
Un secondo schiocco di dita. Le lame abbandonano il cielo, si avventano sull'avversario tutte assieme. Il demone richiama tutte le energie rimaste, urla con tutto il fiato rimasto nei polmoni.
“D... delirio del Vuoto! A... attivazione! Dead Star Almageeeeeest!”
Un guscio nero come la notte devia le spade, le fa rimbalzare verso le rocce, verso il terreno, verso i tre nuovi arrivati.
“Attenti!”
Eden unisce le mani, carica il colpo.
“Scroscio di Lampi!”
Scariche elettriche scaturite dalla punta delle dita intercettano le lame impazzite, proteggendo Vrai e Patchwork. La pioggia di metallo si interrompe, la sfera nera esplode in una marea di frammenti. Il Guardiano crolla a terra, gli occhi inondati di lacrime scure.
“N... no... non posso... permettervi... di... di...”
Uno sforzo immane, la posizione recuperata. Le mani tremano, si congiungono. Le gambe divaricate, insicure. Il pianto senza fine, i singhiozzi, il corpo spremuto fino all'ultima goccia di energia.
“Per Lucifero! Che la sua fiamma arda per sempre! Che la sua luce sia la mia guida!”
L'aura vermiglia divampa ancora una volta, il corpo attraversato da fitte, il dolore inimmaginabile.
“True Boundary of...”
“Basta così.”
Uno scricchiolio alle sue spalle. La porta della Rocca trema, si apre poco per volta.
“C... cosa?”
Vrai assume posizione di guardia, Eden e Patchwork rimangono in attesa. Una figura umanoide fa capolino dall'uscio. Pelle violacea, vaporosi capelli celesti, due corna arrotolate ai lati del capo. Un completo elegante da maggiordomo, guanti bianchi su marsina nera. Occhi argentei, quasi scintillanti.
“Ho detto: basta così, Guardiano. Perché importunare ancora di più i nostri graditi ospiti?”
“O... ospiti?”
Un cenno di assenso in risposta, il demone elegante si esibisce in una riverenza.
“Permettetemi di presentarmi. Io sono Aäs Modaj, maestro di palazzo della Rocca. Il mio signore gradirebbe incontrare i valorosi viaggiatori che si sono spinti fino alla sua modesta dimora.”
Un segno di invito, un'espressione indecifrabile sul viso.
“Prego, seguitemi. La porta è aperta.”
7. Ascensore per l'Inferno (I)
Un ascensore largo quanto una camera d'albergo, in costante, lenta discesa. Pareti trasparenti, fregi in ottone dorato, il condotto esteso per alcuni metri attorno alle superfici levigate. Una gabbia di acciaio sottile a mantenere la cabina nei binari, il ronzio del motore in sottofondo, attenuato da pannelli isolanti. Sei persone all'interno della cabina, appoggiate alle pareti. Un silenzio imbarazzato permea l'atmosfera, non una singola parola proferita dall'inizio della corsa. Modaj estrae un orologio da taschino, lo apre con uno scatto del polso. Un colpetto di tosse, per schiarirsi la voce.
“... ci vorrà ancora un po'. La Rocca si sviluppa per circa trenta chilometri sotto la superficie terrestre. Il Trono del mio signore e padrone è all'ultimo livello sotterraneo e...”
“Ehi, pinguino...”
Patchwork interrompe il maggiordomo, la voce come una lama di ghiaccio.
“... sai che hai distrutto tutte le mie aspettative, vero? Credevo che un posto chiamato la Rocca del Maligno, sede di colui che è stato definito come il Male Incarnato, fosse più tetra. Sai, cose tipo lunghi corridoi bui illuminati da candele, anime dannate punite da diavoli col forcone, ragnatele, vermi ributtanti, odori così intensi da causarti il voltastomaco...”
Una rapida occhiata attraverso le pareti di cristallo della cabina.
“... insomma, tutto tranne questo. Più che il castello del re degli Inferi, sembra quasi il grattacielo di una compagnia di assicurazioni.”
Modaj risponde con un sorriso, socchiude le palpebre.
“Oh, davvero? Dovrò sporgere lamentela al nostro reparto pubbliche relazioni, se è questa l'immagine che si ha all'esterno del Territorio.”
Ledger solleva la tesa del cappello, osserva guardingo.
“Il vostro livello tecnologico è quasi a livelli pre-Ascesa. Automobili elettriche, pannelli sensibili al tocco, rivelatori di posizione, rotaie magnetiche. Sembra quasi che il tempo si sia fermato a duecento anni fa. Dopo aver visitato Limularia e le rovine di Verence mi ero fatto un'idea delle vostre capacità, ma devo dire che sono sorpreso.”
Modaj esegue un inchino perfetto.
“Troppo buono, signor Mihowck. Se permette, vorrei aggiungere che il tasso di alfabetizzazione della popolazione è del novantasette virgola nove per cento, mentre la percentuale di abitanti sotto la soglia di povertà è un misero zero virgola tre per cento. Come vede, negli ultimi due secoli, ci siamo dati da fare... a differenza della Santa Chiesa.”
Ashburnt incrocia le braccia, deglutisce nervosamente. Eden mastica una gomma senza troppa convinzione, una bolla rosa si gonfia tra le labbra, scoppietta rumorosamente.
“Puoi immaginare il mio spaesamento quando sono stata esiliata. Dall'altro lato del Confine, sembra di essere all'età della pietra...”
Modaj sfodera l'ennesimo sorriso.
“Precisamente, signorina Eden. Se solo la Chiesa avesse acconsentito ad una pacifica annessione, il mondo oggi sarebbe...”
“Pacifica annessione?!”
La voce di Ledger rimbomba con furore, gli occhi iniettati di sangue.
“Io ero a Qambura quando avete tentato di annetterla pacificamente. Ero lì, con i miei genitori, all'investitura del grande sacerdote Ilias! E questo... questo è il risultato della vostra pace!”
Il mantello rimosso dalla spalla sinistra, il moncherino di braccio mostrato a tutti i presenti. Ashburnt gli posa una mano sulla spalla, parole a voce bassa per tentare di placare il compagno.
“Calmati, Led. Non è il momento. Prendertela con un lacchè non ti ridarà il braccio indietro.”
Ledger recupera il contegno, annuisce con un cenno del capo. Modaj si massaggia il mento con calma, un'espressione indecifrabile sul viso.
“Nessun sistema è perfetto, signor Mihowck. L'evento che ha menzionato è stato frutto uno spiacevole malinteso tra i reparti del VI e del VII cerchio. Inutile dire che i responsabili sono stati... puniti.”
Un breve silenzio, come per rimarcare il concetto. Ledger si intromette con tono ironico.
“Guinzaglio troppo lungo?”
Modaj scuote il capo.
“Non creda che non abbiamo anche noi i nostri conflitti di potere interni. Per esempio, il consigliere Booth non è ben visto dalla maggior parte degli esarca infernali. Si dice in giro che voglia spodestare Sua Eccellenza Lucifero dal trono per marciare contro gli umani e reclamare possesso del mondo intero.”
Vrai fischia ammirato, gli occhi fissi sul panorama al di là del vetro. Un piano di intermezzo, solide strutture di acciaio rivestite di pannelli e paratie, estese in verticale per quasi cento metri. Nessuna possibilità di osservare l'esterno per i minuti successivi. Uno sbuffo di noia, lo sguardo rivolto nuovamente al demone.
“Tutto molto interessante... ma lei cosa ne pensa?”
Modaj scrolla le spalle.
“Potrebbe esserci un fondo di verità. Sapete, non tutti hanno approvato la scelta di Sua Eccellenza di interrompere l'offensiva, due secoli or sono. Nonostante l'enorme successo della campagna, la sua inspiegabile decisione di arrestare l'avanzata ha destato notevoli preoccupazioni in gran parte del personale dirigente. Bell Z. Booth è una personalità di spicco all'interno dei massimi ranghi e conta un numeroso seguito di reparti fedeli. Francamente, Sua Eccellenza non considera improbabile una sua scalata al potere...”
Modaj rivolge lo sguardo ad Ashburnt, incrocia le braccia.
“... ed è questo il motivo per cui siete stati ammessi all'interno della Rocca.”
Ashburnt sgrana gli occhi, la bocca contratta in una smorfia. L'indice si accende, un flusso di energia sacra guidato dalla rabbia, il dito puntato verso Modaj.
“Io non scenderò mai a patti con il Maligno!”
“Non dica cose di cui potrebbe pentirsi in seguito, padre...”
Un sorrisetto tirato.
“... la posta in gioco è più alta di quanto crede.”
Uno scricchiolio improvviso, l'ascensore arresta la sua corsa. La luce nella cabina traballa, il pannello di controllo lampeggia come impazzito.
“Cosa sta succedendo?!”
Modaj stringe le pupille, i denti graffiano le labbra.
“No!”
Un passo verso la porta, le mani strette attorno alle maniglie di emergenza.
“No, no, no!”
La voce acuta, un grido terrorizzato.
“State lontani dalle pareti! State lontani dalle...”
Un rombo sordo, una mano artigliata spacca la cabina di cristallo, una pioggia di vetri aguzzi all'interno. Modaj cade a terra, urla come un ossesso.
“No! È troppo presto! Come...”
Una voce d'oltretomba risuona nell'aria
“Tu, traditore...”
Le luci si spengono ad una ad una, il buio diventa padrone dei dintorni. Quattro scintille brillano nelle nelle tenebre, contorni sfumati nella nebbia nera.
“... non porterai l'esorcista da Lucifero.”
Uno stridio acuto, il rumore del gesso sulla lavagna. Altre braci si accendono, una spirale di artigli e pupille, un oceano di occhi, fissi sulle prede.
Occhi iniettati di sangue.
**
Porte dell'Inferno, esterno.
Due figure incappucciate osservano l'ingresso dai lati della vallata.
“I tempi sono maturi. Ora che ho la certezza che Dio è morto, non ho più alcun motivo di rimandare l'assalto.”
La seconda digrigna i denti.
“Oh, davvero? Prima di morire, Yehohanàn ha avuto un colloquio con un esorcista, ma tu non sei riuscito a rintracciarlo... e quell'esorcista ha il potere della Sacra Sindone!”
La prima figura estrae una spada nera, i fregi azzurri pulsanti.
“Non è il caso di preoccuparsi per le formiche, Rafael. Non se il nostro avversario è Lucifero in persona.”
“Formiche?! Djibriel, Ashburnt mi ha quasi sconfitto! Ho perso un'ala e la mano dominante per colpa di una formica e dei suoi patetici amici!”
“È questo il motivo per cui sono io a decidere. E comunque, non lamentarti, le tue abilità curative sono molto al di sopra della media – la mano ti è già ricresciuta, no? O sono le ferite al tuo orgoglio, quelle che non riesci a guarire?”
Un ringhio malcelato, la voce roca.
“Non farmi ridere! Io ho vinto contro Mikael! Per ben due volte!”
Djibriel sorride sarcastico.
“Ah, già! La prima volta, colpendola a tradimento... la seconda, combattendo contro un inutile guscio che le assomigliava soltanto – e sei comunque riuscito a farti aprire come una scatoletta di sardine. Come ho fatto a dimenticarlo, Raf?”
“Brutto...”
Un gesto eloquente della mano, Rafael si blocca all'istante. Djibriel volge lo sguardo al portale.
“Non è il momento adatto per discutere. Non vogliamo infastidire il nostro ospite, dico bene?”
Un silenzioso assenso, un ringhio soffocato, l'attenzione rivolta al bersaglio.
“L'ingresso è sorvegliato?”
“Non vedo nessuno, ma...”
Djibriel aguzza la vista, si concentra sul portale.
“... c'è qualcosa di strano. Quegli arbusti, quelle rocce... sono deformati in modo innaturale.”
“Uhm...”
“Attento!”
Un vortice di vuoto squarcia l'aria, cancellando dune e terriccio, lasciando solchi profondi. Rafael si scosta all'ultimo secondo, percepisce la vibrazione a pochi centimetri dal naso.
“Iiiiih!”
Rafael sbatte le palpebre, deglutisce a fatica, stringe il pugno
“D... dov'è?!”
Djibriel impugna Schwarzschild, ruota il capo in ogni direzione.
“Non lo so, non riesco a percepirlo!”
“Non importa!”
Rafael estrae Durandal. La lama scintilla al Sole, brucia di energia sacra.
“Durandal, distruggi la via! Brèche de Roland!”
La spada percossa contro il terreno con forza, una faglia generata al contatto. Le crepe si estendono, corrono verso il portale, scagliando in aria pietre, rami rinsecchiti, nuvole di polvere.
“Dieci metri alla porta!”
Il terreno si spacca, lampi di energia solare emergono da ogni frattura. Rafael stringe le dita attorno all'impugnatura, sorride compiaciuto.
“Cinque metri!”
La faglia si estende, si ramifica a velocità impressionante, fendendo la sabbia.
“Tre metri!”
Djibriel solleva la lama in posizione di guardia, attende in silenzio, il cuore in gola.
“Un metro!”
Un sigillo vermiglio emerge dal nulla, a pochi centimetri dall'onda distruttrice. Rafael strabuzza gli occhi.
“C... cos'è quello?!”
Un'esplosione violenta, strali luccicanti dispersi in ogni direzione. Una sfera nera come la pece, crepe sulla superficie, una pioggia di frammenti di vetro, una nube di polvere sollevata dall'impatto. La rena ricade sul terreno, impregnando l'aria di polvere. Un sagoma eterea emerge dalla distruzione, cammina lentamente di fronte al portale. Occhi sfavillanti, provati dalla stanchezza, la corazza blu ricoperta di bruciature ed escoriazioni, la folta criniera annerita dalla fuliggine.
“Angeli...”
Odio sputato da ogni poro della pelle. Le mani si uniscono al cielo, le gambe divaricate, l'aura vermiglia divampa.
Djibriel corruga la fronte, dispiega le ali, si alza in volo. Rafael lo imita immediatamente, segue l'intuito. L'istante successivo, la collina sparisce, risucchiata da un vortice di nulla.
“... vuoto?!”
Djibriel osserva dall'alto, scorge a malapena la figura nella pioggia di sabbia. Un paio di rapidi calcoli, sudore freddo lungo la fronte.
“Djibriel? Cosa succede?!”
“Non posso ritorcergli contro il suo potere! I buchi neri di Schwarzschild non possono assorbire ciò che non esiste!”
Un altro turbine, l'aria divorata, le ali perdono stabilità. Rafael recupera l'assetto, punta la torre principale, inspira profondamente.
“Allora non ci resta che aprirci un'altra strada! Durandal, distruggi la via! Brèche de Rolaaaaand!!!”
Una scarica di energia perfora l'atmosfera, si infrange sulla vetrata gotica, fa saltare in aria il rosone. Il Guardiano serra i pugni, urla a squarciagola.
“No! Fermi! Non vi lascerò entrare!”
Djibriel si esibisce in un loop, penetra nella breccia ad altissima velocità. Rafael lo segue a poca distanza, senza distogliere lo sguardo dal nemico. Il Guardiano congiunge i pugni, li solleva. Ma non c'è più alcun bersaglio. Solo il cielo coperto da nuvole grigie. Un sospiro grave, costernazione sul volto stanco, un urlo gutturale.
“MALEDIZIONE!”
Due dita premute sulla fronte, le palpebre chiuse, il contatto stabilito.
“Qui è il Guardiano, mi sentite? Due angeli di alto rango si sono introdotti nella Rocca, non sono riuscito a fermarli! Allertate tutti i reparti di sicurezza! Attivate il protocollo anti-intrusi! ORA!”
8. Ascensore per l'Inferno (II)
Ashburnt si morde il labbro, osserva allibito la moltitudine di pupille puntate su di lui. Cento, duecento occhi emersi dal nulla. Una cupola di pece puntellata di sguardi feroci, lunghi tentacoli di tenebra a stringere l'ascensore, impedendone il movimento. Il motore inceppato, il cristallo venato, spaccato in più punti. Gli occhi guizzano come pesci in un mare invisibile, senza perdere di vista il bersaglio. Modaj deglutisce rumorosamente, la fronte imperlata di sudore. Eden stringe le palpebre, il respiro affannato. Vrai digrigna i denti, estrae alcune carte dal mazzo.
“P... perché sta diventando tutto così... buio?!”
“Dannazione!”
Ledger cala il cappello sul volto, scintille bluastre attorno alla spalla, il braccio fantasma si infiamma, illumina le tenebre. Solo per un istante. La luce si affievolisce, scompare come ingoiata dall'oscurità. Eden unisce le mani, convoglia l'elettricità statica. Il lampo dura un attimo, prima di essere inghiottito a sua volta.
“È inutile!”
“Tu, traditore, non porterai l'esorcista da Lucifero!”
La voce sepolcrale si ripete identica, scuote l'aria con onde di pressione. Gli occhi si sparpagliano, si raggruppano, i tentacoli percuotono la cabina. La luce si affievolisce, visibilità ridotta a pochi metri.
Modaj lancia un grido acuto, si abbarbica ad Ashburnt.
“S... si rivolge a me?! A... aiuto! P... padre, mi protegga! Senza di me, non arriverà mai da Sua Eccellenza! Lo sa, vero? Vero che non mi fare uccidere da quei cosi lassù? V... vero? Vero?!”
“E mollami!”
Ashburnt spinge il demone a terra, spolvera il soprabito. Modaj rotola sul pavimento, Patchwork lo blocca con la suola del sandalo, gliela preme con forza contro la fronte, fin quasi a lasciare il segno.
“Rilassati, pinguino. Non ci hanno ancora attaccato direttamente.”
Eden annuisce, solleva i pugni.
“Sembra che stiano aspettando qualcosa...”
“Certo che aspettano qualcosa.”
Patchwork afferra Eden per la nuca, chiude gli occhi, la bacia sulla bocca. Ashburnt sgrana gli occhi, Ledger si irrigidisce per un lungo istante. Eden allontana Patchwork, la spinge via.
“M... ma sei impazzita?! Qui?! Ora?!”
Patchwork mostra la lingua, sorride divertita.
“Volevo solo rubarti la gomma da masticare.”
Un pallone rosato si fa strada tra le labbra, scoppietta con un crepitio sordo. La voce delle tenebre riecheggia ancora una volta.
“Tu, traditore, non porterai l'esorcista da...”
“Sì, sì, ho capito! Vuoi smetterla di ripeterti?”
La voce di Patchwork sovrasta il tono cavernoso, rimbomba come il ruggito di un leone. Ashburnt unisce le mani, divarica le gambe. Un alone dorato attorno alle braccia, l'oscurità dissipata in un attimo.
“Ne ho abbastanza! Rosario divino, secondo miste...”
Una pioggia di tentacoli d'ombra, le pareti di cristallo frantumate in più punti. Modaj si getta sul pavimento, le palpebre serrate.
“No, no, no!”
“Padre Cross!!!”
Eden urla terrorizzata, distende il braccio come per avvertirlo del pericolo. Prima che possa reagire, Ashburnt viene trafitto da ogni direzione, lame affilate attraverso la carne, le vampe dorate assorbite, estinte.
“Aaaaaaagh!”
I tentacoli sbattono Ashburnt da una parte all'altra dell'ascensore, lo lanciano contro Ledger e Vrai. Il braccio fantasma frena l'impatto, attutisce l'urto. Ashburnt sputa sangue, tossisce più volte.
“N... non sono neppure riuscito a vederli...”
“Interessante.”
Patchwork continua a masticare la gomma come se nulla fosse, distende le ali, apre la mano demoniaca. Una debole aura scarlatta circonda il corpicino, contrasta l'incedere delle tenebre. Gli occhi si allontanano, nuotano attorno alle prede, come squali in attesa. Eden si china su Ashburnt, controlla le ferite.
“P... padre Cross! Padre Cross, mi risponda, la prego!”
Ashburnt tenta di annuire, solleva a fatica la mano destra, la voce affaticata.
“I... interve...”
Patchwork gli stringe il polso, interrompe il gesto.
“Non lo faccia, padre. Se non vuole morire, dico.”
Ashburnt risponde con un ringhio, corruga la fronte.
“S... se non lo faccio... muoio lo stesso!”
“Ah, già. Non ci avevo pensato.”
Un ghigno sul volto della ragazza, Patchwork chiude la mano umana a mo' di pistola, la punta verso la volta oscurata. L'aura scarlatta si accende con violenza, circonda il suo corpo dalla testa ai piedi.
“Bang!”
Tutte le pupille puntate su di lei, una tempesta di tentacoli neri cala con violenza. Patchwork espande l'ala scheletrica, la avvolge attorno al corpo, ruota su se stessa come una ballerina. Le protuberanze si schiantano contro lo scudo improvvisato, vengono deviate, si conficcano nel pavimento, a pochi centimetri dagli altri occupanti dell'ascensore. Ledger ed Eden fanno scudo ad Ashburnt, Vrai evoca due spade, protegge Modaj dall'assalto.
“Patch! Smettila di giocare! Questi ci fanno fuori!”
“Uh? Okay...”
Patchwork richiama le ali, atterra delicatamente al centro della cabina. L'aura esplode, il bagliore di mille soli. Le iridi seguono ogni movimento, i tentacoli si riorganizzano, puntano nuovamente al bersaglio. Patchwork chiude gli occhi, spalanca le braccia. Le masse nere scendono come fruste, si avventano sul corpo della ragazza. La luce si spegne, le tenebre riprendono il sopravvento. Patchwork riapre gli occhi, abbozza un sorriso, si lecca le labbra.
“Davvero interessante.”
Di fronte a lei, i tentacoli giacciono immobili. Completamente fermi.
“C... cosa?”
Ledger scruta la volta, gli occhi incastonati nel buio. Eden si stringe a lui, osserva allibita.
“... perché si sono fermati?”
Ledger ridacchia sotto la sciarpa.
“Oh, adesso capisco.”
Ashburnt tossisce, si rialza a fatica con l'aiuto di Vrai. Il sangue sputato sul pavimento, le piaghe non ancora risanate.
“A... aspetta! Non dirmi che...”
Patchwork scrolla le spalle.
“È un sistema automatico, padre. Reagisce ad alte concentrazioni di energia sacra... come quella che ha rilasciato minacciando il pinguino, cinque minuti fa. E quella che ha provato ad accumulare per le Fiamme di Sodoma.”
Patchwork punta l'artiglio verso Ashburnt, massaggia il meno con la mano destra.
“Se avesse attivato il potere della Vera Croce per curarsi, si sarebbe fatto uccidere.”
Incedere lento, la gomma scoppietta, un pallone rosa esplode poco dopo. Gli occhi sguazzano nel buio, privi di direzione, si limitano a precludere ogni via d'uscita. Patchwork tira via la chewingum, si avvicina ad Eden, gliela posiziona delicatamente tra le labbra, le sfiora la guancia con le dita affusolate.
“Grazie. Mi serviva per tranquillizzarmi.”
Eden arrossisce, stringe il braccio di Ledger con forza, pianta le unghie nella pelle.
“P... prego.”
Ledger grugnisce per il dolore, un gemito strozzato, soffocato sul nascere, lacrime nascoste dalla tesa del cappello.
“Gnnnnn!”
Ashburnt crolla in ginocchio, la veste ricoperta di macchie vermiglie.
“N... non resisterò a lungo... se non posso curarmi...”
“Oh, a questo si rimedia facilmente.”
Patchwork si avvicina al bordo della cabina, a due passi da Modaj.
“Permette?”
Una gomitata nello sterno, Modaj si piega a metà per il dolore.
“Ghhh!!! Brutta sgualdrina! io...”
“Sì, sì. Me lo dirai dopo.”
Patchwork incrocia le braccia, la parete di cristallo venato di fronte a lei, il mare di occhi in sospensione a poca distanza.
“Come le dicevo, padre, esiste un solo modo per evitare che diventi un puntaspilli.”
L'ascensore scosso da tremiti, le lampade oscillano, si accendono, si spengono. Raffiche d'aria sferzante attorno al corpo di Patchwork, un luccichio prima flebile, poi sempre più intenso, avvolge la sua pelle, la mano destra alzata al cielo, le ali spalancate.
“Offrire loro un diversivo.”
L'energia sacra si accumula attorno al polso, risale sino al palmo, scorre come un fiume in piena. La voce di Patchwork riecheggia tra le pareti, un canto armonioso, una melodia contrastante.
“Tu sei il mio scheletro, il mio unico appiglio.”
L'indice traccia una curva in aria, una scia evanescente scolpita nel vuoto. Gli occhi della volta si attivano, tracciano il bersaglio.
“Il mio corpo è il tuo cibo, il mio sangue ribolle!”
Il dito traccia un cerchio, continua il suo percorso. I tentacoli di tenebra ribollono, si solidificano come lame, puntate verso di lei.
“O tu, che hai domato or demoni or draghi, divampa al mio grido! Emergi e distruggi!”
La scia si richiude, completa il simbolo dell'infinito. Il glifo si accende, dissipa le ombre. Gli occhi perdono l'aggancio, vagano come impazziti, tentano di tornare in formazione.
“Rinasci dalle ceneri, Balmuuuung!!!”
Il metallo vermiglio riluce come appena forgiato, l'elsa si materializza, la lama emerge dalle fiamme, il grido di una fenice risuona trionfante. Balmung riluce ancora una volta tra le mani di Patchwork, avvolta da un manto di fuoco inestinguibile.
Ledger rimane a bocca aperta, Eden nasconde la commozione. Vrai fischia ammirato. Modaj spalanca gli occhi.
“Balmung, la leggendaria spada di Sigfrido...?!”
Il pugno chiuso, le unghie affilate feriscono il palmo, le pupille ristrette.
“... c... chi o cos'è questa creatura?!”
Gli occhi si riorganizzano, ritrovano la mira. Patchwork si lecca le labbra.
“Bene, bene...”
I tentacoli automatici partono a razzo, senza attendere un istante di più. Il braccio demoniaco scatta, afferra una protuberanza, la strappa con violenza. Il braccio umano brandisce Balmung, fa a pezzi altre due escrescenze. Gli occhi vagano senza meta, come un branco di pesci privi di guida. Poi, ricompongono i ranghi, altri artigli sparati verso l'unico bersaglio riconosciuto. Balmung deflette gli attacchi con eleganza, non risponde all'attacco.
“... non ho abbastanza spazio...”
Un urlo irritato, il piede premuto contro il cristallo.
“Ehi, pinguino! Da qui si può uscire, giusto?”
“S... sì, ma...”
“Okay.”
Patchwork sfonda la parete con un calcio, i vetri precipitano nella tromba dell'ascensore, si perdono nel vuoto.
Eden distende il braccio, apre la mano.
“P... Patchwork?”
Un sorriso in risposta, due colpi deflessi senza nemmeno guardare.
“Ashburnt non può curarsi, finché quello schifo è là in alto.”
Patchwork estende le ali, rivolge lo sguardo a Ledger.
“Tu sai ancora creare lo scudo che hai usato contro il leviatano?”
“S... sì, credo di sì.”
Il braccio nero ferma altri arpioni, li getta per terra con disprezzo.
“Ottimo. È tutto quello che volevo sapere.”
Patchwork salta all'indietro, si ferma a pochi centimetri da Eden, parole che sembrano non voler essere pronunciate.
“Ci rivedremo, non preoccuparti. Devo ancora restituirti la cortesia!”
Balmung para altri colpi, Patchwork mantiene la posizione. Eden balbetta, il battito accelerato.
“C... cosa stai dicendo?! Quale cortesia?”
Le gote arrossite, un guizzo di imbarazzo, lo sguardo distolto per un secondo. Un secondo soltanto.
“Oh, non è ovvio?”
La spada lanciata come un boomerang, la lama intercetta i tentacoli, li sfalda. Patchwork si stringe a Eden, si lascia trascinare, la bacia con foga, una lacrima lungo la guancia di ceramica, la voce ridotta ad un sussurro.
“Zenma. Hotel Alexandria. Pigiama a pinguini.”
Patchwork lascia la presa, afferra Balmung al volo, si dà la spinta verso la parete distrutta.
“A presto, padre! Mi raccomando, non inizi a curarsi finché non sente lo schiocco!”
Ashburnt scuote il capo, la mandibola spalancata al limite della disarticolazione.
“L... lo schiocco?! Quale schiocco?!”
Una linguaccia in risposta.
“Oh, non serve che glielo dica! Lo capirà di sicuro...”
Patchwork vola fuori dalla cabina, volteggia in aria, atterra sul tetto, richiude le ali per proteggere il corpo. Un enorme cavo d'acciaio, teso, imponente. Un'espressione compiaciuta disegnata sul volto.
“... beh, sempre che non muoia d'infarto prima.”
Le mani giunte, la spada sollevata al cielo, le ali spiegate, l'aura ardente.
“Balmung l'immortale, ricevi il mio potere!”
Gli occhi accecati, la nube di tenebra rarefatta, squarciata da una luce sfavillante.
“Infinity Slaaaaaaash!”
La lama saetta, liquefa il metallo, trancia i tendini come se fossero di burro.
E l'ascensore precipita nel condotto, in caduta libera.
9. Ascensore per l'Inferno (III)
La cabina trema per un istante, gli occupanti sballottati al suo interno. Un rumore sordo dal tetto, l'urlo del metallo squartato, il buio dissipato. Ashburnt strabuzza gli occhi, ricompone la mandibola.
“A... alla faccia dello schioc...”
Il pavimento è il primo a rendersi conto del cambiamento, separandosi dai piedi.
“...co?”
Le pareti del condotto scorrono via via più veloci, accelerano poco per volta. Ledger si aggrappa ad una maniglia, Vrai sollevato a mezz'aria, Eden e Modaj fluttuano accanto a loro. Un grido collettivo, il terrore dipinto sui volti. Vrai digrigna i denti, urla a perdifiato.
“Aaaaaaah! Io... quella... la ammazzooooo!”
Modaj agguanta il corrimano, scuote il capo in continuazione.
“No! Non così! Non così!”
Ashburnt tossisce, sangue sputato, spiaccicato contro il tetto. Ledger estende il braccio fantasma per raggiungerlo, lo tiene stretto.
“P... padre! Deve curarsi! Ora!”
“I... in caduta liberaaaaah?!”
“A quello penso io, non si preoccupi!”
La cabina precipita a velocità folle, uno, due, tre piani al secondo. Ashburnt solleva la mano destra, urla con tutto il fiato che ha in corpo.
“Intervento divino! Primo... primo miracolo! G... guarigione... degli... Infermi!”
Una scintilla di luce sacra, le piaghe si richiudono, le tracce ematiche evaporano. Eden tenta di nuotare in aria, allarga le braccia.
“Patchwork! L'abbiamo lasciata indietro!”
Vrai agita il pugno, le iridi si infiammano.
“N... no, accidenti! È solo colpa sua se stiamo cadendo a velocità terminale!!! Solo! Colpa! Sua!”
“Ma... ma...”
“Se questo era il prezzo del biglietto per vedervi scambiare tenere effusioni omoerotiche... beh, non ne valeva veramente la pena!”
Modaj si lascia trascinare al soffitto, armeggia con un pannello d'emergenza.
“Possiamo uscire da qui! D... dobbiamo uscire da qui!”
Ledger porta la mano alla nuca, incrocia le gambe.
“Che problema c'è? La discesa è ancora lunga, no? Stiamo scendendo a circa dieci, venti metri al secondo, grazie alla larghezza dell'ascensore. Abbiamo ancora un paio di minuti di volo, prima di doverci seriamente preoccupare.”
Un ringhio rabbioso, Vrai svuota i polmoni.
“C... ci schianteremo, prima o poi, imbecille!”
“L'importante è attenuare l'impatto al momento giusto. E io posso farlo.”
Eden si lancia su Ledger, lo abbraccia con forza.
“Sì! Sì! Era questo quello che voleva dire Patchy, vero? Lo scudo fantasma!”
Ledger annuisce, Eden risponde con una linguaccia, gli accarezza il viso con tranquillità.
“Allora posso farlo anch'io!!! Insieme possiamo salvare tutti quanti! Anzi, magari potresti approfittare della discesa per... ehm, insegnarmi ancora qualcosa!”
Una risata divertita.
“Ma non eri proprio tu che hai rifiutato Patchwork, pochi minuti fa?”
Eden sbuffa, incrocia le braccia.
“Un rapporto lesbo angelo-demone di fronte al mio ragazzo sarebbe stato un po' imbarazzante. Se fosse stata una cosetta a tre...”
Ashburnt stringe il crocefisso, unisce le mani, prega col volto paonazzo. Vrai rotea gli occhi, si lascia portare dalla corrente.
“Fate pure con comodo, eh. In fondo, non stiamo precipitando in un abisso senza fondo.”
Un colpetto di tosse. Modaj scuote il capo, le leve azionate una dopo l'altra, senza un ordine preciso.
“Ehm... credo che ci sia una complicazione. Avete mai sentito parlare delle Porte di Sheol?”
Silenzio assoluto, solo il fischio dell'aria attraverso le crepe. Eden annuisce, alza la mano per rispondere.
“Sì, certo! Costituiscono il diaframma tra la parte superiore e quella inferiore della Rocca. Qualcuno le chiama anche vere porte dell'Inferno. Se uno le attraversa, il suo corpo viene disgregato e la sua anima rimane sospesa in un limbo temporale in cui rivive per l'eternità il momento della sua morte, dolore e disperazione inclusi. Sono considerate una delle punizioni peggiori che possano essere comminate ad un peccatore!”
Le pupille di Ledger si restringono, i muscoli contratti.
“P... perché dovrebbe interessarci?”
Modaj deglutisce rumorosamente.
“Perché le stiamo per attraversare, forse?”
**
Condotto dell'ascensore, alcuni chilometri sopra. Patchwork distende le ali, mantiene la quota. Un coro di vampe scarlatte avvolto alla mano umana, Balmung brandita senza timore. Attorno a lei, un concerto di gemiti, gli sguardi sperduti della volta di occhi.
“Come pensavo, sono rimasti qui.”
I tentacoli roteano attorno alla ragazza, come squali, in cerca di un varco.
“... oh, piccoli! Sembrate così irritati, con quei capillari così gonfi sulla sclera. Forse ho la medicina adatta...”
Un ghigno compiaciuto, la lingua lecca più volte le labbra. La mano demoniaca impugna Balmung, gli artigli serrano la presa.
“Uff. Peccato, ho finito il collirio. Dovrete accontentarvi di questa!”
Una vampa di fuoco trancia la cupola oscura, incendia l'aria al suo passaggio. I tentacoli sfrigolano, si spezzano, altri emergono come nuovi, subito dopo. Un assalto incrociato diretto verso il centro, attacchi evitati senza troppi problemi. Patchwork piroetta, esegue un loop quasi perfetto. L'artiglio perfora la parete del condotto, i piedi saldamente puntati sulle piastre di metallo, l'ala scheletrica a protezione del corpo. Un rapido sguardo ai dintorni, in cerca di una via di fuga.
Eccola.
Una porta, pochi metri sopra di lei. Vicinissima al soffitto della cupola di tenebre. Patchwork comprime il braccio, la pelle scura si insacca, si allarga. Balmung si accende, una tempesta di aculei in risposta.
“Ora!”
Il braccio si estende, il corpo spinto come da una molla gigante. Patchwork raccoglie le ali, ruota come una turbina, Balmung brilla al massimo dello splendore. Gli occhi guizzanti si dilatano, alcuni scoppiano per il calore infernale, altri nuotano via attraverso le fessure del metallo. I tentacoli ondeggiano, privi di direzione, la volta perde coesione. Patchwork sorvola il cancello di uscita, ignora il nemico confuso, lascia confluire tutta l'energia nella spada.
“Balmung l'immortale, riaccendi il mio potere! Chain! Flame! Armageddooooon!!!”
Una deflagrazione violenta scuote l'intero palazzo, risalendo per decine di metri. Le paratie del condotto saltano in aria, gli allarmi antincendio risuonano tetri, sirene acute, il panico. Demoni di ogni forma e dimensione, umani, automi, un fuggi fuggi generale in ogni direzione. Il flusso di occhi si ritira dal canale bruciato, scorre come un fiume in piena, si inabissa indisturbato nei meandri del palazzo. Attorno, è il caos. Lingue di fuoco diffuse, i broccati in fiamme. Orde di cuccioli armati di estintori, un paio di alfieri a gestire le operazioni. Le porte del vano ascensore cedono, scardinate dall'onda d'urto, una spessa nube di fumo invade i locali adiacenti. Una sagoma scura nel grigiore, prima soffusa, poi via via sempre più nitida. Un sandalo emerge dal varco. Un altro sandalo. Una mano umana, aggrappata allo stipite. Una mano demoniaca. Un viso incuriosito, incorniciato da un'aureola intermittente. Il volto ruotato a destra, a sinistra. Patchwork deglutisce, sudore freddo lungo la fronte candida.
“F... forse ho esagerato un po'...”
Uno dei cuccioli la scorge, agita il braccio.
“Signorina, si tolga di lì, presto! Le squadre di soccorso saranno qui a breve!”
“U... uh? Ah, sì! O... okay, certo!”
Il cucciolo fa segno con una mano, indica un corridoio alle sue spalle.
“Le scale per il rifugio sono di là! Quelle in direzione superficie, non quelle verso Sheol!”
“... verso... Sheol?”
Il demone sbraita, le fa segno di sbrigarsi.
“Sotto questo livello ci sono solo i cerchi di punizione! Non vorrà finirci dentro per sbaglio?!”
Patchwork nasconde le ali, si avvia lentamente nella direzione indicata, agita le mani di fronte al volto, come per scusarsi.
“No, no...”
Un sorrisetto malizioso.
“... non per sbaglio.”
**
Ashburnt si sporge dalla parete spaccata, guarda verso il basso. Un bagliore violaceo intermittente, un sigillo luminoso. Sempre più vicino.
“L... le Porte di Sheol?! Nel vano ascensore?!”
Modaj annuisce nervosamente.
“Sono un sistema di sicurezza. Se qualcuno tentasse di raggiungere i livelli più bassi senza autorizzazione, sarebbe rilevato al contatto col sigillo... e disintegrato immediatamente nei suoi costituenti primari. Questo ascensore può essere operato solo da personale autorizzato e – se integro – è immune all'effetto distorsivo del portale.”
Un boato assordante, l'intero condotto trema, la cabina rimbalza da un lato all'altro del canale. I vetri superstiti scricchiolano, vanno in frantumi, lasciando solo l'anima metallica del vagone.
“Attenti!”
Ledger si lancia verso i montanti, il braccio etereo aggancia la struttura, la mano a tenere saldamente Ashburnt. Eden evoca il suo arto fantasma, si esibisce nello stesso trucco, afferra Vrai e Modaj con le mani libere.
“E... era Patchy?”
“Ugh... sì, è decisamente il suo stile.”
La gabbia protettiva si spacca, la cabina ruota su se stessa, si incastra tra le pareti. Scintille nei punti di contatto, pezzi di acciaio in volo, strappati dalla violenza dell'impatto.
“Aaaah!”
Le Porte di Sheol pulsano con violenza, pregustano l'arrivo delle prede. Lingue violacee emergono dal varco, si inerpicano lungo la struttura. Ledger sospira, osserva malinconicamente il mare purpureo.
“Non abbiamo molta scelta, vero?”
Una scossa improvvisa, la cabina si deforma, l'integrità strutturale compromessa. Ashburnt unisce l'indice e il medio, l'energia sacra scorre nella sua mano.
“Forse... forse sì! Se uso il potere della Vera Croce... dovrei riuscire a scardinare le Porte di Sheol!”
L'ascensore riprende la caduta libera, il sigillo a poche decine di metri.
“Ledger! Eden! Attivate i vostri scudi, ora! Racchiudete Vrai e Modaj al loro interno! Io li impregnerò di energia sacra!”
Ledger annuisce, grida con tutto il fiato rimastogli in gola.
“Mano Fantasma – Protezione Totale!!!”
Il braccio lascia la presa uno schermo di energia bluastra lo racchiude assieme ad Ashburnt. Eden respira a più riprese, prende coraggio.
“V... va bene! Mano Fantasma – Protezione tota...”
Modaj chiude gli occhi, accenna un sorriso malinconico. La mano lascia la presa.
“... le?”
Lo scudo circonda Eden, raggiunge Vrai. Ma non Modaj.
Ashburnt tende la mano, spalanca le palpebre.
“ M... modaj! Che diavolo...”
Modaj scivola via, si aggrappa al metallo della struttura, al di fuori della bolla azzurra.
“Il mio destino è segnato. Nessuno può salvarmi.”
“Non dire idiozie! La Vera Croce può...”
“Sì, la Vera Croce può proteggervi da Sheol... ma io sono un demone.”
Ashburnt si blocca, le parole rifiutano di prendere forma. Le spire di Sheol ruotano sempre più veloci, il portale si deforma, pronto ad accogliere i nuovi ospiti.
“N... no. Non ha senso! Non può...”
“L'energia sacra mi ucciderebbe al contatto, padre. M... mi dispiace.”
“Non dica così, forse... forse...”
“Se incontrate Sua Eccellenza, porgetegli le mie più sentite scuse per non avervi condotti sani e salvi a destinazione.”
“Modaj!!!”
“Padre, non abbiamo più tempo!!!”
Ledger sovrasta le grida di Ashburnt, il terrore puro nella voce. Ashburnt stringe i denti, raggiunge la massima concentrazione.
“V... va bene! R... rosario divino! Donami la tua forza, ancora una volta! Proteggi i miei compagni dall'incubo! Oraaaaa!”
Un bagliore bianco illumina il canale a giorno, fluisce sugli scudi, si lega all'energia spirituale di Ledger e Eden. Le fauci di Sheol si spalancano, un abisso infinito di disperazione. Modaj trova la forza di sorridere, mentre le due sfere luccicanti si immergono del vuoto.
“Addio, padre. Avrei voluto... aiutarla di più.”
Un flash purpureo, un'onda di pressione distorce la realtà. La cabina attraversa Sheol, sfrigola, si dimena al contatto. Un secondo lampo, bianco come la luce del Sole. Il sigillo si strappa, le fauci squartate. Frammenti di membrana violacea precipitano nel condotto, mentre la cabina riemerge dall'inferno.
Completamente vuota.
10. Sulle Onde dell'Acheronte (I)
L'acqua del fiume si increspa, minuscole onde formate al passaggio silenzioso della piccola imbarcazione. Le eliche spingono il veicolo, la corrente impetuosa a facilitare il viaggio nonostante i due rimorchi, due enormi chiatte da carico ricoperte da un velo nero. Ramante incrocia le braccia, si lascia sprofondare sul sedile.
“Ci vorrà molto?”
“Ancora tre-quattro ore, mio signore. L'Acheronte è lungo.”
Un demone umanoide risponde alla domanda, le quattro braccia governano i comandi della nave. Un lungo saio strappato, occhi azzurri luccicanti, privi di iride o pupilla, il volto celato interamente da un cappuccio rappezzato. Un lungo becco carnoso emerge dai cenci all'altezza del naso, completando il ritratto del barcaiolo.
Ramante china il capo in segno di assenso.
“Ottimo, Salmagro. Ricordami che ti devo un favore.”
Salmagro sospira, le dita contratte attorno alla cloche.
“Mi deve più di un favore, mio signore. Se non fosse che lei è uno degli esarca infernali, non avrei mai accettato di far salire degli estranei sulla Kerberoion.”
Sinisa preme gli occhiali contro il naso, scrolla le spalle.
“Siamo ospiti di sua eccellenza Ramante. Non vedo quale sia il problema.”
Salmagro ignora platealmente il richiamo, si rivolge a Ramante come se gli altri non esistessero.
“Il problema non è un rappresentante di cosmetici in doppiopetto... e neppure quell'altro, il fanatico satanista che fa i giochi di prestigio con le bende. Il problema è... quella cosa!”
Parole sputate con ribrezzo, una mano secondaria indica un punto alle sue spalle.
Il punto dove dorme Liliel.
“Ti riferisci a...”
“N... non dica quel nome, mio signore! Mi viene l'orticaria solo a sentirlo! Va bene che per compiere il rito vi serviva una vittima sacrificale, ma perché proprio una... una di loro?”
Rejo culla Liliel tra le braccia, abbozza un sorriso.
“Ma come? Non è più eccitante? Uccidere un angioletto disperato in onore del Maligno?”
Le dita di Rejo scorrono tra le piume, accarezzano i moncherini.
“Dovevi sentire le urla mentre le strappavamo le ali, Salmagro! Ah, quanto avresti goduto! E questo è ancora niente, rispetto a quello che le faremo alla Rocca...”
Salmagro deglutisce, armeggia col pannello di controllo.
“Chiamare Sua Eccellenza il Maligno... sigh, dove andremo a finire? I giovani non hanno più rispetto...”
“Non avevo molta scelta, Salmagro. Da solo, non avrei mai trovato la tua nave. È stato un colpo di fortuna incontrare questi viandanti per caso.”
“Possa Sheol consumare il bastardo che l'ha aggredita! Accecare un esarca nell'esercizio delle sue funzioni...”
Salmagro rilassa i muscoli, sbatte le palpebre.
“Spero che possano curarla, mio signore. Sua Maestà Infernale sarà contento di sapere del suo ritorno.”
Le sponde dell'Acheronte scorrono ai lati del veicolo, alberi, arbusti, rocce basse. Il paesaggio muta, chilometro dopo chilometro, si inaridisce poco alla volta. Liliel grugnisce nel sonno, si dimena tra le braccia di Rejo. I polsi e le caviglie legate da spesse bende ocra, ogni movimento impedito. Sinisa estrae il blocco da disegno, inizia a tracciare alcune linee col pennello.
“Questo sarebbe un bel quadro da appendere in ufficio! Liliel legata mani e piedi! Se solo i suoi vestiti fossero più strappati...”
Rejo aggrotta le sopracciglia.
“Non sapevo ti piacessero queste oscenità, Sinisa. E neppure sapevo che ti piacesse dipingere. Ho sempre pensato che il tuo pennello servisse solamente a... ad un certo scopo.”
Una croce tracciata rapidamente in aria, come a ribadire il concetto. Sinisa si massaggia il mento, chiude gli occhi.
“Ci sono molte cose che non sa di me, pad...”
Rejo si schiarisce la voce, scuote il capo in direzione di Salmagro.
“E... ehm.”
Un colpo di tosse, Sinisa si blocca, balbetta.
“Pa... parecchie cose! Dopotutto, questo è il nostro primo incarico insieme.”
“Un commesso viaggiatore e un sacerdote di quel culto blasfemo che idolatra Sua Eccellenza come il male incarnato? Che incarico possono dover svolgere insieme?”
“Basta, Salmagro! Smettila di importunare i miei ospiti!”
La voce di Ramante sovrasta le lamentele, risuona tra le luci delle stelle. Quasi cinque ore di viaggio, tutte trascorse sul fiume, la fine non ancora in vista. Rejo rotea lentamente il collo, aggiusta la posizione.
“Senti, Salmagro. Anche se non ti va bene, è così. Abbiamo trovato il tuo signore in stato pietoso, completamente cieco. Il prezzo per il salvataggio era un passaggio fino alla Rocca per incontrare il nostro idolo. Ora, ne convieni con me che rimangiarsi la parola data non sarebbe consono ad un esarca?”
“È la prima frase sensata che ti sento pronunciare dall'inizio del viaggio, uomo.”
Salmagro torna a concentrarsi sul fiume
“Comunque, siete stati fortunati. Ero al molo per un altro motivo, dovevo recuperare un sottoposto dell'esarca Booth a mezzanotte... ma non è mai arrivato. Beh, pazienza, se la farà a piedi. Gli orari vanno rispettati.”
Ramante singhiozza, ruggisce sotto il casco metallico.
“Un servo di Booth? Cosa diavolo ci faceva un servo di Booth nel mio territorio?”
“Credo fosse lì per investigare la Piaga.”
Ramante sussulta, rimane in silenzio, aspetta che Salmagro continui.
“Non ha sentito, esarca? Abbiamo perso i contatti con Holreck ieri sera. La Piaga si sta espandendo a macchia d'olio. E pensare che è tutto iniziato dieci anni fa, a Norfold. Si ricorda di Norfold, vero? Bella città, bei giardini, il picco della tecnica. I grattacieli di Norfold, quante volte ho ammirato la volta celeste da lassù. Eppure, all'improvviso... puff, diecimila persone sparite in una notte. Scomparse. Solo umani, nessun demone. Il panico, il caos... non posso dimenticarlo. Norfold era l'unico collegamento neutrale tra il nostro territorio e quello della Chiesa, l'unica città a cui era permesso commerciare con l'esterno. Che perdita, che perdita! Ma so di chi è colpa! La Piaga è una creazione della Chiesa! L'hanno usata per distruggere Norfold, e da lì il resto! Quei maledetti bastardi!”
Salmagro sputa sul ponte della barca, parole pesanti miste a insulti. Ramante alza la mano, il dito mosso in un cenno di diniego.
“La Piaga non è iniziata a Norfold, Salmagro.”
Un barlume di luce attraverso l'elmo fuso.
“Te lo posso garantire.”
**
Norfold, dieci anni prima. La luce del sole attraverso le vetrate multicolori, rosoni gotici, finestre piombate su palazzi vertiginosi, guglie e cupole immerse tra gli alberi. Non un'anima in giro, porte barricate, non un suono, non un rumore.
“Ramante, non ha alcun senso rimanere qui. Sono mesi che siamo intrappolati in questo mortorio.”
“Taci, Booth.”
Ramante cammina sull'asfalto ruvido, il mantello organico strascicato. Alle sue spalle, un altro demone, umanoide. Pelle violacea, capelli azzurri, occhi argentei, giaccone di pelle nera, abiti di pregio, una pipa in bocca.
“Ehi, perché tutto questo astio? Anch'io sono un esarca, no?”
“Un esarca con un harem di succubi che passa metà della sua giornata a letto invece di dedicarsi al suo popolo? Fammi il piacere, Booth.”
“Oh, davvero? E per quale ragione sarei qui, secondo te?”
“Perché hai paura di sparire anche tu.”
Il demone chiamato Booth scrolla le spalle, aspira dalla pipa.
“... va bene, lo ammetto. La notizia mi ha terrorizzato. Quasi diecimila esseri umani spariti in una notte, senza traccia, lasciando solamente pile di vestiti vuoti sparse per terra. È spaventoso.”
“Diecimila persone senza alcun collegamento tra loro. Adulti, bambini, uomini in perfetta salute, malati terminali. Sembra quasi che qualcuno abbia estratto i numeri a caso da un cappello.”
“E se fosse stato... una specie di Rapimento Divino? Un ultimo trucco di Dio per metterci i bastoni tra le ruote?”
“Solo a Norfold? Solo diecimila persone? Ma fammi il piacere, Booth. Se Dio avesse deciso di inscenare una nuova apocalisse, avrebbe assunto più umani al cielo. No, dev'essere qualcosa di diverso.”
Un poliziotto si avvicina, un umano in divisa blu, il volto crucciato. Ramante non si volta a guardarlo, non ne ha bisogno. I suoi occhi sono ovunque.
“Lord Ramante, l'unita scientifica speciale non ha trovato nulla, mi dispiace. Nessuna traccia di angeli o di energia sacra, nessuna attività demonica speciale. Niente di niente. È come se gli scomparsi avessero... semplicemente smesso di esistere.”
Ramante annuisce, sospira sconsolato. Booth scuote il capo.
“Utili quanto un costume da bagno sulla neve, huh? E cosa mi dite del marmocchio? Qualche novità?”
Il poliziotto estrae un taccuino dalla tasca, controlla le note.
“Ah, sì un momento... Il neonato che è stato trovato al centro della città la mattina dopo la scomparsa, giusto? Sta bene e continua a crescere normalmente. Nessuno lo è venuto ancora a cercare o rivendicare come suo figlio.”
Ramante scuote il capo, insofferenza palpabile nel suo tono di voce.
“Perché ti interessa tanto un neonato, Booth? Di bambini ce ne sono a bizzeffe, ne nascono ogni giorno!”
“Non la stessa notte in cui diecimila persone scompaiono. E poi, lo hai visto? Ha degli strani capelli azzurri e gli occhi scarlatti. Questi tratti non sono così comuni tra gli umani, no? Non credo che esista una combinazione di geni che la renda possibile.”
“Sarà un mezzo demone, che vuoi che ti dica? Uno dei tuoi lacché non avrà tenuto il suo pitone al guinzaglio e avrà sparso il suo seme come un idrante in giro per la città. Come d'altronde hai sicuramente fatto anche tu.”
Booth digrigna i denti, stringe il pugno.
“Brutto...”
Un colpo di tosse alle spalle dei due esarchi.
“A questo proposito...”
Il poliziotto interrompe lo scambio di battute, controlla le sue note.
“... non so se sia collegato, ma le nostre indagini hanno portato alla luce due casi simili a quello di Norfold, seppure su scala ridotta. Entrambi vicino al Confine, entrambi avvenuti circa dieci anni fa.”
Ramante distoglie l'attenzione da Booth, si volta verso l'uomo, svetta su di lui.
“Continui.”
“Maracanera e Trimari, dodici e nove anni fa, rispettivamente. Città con meno di duemila abitanti. Scomparsi nel nulla dall'oggi al domani, come qui.”
“Ricordo. All'epoca si era parlato dell'attacco di un leviatano.”
“Esatto. Abbiamo recuperato il materiale di archivio, la prima segnalazione da Trimari ci è arrivata da un circo itinerante che doveva fare tappa lì. Nella chiamata di nove anni fa, il direttore del circo...”
Il capitano scorre rapidamente tra i suoi appunti, trova la pagina corretta.
“... ha riferito di aver trovato un neonato dai capelli blu, come unico superstite.”
Booth sogghigna, alza il pugno in segno di vittoria.
“Che ti avevo detto, Occhibelli? Avevo ragione o no?”
Ramante si massaggia il mento con l'artiglio, rimane immobile per un lungo istante.
“Una coincidenza interessante, ma solo una coincidenza. Per quanto tu voglia vederci un nesso...”
Il poliziotto gira pagina, alza lo sguardo ad incontrare l'elmo del demone.
“A... aspetti, esarca Ramante! C'è... c'è di più! Trimari non è stato il primo caso! La seconda città, Maracanera era il borgo più vicino al Confine passando da El Vahio. Dopo la scomparsa dei suoi abitanti, i nostri agenti hanno intercettato una comunicazione da una pattuglia della Chiesa che era andata a investigare l'accaduto! E... huh, sembra che abbiano trovato...”
“Fammi indovinare...”
Booth chiude gli occhi, il viso attraversato da un sorriso divertito, al limite del raggiante.
“Un altro neonato dai capelli azzurri?”
11. Sulle Onde dell'Acheronte (II)
Ramante interrompe la sua storia, riprende il respiro, gli eventi ancora vividi nei suoi ricordi.
“Prima di lasciare Norfold, dopo cinque mesi di indagini inutili, dei bambini locali mi hanno portato un cucciolo di granchio eremita che... che probabilmente si era perso nei laghi vicino alla città. L'ho tenuto con me e l'ho cresciuto, gli ho insegnato a parlare. E... Esakiuro...”
“Lord Ramante!”
La mano alzata a fermare Salmagro, Ramante scuote il capo.
“Non importa ora. Non è tempo di piangere. Il passato non si può cambiare...”
Rejo serra il pugno, le parole di Yehohanàn invadono la sua mente, gli occhi chiusi tentando di non pensare. Invano. Il peso da rimuovere, la voce fa fatica ad uscire.
“Q... questi bambini dai capelli blu... ne ha trovato uno anche a Limularia?”
Ramante annuisce.
“Sì, esatto. L'ho fatto mandare alla Rocca, come tutti gli altri. Sono certo che ci sia un collegamento, anche se non so quale.”
Rejo scuote il capo, inizia ad accarezzare i capelli di Liliel, come per tranquillizzarsi. Liliel grugnisce nel sonno, la mano di Rejo continua a muoversi senza meta, avanti e indietro, si sposta dal capo, scende sul corpo dell'angelo, sui moncherini di ali, i suoi occhi congelati, fissi sul pavimento della barca.
“Esarca Ramante... poniamo, per ipotesi, che Dio sia morto... e che l'integrità – no, l'intera esistenza del Creato ricada sul Maligno...”
Ramante rimane immobile, in silenzio per un lungo istante. La voce ritorna all'improvviso.
“Una domanda filosofica interessante. Come le è venuta in mente?”
“Nella nostra... setta, si parla molto di questo argomento. Del motivo per cui Dio e i suoi angeli non siano intervenuti durante l'Ascesa. Una delle teorie è che... che Dio fosse già morto al momento dell'assalto e che il mondo stia marcendo perché il Creatore non esiste più. Lo so, è una teoria folle, ma...”
“Ha un suo merito. Non immaginavo che una mente così semplice potesse generare una congettura così elegante.”
Ramante resta chiuso nei suoi pensieri per qualche secondo, pondera, le mani sulle ginocchia. Il capo sollevato, scosso più volte.
“Sua Maestà Infernale è inferiore a Dio, è solamente una sua creatura. Nonostante i suoi sforzi, non potrebbe resistere a lungo. Ma un modo per prolungare la durata potrebbe essere... ridurre le dimensioni del Creato? Se così fosse...”
“AHIO!”
Un grido di dolore, Liliel si sveglia, la mano di Rejo a tirare i moncherini d'ala con troppa forza.
“P... padre Rejo! Cosa diavolo sta facendo?! Lo sa che mi fa ancora male, no? P... perché mi ha tirato le piume così? È un modo per dirmi che siamo al sicuro?”
Rejo alza la mano di scatto, perde il controllo delle sue parole, la bocca spalancata.
“Liliel! No! Zitta!”
Ramante sospira, porta le mani al volto cieco, nasconde la sua faccia nei palmi.
“Idioti.”
“P... padre Rejo? Padre Yanma Rejo?!”
Salmagro strabuzza gli occhi, guarda i tre come inebetito, il terrore puro nello sguardo.
“L'esorcista della Sacra Sindone... sulla Kerberoion? Diretto alla Rocca di Sua Maestà Infernale?!”
Salmagro allarga le quattro braccia a ventaglio, il becco carnoso proteso in avanti.
“Esarca Ramante, lei... lei è in combutta con un esorcista della Chiesa? Questo... questo è alto tradimento!”
Liliel si accorge del disastro causato dalle sue parole, si tappa la bocca. Sinisa si alza in piedi, agita le braccia come un forsennato.
“No! Non è vero! Noi non siamo agenti della Chiesa! È tutto un equivoco!”
“Allora perché l'angelo lo ha chiamato padre Rejo e gli ha parlato come se aveste confidenza? Perché il falso prete non l'ha zittita subito? Perché non è spaventata? Era tutta una finta, non è così?”
Salmagro punta l'indice verso il quartetto, l'ira ribolle in ogni suo gesto.
“Avrei dovuto capirlo subito, ma no! Mi sono fidato dell'esarca! Stupido Salmagro! Stupido!”
Rejo si alza in piedi, si avvicina al demone, annuisce.
“Negarlo non servirebbe a nulla. Sì, io sono padre Yanma Rejo, il portatore della Sacra Sindone. Questo pupazzo a molla con le ali strappate e la gola troppo profonda si chiama Liliel. L'imbecille con il pennello è la mia guardia del corpo Sinisa. Abbiamo salvato il tuo esarca da morte certa e, in cambio, ho chiesto un passaggio fino alla Rocca per... negoziare con il Maligno.”
“Negoziare?! Mi prendi per un deficiente?!”
Salmagro protende il braccio destro, la barca si inclina, i rimorchi muggiscono, l'acqua del fiume inonda il ponte. Sinisa investito dall'onda, digrigna i denti, afferra la sua valigia prima che finisca fuori bordo. Un altro gesto, nella direzione opposta. La barca vira di traverso, acqua anche dall'altro lato, Rejo cade in ginocchio, Liliel ancora legata, colpisce lo schienale, cade sul pianale.
“Voi non arriverete mai alla Rocca! Morirete nel fiume delle anime! Il vostro spirito rimarrà intrappolato per sempre tra queste acque chete!”
Ramante si alza dal suo giaciglio, si pone tra Rejo e il demone.
“Salmagro! Fermati! Dicono la verità! Se...”
“Crepa, traditore!”
Salmagro alza le due braccia superiori, un turbine d'acqua tra gli artigli, la forma di una lancia in continuo movimento.
“Fredde Acque dell'Averno!”
Il turbine colpisce Ramante in pieno petto, cozza contro la sua corazza frontale, il mantello organico si irrigidisce. Un gemito di dolore, l'esarca urla a denti stretti. La pressione continua, il getto si incunea, rompe il metallo della placca. E trapassa il corpo del demone, da lato a lato.
“Uuuugh!”
Ramante cade per terra, le mani sul fondo a frenare la caduta, fiotti di sangue verde fluiscono dalla ferita, il mantello organico strappato, le arterie continuano a pompare.
“Salmagro! Io non ho mai... tradito...”
“STORIE!”
Una seconda lancia d'acqua, la spalla trafitta, un'esplosione di fluido verde.
“Io la credevo migliore, esarca! Dopo tutti questi anni, tutto quello che abbiamo perso... aiutare un esorcista? Fredde Acque dell'Ave...”
“Basta così.”
Bende ocra avvolgono Ramante, fermano la lancia d'acqua, la spezzano al contatto. La voce di Rejo tuona tra il fragore del motore, del fiume stesso. Le spire della Sindone si ritraggono, tornano all'interno del corpo dell'esorcista. Un passo, un altro passo, una mano sulla spalla dell'esarca cieco. Salmagro incespica, respiri pesanti, le braccia incrociate. La voce dell'esorcista risuona sovrana.
“Ramante non ha colpe, demone! Per quanto mi disgusti dirlo, ha agito nel nostro comune interesse. Il mio omologo, padre Ashburnt, è – con tutta probabilità – già arrivato nei pressi della Rocca del Maligno. L'esorcista che ha ridotto il tuo signore in questo stato potrebbe cercare di uccidere quello che tu chiami Sua Maestà Infernale, senza sapere nulla di come stanno realmente le cose. Se è vero che Dio è morto, se è vero che il Maligno è l'unica ancora dell'esistenza umana su questo mondo, Ashburnt sta per causare un'apocalisse. E, mi duole dirlo, è abbastanza stupido e intraprendente da poterlo fare sul serio. Per cui, non ho scelta, devo arrivare alla Rocca e fermarlo, almeno finché i miei dubbi non saranno chiariti!”
Rejo stringe i denti, sa di mentire, sa di non crederci. In cuor suo, vuole solo uccidere il Maligno, sterminarlo senza alcun pensiero. Ma le parole di Yehohanàn risuonano in lui, instillano il seme del dubbio. Almeno per un istante, prima che i ricordi affiorino di nuovo. Prima che il suo odio prenda il sopravvento sulla ragione. Alle sue spalle, le bende lasciano i polsi, le caviglie di Liliel, tornano a far parte della Sindone, liberandola. Un respiro, un altro respiro.
Una risata di scherno in risposta.
“Forse non le è chiaro qual è la sua situazione, padre. L'Acheronte non è un fiume normale! È un dedalo di scorciatoie dimensionali, un non-luogo a parte. Qui, i punti cardinali non hanno significato, si può girare a destra e finire a sinistra, ed esiste una sola via per l'uscita – una via che solo noi navigatori conosciamo. Io ho il potere di tenervi imprigionati qui dentro per sempre, vivo o morto che sia! Tuttavia...”
Salmagro alza le braccia al cielo, il fiume risponde, le acque si increspano, sorgono al suo comando.
“... sarebbe un peccato dover abbandonare il mio carico prima di raggiungere il Limbo!”
Salmagro incrocia le quattro braccia, l'acqua vortica, si condensa, i gorghi ruotano sempre più rapidi.
“Fredde Acque dell'Averno!”
Quattro getti d'acqua emessi a velocità infernale, quasi istantanea. Rejo fa in tempo a gettarsi all'indietro, ne evita due, il terzo trafigge la coscia, il quarto la spalla sinistra.
“UGH!”
Rejo cade malamente, il corpo dolorante, fiotti di sangue sgorgano dalle ferite, la carne attraversata da parte a parte.
“Padre Rejo!”
Liliel lo sorregge, il sangue le inzacchera la maglia, gli occhi rilucono di rabbia.
“Cedimi la tua forza, scudo di fiori! Taming Sariiiii!”
Un bagliore smeraldino, una daga arcuata con il manico dorato compare tra le mani dell'angelo, un'aura verde avvolge il suo corpo. Rejo si porta in ginocchio, le dita scorrono sulle sue ferite, la pelle si richiude alla luce della Sindone, il sangue ripulito dalle labbra.
“Non ho bisogno del tuo aiuto, pupazzo a molla.”
“Come non ne ha avuto bisogno contro Narcisso?”
Rejo digrigna i denti, si rialza a fatica. Sinisa sgrana gli occhi, la foga creativa, il pennello che si muove agile sul foglio bianco.
“Ah, ma pensa te! Ma pensa te! Che spettacolo! Che scena! Che pathos!”
Il pennello ruota tra le dita, atterra sul palmo. Sinisa si alza, lecca le labbra, pregusta il momento.
“Silenzio!”
Le acque del fiume inondano il ponte della Kerberoion, Ramante mantiene a fatica la postura, il mantello di carne si rigenera a poco a poco. Una pioggia di getti d'acqua dall'alto, la Sindone posta come scudo, l'impatto con il ponte, le gocce come pallottole. Sinisa si nasconde dietro la sua tela, fori sul manto bianco, il fondale di legno resiste per poco, schegge in volo.
“Non avete scampo! Questo è il mio regno, la mia nave, il mio fiume! Pagherete caro il prezzo della vostra insolenza!”
“M... ma così affonderai la tua stessa nave!”
“No, proprio no! La Kerberoion è immune alle acque del fiume infernale!”
Salmagro incrocia le braccia, i muri d'acqua circondano l'imbarcazione, lasciano uno spazio tra i rimorchi. Rejo si prepara al contrattacco, la mano alzata.
“Sudario eterno, secondo mistero – Crisalide eterna!”
La Sindone si avvolge come un bozzolo attorno ai quattro, larga abbastanza da non entrare in contatto con la pelle di Ramante, i getti d'acqua scalfiscono la superficie, rimbalzano, esplodono. Rejo incespica, il corpo non completamente guarito. Sinisa traccia una croce in aria con il pennello, bacia il dorso della sua mano destra.
“Solo pour toi, Salmagro! Pennello dell'Artefice, Croce del Sud!”
Una croce argentea si fa largo tra la pioggia, diretta verso il demone. Salmagro scarta di lato, la croce si trasferisce sulla ringhiera della barca, la consuma, la brucia in un attimo in un esplosione di inchiostro. Un urlo, Rejo scuote il suo assistente, lo tira per il braccio.
“Cosa stai facendo, cretino? Se danneggi i controlli è la fine!”
“M... ma, padre, come possiamo sopravvivere se...”
“Il carico!”
Liliel salta all'indietro, raggiunge il gancio tra il motoscafo e la chiatta. Salmagro grugnisce, il becco alzato, gli occhi strabuzzati.
“No! Maledetta, non provarci nemmeno! Non osare...!”
Un getto d'acqua, un altro, un altro ancora. Ma nessuno colpisce Liliel. Nessuno è mirato alle chiatte. I colpi si fermano a pochi centimetri dal limite, a pochi centimetri dal bersaglio. Liliel chiude gli occhi, un sospiro di sollievo.
“Come immaginavo.”
Salmagro serra i pugni, gli artigli a ferire i palmi, il respiro accelerato.
“... il mio carico... non osate toccarlo!”
12. Sulle Onde dell'Acheronte (III)
Salmagro scuote il capo, urla a squarciagola.
“Il mio carico! No! Non ci provate!”
Liliel ferma, al di là del gancio di rimorchio, di fronte ad un telo nero come la pece, illesa. Sinisa salta sulla chiatta, segue l'angelo a ruota. Rejo afferra Ramante, lo trascina con sé sul rimorchio. Salmagro rimane immobile, osserva il quartetto senza avere la forza di reagire. Rejo lo fissa dalla sua posizione, le ferite non ancora chiuse del tutto.
“Salmagro, tieni davvero molto a questa roba, huh?”
“Tocca quel velo e ti ammazzo!”
La barca oscilla, trema, le acque dell'Acheronte si riversano sul ponte, si sollevano attorno al rimorchio come onde in piena. Rejo si porta in mezzo ai suoi compagni, unisce le mani in preghiera, un'aura dorata attorno al suo corpo, prepara una barriera. Sinisa non aspetta, corre in avanti, afferra i teli scuri, solleva leggermente il velo dal carico.
“Vediamo cosa c'è qui sotto...”
“NO! Fermati!”
Salmagro ringhia, il becco carnoso tra le mani, il respiro affannato.
“Non... non alzare quel telone! Non farlo!”
Un ghigno crudele in risposta, la mano si stringe attorno al tessuto, tira con forza.
Scoprendo un immenso spazio vuoto, riempito solo da una impalcatura di tubi d'acciaio.
Sinisa scuote il capo, sbatte le palpebre.
“V... vuoto? Ma non ha senso...”
“Vattene da lì, uomo! Rimetti quel velo a posto! Ora! ORA!”
Ramante resta in silenzio, i suoi occhi chiusi per sempre. Liliel e Rejo osservano in stato di shock. Di fronte a loro, un'immensa adunata di figure sfocate, biancastre, semi trasparenti. Uomini, donne, bambini, anziani, in silenzio, il terrore nei loro occhi. Alcune figure più sfocate di altre, alcune quasi del tutto scomparse, come mangiate da una bestia invisibile. Liliel in stato di shock, Rejo a bocca aperta, il sangue raggelato.
“Q... quante...”
“... anime?”
Rejo si volta verso Salmagro, il suo sguardo incontra occhi terrorizzati.
“Salmagro! Queste anime... cosa sta succedendo qui?”
Salmagro salta in avanti, snuda gli artigli.
“Porco della Chiesa, non osare toccarle!”
Un attacco a croce, a quattro mani. Rejo colpito sul busto, le lame affondano nella pelle, strappano la tunica in una croce di sangue. Rejo grugnisce, cade in ginocchio. Liliel si porta davanti a lui, fissa il demone.
“Salmagro, tutte queste anime sono destinate al Paradiso! Cosa ci fanno qui? Perché le stai trasportando sulla Kerberoion?”
“Silenzio!”
Salmagro ulula, un altro assalto di artigli, Liliel schiva all'ultimo secondo, le lame affondano nel fianco, strappano la t-shirt in più punti, il sangue cola dalla punta delle dita. Liliel incespica, stringe i denti. Rejo lenisce le ferite con l'energia sacra, si rialza in piedi.
“Salmagro, c... calmati! Non abbiamo alcuna intenzione di far loro del male!”
Liliel preme il palmo sul fianco ferito, annuisce col capo.
“Q... queste anime sono senza colpa, ma sono bloccate qui... padre Rejo, dice che...?”
Rejo respira profondamente, le parole di Yehohanàn riaffiorano dal subconscio.
“... f... forse il Paradiso non esiste davvero più... e tutte le anime che dovevano essere salvate...”
Rejo stringe il pugno, digrigna i denti.
“... sono bloccate qui, sulla Terra.”
Salmagro interrompe l'assalto per un istante, fissa i suoi avversari, i suoi occhi si muovono tra i due, guardano Ramante, poi Sinisa, poi di nuovo Rejo.
“Basta con le stupidaggini! Se un'anima è destinata all'Inferno, viene risucchiata immediatamente nell'abisso! Le anime destinate al Paradiso vengono assunte al cielo! Quindi, queste sono anime rifiutate da entrambi i regni dell'aldilà, quelle che voi porci della Chiesa esorcizzate per sport!”
Salmagro alza le braccia, le acque dell'Acheronte si sollevano al suo comando.
“Negli ultimi trent'anni è tutto, tutto peggiorato! Così tante anime lasciate allo sbaraglio, pronte ad essere divorate da demoni o distrutte da voi cani del Papa! Per noi che non abbiamo un'anima, vederne una perduta in questo modo è una follia! Una follia!”
Le acque si abbattono sul ponte, le gocce come schegge di vetro. Rejo porta le bende a protezione, ferma la pioggia di cristallo, le lame di spuma si infrangono sulla barriera. Rejo alza la voce, l'urlo sovrasta ogni altro rumore.
“Salmagro! Aspetta! Permettici di parlare con loro!”
Salmagro scuote il capo punta il dito verso il prete.
“E lasciarle alla mercé del porco senza pietà che ha epurato l'anima di sua moglie e suo figlio?”
Rejo perde la parola, la mano stretta attorno al cuore, le pupille ridotte a puntini minuscoli, il respiro affannato. Sinisa fa spallucce.
“Il volere della Sindone non si discute. Padre Rejo ha agito nell'interesse della...”
Liliel impietrita, batte le ciglia più volte.
“Padre Rejo?! L... lei ha davvero esorcizzato le anime di...”
Rejo porta la testa tra le mani, i respiri ancora più profondi.
“Non... non è... come... io...”
Il volto contratto in una smorfia di dolore, poi si distende, muta, si contorce in una macabra risata.
“... l'ho fatto, sì. Sono stato io! Perché... perché di fronte alla Chiesa... anche Harriette e Karman... anche le loro anime... i miei sentimenti... il mio senso di colpa... non...”
Un fiume di lacrime, singhiozzi appena percettibili, coperti da un ululato di dolore.
“... non significavano nullaaaaa!”
Rejo torna in piedi, le bende della Sindone emergono dalla sua schiena come serpenti, gli occhi azzurri scintillano umidi, il dolore represso trasformato in forza, l'aura sacra esplode in potenza, un'onda d'urto allucinante, la notte diventata giorno per un lungo istante, le stelle oscurate da luce accecante. Ramante cade a terra, Sinisa e Liliel fanno fatica a restare in piedi.
Salmagro incespica, porta le mani al volto, terrorizzato, cade, si rialza, cade di nuovo.
“A... aaaaaah! No, non ti avvicinare! No!”
Le acque seguono i suoi movimenti erratici, lance di ogni forma e dimensione condensate in cielo, dirette verso il nemico sena più quasi pensare.
Una pioggia di strali d'acqua sul ponte, ad ogni angolo in ogni direzione.
“Muori! Muori! Muori, esorcista! MUORIIIII!”
Alcune trapassano il corpo di Rejo, fiotti di sangue, le ferite si rimarginano immediatamente. Altre si schiantano più vicino, altre ancora perforano i teloni, atterrano tra le anime, causano il caos. Un coro di voci eteree, una cacofonia di orrore.
“Salmagro, no!”
“Aiuto! Non voglio sparire così!”
“Ho paura!”
Un anima strappata a metà da un dardo, la sua essenza svanita in una nuvola di fumo.
“NO!”
Liliel digrigna i denti corre verso il vano carico.
“Padre Rejo! Le anime! Per favore, protegga le anime!”
Una lancia in rotta di collisione con un altro spirito. Liliel salta in avanti, fa scudo col suo corpo. La freccia le trapassa lo stomaco, un'altra nella spalla, una ancora sotto la scapola. Liliel atterra sul ponte con un tonfo, sputa sangue, rotola su un fianco, guarda verso le anime impaurite, urla nella loro direzione.
“S... scappate verso il secondo vagone! ORA!”
Altri dardi, altre lance. Rejo muove le spire della Sindone, le intercetta, impedisce che impattino con i teloni del carico. Una lo trafigge sulla coscia, un'altra sull'avambraccio, un'altra sul petto, ma Rejo resta immobile, un muro eterno. Rejo unisce le mani, gli occhi di zaffiro rilucono.
“Salmagro! Brutto idiota, smettila immediatamente! Chi è... che sta danneggiando le anime ora? SALMAGRO, RISPONDI!”
“N... no, io... io...”
“SALMAGROOOOO!”
Rejo urla a pieni polmoni, l'aura fiammeggia, esplode, cancella tutte le lance ancora sospese. Salmagro afferra il bordo della barca alla meno peggio, la postura precaria, il respiro fuori controllo, le acque scendono, le lance sospese trasformate in una pioggia leggera. Il suo sguardo diretto verso l'esarca Ramante, verso il suo volto inespressivo. Salmagro osserva Rejo e Liliel, i loro corpi sanguinanti, feriti, le anime in fuga verso il secondo compartimento, i resti di alcuni spiriti distrutti dai suoi attacchi.
Gli spiriti protetti dai suoi nemici.
Protetti contro di lui.
Salmagro scuote il capo, porta le mani al volto.
“Io... io ho fatto tutto questo? Io... io ho quasi distrutto le anime che avevo giurato di salvare?! E voi... cani mandati da Dio... le avete protette... da me?”
Salmagro sale sul ciglio, in piedi sulla balaustra, le quattro braccia aperte, gli occhi spenti.
“È chiaro... che non sono più adatto al mio ruolo di traghettatore.”
Rejo incontra il suo sguardo stanco, uno strano senso di comunanza tra i due.
“Salmagro... io voglio aiutarti. Io voglio aiutare queste anime. Voglio fare per loro quello che non ho potuto fare per la mia Harriette... per il mio piccolo Karman. Voglio che raggiungano la pace promessa loro da Dio. Ma non posso farlo da solo. E neppure tu. Il Maligno – o Sua Maestà Infernale, come preferisci chiamarlo – deve avere un'idea di cosa sta succedendo. È vero, sono un esorcista e il mio compito è ucciderlo, liberare la Terra dalla sua immonda presenza... ma questo non significa che prima non possa... cercare di fare qualcosa di buono per tutti.”
Un cenno del capo in direzione di Liliel.
“All'inizio del mio viaggio, credevo che gli angeli fossero il bene assoluto e i demoni il male assoluto, ma più vado avanti, più mi rendo conto che... esistono sfumature. Quel pupazzo a batteria là dietro è difettoso quanto un essere umano e mi dà sui nervi, ma è... molto di più di quanto pensassi. Cyrael, sua sorella, è una maledetta, schifosa manipolatrice che sa far leva sul senso di colpa come pochi. Se gli angeli non sono assoluti, perché devono esserlo i demoni?”
Salmagro sospira, un passo indietro, quasi nel vuoto.
“Io ho fallito il mio proposito, esorcista. Non provare a comprarmi con belle parole.”
“Ho incontrato un altro demone come te, Salmagro, in un motel vicino a Tabara. Un demone che ha speso tutte le sue energie per difendere un gruppo di anime innocenti... da me. Quel demone aveva un nome, Salmagro. Quel demone si chiamava Sophidides. Ucciderlo è stato un errore che vorrei poter cancellare. Salmagro...”
Rejo tende la mano verso il demone.
“... per favore, portaci alla Rocca.”
Salmagro contempla il volto del suo nemico, abbozza un sorriso stanco col becco carnoso.
“Mi dispiace, padre... la mia lealtà non è in vendita. Preferisco andarmene da questo mondo... nei miei termini.”
Uno strale rosso nella notte, un raggio sottile attraverso il cuore. Salmagro strabuzza gli occhi, Rejo a bocca spalancata, l'urlo di Ramante. E Sinisa immobile, con le dita a mo' di pistola, il suo indice puntato in avanti, l'origine del fascio vermiglio.
“Allora muori, stupido demone. Annega nelle acque dell'Acheronte.”
“NO!”
Rejo salta in avanti, estende la Sindone, cerca di afferrare Salmagro prima che cada fuori bordo. Le spire entrano in contatto con uno dei suoi avambracci, lo avvolgono, lo tirano verso l'esorcista.
Ma non appena il lino tocca la pelle scura, quel che resta è solo cenere.
Il braccio di Salmagro si disgrega, mentre il suo corpo si infrange sull'acqua, prima di affondare nel buio senza fine.
13. Sulle Onde dell'Acheronte (IV)
Rejo non può fare altro che guardare, mentre Salmagro affonda tra le acque fredde del fiume. Il braccio ritratto, la mano ancora tremante. La Sindone avvolta da cenere nera, cenere che una volta era stata un braccio. Un battito di ciglia, i denti digrignati, la testa attraversata da fitte. Rejo torna in piedi, i suoi occhi in fiamme, lo sguardo diretto verso Sinisa.
“Brutto deficiente! Ti rendi conto di cosa hai combinato?!”
“Eliminare uno spregevole ver...”
La Sindone liberata in un attimo, avvolta attorno al collo di Sinisa, lo solleva dal ponte, lo tiene sospeso in aria. Sinisa porta le mani alla gola, cerca di respirare, di allargare le spire.
“Lo stavo convincendo ad aiutarci, Sinisa! E ce l'avevo quasi fatta! Ma no, tu, dall'alto del tuo intelletto superiore, hai deciso di mandare tutto in vacca e ucciderlo?!”
Rejo lancia Sinisa contro il ponte, la Sindone come una fune elastica, il capo rimbalza sul fasciame.
“Ora, grazie a te, siamo bloccati su un fiume in mezzo al nulla, in una dimensione parallela, senza nessuno che possa soccorrerci!”
Le spire si muovono ancora una volta, schiantando Sinisa contro il ponte ancora una volta.
“P... padre Rejo... avrei bisogno... di un po' di aiuto.”
La voce di Liliel alle sue spalle, le ferite ancora aperte, le labbra sanguinanti. Rejo interrompe la furia omicida, lancia Sinisa verso l'alto, lascia che la gravità faccia il resto.
“Intervento divino, primo miracolo – Guarigione degli Infermi.”
Le sue dita si muovono sul corpo dell'angelo, leniscono le piaghe, riparano la pelle. Liliel si lascia cadere a terra, sospira, contempla lo stato orribile dei suoi indumenti, ormai quasi ridotti ad una collezione di buchi e strappi, intervallati da macchie ematiche e pezze ricoperte di fango.
“Grazie, padre. Non so quanto avrei potuto resistere ancora...”
“Non puoi rigenerarti?”
“No, non immediatamente, almeno. Ci sono delle eccezioni, ma noi angeli possiamo solo riparare parte delle nostre piume... di solito. Ho sentito voci di angeli in grado di farsi ricrescere una mano, ma mi sembra francamente impossibile...”
Rejo si mette a sedere accanto a lei, anche la sua toga strapazzata dagli eventi. Un lungo respiro.
“Senza Salmagro, siamo bloccati qui per il resto dei nostri giorni. Fine. Quel deficiente di Sinisa ci ha condannato a morte.”
Sinisa si rialza a fatica, risistema gli occhiali, miracolosamente integri, torna in piedi, fa per aprire la bocca. Un artiglio sulle sue labbra, impedisce al suono di lasciare i polmoni.
“Sta zitto, pivello. Qualunque cosa tu dica, peggiorerà solo la situazione.”
Ramante lascia la presa, si incammina mestamente verso l'esorcista, lasciando Sinisa confuso. La voce del demone risuona all'interno dell'elmo cavo.
“Non tutto è perduto, padre. Tra di noi c'è qualcuno che forse può svolgere il lavoro di Salmagro.”
Liliel solleva il capo, osserva il demone per un lungo istante.
“... intendi forse me?”
“Te ne sei già accorta, non è vero?”
Liliel lascia il fianco di Rejo raggiunge il bordo dell'imbarcazione.
“Solo una vaga ipotesi. L'Acheronte ha troppe diramazioni, diramazioni che i fiumi normali non hanno. Per quanto un navigatore sia eccezionale, non può ricordare ogni diramazione a memoria. Questa apparente contraddizione ha senso, visto che siamo in un luogo metafisico, ma c'è qualcosa di più... sulla via che abbiamo percorso... c'è una traccia.”
Liliel inspira, prende fiato, osserva nuovamente l'acqua spenta.
“Una traccia di anime dannate.”
Ramante sogghigna, applaude con le mani artigliate.
“Bravo angioletto! Era proprio quello a cui volevo arrivare! L'Acheronte non è solo un fiume, è anche una punizione! Il fondo del fiume è puntellato da anime perdute, che servono da guida per il traghettatore! Credevo che le anime già punite fossero precluse alla vista degli angeli, ma evidentemente mi sbagliavo!”
“... di solito è così, ma io sono stata addestrata fin dall'origine dei tempi come segugio. È uno dei motivi per cui Cyrael mi ha assegnato come assistente a padre Rejo e... sì, riesco a vederle. Riesco a vedere la traccia!”
Liliel si volta verso Rejo e Sinisa, il volto raggiante.
“Padre! Possiamo ancora farcela! Devo solamente guidare questo catorcio galleggiante senza perdere la pista!”
Ramante torna a sedere, annuisce con foga.
“I tuoi occhi sono meravigliosi, angelo! Ah, che begli occhi! Magari potessi averli io.”
Liliel rabbrividisce, scuote le spalle. Rejo si porta al suo fianco, incrocia le braccia.
“Sai guidare questo aggeggio?”
“Sì! Ho già comandato una nave in passato. O, almeno, huh, aiutato a guidarne una. Era molto, molto più grossa, non aveva motore, e c'erano molti, molti più animali sopra, ma il principio non dovrebbe essere troppo diverso. Certo, alla fine siamo rimasti incagliati su una montagna, ma...”
“Animali? Montagna?!... Liliel, tu non stai parlando di...”
Liliel rotea gli occhi.
“E anche se fosse? Sempre di una barca si tratta! E Noah era un vero gentiluomo, a differenza di qualcuno che non fa altro che chiamarmi pupazzo a molla!”
Un colpo di tosse. Sinisa controlla le unghie delle mani, lancia un'occhiata di sbieco all'esorcista.
“Padre, detesto interromperla, ma non sta dimenticando proprio di nulla?”
Lo sguardo di Rejo incontra gli occhi di Sinisa, due geli a contatto.
“E cosa, di grazia?”
“Le anime là dietro non si esorcizzano da sole.”
Rejo stringe gli occhi, incenerisce Sinisa con lo sguardo.
“Sono anime destinate al paradiso.”
“Così dice l'angelo, certo, ma gli ordini non si discutono, padre! Lei deve esorcizzarle. È la volontà del Pontefice. E, se proprio deve iniziare adesso ad avere un senso di colpa, lo metta a tacere con le indulgenze. Ne prenda una per anima e siamo a posto, no?”
Sinisa fa roteare il pennello tra le dita, preme gli occhiali sulla fronte.
“Perché queste anime meritano salvezza, mentre per quelle di sua moglie e suo figlio non ha avuto pietà, padre?”
**
Un anno prima, campo di addestramento pontificio di Halajaribo. Pomeriggio caldo, tre giovani preti, i paramenti sacerdotali indossati come da tradizione. Tutto attorno, una folla di esorcisti minori, nei loro abiti talari neri. Il più alto dei tre sistema gli occhiali da vista, una zazzera di cappelli rosso arancio tenuta sotto controllo a fatica, iridi di smeraldo sempre accese.
“Perché mi hai voluto qui oggi, Wigerov?”
Wigerov, il più basso, capelli biondo cenere, occhi dorati, una bellezza sfavillante.
“Ma è naturale! Perché hai il Chiodo della Vera Croce, no? Noi tre siamo speciali, Ashy! Se qualcosa ha a che fare con uno di noi, ha a che fare con tutti e tre! E oggi tocca a Yanma!”
Yanma scuote il capo, i capelli castani mossi dal vento, gli occhi di zaffiro socchiusi.
“Solo uno stupido teatrino. Non capisco poi perché proprio io.”
“Il conclave vuole testare la tua fede. Papa Gregorio XIV è malato, e si dice che uno di noi tre potrebbe sostituirlo presto.”
“Grazie, ti lascio il posto volentieri, Wigerov. Diventa pontefice e poi dicci com'è. Sedermi tra gli ori e gli allori del seggio di Roma non è il motivo per cui ho preso gli ordini.”
Un uomo in abito talare viene loro incontro. Naso aquilino, mento pronunciato con un pizzetto nero, dello stesso colore dei suoi capelli. Yanma lo ha già visto, è familiare con il suo volto. Padre Arrhenius Zanta, controllore capo dei Servi della Croce. Un pezzo grosso.
“Ben arrivato, padre Rejo! Mi auguro che il viaggio sia stato di suo gradimento.”
“Tagli corto, padre Zanta. Perché sono qui oggi?”
Zanta annuisce, estende il braccio in direzione di un capanno.
“Abbiamo trovato... un inconsueto numero di anime che abbisognano di liberazione. Si sono rifugiate qui, ad Halajaribo, per motivi a noi sconosciuti, ma sembra che provengano tutte da un paesino sperduto chiamato La Sagrera. Le dice niente questo nome, padre?”
“La... Sagrera?!”
Rejo rimane immobile a quel nome, stringe il pugno.
Ashburnt si fa avanti, lascia le retrovie, punta il dito contro il sacerdote.
“Ma per piacere, Zanta! La Sagrera è la città natale di Yanma, distrutta dai demoni tre anni fa! Questa prova è inutilmente crudele! Se gli spiriti sono quelli di persone che conosce, ha più senso lasciarli esorcizzare da me o Wigerov! Le sembra davvero il caso di risvegliare ricordi che francamente nessuno vorrebbe dover rivivere?”
Zanta rotea gli occhi, un gesto eloquente della mano.
“Ashburnt, Ashburnt... sempre a rompere le scatole. Non imparerai mai a stare al tuo posto, vero? Ovvio che vogliamo che sia Rejo ad occuparsene, il Conclave vuole testare la sua fede!”
“Ma...”
Rejo spinge Ashburnt a lato, si incammina lentamente verso Zanta.
“Piantala, Thorn. V... va bene così.”
“Yanma...”
Wigerov fischietta allegro, incrocia le braccia, sussurra in direzione di Ashburnt.
“Vedi, Ashy? Yanma è un vero uomo della Chiesa! Dovresti imparare da lui.”
Rejo segue il prete fino ad una catapecchia di legno, le finestre serrate, non uno spiraglio per la luce. Zanta apre la porta del capanno, lasciando entrare solo Rejo, nascondendolo dalla vista degli altri.
L'esorcista da solo nel buio, un filo di chiarore nel buio. E voci. Decine, centinaia di voci.
“Chi è là?”
“... aiuto, mamma, ho paura...”
“Qualcuno può sentirci?”
“... vi prego, aiutateci.”
Spiriti senza corpo, appena visibili nelle tenebre cupe. Rejo scuote il capo. Quelle voci... le conosce. Le voci del salumiere all'angolo, del venditore di giocattoli, del bimbo dei vicini, del capo dei gendarmi. Le persone di La Sagrera, la sua città. Ora di fronte a lui come spiriti dannati. Una sensazione orribile allo stomaco, Rejo crolla in ginocchio. Le voci. Le riconosce. Tutte, tutte quante.
“Ehi, ma quello non è Yanma?”
“Yanma Rejo?”
“Yanma!”
Rejo scuote il capo, la mano portata alle labbra.
“È Yanma! È diventato un prete?”
“Ma allora può salvarci!”
“Yanma! Yanma! Mandaci da Dio!”
“Yanma, aiutaci, non sappiamo cosa ci sia successo!”
“È Yanma, siamo salvi! Siamo fuori da questo incubo!”
Yanma trattiene le lacrime, unisce le mani in preghiera.
“... Sì, io sono... padre Yanma Rejo... esorcista della Santa Sede e... come tale...”
Un sussulto nel petto, la mano stretta attorno al cuore.
“NO! Non posso! Non posso farlo!”
Ma devi.
Una voce nella sua testa. La voce della Sindone.
Sono tutte anime rifiutate dal Paradiso. Tutte. Dalla prima all'ultima. Non meritano pietà.
“NO! Sono... sono persone che...”
Che non hanno meritato il Paradiso. Ora, Yanma. Non hai scelta. L'amore di Dio si merita. Loro sono ancora qui. Avanti, Yanma. Se non lo fai, ti strapperò i tendini e ne farò un quadro. Poi, li esorcizzerà Wigerov. O Ashburnt.
“P... papà?”
Yanma sussulta, riconosce la vocina sottile.
“K... Karman?”
“Yanma, sei davvero tu?!”
“Harriette? A... anche voi? N... no! No, ti prego, no! Voi dovreste essere in paradiso! Non qui! Non quiiiii!”
“Papà, meno male che sei arrivato! Mi sei mancato così tanto!”
“Amore...”
“AAAAAAAAAAGH! Sudario eterno, primo mistero! SPIRE DELLA SINDONEEEEEEEE!”
Dall'esterno, tutto ciò che Wigerov e Ashburnt vedono è un'esplosione di luce dorata, seguita da un urlo bestiale. Poi, la porta si apre. Passi lenti, incostanti, il volto funestato dalle lacrime, la postura distrutta. Rejo incespica, cade a terra. Ashburnt corre da lui senza attendere un secondo di più, spinge via padre Zanta.
“Yanma! Yanma, rispondimi! Cosa è successo?”
“N... niente, Thorn. Niente. Ho...”
Un grumo di saliva ingoiato tra le lacrime, il cuore indurito come la pietra.
“H... ho solo compiuto il mio dovere.”
**
Presente, motoscafo sull'Acheronte. Rejo stringe i denti, stringe i pugni, cammina lentamente verso le chiatte, verso il retro della nave. Liliel lo nota, lo segue a distanza.
“Padre Rejo?”
Sinisa estrai un taccuino, osserva i movimenti di Rejo, annota le sue reazioni.
“Ora, da bravo, padre, faccia quello per cui è stato ordinato sacerdote: ci liberi di questo marciume.”
Rejo osserva la folla di anime in pena, le loro espressioni terrorizzate. Una volta sarebbe stato tutto più semplice, prima che Cyrael gli aprisse gli occhi.
Rejo alza il braccio, chiude gli occhi.
“No.”
Sinisa cade quasi in avanti per la sorpresa, la mano trattiene il taccuino per appena un centimetro.
“Come, scusi?”
“Ho detto di no. Non commetterò lo stesso errore di nuovo.”
“M... ma il Pontefice...?”
“Che si frigga. E che si frigga anche il Conclave. Ora...”
Prima che Rejo possa terminare la frase, una delle bende della Sindone si manifesta, si stringe attorno al suo polso.
“C... cosa?”
La penda si contorce, diventa una punta. E mira dritta al fianco di Rejo.
“UGH!”
Un grido di dolore, il tessuto penetrato all'interno della carne, uno spruzzo di sangue. Poi, indietro, un altro fendente, questa volta al quadricipite. Rejo perde fiato, cade a terra.
“M... ma che cosa...”
Altre bende emergono dalla schiena, strappano la stola, assumono l'aspetto di aghi acuminati. E iniziano a trafiggere il corpo del loro portatore.
14. Knocking on Heaven's Door (I)
Linee increspate nell'aria immobile, onde di pressione concentriche, l'origine nel vuoto, nel cielo azzurrastro. Una fenditura luminosa, una mano emerge dal nulla, un braccio, una spalla, una testa, poi via via il resto del corpo.
Una ragazza minuta, capelli neri a caschetto, occhi dorati, intabarrata in un completo lungo, una sorta di uniforme militare, un colbacco sul capo, l'aureola risplende tra la pelliccia, le ali spiegate. Un'altra distorsione, poco distante. Un altro braccio, un altro corpo emerge dal nuovo portale. Un altro angelo, più alto del primo, capelli rossastri lunghi, iridi argentee, stessa divisa. Il portale vibra, trema, si chiude all'improvviso, taglia l'estremità dell'ala ancora in mezzo. Un grido di dolore, il primo angelo scatta a soccorrere la compagna.
"Vanadiel!!!"
"N... non preoccuparti, Iruel! È solo... ugh, solo un graffio. Nulla che non si possa rigenerare."
Vandiel sbatte l'ala menomata, osserva mentre nuove piume prendono il posto di quelle mancanti, la struttura arcuata che si riforma lentamente.
"Per fortuna non me l'ha tagliata alla base, altrimenti..."
"Altrimenti niente più ali... come Liliel."
Vanadiel scossa da un brivido, gli occhi chiusi.
"Non farmici pensare. Una vita eterna senza poter volare? Sarebbe spaventoso..."
Iruel osserva i dintorni, apre lo zaino, un paio di binocoli a scrutare l'orizzonte, ad inquadrare una scalinata. Il binocolo abbassato, un'occhiata all'orologio da polso. Un respiro, l'aria condensata, un freddo ostile tutto attorno, come dalle peggiori previsioni.
Vanadiel sfrega le mani, le porta al volto, osserva la condensa, chiude le ali come un bozzolo per stabilizzare la sua temperatura. Attorno a loro, una landa desolata, nuvole di cristallo sospese nel vuoto siderale, isole fluttuanti connesse da fragili ponti di ghiaccio, una volta risplendenti dei colori dell'arcobaleno. Vanadiel scuote il capo, frena i ricordi, la luce di quei giorni, la felicità, la santità di quel luogo ameno. Del suo passato splendore non è rimasto nulla. Solo neve e ghiaccio azzurro, muto, ostile, indifferente ai loro tormenti.
Iruel estrae una trasmittente dallo zaino, lascia che la sua aura sacra ne pervada i meccanismi, ne guidi le onde.
"Qui Iruel, Cyrael riesci a sentirmi? I punti di passaggio uno e due hanno funzionato, ma due si è chiuso troppo presto, Vanadiel ci ha quasi rimesso un'ala. Non è... normale. Quando dovrebbe arrivare Rimiel? Passo."
Una voce dall'altro lato della cornetta, debole, devastata da interferenze. Iruel capisce solo poche parole, nonostante la sua aura, nonostante lo sforzo di mantenere il ponte tramite la sua energia.
"... non... con voi? Rimiel... partita... passo"
Iruel socchiude le palpebre, sospira, resta in silenzio per qualche istante.
"Rimiel... non è mai arrivata. Procediamo nell'ipotesi di perdita completa. Passo."
"... va bene. Fine."
Vanadiel si avvicina, le posa una mano sulla spalla.
"... siamo solo noi due?"
"Rimiel non ce l'ha fatta. La situazione è peggio di quanto credessimo."
Iruel porta i binocoli al viso ancora una volta, guarda verso la scalinata, verso i cancelli del cielo. Nessuna voce, nessun suono, le stelle mute. Solo il freddo cielo bluastro, una volta multicolore, ora freddo, spento. Iruel fa cenno a Vanadiel di seguirla, i due angeli si incamminano verso l'ingresso. Un sussulto del terreno, fuochi nel firmamento, frammenti di colonnato crollano dall'alto, si perdono nel vuoto. Iruel si aggrappa alla balaustra, Vanadiel si accovaccia, tenta di mantenere l'equilibrio. Il tremito termina all'improvviso, così com'era iniziato. Iruel alza la ricetrasmittente, preme il pulsante.
"Qui Iruel, Cyrael! Cyrael, rispondi! Passo!"
Rumore bianco, il ponte radio interrotto. Vanadiel si rialza, respira a fatica.
"Hai provato con un collegamento mentale diretto?"
"Sì, ma è inutile. C'è troppo rumore di fondo, troppe frequenze estranee. Non capisco..."
"Dobbiamo trovare Cephas e parlare con lui. Non abbiamo tempo da perdere, forza."
Iruel annuisce, segue la sua compagna su dalla scalinata, gradino dopo gradino. Nessuna nuvola, nessuna luce accesa, non una nota nel coro angelico che una volta allietava le anime dei trapassati. Un brivido, la sensazione di essere nel posto sbagliato.
I due angeli procedono lungo la scala, passo dopo passo, l'enorme cancello di fronte. Ma qualcosa non va. Iruel sussulta, non crede ai suoi occhi. Le barre d'oro spezzate, i cardini divelti, le serrature frantumate. Il portale per le nuvole, il punto di ingresso per la reggia dei cieli, per la suprema ricompensa, non esiste più.
"Vanadiel, là! Guarda!"
"No! No, no, no!"
Una figura scura, titanica, su quattro zampe, la pelle di pece, scaglie solide come la roccia, gli occhi chiusi, il respiro corto, le mani a sostenere le sbarre, a tentare di ritardare l'inevitabile. Un fluido luminescente si riversa dalle ferite, scorre sul ghiaccio scuro. Due enormi chiavi dorate trafiggono il suo petto, inzaccherate della stessa sostanza oleosa. I due angeli iniziano a correre, superano la soglia con foga.
"Cephas! CEPHAS!"
La creatura solleva il capo a fatica, gli occhi di rubino luccicano alla vista di Iruel.
"... aaaah. Allora c'è ancora... speranza..."
Iruel e Vanadiel abbracciano il suo corpo esanime, ne accarezzano la pelle.
"Cephas! Cosa ti è successo? Dove sono tutti? Come..."
La creatura grugnisce, un urlo silenzioso di dolore.
"Cephas?"
"Q... quali sono i vostri nomi?"
"Iruel e Vanadiel! Siamo angeli semplici del terzo coro, inviati da Cyrael!"
Il corpo di Cephas si contrae in uno spasmo, altre due braccia emergono dai fianchi, accarezzano le sue ospiti con delicatezza, la voce come una litania monotona.
"B... benvenute nel regno dei cieli, figlie del Signore! P... possa la Sua infinita bontà..."
"Cephas! Siamo qui per parlare con Dio! Per favore, indicaci la strada!"
Cephas abbassa il capo, la litania ricomincia dall'inizio.
"Benvenute nel regno dei cieli, figlie del Signore! Possa la Sua infinita bontà guidarvi..."
"Cephas?"
"Sì, s... sono Cephas. Il guardiano del cancello, colui che guida le... anime dei defunti. Quante poche ne sono arrivate! Quante poche, negli ultimi anni! Non vedo una nuova anima da... da troppo tempo... l'uomo ha forse... peccato così tanto?"
Iruel stringe il braccio della creatura ferita, alza la voce.
"Perché è tutto in rovina, qui?! Per favore, Cephas, dicci qualcosa! Raccontaci quello che è successo!"
"Benvenute nel regno dei cieli, figlie del Signore! Possa la Sua infinita bontà guidarvi..."
Vanadiel scuote il capo, il suo sguardo incrocia quello di Iruel.
"È andato! Non otterremo alcuna informazione da lui."
Iruel non si arrende, continua a strattonare le membra del gigante.
"Cephas! Se non puoi dirci dov'è Dio, mandaci dal Figlio!"
"I... il Figlio? Io non conosco il Figlio."
"Cephas! Se c'è qualcuno che sa dov'è il Figlio, quello sei tu!"
"N... no, non so di cosa parliate."
Vanadiel ringhia, alza la mano al cielo, lascia fluire la sua aura nella mano, una lancia di luce si materializza tra le sue dita.
"CEPHAS! Dicci dov'è il Figlio o il Paradiso dovrà trovarsi un nuovo guardiano!"
"Il Paradiso...? Oh, Vanadiel... di che guardiano ha bisogno una casa... che non accoglie più ospiti? Dio ha deciso davvero così?"
Vanadiel digrigna i denti, solleva l'arma, si prepara a colpire.
"No! Fermati, stupida!"
Iruel la spinge a terra, le fa perdere l'equilibrio. Un nuovo tremito, altre esplosioni in cielo, fiamme rosse riflesse dai ghiacci eterni. Vanadiel urla terrorizzata. Iruel si china sulla creatura, singhiozza. Il tremore svanisce come prima. Non prima che un frammento di anfiteatro cada nel vuoto, a velocità terminale. Vanadiel osserva le rovine, i cristalli spezzati, persi nel nulla. Un urlo, Iruel si aggrappa al braccio di Cephas, scoppia in un fiume di lacrime.
"San Cephas! Per favore, ti supplico! Aiutaci! Chiama qualcuno che possa spiegarci la situazione! Chiama il Figlio! Non abbiamo tempo da perdere."
"Te l'ho già detto... io non conosco... nessun Figlio."
Un rimbombo apocalittico, il canto stridulo di un gallo, le parole interrotte. Un'ombra alata scende dal cielo, si posa sulla spalla della creatura. Un uccello di cristallo, le ali aperte, il canto del gallo ripetuto. Un sorriso si fa largo sulle labbra di Cephas, sul suo volto scuro.
"Prima che il gallo canti... ah... quanti ricordi..."
Il titano alza il braccio, indica l'uccello di cristallo.
"Io non so... dove sia il Figlio. Ma lui sì, lui sì! S... seguitelo. Seguitelo, ovunque vi porti. Solo così... troverete il mio Maestro."
"Cephas..."
Iruel bacia la creatura sulla fronte, un caldo abbraccio delle mani mostruose.
"Io... continuerò a tenere le porte aperte. Continuerò a tenerle in piedi, fino alla fine dei tempi. Io sono... la pietra angolare su cui si poggia il Primo Cielo."
Un gemito, il corpo del gigante di pece collassa, sangue luminoso scorre dalle ferite, dalle chiavi che ne attraversano il petto.
"Ora a... andate. N... non fatelo attendere. E... chiedetegli scusa... da parte mia... per averlo rinnegato... di nuovo."
15. Knocking on Heaven's Door (II)
Il gallo di cristallo in volo lento, costante, due angeli a seguirlo, gradino dopo gradino, tra le rovine del Primo Cielo. Colonne frammentate, il cielo privo di stelle, il terrore di spiegare le ali ed essere colpite da calcinacci in caduta. Scosse di terremoto, esplosioni nell'etere, là dove il Secondo e il Terzo Cielo dovrebbero essere. Iruel tossisce, fatica a respirare, l'aria rarefatta. Vanadiel tiene una mano sulla fronte, un'emicrania feroce, sempre più forte, più violenta ad ogni metro.
Non un'anima in giro, non un angelo, non un canto di giubilo.
Solo scalinate, corrose dal tempo, tra isole di ghiaccio sospese, balaustre frammentate, palazzi in rovina. Solo desolazione, per chilometri e chilometri.
“Qui Iruel, Cyrael rispondi, passo!”
Rumore bianco, nessun contatto. Iruel singhiozza, la tensione scorre nel suo corpo come un veleno. Un colpo di tosse, l'aria viene a mancare.
“N... non ha senso. Noi angeli... non dovremmo avere bisogno di respirare. Cosa sta... succedendo qui?”
“Non lo so, Iruel. N... non ne ho idea. Ho solo... mal di testa. Tanto... mal di testa.”
Iruel avanza a fatica, non rallenta, non se lo può permettere.
Un altro terremoto, frammenti di volte e archi di pietra spariscono nel vuoto. Iruel cerca di non perdere di vista il gallo, ne traccia i movimenti con lo sguardo. Il freddo la raggela nella sua morsa, rende ogni passo un calvario. Iruel pensa di tornare indietro, di lasciare quel luogo maledetto, ma qualcosa glielo impedisce, un blocco psicologico.
Il gallo canta di nuovo, vola in cerchio sopra una sagoma scura, alcune luci in lontananza. Iruel osserva, tenta di mettere a fuoco. Una capanna, o qualcosa che le assomiglia, incastonata in un muro di ghiaccio. Iruel riprende forza, trascina Vanadiel con sé.
La catapecchia più vicina, i primi dettagli riconosciuti, le finestre illuminate. Al suo fianco, una mangiatoia in disuso, gli scheletri di due animali di media taglia al suo ingresso, accatastati sulla paglia. Iruel li ignora, prosegue fino alla porta, la porta che il gallo continua ad indicare col suo gemito stridulo. Una maniglia, semplice, senza fronzoli.
Iruel la preme, il cigolio del metallo, la porta si apre senza opporre resistenza.
“Avanti.”
Una voce suadente dall'interno, vellutata, calda, armoniosa. Iruel fa un passo, poi un altro, lentamente, dischiude l'uscio poco per volta. Un semplice tavolo di legno, spoglio, tre quattro sgabelli, una sola lampada, al centro della stanza, un debole chiarore. Seduta al tavolo, una figura fasciata in un saio, incarnato mediorientale, i capelli scuri, il volto radioso, lineamenti impossibili da distinguere, sfocati dalla luce eterna, un'aureola a completare il ritratto.
La figura si alza, un cenno del capo, la mano sollevata in saluto. Lo sguardo di Iruel catturato dal palmo, dalla profonda ferita nella carne.
“Benvenute. Voi dovete essere Iruel e Vanadiel, immagino?”
Iruel si inchina immediatamente, Vanadiel un istante dopo.
“Nostro Signore...”
“Riposo, riposo. Non è il momento di formalità. La vostra compagna sarà sollevata.”
Iruel alza il capo, nota una seconda figura, sdraiata per terra. Occhi violacei, capelli biondo cenere corti, aureola intermittente, un'ala tagliata di netto, l'altra ridotta ad un moncherino.
“Rimiel!”
Poi, lo nota, nota il corpo dell'angelo. Nota quello che manca.
"NO!"
Entrambe le gambe tagliate sopra il ginocchio, quasi a quarantacinque gradi. Il braccio sinistro interrotto al polso, il braccio destro ancora miracolosamente intero. Il respiro affannoso, la pelle nuda ricoperta di bende e garze, la mano della figura radiosa a lenirne il dolore.
“Rimiel! Come... cosa...”
“Lady Iruel...”
Una voce debole, le fitte tenute a malapena sotto controllo.
“Al tempo zero, quando siamo saltate, io ho ricevuto ordine... di raggiungere direttamente il Maestro. Sfortunatamente, il portale mi ha... tagliato a metà, come una ghigliottina. Se... se non fosse stato per...”
“Riposati, cara. Il tuo sforzo non è stato vano.”
La figura le chiude delicatamente gli occhi, controlla i parametri vitali.
“Sopravvivrà, Iruel. Non preoccuparti. Hai scelto una compagna forte.”
“Signore...”
“Yeoshua va bene. Come ti ho detto, non abbiamo tempo per le formalità. Prego, prendete una sedia e accomodatevi.”
L'uomo chiamato Yeoshua tiene l'uscio aperto per gli angeli, li lascia entrare nella sua dimora.
“Vorrei potervi offrire qualcosa da bere, ma temo che le mie scorte siano agli sgoccioli.”
“Non fa niente, Signo... voglio dire, Yeoshua.”
Vanadiel tiene la testa tra le mani, l'emicrania sempre più forte.
“Cosa... cosa sta succedendo qui? È tutto in rovina, il cielo cade a pezzi, non c'è un angelo o un'anima in giro! Lord Yeoshua, per favore, ci spieghi tutto!”
Yeoshua accarezza i capelli di Rimiel, si siede per terra accanto a lei.
“Ciò che sto per rivelarvi è l'assoluta verità, per quanto disturbante possa sembrare. Siete pronte ad accoglierla?”
Iruel trae un profondo respiro, risponde con un cenno del capo.
“Sì.”
Yeoshua porge i palmi feriti al cielo, alza lo sguardo.
“In verità, in verità vi dico... Dio Padre Onnipotente si è spento, più di duecento anni terrestri fa. Con lui, lo Spirito Santo e la parte divina in me. Con lui, il paradiso, gli angeli e i santi, che in ogni tempo gli furono graditi. Perché Egli era il padre nostro che risiede nei cieli, e, senza di Lui, i cieli stessi non possono esistere. In un ultimo afflato di vita, sentendo la fine vicina, lo Spirito Santo si è immolato per stabilizzare il paradiso e donare la sua energia immortale agli angeli della Terra. Ma lo Spirito Santo non è Dio – non del tutto, almeno – e la sua energia non è illimitata. Ha tenuto assieme il Paradiso per più di centocinquant'anni, ma ormai è al suo limite. Questo luogo, questa realtà, smetterà di esistere presto... e io con lei.”
Silenzio all'interno della capanna, la gravità delle parole appena pronunciate. Iruel stringe i pugni, digrigna i denti.
“Yeoshua, questo significa... che non possiamo fare nulla? Che il Paradiso è condannato?”
“Temo che questa sia l'unica fine immaginabile, mi dispiace. Ma, prima che accada, c'è ancora tempo. Forse non potrò restaurarlo alla sua antica gloria, ma se ricevessi una quantità sufficiente di energia sacra... forse, potrei perlomeno stabilizzare quello che è rimasto. Ad ogni modo, questo è un problema che nessuno di voi sulla Terra può risolvere. È qualcosa che solo io posso gestire. Voi avrete presto bisogno di affrontare... altri problemi.”
“Altri problemi?”
“Le anime che non raggiungono il Paradiso si stanno perdendo in terra. Alcune sono traghettate fino al limbo dai demoni, altre sono distrutte dalla Chiesa perché erroneamente confuse con spiriti raminghi.”