Cross! - Atto Secondo (2016)

"Cross!" è IL mio racconto, IL mio romanzo che più si avvicina ad una light novel shonen. Sono passati duecento anni dall'ascesa del Maligno, che ha preso il controllo della Terra dopo essere uscito dall'Inferno con le sue armate. Due secoli dopo, un prete armato del Chiodo della Vera Croce, intraprende una crociata solitaria, un pellegrinaggio verso il territorio del Maligno, col fine ultimo di esorcizzare qualunque demone incontri sulla sua strada. "Cross!" è semplicamente fuori di testa e lo adoro per questo. Atto Primo e Atto Secondo sono completi, sfortunatamente, Atto Terzo non ha mai visto la luce del Sole ed è stato lasciato incompiuto. Ad ogni modo, i primi due Atti possono essere letti come storie complete, con un inizio ed una fine. Spero che le avventure di Padre Thornheart Ashburnt e dei suoi improbabili alleati possano strapparvi qualche risata, come è successo a me mentre le scrivevo.
Dove eravamo rimasti:
Duecento anni fa, il Maligno è emerso dagli Inferi e ha conquistato buona parte del mondo. Questo evento è diventato tristemente noto col nome di Ascesa. Ora, padre Thornheart Ashburnt, un esorcista della Santa Chiesa, è stato inviato in una sacra missione per liberare la Terra. Padre Ashburnt non è un prete comune: ha un chiodo della Vera Croce all'interno dell'indice destro, una sorgente infinita di energia sacra con cui distruggere i demoni. Durante il suo peregrinare, ha incontrato alcuni alleati inusuali che hanno deciso di seguirlo nella sua folle crociata solitaria: Ledger, un agente doppio al servizio della Santa Sede, Eden, una succube trasformata in essere umano in seguito ad uno sgarbo, e Mikael, l'arcangelo che sconfisse il Maligno ai tempi della prima Guerra nei Cieli. Raggiunto finalmente il confine con le terre del Maligno, i quattro si apprestano a varcare la soglia...
1.
Stazione di servizio nel nulla
Il Sole a picco sul deserto, nubi di sabbia sospese a mezz'aria. Un vento debole spazza le dune, i pochi cactus, le piante avvizzite. L'anello di montagne in lontananza, la faglia di Plutone ad interromperne l'omogeneità. Una stazione di servizio, apparentemente in disarmo, il titolare sdraiato su una sedia a dondolo, un giornale a coprire la faccia. Un grosso corvo appollaiato sul tetto grigio, praticamente immobile, gli occhi rossastri a scrutare il cielo.
“Anche oggi nessun cliente...”
Un rombo sordo, un motore a scoppio, una sagoma scura all'orizzonte. Nuvole di polvere sollevate dal veicolo, lo scintillio della luce sulla carrozzeria. L'uomo si stropiccia gli occhi, scrolla la testa.
“... una macchina...”
Il giornale gettato a terra, la corsa rapida verso la strada, le braccia agitate con forza.
“Ehi! Ehiiii! Siamo aperti! Fermatevi!”
L'automobile frena bruscamente, si intraversa per evitare l'impatto, slitta per qualche secondo, si inclina di lato, atterra su quattro ruote. L'uomo bloccato, le pupille ridotte a puntini minuscoli, una goccia di sudore freddo lungo la fronte.
“Ehm... non intendevo proprio così, ma...”
Un grugnito seccato dall'interno del veicolo, una ragazza emerge dalla carrozzeria scura.
“Ma sei completamente scemo?! Volevi farti investire?!”
L'uomo la esamina per un istante, trattiene un fischio di ammirazione. Alta, capelli lunghi biondi, ciocche azzurre sparse qua e là, iridi rosa. Un top verde palude e un paio di jeans strappati a completarne la figura.
“N... no, signorina! È solo che ho pensato... magari avevate bisogno di carburante... e non sapevate che era aperto! Tutto qui! Lo giuro!”
Un movimento dall'altro lato della macchina, una voce maschile.
“Una stazione di servizio... qui?”
Un uomo, capelli castani mediamente lunghi, occhi dello stesso colore, cicatrici lungo tutto il viso. Un cappellaccio ben piantato in testa, canottiera nera, pantaloni lunghi, stivali. E un braccio in meno. Una eco di risposta dai sedili posteriori, il tono sarcastico di una voce femminile.
“Chissà quanti clienti.”
Una terza figura abbandona il veicolo, una ragazza minuta, più bassa degli altri due, fasciata in una felpa grigia troppo grande per lei. Un cappuccio copre completamente la testa, lasciando intravvedere i lunghi capelli d'ebano. Due iridi dorate risaltano sul viso, fissano l'uomo con un misto di insofferenza e istinto omicida.
Il benzinaio ingoia la saliva, arretra, inciampa, cade per terra, si rialza, si inginocchia, le mani portate di fronte alla faccia per proteggersi.
“È... è un'onesta attività commerciale come un'altra! Non faccio nulla di male!”
La ragazza minuta cammina verso di lui, senza distogliere lo sguardo, i pantaloni di tuta oscillano ad ogni passo.
“Tranne attirare l'attenzione dei potenziali clienti con comportamenti autolesionisti e irresponsabili?”
“S... sì! Cioè, no! Cioè... forse!”
“Calmati, Mikael.”
Una voce autoritaria, l'ultimo occupante dell'auto. Un uomo imponente, capelli biondi corti, occhiali da vista a celare due occhi smeraldini. Un giaccone da viaggio beige, lungo abito bianco con cerniera, pantaloni neri, stivali da montagna. E un collarino da prete.
Mikael inarca un sopracciglio, stringe gli occhi sulla preda.
“Io sono calma, padre Ashburnt. È lui che ha paura. Comunque, non abbiamo bisogno di nulla: il serbatoio è quasi pieno e abbiamo cibo per tre giorni.”
Una mano sulla spalla della ragazza, Ashburnt sorride con fare ironico.
“Be', ormai siamo qui. Perché non diamo un'occhiata?”
Il benzinaio si prostra più volte, gli occhi brillano di riconoscenza.
“Grazie! Grazie! Erano mesi che non vedevo anima viva! Prego, seguitemi! Il mio autogrill è fornitissimo!”
L'uomo col cappello si massaggia il mento, esamina accuratamente i dintorni.
“Una stazione di rifornimento su una strada in gran parte non asfaltata. In pieno territorio del Maligno.”
Un buffetto sulla nuca, la ragazza bionda si stringe all'unico braccio, gli posa la testa sulla spalla.
“Non essere sempre così sospettoso, Ledger! Il posto non è così male Potremmo addirittura trovare una camera dove trascorrere qualche ora insieme...”
Ledger avvampa, scuote il braccio con forza, si scrolla di dosso la ragazza.
“N... non ora, Eden!!!”
Il benzinaio si frega le mani, sogghigna leggermente mentre mostra l'ingresso ai viaggiatori.
“Se lo desiderate, ho anche qualche articolo... ehm... speciale per movimentare la vostra vita di coppia...”
Ledger salta sul posto, un mezzo infarto a scuotere il torace.
“C... coppia?! Ma neanche per sogno! Siamo solamente amic... compagni di viaggio!”
“Certo, certo...”
L'uomo si avvicina alla porta, inserisce una chiave arrugginita nella serratura, inizia a ruotarla con estrema tranquillità.
“Solo un istante. Non capita spesso che qualcuno passi da queste parti...”
“Già, a proposito di questo...”
Ashburnt incrocia le braccia, si ferma ad alcuni metri dalla porta, le palpebre serrate.
“... posso sapere dove abita? Qui siamo in mezzo al nulla. L'unica macchina è la nostra. Questo significa che dovete camminare fin qui ogni giorno...”
“Uh? Ah, sì! La mia casa... ecco... non è molto lontana! Sono solo quindici minuti a piedi!”
“Interessante. Quindi c'è un villaggio o una piccola città, qui vicino?”
“S... sì. Quattro o cinque case. Non di più.”
“E in un paese così piccolo, è di vitale importanza gestire una pompa di benzina... specie se non compare un cliente da mesi.”
Il benzinaio blocca il polso, un brivido freddo lungo la schiena.
“C... cosa vuole insinuare?”
Ashburnt sorride senza scomporsi, un luccichio sinistro sulle lenti.
“Che nessun uomo sarebbe così pazzo da svolgere un'attività del genere.”
Una risata nervosa, l'ultimo scatto della maniglia.
“Ah, ah! Nessun uomo? Allora, cosa sarei io?”
“Semplice...”
Ashburnt unisce l'indice e il medio della mano destra, spalanca gli occhi, le iridi divampano.
“Un demone.”
“Umpf.”
Il benzinaio stringe la maniglia con forza, digrigna i denti.
“Ma cosa dice, padre? Io sono solamente un povero lavoratore. Guardi, ora le faccio conoscere il resto della mia famiglia...”
La voce impostata, diretta verso l'interno della stazione di servizio.
“Ehi, sono io! Abbiamo degli amici a pranzo...”
La porta spalancata con un gesto secco, occhi di brace balenano nel buio.
“... come portata principale!”
Il viso dell'uomo si deforma, si squarcia, pelle nera come il carbone emerge dagli abiti, quattro braccia, mani artigliate, zanne da squalo. Un coro di ringhi inumani, altri demoni sciamano fuori dall'edificio, le fauci spalancate.
“Cuccioli!”
Ashburnt arretra di scatto, alza la mano al cielo.
“Rosario divino, primo mistero – Folgore Angelicaaaaaa!!!”
Una croce di luce sacra scaturita dalla punta delle dita, il demone-benzinaio investito in pieno, il corpo dissolto in una nube di cenere.
“GWOOOOOO!”
Gli altri demoni si sparpagliano, scartano di lato, si dispongono a semicerchio. Una vibrazione alle spalle di Ashburnt, onde concentriche sull'asfalto crepato. Ledger ruota la spalla, la pupilla zooma sull'epicentro.
“Dietro di lei, padre!”
Un cucciolo emerge all'improvviso, spalanca la bocca mostruosa. Ledger balza in avanti, scintille di luce attorno al moncherino.
“Mano Fantasma – Artigli dell'Idraaaa!!!”
Un braccio spettrale generato dal nulla, quattro artigli eterei. Il demone cade a pezzi, fiotti di sangue verdastro schizzati da ogni frammento. Eden si appoggia sulla schiena di Ledger, si dà la spinta, salta in alto, solleva la mano. Un piccolo globo di luce si accende su ogni dito, scariche elettriche attraverso il corpo.
“Scoppio Sinfonico!”
I fulmini globulari si sparpagliano, bombardano a tappeto, esplodono in una miriade di flash accecanti. I cuccioli scagliati lontano dall'onda d'urto, le membra completamente paralizzate. Mikael divarica le gambe, porta le mani al cielo. Il cappuccio della felpa libera il capo, un'aureola dorata incorona la chioma scura.
“Io ti evoco, lama divina! Vieni a me, Balmuuuuuung!”
Vampe di fuoco tra i palmi uniti, una spada di metallo vermiglio si materializza all'istante. Uno scatto del polso, l'elsa impugnata con maestria.
“Infinity Slaaaash!”
Un'ondata di fiamme avvolge i demoni inermi, le grida spente in un coro di dolore. Una pioggia di polvere nera, frammenti grossi come coriandoli. Nessun segno di vita. Ashburnt ruota nervosamente il collo, controlla i dintorni senza posa.
“Non ne vedo altri. Dovremmo essere al sicuro.”
Mikael punta la lama al terreno, uno sguardo annoiato ai poveri resti delle creature.
“Una stupida trappola. Per fortuna, i cuccioli non sono molto astuti.”
Eden estrae la pistola della benzina, preme la leva un paio di volte. I contatori fermi, un cigolio metallico in luogo del liquido scuro.
“Le pompe di carburante sono vuote. Erano solamente un'esca.”
Ledger entra all'interno dell'edificio, dà un'occhiata sommaria in giro.
“Non c'è nulla di interessante. Solo qualche scaffale vuoto, un paio di salopette di ricambio e un mare di polvere.”
Uno sguardo alla cassa, al rotolo per gli scontrini mai utilizzato. Ledger armeggia con i tasti, un trillo sonoro, il cassetto aperto.
“Questi non sono crediti della Chiesa...”
Ashburnt si avvicina, sistema gli occhiali sul naso.
“Vuoi dire che hanno una loro moneta?”
“Sembra di sì. Forse è meglio prenderne qualcuna...”
Ledger arraffa le banconote verdastre, le infila nel portafoglio una dopo l'altra, richiude il cassetto con un movimento secco. Mikael nota un foglio appeso ad una parete, lo analizza attentamente.
“C'è anche una mappa. È incompleta, ma segna qualche città nei dintorni. Sembra che la più vicina sia Limularia, a dieci chilometri da qui. Potrebbe essere il luogo giusto dove raccogliere informazioni.”
Ashburnt annuisce, si dirige verso la porta.
“Bene, possiamo prosegui...”
Un strappo, un frammento di tela tra i denti. Eden mastica di gusto una delle salopette, un pezzettino alla volta.
“... re?”
“Folo un momen'o, pa're Croff!”
Il boccone ingoiato, un'espressione innocente sul visetto angelico.
“Questo vestito è troppo buono! Un po' stagionato, forse...”
Ashburnt rotea gli occhi, un sospiro rumoroso.
“Va bene, va bene. Dieci minuti di pausa, poi partiamo, okay?”
Eden unisce le mani, un sorriso beato in risposta.
“Grazie!!!”
Il corvo fissa i quattro dal tetto, ne segue ogni movimento. Un ronzio silenzioso, attutito dal finto piumaggio, la telecamera focalizzata su Ashburnt. Il corvo gracchia rumorosamente, distende le ali. E vola verso l'orizzonte, in direzione di Limularia.
2.
Silenzio a Limularia (I)
Grattacieli infiniti, strutture futuristiche, vetrate scintillanti. Strade ben asfaltate, semafori, segnaletica a raso. Automobili ferme in coda, giornali lasciati sulle panchine. Insegne al neon, spente. Pochi rumori, il fischio sordo del vento, il borbottio di un solo motore. Nessuna anima viva.
Ledger cammina lentamente attorno alla macchina, la pupilla si dilata, si contrae a ritmo irregolare, un ingrandimento preciso di ogni immagine catturata dalla retina.
“È mezz'ora che giriamo per le vie, senza trovare nessuno. Sembra una città fantasma...”
Ashburnt tira un calcio ad un cono di segnalazione, lo osserva senza troppo interesse.
“Allora, mi sa che si prosegue. Quanto manca al tramonto?”
Ledger alza lo sguardo al cielo, analizza la posizione del Sole.
“Tre o quattro ore. Non di più.”
Un gracchiare molesto, alle loro spalle. Un corvo appollaiato su un lampione spento, intento a ripulirsi le ali col becco.
“Qualcuno è rimasto, a quanto pare...”
Ashburnt massaggia il mento, si siede sul cofano della macchina.
“Mentre noi faremmo meglio ad andarcene. Non so cosa sia successo qui, ma non voglio farmi coinvolgere in un altro...”
“Eeeeeeek!”
Un grido ad alto volume, i due uomini si guardano rapidamente attorno, ne cercano la fonte. Ledger riconosce la voce, il battito aumenta all'improvviso.
“Eden! Tutto a...”
Eden incollata ad una vetrina, gli occhi scintillano per l'eccitazione.
“... posto?”
“Un negozio di abbigliamento! Pieno di capi firmati! E non c'è nessuno a chiedermi di pagare! È... è un sogno, vero? Se sì, non svegliatemi! Però...”
Un filo di bava lungo le labbra, ripulito quasi immediatamente. Le iridi rosa offuscate per un istante, la parte razionale prende il sopravvento.
“... non vi sembra strano?”
Il dito puntato verso l'interno del locale, uno sguardo interrogativo.
“È tutto... troppo in ordine! Come se gli abitanti fossero spariti all'improvviso...”
“Togli pure il come se.”
Mikael fa capolino dall'altro lato della strada, il cappuccio ben tirato sulla testa, a nascondere l'aureola.
“Venite a vedere cosa c'è da questa parte.”
Ashburnt e Ledger si incamminano, raggiungono l'angelo. Eden si attarda dietro di loro, arriva con qualche secondo di ritardo.
“Che cosa hai trovato, Miki? Puoi...”
Un urlo raggelante, gli occhi totalmente sgranati, la mano portata di fronte alla bocca, un conato di vomito trattenuto a stento. La strada principale affiancata da alberi rinsecchiti, da entrambi i lati. E macabri gusci bianchi appesi ad ogni ramo. Gusci grandi quanto un uomo, dalla forma inconfondibile. Eden si inginocchia, dà di stomaco, una, due volte, ripulisce le labbra, respira senza ritmo. Ledger le prende la mano, la stringe con forza, mentre i suoi muscoli si irrigidiscono per l'orrore.
“Che... schifo! Cos'è questa roba?!”
Mikael passa la mano sulla struttura chitinosa, sfiora i fili intrecciati, il viso privo di espressione, totalmente imperturbato.
“Bozzoli.”
Ashburnt ingoia un grumo di saliva, sistema gli occhiali con un gesto nervoso.
“B... bozzoli... di cosa?”
Mikael scrolla le spalle, solleva i palmi al cielo.
“Ne so quanto lei, padre. Date le dimensioni, escluderei un animale. L'unica alternativa che resta è un demone, no?”
Un calcio secco ad una delle strutture chitinose, il piede affonda nella gabbia bianca, non incontra resistenza.
“Tra l'altro, sono completamente vuoti. Siamo arrivati tardi.”
Ledger focalizza l'immagine, cerca di contare i gusci strappati. Una goccia di sudore freddo, le iridi castane congelate.
“S... sono più di mille. S... solo quelli entro trecento metri da qui!”
Mikael chiude gli occhi, sputa per terra con fare disgustato.
“Lasci comandare i demoni... ed ecco il risultato. Se solo Cyrael vedesse questo disastro...”
“No!”
Eden si aggrappa al braccio di Ledger, tenta di rimettersi in piedi.
“N... non ha senso! Noi non siamo così distruttivi! Non c'era nessuna ragione per massacrare una città intera!”
Le iridi di Mikael avvampano, incontrano il debole sguardo di Eden, lo bruciano con violenza.
“Il vostro leader ha condotto un esercito dagli Inferi, ha conquistato intere nazioni per voi bestie schifose! Non puoi venirmi a dire che voi non avreste mai...”
“Noi... noi volevamo solamente rivedere la luce del Sole, ristabilire un contatto con il Paradiso...”
La lingua biforcuta emerge tra i denti, le pupille dilatate all'inverosimile.
“... o almeno, questo è quello che mi hanno insegnato. M... mi dispiace. Sono troppo giovane, non ho vissuto l'Ascesa. Potrebbe essere tutto un inganno.”
“Lo è sicuramente. La storia la scrivono i vincitori, ricordi? Figuriamoci se quel bastardo del Maligno non ne ha approfittato!”
Ashburnt si frappone tra le due, spalanca le braccia per dividerle.
“Time out! Smettetela tutti e due! Siamo nella stessa squadra, okay? Eden ha dimostrato di provare sentimenti umani, Mikael. Non capisco perché devi trattarla così!”
Mikael rabbrividisce, scuote il capo, chiude e riapre gli occhi. Un mormorio silenzioso, parole di biasimo rivolte a se stessa.
“Scusate. Sono un po' nervosa, dopo tutto quello che è successo: prima, il rifiuto di Cyrael, poi il leviatano... ora, questo. E poi...”
Un tonfo sordo.
Ashburnt unisce istintivamente le dita, Ledger inizia a scandagliare i dintorni.
“Cos'è stato?”
Un altro tonfo. Più forte. Più vicino.
Eden punta saldamente i piedi per terra, indica la strada con un cenno del capo.
“Torniamo alla macchina. Di corsa.”
Mikael annuisce, si fionda verso l'incrocio.
Rumori ripetuti, sempre più intensi. Il movimento di qualcosa di grosso.
“Aspetta!”
Mikael si ferma di scatto, si nasconde all'ombra una parete. Una zampa pelosa emerge da dietro i palazzi, colpisce la strada, buca l'asfalto. Una zampa lunga almeno tre metri.
Ashburnt corre dietro un albero secco, Ledger si appiattisce dall'altro lato della strada, Eden entra in un vicolo laterale. Il battito accelera, terrore in ogni cellula.
L'arto si solleva dal terreno, altre due, tre, quattro estensioni rigide compaiono a poca distanza, chele titaniche attorno ad un muso allungato, quattro occhi per lato, iridi rosse su sfondo bianco.
Ledger osserva non visto, coglie i dettagli, li memorizza, mentre la bestia raggiunge il centro dell'incrocio. Corpo segmentato, esoscheletro nero, addome bombato, racchiuso in una gigantesca conchiglia rosata. Una voce sepolcrale squarcia l'aria, un effetto di rimbombo, come se chi parla avesse in testa una campana.
“Perché ti sei fermato?”
“Mi era sembrato di sentire delle voci, capo...”
Una risposta incerta, biascicata, parole mangiate senza ritegno. Le chele si muovono a tempo, scandiscono le sillabe, l'enorme creatura rotea il capo con fare furtivo.
“... ma qui attorno non vedo nessuno.”
“Ti sarai sbagliato. Capita.”
Il mostro si produce in un lungo sospiro, le chele frontali ticchettano, si chiudono e riaprono più volte. Ledger aguzza la vista, nota una protuberanza luccicante sulla conchiglia. Sussurra qualcosa sottovoce a se stesso, per convincersi di non essersi sbagliato.
“Un trono?!”
Le propaggini calcaree incrostate d'argento, una sagoma scura seduta sui un rilievo osseo. Una figura più piccola, di dimensioni umane, avvolta da un mantello organico. Vene pulsanti sulla superficie, le mani artigliate ricoperte da pelle scabra, irregolare. Il volto completamente celato da un casco metallico, tre lati piatti di uguale lunghezza, uno dietro la nuca, gli altri due a formare una cuspide al centro del viso, numerose fessure a minarne l'uniformità. Fessure nere come la pece. La creatura incrocia le mani, inclina il capo.
“Sarà stato un corvo, Esakiuro. Ce ne sono fin troppi, ultimamente.”
“E... e se fosse l'esorcista? Quello che ha ucciso Argento a Tabara?”
Un attimo di pausa, il tempo giusto per pensare, la mano destra sollevata al cielo, gli artigli d'acciaio sinistramente distesi. Una macabra risata accompagna il gesto, amplificata dal rimbombo.
“Quell'imbecille? Ma figuriamoci!”
Il Sole fa capolino tra le nuvole, uno scintillio sugli occhiali di Ashburnt. Il pugno stretto in un moto d'ira, il volto paonazzo, parole masticate a denti stretti.
“... imbecille... io?”
Il demone incrocia le braccia, si accomoda sul trono senza fretta. Un cenno impercettibile dell'indice, Esakiuro avanza di alcuni metri sulla strada principale.
“Un uomo solo, per quanto potente, non cercherebbe di sconfiggere il Maligno all'interno del suo stesso Regno. Sarebbe una follia!”
“Ma... ma...”
Esakiuro trascina il carapace, le pupille guizzano verso i lati della carreggiata con fare sospetto. L'altro demone rimane seduto, le vene si contraggono, pulsano continuamente sul mantello di pelle.
“Secondo te, quel pazzo sprovveduto potrebbe essere qui, a Limularia?! Non farmi ridere, Esakiuro! Le probabilità che abbia attraversato il Confine tutto intero sono pari a zero...”
Il capo inclinato in avanti, un sorriso nascosto dalla maschera metallica.
“... ma, sai com'è, qualche volta i miracoli accadono...”
Il demone ruota la testa di scatto, il braccio puntato verso l'albero rinsecchito.
“... non è così padre Ashburnt?”
3.
Silenzio a Limularia (II)
Una sferzata netta della zampa aracnoide, il tronco spezzato a metà. I bozzoli spiaccicati sulla strada, le poche foglie sollevate in volo. Ashburnt scatta all'indietro, evita la caduta dell'albero. Le dita unite, scintille sacre attorno alla mano destra, la posizione consolidata.
Il demone batte le mani divertito, si alza in piedi sul guscio.
“Eccellente, padre! Allora non è così stupido come sembra!”
Ashburnt digrigna i denti, contrae i muscoli.
“Rosario divino, primo mistero...”
Una croce tracciata in aria con un gesto secco, le iridi infiammate.
“... Folgore Angelicaaaaa!”
“Esakiuro!”
Esakiuro solleva le zampe, due chele chitinose emergono dal carapace. La croce elettrica brucia la corazza, esplode in una nuvola di fumo. Esakiuro trema, subisce il contraccolpo, striscia sulla strada. Il demone umanoide sbalzato contro il guscio, la testa impatta contro le strutture ossee. Un attimo di smarrimento, il capo scrollato con forza. Il demone si rialza, agita gli artigli, dissipa la nube. Un colpo di tosse, andatura claudicante, il mantello scosso da pulsazioni irrefrenabili.
“Q... quindi le voci... la Vera Croce... i miei informatori a Zenma... avevano ragione!”
Esakiuro scrolla la testa aracnoide, i quattro occhi semiaperti, uno stato di vaga incoscienza.
“Uuuuh... tutto bene, capo?”
“Esakiuro!”
Il demone raggiunge le chele, le accarezza con la mano deforme.
“Che cosa ti ha...”
“... Folgore Angelica!!!”
Il riflesso della luce sul metallo, un balzo fortuito, il mantello lo spinge come una molla. La scarica trafigge la strada, genera una crepa tra le due creature. Il demone umanoide atterra malamente, riacquista l'equilibrio. Ashburnt avanza di alcuni metri, mantiene il contatto visivo. Uno schiocco di dita, l'indice sinistro puntato verso i bozzoli.
“Sei tu il responsabile di questo scempio?! Dove sono finiti tutti gli abitanti?”
Uno scatto d'orgoglio, l'elmo brilla sotto gli strali del Sole accecante.
“Scempio?! Ah, ah! Ah, ah, ah!”
Una risata incontenibile, il rimbombo del casco.
“Ritiro quello che ho detto, padre. Non brilliamo per perspicacia, eh?”
“Demone! Tu e quell'altro ragno...”
“Esakiuro non è un ragno. E io non sono un demone comune. Ho un nome. Un nome vero.”
Il mantello si anima, si allarga, cresce attorno le spalle. Le vene pompano, le arterie emergono dal tessuto organico, le braccia incrociate di fronte al viso, a formare una ics.
“Io sono Ramante! Benvenuto a Limularia...”
Il mantello si fonde al terreno, si immerge nell'asfalto.
“... benvenuto nella sua nuova tom...”
“Parli troppo!”
Mikael scende in picchiata, Balmung brandita con violenza, un fendente fiammante a squarciare l'aria. Ramante non si scompone, solleva il braccio sinistro senza nemmeno voltarsi, lo lascia ricoprire dal mantello. Balmung si schianta contro l'avambraccio, le fiamme bruciano la pelle, un incendio sulla paglia secca. Uno scatto secco del busto, Balmung affonda nel vuoto, gli artigli della mano destra sfoderati, un colpo di dorso sulla spalla di Mikael. L'angelo sbalzato a terra, la mano ancora salda sull'elsa. Le fiamme si propagano, inceneriscono il manto. Nessun grido, nessun ruggito di dolore. Solo uno strappo netto, una parte del mantello vivente squarciata in un batter d'occhio. Il collo genera subito nuovo materiale, sostituisce quello danneggiato.
“Stavamo dicendo?”
Ashburnt ingoia un grumo di saliva, mantiene la posizione di guardia.
“C... come ha fatto a pararlo?”
Mikael si rialza alle spalle del demone, solleva Balmung al cielo.
“Un colpo di fortuna... che non si ripeterà!”
Ramante continua a fissare Ashburnt, senza degnare la ragazza di uno sguardo. I resti del mantello squarciato avvizziscono, svaniscono in cenere.
“Un angelo! Ora capisco come ha fatto a sopravvivere fino ad adesso, padre Ashburnt!”
Mikael traccia un infinito con la punta della spada, le ali spiegate, l'aureola splendente.
“Balmung ammazzadraghi, io invoco il tuo potere...”
Le fiamme avvolgono la lama, divampano attorno al metallo vermiglio.
“Infinity Slaaaaaash!”
Ramante si sposta di lato, evita il fendente, la tempesta di fuoco. Mikael sprinta dall'altro lato, prima che il nemico possa ruotare il capo. Un fendente orizzontale a tutta forza, diretto al collo. Ramante si china senza guardare, la spada passa cinque centimetri sopra la sua nuca. Mikael si esibisce in un salto carpiato, si porta alle spalle del demone. Ramante solleva il braccio sinistro, il bracciale d'acciaio scintilla per un lungo istante. Balmung cozza contro il metallo, lo frantuma senza fatica, intacca la carne, i muscoli, le ossa. Ramante urla in silenzio, libera il pugno destro, colpisce Mikael all'addome, la scaglia contro il muro di un palazzo.
“Un'arma sacra! Ooooh! È la prima volta che ne vedo una! E io ho occhio per queste cose!”
Il mantello avvolge l'arto ferito, lo rigenera lentamente. Ashburnt osserva la scena, nota Eden con la coda dell'occhio. Un cenno di mutuo assenso, la ragazza emerge dal suo nascondiglio, parte alla carica alle spalle del nemico. Ashburnt divarica le gambe, porta i pugni al cielo.
“Rosario divino, secondo mistero...”
Ramante solleva la mano destra, para il calcio di Eden senza scomporsi. Eden torna in guardia, scatena una combinazione di pugni, ginocchiate, gomitate da lottatrice professionista. Ramante schiva, evita, riduce al minimo i movimenti, tutta l'attenzione concentrata sull'avversario diretto. Ashburnt abbassa le braccia, gli occhi divampano.
“... Fiamme di Sodoma!!!”
Ramante abbassa la guardia, si lascia colpire dal calcio di Eden. Un impatto brusco, il corpo lanciato lontano. Le vampe di Ashburnt attraversano il vuoto, bruciano la strada, gli alberi, passano a venti centimetri da Eden, mancano il bersaglio. Mikael si rialza, impugna la spada, respira a fatica.
“C... che tempismo! Un attimo di ritardo e...”
Ramante ripulisce il mantello dalla polvere, gli artigli accarezzano le escrescenze organiche.
“Eh, eh! Quando fai il mio lavoro, devi avere occhi dappertutto...”
La fatica mascherata dall'assenza di espressione, i vasi sanguigni pompano alla massima velocità.
“Quindi, non eravate solo due. C'era anche un'altra ragazza. Molto, molto interessante. Chissà quanti altri segreti nascondete! Non vedo l'ora di scoprirli!”
Mikael solleva la spada, le palpebre serrate quasi del tutto. Eden le si avvicina, parole scambiate sottovoce.
“Tutto a posto, Miki?”
“Dov'è Ledger?”
“Aspetta il momento giusto. Dobbiamo guadagnare un po' di tempo.”
Un cenno del capo, un luccichio sul tetto di un palazzo basso. Ledger si sporge dal cornicione, aguzza la vista, la pupilla si dilata, si contrae, mira alla testa. Il braccio fantasma in modalità cecchino, l'arpione etereo caricato.
“... tenetelo fermo, ragazzi...”
Ramante solleva il braccio sinistro, indica un punto in alto nel cielo, ridacchia sotto l'elmo metallico.
“Tre contro uno? Non è un po' esagera...”
Ashburnt chiude il pugno, lascia che l'energia sacra scorra nelle dita. Uno scatto improvviso, il diretto liberato contro il petto del nemico. Ramante allibito, colto alla sprovvista. La pelle brucia al contatto, macchie scure attorno al punto dell'impatto, il tessuto sfrigola.
“Unghhh!”
La posizione riguadagnata, gli artigli massaggiano la ferita.
“F... fa male... come...”
“Ora!”
“Mano Fantasma – Fucile Spettrale! Sharpshooter Inferno!”
Un proiettile ad altissima velocità, il bang supersonico. Ramante trafitto alle spalle, attraverso la spina dorsale.
“Aaaaaaaaah!”
I muscoli irrigiditi, le braccia spalancate, il corpo trascinato al suolo. Eden solleva il pollice, un occhiolino in direzione di Ledger.
“Sì!”
Il proiettile etereo svanisce, Ramante si rialza a fatica, il respiro pesante, fiotti di sangue verdastro attraverso il foro, colano lungo l'armatura, il corpo. Il tessuto si rimargina, gli organi restaurati.
“N... no. Non... ancora.”
Mikael solleva la spada, lascia che le fiamme la avvolgano completamente.
“Padre! È il momento!”
Ramante piega il busto in avanti, la testa dritta ad osservare Ashburnt, le braccia incrociate di fronte al petto, spire organiche piantate nel terreno.
“Giusto... è il momento...”
Un muro di spine emerso dal nulla, crepe, auto lanciate in aria, alberi spezzati. Mikael interrompe l'assalto, pianta Balmung nel terreno, libera un cerchio di fuoco. Le spine si incendiano, perdono vigore, si polverizzano. Il mantello di Ramante pianta altre radici, la voce baritonale, sdoppiata.
“Spiriti del mondo oltre la vita...”
Un pentacolo lucente compare ai suoi piedi, si dipana come una ragnatela.
Ashburnt alza le mani al cielo, le gambe divaricate, il corpo avvolto da un'aura scarlatta.
“Rosario divino, secondo mistero...”
Nuove spine si erigono di fronte a Ramante, frantumano l'asfalto. Ashburnt si getta a terra, perde la concentrazione. La litania monotona, il canto sgraziato del demone.
“... che, in morte, guidate le anime...”
Eden prende la rincorsa, salta sul cofano di una macchina, apre la mano destra.
“Scoppio Sinfonico!!!”
Cinque globi elettrici, puntati al bersaglio. Le spine si richiudono a scudo sopra Ramante, intercettano i fulmini, li deviano verso i palazzi. Ramante spalanca le braccia, raddrizza il busto, urla a perdifiato.
“... mostratemi la strada! Che il mio sguardo diventi...”
Un cerchio di tenebra generato attorno al suo corpo, ramificazioni d'ombra, lampi violacei nel cielo, il pentacolo in rotazione rapida.
“... un Oscuro Scrutare!!!”
4.
Silenzio a Limularia (III)
Una cupola scura a celare il cielo, una debole luce artificiale, l'interno immerso nella penombra. Ramante richiude il mantello, osserva compiaciuto l'immobilità dei dintorni, ascolta in silenzio.
“Bene, bene.”
Passi lenti nell'oscurità, una flebile aura scintillante attorno al corpo. Nessun edificio, nessuna strada. Solamente nero, ovunque. Una sagoma affiora dalle tenebre, un essere umano. I muscoli tremanti, gli occhi strabuzzati, le labbra distorte nel vano tentativo di articolare suoni di senso compiuto.
“C... cos'è questo posto? Dove.. dove siamo?”
Ramante abbozza un inchino, le fessure cupe fisse sul volto dell'uomo.
“Questo, padre Ashburnt, è il mio mondo. Qui, vigono le mie regole.”
Uno schiocco di dita, la volta si riempie di luci. Ashburnt riesce a ruotare lentamente le pupille, ad inquadrare il mondo attorno a sé. Eden, bloccata in una posa simile alla sua. Ledger, in ginocchio, sospeso a dieci metri da terra. Mikael completamente immobile.
“P... perché non riesco a muovermi?”
“Perché, altrimenti, loro farebbero troppa fatica ad osservarla.”
“L... loro?”
Un altro schiocco di dita, le luci si deformano, si allungano, diventano linee sottili a mezz'aria, ondulate, in continuo movimento. Prima di aprirsi. E mostrare gli occhi.
Ashburnt spalanca la bocca, grida terrorizzato.
L'intera cupola cosparsa di occhi, fioriti dal nulla. Iridi rosse, pupille circolari, sclere biancastre, solcate da venuzze sanguigne. Un coro di voci spezzate, monotone, prive di inflessione.
“... altezza un metro e settantanove...”
“... gruppo sanguigno A negativo...”
“... ha subito un trauma alla clavicola...”
“... ha una cicatrice tra il naso e la palpebra inferiore sinistra...”
“... lingua biforcuta... succube riconvertita...”
“... attività zero... nessun respiro... nessun battito...”
Ashburnt osserva allibito, incapace di distogliere lo sguardo. Ramante incrocia le braccia, gli si avvicina con calma.
“Siete completamente nudi, di fronte a me. So tutto del vostro corpo, delle vostre abilità, dei vostri attacchi. Solo la vostra mente mi è preclusa...”
L'indice sollevato, lo scintillio della lama.
“... almeno per il momento.”
Ramante passa in rassegna gli avversari pietrificati, cogli l'orrore nei volti attoniti. Eden apre la bocca, tenta di attirare l'attenzione.
“Padre Cross! R... riesce a sentirmi?!”
Ledger sposta a fatica l'occhio, inquadra i suoi compagni di viaggio.
“Eden! Mikael! S... state bene?”
Ramante raggiunge il centro, equidistante dai quattro. Un gesto di scherno, in direzione di Mikael.
“Oh, che coro soave. Perché non ti unisci anche tu, angioletto?”
Le iridi spente, i muscoli rigidi. Nessun accenno di reazione. Uno spintone sulla spalla, il corpo perde l'equilibrio, si schianta a terra senza cambiare espressione. Ramante calcia nel fianco, una, due volte, aspetta qualche secondo.
“Niente. Forse ha le batterie scariche?”
Ashburnt trova la forza per gridare, per ruotare il collo verso il demone.
“Mikael!”
Ramante sbuffa, i palmi rivolti al cielo.
“Perché ha così tanto a cuore questo pupazzo, padre? È un angelo! Solo uno stupido angelo! Qui non può attivarsi, come non potrebbe farlo un demone...”
La mano artigliata accarezza il viso di Eden, le fessure di pece puntate sulle iridi rosa.
“... ed è per questo che sei così interessante, per me.”
“Non mi toccare!”
Un calcio improvviso nello stomaco, l'immobilità rotta. Ramante crolla a terra, atterra sulla schiena, si appoggia ai gomiti.
“Uuuuh...”
Eden nuovamente paralizzata, la gamba sollevata l'equilibrio precario. Ramante torna in piedi, scuote il capo con un misto di disappunto e sorpresa.
“Un esemplare niente male.”
Le unghie si estendono, uno, due, tre metri di metallo scintillante. L'indice destro trafigge padre Ashburnt al petto, il sinistro colpisce Ledger, l'anulare raggiunge Eden.
Un fiume bluastro emerge dai corpi, bagliori intermittenti nel flusso di informazioni. Il fluido si converte in immagini distorte, gli occhi si spengono sulla volta oscura, sostituiti da una serie di fotogrammi in slow motion, la voce fuori campo come in una registrazione riuscita male. Una prima scena prende vita, Ashburnt in ginocchio tra le rovine di una chiesa, il viso ricoperto di sangue.
“M... Magdalen! Dove sei, Magdalen?!”
“Dove devo essere, Thorn.”
Una ragazza slanciata, i lunghi capelli celesti, iridi rosse come il fuoco. Un abito nuziale stracciato, la pelle esposta, i piedi scalzi, le braccia strette attorno ad una figura scura. La sagoma emerge dalle tenebre, indistinta. Un paio di ali membranose spiegate. Ashburnt si rialza in piedi, il gomito destro trattenuto con la mano sinistra, il polso scomposto per la frattura.
“Magdalen! C... cosa significa?!”
Un luccichio glaciale nello sguardo della giovane, puro godimento misto a sadismo.
“Che ho fatto la mia scelta.”
La figura solleva Magdalen, sbatte le ali, sfonda il tetto dell'edificio. I muri crollano, le colonne si sfasciano. Ashburnt corre fin sotto la spaccatura, alza lo sguardo al cielo, svuota i polmoni.
“Magdaleeeeeeeen!!!”
Un flash, interferenza, l'immagine si dissipa, scompare del tutto. Un nuovo sfondo, una nuova scena. Il palazzo di Qambura, un palco di fronte all'ingresso, gli applausi della folla. Un uomo al centro, poco più che maggiorenne, vestito dei paramenti sacri. Il sorriso stampato sul volto, la determinazione negli occhi.
“Da oggi, inizia una nuova era per Qambura! Il gran sacerdote Agni si è piegato al Maligno, ha stretto accordi con quella bestia immonda... ma con me cambierà tutto!”
Un cenno elegante della mano destra, la tenda alle sue spalle aperta all'improvviso. Una guarnigione di guardie supersoniche, lucidate per l'occasione, nuove di pacca.
“È il momento di riprenderci il nostro mondo!”
Un coro di assensi, un bambino in prima fila alza entrambe le braccia al cielo.
“Sìììì! Forza, gran sacerdote Ilias! Sconfiggi il diavolo!”
Ilias si inginocchia, fa cenno al bimbo di avvicinarsi.
“Come ti chiami, piccolo?”
“Ledger! Ledger Mihowck!”
“Sei contento, eh?”
Il bimbo annuisce più volte, unisce le mani, saltella sul posto.
“Quei robot sembrano fortissimi, gran sacerdote!”
Ilias accarezza i capelli castani, dà un buffetto sulla guancia.
“Lo sono, lo sono. Grazie a loro...”
Una sirena di allarme, luci rosse lampeggianti, il silenzio cala sulla platea. Ilias solleva lo sguardo, la voce tuona, sovrasta il caos.
“Cosa sta succedendo?”
Le pupille si restringono, la bocca paralizzata dall'orrore. E il dito puntato verso un immenso, colossale stormo di schelaironi.
Interferenze, l'immagine svanisce di nuovo, lo schermo si spegne. Una nuova voce, una nuova sequenza. Figure indistinte, prive di volto, di lineamenti riconoscibili.
“Vattene!”
“Cosa vuoi da noi, mostro?”
“Che schifo!”
“Hai visto? Ha la lingua come i serpenti?”
“... hai detto che mangia vestiti?”
“Vuoi che ti paghi la cena? Allora sai cosa fare!”
“Ti comporti come una bambina stupida!”
“Lascia questa città, subito!”
“Hai freddo?”
L'immagine diventa meno sfocata, Eden in ginocchio, coperta solamente da un mantello strappato. Due uomini di fronte a lei, seminascosti dall'ombra, il vagone di un treno. Completamente bruciato.
“Io...”
Cambio di scena, la stanza di un albergo, uno dei due uomini di prima.
“Non mi interessa cosa sei. Solo quello che fai.”
Altro albergo, altra persona. Una ragazza minuta, il corpo nascosto da coperte pesanti.
“Non so perché... ma sento di potermi fidare di te...”
Le sabbie del canyon, un mostro d'ossidiana ridotto in frantumi. Un corpo al centro del cratere, l'unione delle labbra. Un'esplosione di luce, la volta prende fuoco, i fotogrammi svaniscono immediatamente. Ramante richiama le unghie, libera i corpi dal suo controllo.
“Basta così!”
Le tenebre dissipate, il panorama cittadino riemerge dall'incubo. Ashburnt crolla a perso morto, Ledger ed Eden cadono a poca distanza. Mikael si rianima, punta le mani sull'asfalto, tenta di rialzarsi.
“C... cosa è successo?”
Ramante si avvicina di scatto, un calcio nei reni, il corpo scagliato contro un palazzo. La nuca rimbalza contro il cemento armato, Mikael scivola sulla parete come una bambola di pezza.
“Torna a dormire.”
Esakiuro si alza sulle zampe, le chele ticchettano, i quattro occhi puntati su Ramante.
“Ben fatto, capo! Tre umani vivi! Questo significa almeno tre anime!”
“Due umani. Una era una succube. Quindi, un'anima in meno.”
Esakiuro stringe gli occhi, sincero dispiacere sul viso mostruoso.
“Oooh. Peccato...”
“Va bene lo stesso.”
Un ticchettio continuo, le zampe sbattute una sull'altra.
“Dai, dai! Cosa aspetti ad ucciderli?”
Un corvo appollaiato sul lampione vicino, il gracchiare orribile del volatile. Ramante lo ignora, cammina lentamente tra i corpi.
“Ho in mente qualcosa di meglio: saranno il formaggio che stanerà il topo. Imbozzolali tutti tranne l'angelo.”
“Perché l'angelo no e la succube sì?”
“Tu fallo e basta!”
Esakiuro annuisce con lo sguardo, evita ulteriori domande. Un filo biancastro sputato dalla bocca, i tre corpi avvolti dalla tela, completamente incollati. Ramante afferra i gusci per un capo, li trascina con sé, li carica sul guscio, vicino al trono.
“Possiamo andare.”
Esakiuro abbandona la via, il carapace striscia sull'asfalto. Il corvo abbandona il suo trespolo, si libra in aria, raggiunge il tetto del grattacielo più alto. Un braccio ad attenderlo, la mano aperta. Un ragazzo chino sull'animale. L'indice si sposta tra le piume, preme un interruttore. Il corvo si blocca, il petto aperto di scatto, un piccolo schermo riproduce le immagini registrate.
“Bene, bene...”
Un sorriso a trentadue denti.
“Questa volta non puoi sfuggirmi, Ramante. Ti pentirai di avermi lasciato indietro...”
5.
Silenzio a Limularia (IV)
“Che belle piume...”
Un ragazzo in ginocchio, accanto all'angelo svenuto. La mano scivola tra le ali immobili, accarezza la superficie con delicatezza.
“Sono così soffici! Che marionette bellissime potrei costruire...”
Un sussulto della schiena. Un altro. Il corpo ruota lentamente sul fianco, i gomiti a contatto con l'asfalto, le unghie a graffiare la strada. Mikael apre le palpebre poco alla volta, contrae le labbra, riprende conoscenza.
“Uuuuuuh...”
Il ragazzo si siede accanto a lei, incrocia le gambe, segue con interesse ogni movimento. Un paio di orecchini scintillano alla luce del tramonto, perle decorate con inserti d'oro massiccio.
“Oh, allora hai ancora un po' di carica! Meglio così, non riuscivo a trovare il tuo vano batterie. E dire che l'ho cercato ovunque...”
“I... il mio... cosa?!”
Mikael sobbalza di scatto, cade sulla schiena, si rialza, cade di nuovo a terra. L'aureola si riaccende, il volto paonazzo, le mani esaminano ogni centimetro quadrato del corpo, controllano che sia tutto in ordine. Un urlo isterico, il colletto della felpa tirato in avanti, gli occhi a sbirciare inquisitivi all'interno.
“D... dov'è il mio reggiseno?!”
Il giovane inarca un sopracciglio, alza il braccio destro, solleva un reggiseno bianco.
“Questo, dici? Credevo servisse per proteggere l'accesso al motore principale. Anche perché, con la tua... ehm... mancanza di spessore, non ne vedo altro utilizzo...”
Uno schiaffo a mano aperta, la testa ruota come una trottola, il corpo segue a poca distanza. Mikael afferra l'indumento, lo stringe a sé. Lampi fiammanti nelle iridi dorate, un incendio inestinguibile.
“S... schifoso pervertito!”
Il giovane si massaggia la guancia, si alza malamente in piedi.
“Uuuuh... ma perché le costruiscono così violente, al giorno d'oggi?”
Mikael lo osserva per un istante, ne memorizza l'aspetto. Alto, magro, vent'anni al massimo. Capelli blu elettrico disordinati, una coda a lato dell'orecchio destro, lunga fino alla scapola. Naso affilato, iridi indaco, nessuna traccia di barba. Felpa nera con cordini verde fluorescente, cinghie attorno alle maniche, pantaloni hakama striati, rossi e blu, stivali scuri. Un anello a cingere ogni dito. Mikael digrigna i denti, contrae gli addominali, gesticola come un'ossessa.
“C... costruita?! Io sono un angelo del Signore! E tu hai cercato di...”
“U... un angelo?”
Il ragazzo porta la mano sulla sua stessa fronte, trattiene a stento una risata.
“Ah, ah, ah! Ti hanno programmata proprio bene! Dico, chissà quanti soldi hanno speso per...”
Mikael lascia cadere il reggiseno, si alza in piedi, divarica le gambe, solleva le mani al cielo.
“Aaaaaaaaah! Io ti evoco, lama divina! Vieni a me, Balmung!!!”
Un vortice di fuoco scatenato all'improvviso, torrenti di scintille, il metallo vermiglio emerge dal nulla. Il giovane stringe le palpebre, si irrigidisce per un istante, mentre Mikael troneggia su di lui, l'espressione omicida sul volto.
“Balmung ammazzadraghi, io invoco il tuo potere! Infinity...”
“Scusa.”
Mikael frena l'impeto, la lama ferma a due centimetri dal cranio, lo sguardo ricolmo di sorpresa. Il giovane salta in piedi, per nulla impressionato.
“Evidentemente, mi sono sbagliato. Cosa ne dici se ricominciamo da capo?”
Un elegante riverenza, gli occhi fissi sull'arma.
“Io sono Vrai, Vrai Laroche. Artista di strada, burattinaio, ventriloquo...”
Un sorriso sprezzante, i denti perfettamente allineati.
“... e, probabilmente, l'unico essere umano rimasto a Limularia.”
Mikael richiama la spada, preme i pugni contro i fianchi. Un pizzico di civetteria, vanità resa palese dal tono di voce.
“Mi chiamo Mikael, sono l'arcangelo che ha sconfitto il Maligno durante la Guerra nei Cieli. Stavo viaggiando assieme ai miei...”
Gli occhi sgranati, la realizzazione improvvisa. Lo sguardo vaga a destra, a sinistra, alla ricerca disperata di un profilo famigliare.
“E... ehi! Dove sono padre Ashburnt e gli altri?”
Vrai scrolla le spalle, chiude le palpebre, unisce le mani dietro la schiena.
“Ramante li ha portati via sul suo taxi privato.”
“C... come?”
Un fischio intonato, senza sollevare il viso. Un gracchiare tetro in risposta. Un corvo plana da un lampione vicino, si posa tranquillamente sulla sua spalla. Gli occhi rossi inquadrano Mikael, ne seguono ogni movimento. Mikael ricambia lo sguardo inquisitivo, osserva l'animale in silenzio.
“Craaaa!!! Cos'hai da guardare?”
Un sussulto improvviso, la ragazza arretra di qualche centimetro.
“U... un corvo parlante?”
La bocca di Vrai si piega leggermente, un principio di soddisfazione.
“Craaaa!!! Ma cosa dici? Sono finto, finto! È lui che...”
Vrai dischiude le labbra, termina la frase.
“... sta parlando. Oh, scusa, non volevo spaventarti. Te lo avevo detto che sono anche un ventriloquo, no?”
“S... sei inquietante.”
“Lo prendo come un complimento. Però, fai bene ad essere un po' spaventata: troppa tranquillità nuoce alla prontezza.”
Vrai posa la mano sull'animale, stringe le dita attorno al corpicino immobile, lo porta di fronte al petto, accarezza dolcemente il becco artificiale.
“A proposito, angelo, lo sai che parli nel sonno? Mentre ispezionavo il tuo corpo, continuavi a ripetere disperatamente un nome. Non l'ho capito bene, ma mi sembrava che iniziasse con la...”
“Fatti gli affari tuoi.”
“Uh? Va bene, come preferisci.”
Gli indici ispezionano il piumaggio, premono un interruttore nascosto. Il corvo meccanico si apre di scatto, un piccolo schermo emerge dal ventre. L'immagine si stabilizza, mostra la strada principale. Bozzoli bianchi appesi agli alberi, scie di distruzione e solitudine. Il guscio di Esakiuro svetta come una montagna, Ramante seduto comodamente sul trono. Tre figure legate saldamente ai fianchi, le sagome inequivocabili di due uomini e una donna. Mikael stringe i denti, scuote il capo in preda allo sconforto, le mani premute sulle tempie.
“P... padre Ashburnt...”
Vrai socchiude le palpebre, scrolla le spalle con noncuranza.
“Ehi, guarda che non sono morti! Non ancora, almeno.”
Un tocco sul display, l'immagine ingrandita, il casco del demone in primo piano. Vrai picchietta sullo schermo, indica le fessure aperte sul metallo lucido.
“Invece di finirli, li ha impacchettati per bene per caricarli sul suo ragno ipertrofico. Sono quasi sicuro che voglia portare a termine qualche esperimento su di loro.”
“E... esperimento? Che genere di esperimento?”
Vrai si massaggia i capelli, alza gli occhi al cielo.
“Credo che... uh, c'entri qualcosa con l'estrazione dell'anima, ma...”
“Estrazione di cosa?!”
“Piano, è solo un'ipotesi. Vedi, fino a circa una settimana fa, Limularia era una città tranquilla, normale. Poi, all'improvviso, la gente ha cominciato a scomparire. In una notte, sono svanite circa ventimila persone. Gli altri abitanti sono scappati la mattina successiva. E, poco dopo, è comparso Ramante, a cavallo del suo mostro personale, intento ad appendere bozzoli ovunque. Da quel momento, ho iniziato ad aprire i gusci di nascosto, sperando di trovarci dentro un essere umano ancora vivo. Invece...”
Un secondo per riprendere fiato, raccogliere le idee.
“... be', non so come spiegarlo, ma anche se erano apparentemente vuoti... sono quasi sicuro che ci fosse qualcosa dentro. Qualcosa di invisibile... e, in qualche modo, vivo. Ogni volta che strappavo i fili, avevo la sensazione di scorgere un profilo di una persona, anche se solo per un attimo.”
Mikael spalanca la bocca, i muscoli irrigiditi.
“Anime?!”
Vrai annuisce senza cambiare espressione, gli occhi indaco immobili, fissi sul volto esterrefatto dell'angelo.
“Sì. Credo che Ramante abbia ucciso gli abitanti di Limularia per impossessarsi delle loro anime. E che voglia fare lo stesso con i tuoi amici.”
Mikael incrocia le braccia, sconfigge l'agitazione, un respiro, un altro respiro. Le ali completamente spiegate, le piume candide opposte ai raggi del Sole. Le iridi si infiammano, sfavillano di luce propria, l'aureola divampa.
“Il Signore ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, per poi fargli dono dell'anima! A lui e a lui solo! Nessun demone può pensare di appropriarsene così impunemente!”
Balmung compare nella mano destra, l'impugnatura avvolta dalle fiamme.
“Io non posso permetterlo! In qualità di arcangelo al servizio di Dio, troverò Ramante e lo fermerò prima che commetta un atto così empio!”
Vrai inarca il sopracciglio, preme il tasto sulla schiena del corvo. Il meccanismo si ricompatta, le parti meccaniche si richiudono all'interno del piumaggio nero. Uno scatto deciso della mano libera, Mikael afferra il colletto della felpa nera, trascina Vrai fino a pochi centimetri dal suo volto.
“Tu sai dove li sta portando, vero?”
“Sì, credo di saperlo.”
Mikael sogghigna, lo fissa negli occhi.
“Bene! Per farti perdonare della tua mancanza di rispetto... dovrai portarmi là! E in fretta, capito?”
“Altrimenti?”
Balmung appoggiata sul collo del ragazzo, la lama premuta contro il pomo d'Adamo, un sorrisetto malevolo sul viso di Mikael.
“Altrimenti, potrei accidentalmente reciderti la carotide.”
Un sospiro rassegnato in risposta.
“Okay, suppongo di non avere alternative, ma...”
“Ma?”
Mikael lascia la presa, Vrai la osserva con fare enigmatico, il corvo appollaiato sulla spalla.
“... non è meglio che indossi di nuovo il reggiseno, prima? Viaggiare senza potrebbe essere scomodo, anche se non c'è così tanto da reggere...”
Il volto di Mikael arrossisce brutalmente, la tentazione di tagliargli la testa. L'indumento raccolto con fare seccato, la schiena rivolta al ragazzo. Mikael solleva i lembi della felpa, mastica le parole, le sputa fuori con odio.
“Voltati dall'altra parte. Ora.”
Vrai si siede su un muretto poco distante, solleva i palmi al cielo, un tocco leggero all'orecchino di perla, il tintinnio diffuso nell'aria.
“Okay, okay. Non ti scaldare. Fai pure con calma.”
Un'occhiataccia nascosta dalle piume, fulmini scagliati dalle iridi.
“Se provi a sbirciare, sei morto.”
Vrai incrocia le braccia, chiude gli occhi. Un sorriso silenzioso si apre sul suo volto, un sorriso indecifrabile.
“... come se per me facesse differenza...”
6.
Silenzio a Limularia (V)
“Ah, ah! Da non credere! È fantastico!”
Ramante sfiora i capelli biondi di Eden, cammina attorno al lettino.
“Se penso che ero in centro città per un motivo completamente diverso! Quando si dice il caso!”
Una stanza piccola, cinque metri per cinque. Larghi finestroni trasparenti, il flebile chiarore lunare attraverso il vetro incrinato. Una branda al centro, Eden distesa sotto un lenzuolo, Ashburnt e Ledger legati alla parete, tutti gli arti bloccati. Palpebre chiuse, corpi privi di coscienza o volontà. Ramante si accomoda su una sedia, il manto organico pulsante appoggiato sullo schienale. Il soliloquio continuo, parole dirette alla ragazza addormentata.
“Una succube trasformata in essere umano! Un guscio senz'anima riconvertito a contenitore! Sai quanti ne ho visti? Molti, troppi forse! Booth ha il grilletto facile, ogni volta che qualcuno non gli va a genio – BAM! – lo umanizza.”
L'artiglio passa sul lenzuolo biancastro, segue le pieghe del tessuto.
“Ma tu sei diversa, piccola. Tu hai qualcosa che gli altri non hanno. E devo capire com'è possibile.”
Un'occhiata furtiva all'esterno, senza muovere la testa. Ramante incrocia le braccia, attende senza fretta.
“Purtroppo, devo occuparmi di una questione delicata, prima. Non voglio farti attendere, è solo che... non è ancora il momento giusto. Manca l'ospite d'onore.”
Una sagoma scura aldilà del vetro. Un corvo picchietta sulla finestra, gracchia senza tregua, sbatte continuamente le piccole ali. Una scarica scintillante, un raggio rosso squarcia l'aria, attraversa il metallo come burro, fonde i meccanismi del volatile. Lo scheletro ridotto ad un ammasso informe, frammenti grandi come coriandoli. Ramante unisce le mani, un luccichio rossastro tra le fessure dell'elmo.
“Oh. Tempismo perfetto.”
**
Mikael si appiattisce alla parete, una goccia di sudore lungo la fronte.
“Cos'era quel raggio?”
Vrai stringe il pugno, rigurgita insulti.
“Ramante non è solo, a quanto pare.”
L'indice puntato al tetto, una figura scura seminascosta dalla ringhiera. Pelle purpurea, due braccia, ali membranose collegate dalle spalle fino ai polsi. Muso allungato, due occhi gialli ai lati, gambe ripiegate a giunture inverse. Un globo scintillante al centro del petto, bagliori in continuo mutamento. Mikael stringe le labbra, schiocca le dita con disappunto.
“Un arciere. Piuttosto preciso, anche.”
“Se non lo facciamo fuori, sarà impossibile avvicinarsi.”
“Posso occuparmene io.”
Vrai scuote il capo, continua a fissare il demone senza essere visto.
“No, è meglio di no. Tu devi attaccare Ramante con la tua spada sacra. I miei trucchi da avanspettacolo non funzionerebbero su di lui...”
Un sorrisetto malevolo, la mano fruga nella tasca, estrae un mazzo di carte.
“... ma con quella mezza tacca lassù, è tutto un altro discorso.”
“Cosa vuoi fare?”
“Aspetta qui. Al mio segnale, dai il via alle danze.”
“Fermo! Non...”
Vrai scatta in avanti, senza lasciarle il tempo di rispondere. Un salto laterale, il balzo sul segnale stradale, la capovolta in aria. L'arciere nota il nuovo bersaglio, aggiusta la mira. Un raggio scarlatto perfora il cartello di divieto, manca Vrai di alcuni centimetri. La mano del ragazzo agguanta il cornicione, la spinta con entrambe le braccia, il salto carpiato. L'arciere spara di nuovo, disintegra parte di un balcone vicino. Un grido rabbioso, la bocca sauriforme spalancata per l'ira.
“Vuoi stare fermo, piccolo insolente?!”
“Tu che ne dici?”
Vrai atterra di fronte al mostro, ripulisce la felpa, estrae quattro carte dal mazzo. Il demone balza all'indietro, senza perdere il contatto visivo. Le braccia estese, ali da pipistrello spiegate. Il globo pulsante si anima, pompa energia, si ingrandisce a vista d'occhio. Vrai lancia le carte con un gesto elegante, le lascia ricadere di fronte al proprio volto. Il demone si lecca le labbra squamate, estroflette il petto, grida a squarciagola.
“Ventaglio Prismatico!”
Una raffica di raggi rossastri, in direzioni casuali, si piegano ad arco, convergono sul bersaglio. Vrai urla in risposta, il braccio destro taglia in orizzontale, la mano aperta, le dita estese.
“Cartes du Destin! Poker di Spade!”
Le carte si allungano, si deformano, un flash accecante. Quattro lame a doppio taglio compaiono di fronte a Vrai, rimangono sospese in aria senza fili. Impugnature blu senza guardia, disposte a fiore, in rotazione rapida. I raggi si schiantano contro il metallo, rimbalzano, vengono deviati in ogni direzione. Le spade si spezzano per la violenza del colpo, schegge affilate disperse dall'impatto. Vrai incrocia le braccia, protegge il volto. I frammenti tagliano la pelle, ferite aperte sugli zigomi, sulla fronte. Rivoli di sangue lungo le guance, macabre lacrime di dolore.
“Urgh...”
L'arciere sogghigna, allunga il dito in direzione dell'avversario.
“Un po' fragili, no? Dovresti fartele rimborsare, moccioso!”
“Dici?”
Vrai afferra al volo un'elsa, senza sollevare lo sguardo. Un fazzoletto nella mano sinistra, la lama frantumata avvolta nel tessuto bianco. Un movimento rapido, la spada estratta con maestria, completamente integra. Il demone ghigna compiaciuto.
“Uh? E quella da dove l'hai presa?”
Vrai ruota la mano sinistra in aria, un'espressione enigmatica sul viso.
“Puff. Magia.”
“Ah, ah! Magia... come questa?”
L'arciere spalanca nuovamente le braccia, il nucleo pulsa alla massima velocità.
“Ventaglio Prismatico!!!”
I raggi convergono verso Vrai, si uniscono in un unico getto di energia. Vrai balza in aria all'ultimo secondo, evita l'esplosione. Una rapida rotazione del busto, l'arma brandita con destrezza, un taglio in diagonale. Il demone tagliato all'altezza del petto, l'urlo di dolore, le membrane chiuse, a proteggere il nucleo, sofferenza negli occhi, la concentrazione rotta.
“Gaaaaaak! Fa maleeeee!!!”
Vrai si volta verso Mikael, un cenno eloquente del capo.
“Ora!”
Mikael corre a tutta velocità, sfrutta lo smarrimento dell'arciere. Le ali angeliche emergono dalla schiena, si arrotolano attorno al corpo. Il capo chinato, celato dalle piume, lo schianto contro la vetrata. Ramante lascia la sedia, arretra rapidamente, sfodera gli artigli. Una pioggia di vetro bagna il pavimento, tintinna sulle piastrelle di pietra nera. Mikael atterra con maestria, Balmung impugnata con entrambe le mani, le iridi dorate brillano di luce propria. La falce di Luna alle spalle, le ali spiegate, l'aureola sfavillante.
“Demone...”
Un cerchio di fiamme tracciato in aria, il metallo vermiglio circondato da nubi di vapore.
“... per le tue azioni improbe, tra cui estirpazione di anime, eccidio, sequestro di persona e possesso di aracnidi di grossa taglia senza opportuna licenza...”
Colonne di fuoco emerse dal pavimento, la spada portata di fronte al volto.
“... ti punirò, in nome del Signore!”
Ramante rimane sospeso tra ammirazione e terrore, il ritorno alla lucidità in un paio di secondi.
“Ma guarda... il pupazzo si crede un dio, ora. Peccato, e dire che mi stavi quasi simpatica.”
“Non. Chiamarmi. Pupazzo!”
Un movimento rapido del polso, l'aura di Balmung si estende a dismisura. Uno squarcio nella parete opposta, il calore fonde l'intonaco, brucia i mattoni. Ramante scatta verso il lettino, strattona Eden con forza, si fa scudo col corpo della ragazza.
“Tu non vuoi che le succeda qualcosa, vero?”
“Eden...”
“Esatto. E lì ci sono gli altri due. Come vedi, ho degli ostaggi. Non ti conviene provare a...”
“Yaaaaaaah!”
Mikael fa sparire Balmung, prende la rincorsa, libera un calcio supersonico. Ramante lascia cadere Eden, alza il braccio sinistro, intercetta l'attacco, subisce il contraccolpo. Il metallo del bracciale incrinato, vasi sanguigni spappolati, un urlo di dolore strozzato. Mikael si porta alle sue spalle, vibra un secondo calcio rotante. Ramante si abbassa senza voltarsi, ruota la gamba a terra, colpisce Mikael alla caviglia. L'equilibrio perduto, il tentativo di stabilizzare la posizione, di appoggiare la mano sulle piastrelle. Ramante non gliene dà il tempo, afferra il polso, sfrutta il momento, lancia Mikael contro la parete. Una mezza capriola in aria, Mikael punta i piedi contro il muro, si dà nuovamente la spinta, Balmung richiamata dalle fiamme. Ramante si sposta ancora prima che il fendente abbia inizio, il viso puntato verso una direzione casuale.
“Stai solo sprecando energie.”
Un'artigliata con entrambe le mani, Mikael colpita all'addome, la felpa strappata, una x sanguinante poco sopra l'ombelico.
“Aaaaah!”
Ramante avvolge il braccio ferito nel mantello organico, rigenera lentamente le cellule.
“Mikael, l'arcangelo che ha sconfitto il Maligno. Ho sentito parlare molto di te. Si dice che nessun demone possa sconfiggerti, che non vi sia creatura esistente al tuo livello. Un essere invincibile.”
Una risata macabra, il rimbombo nel casco.
“Fino ad oggi, almeno.”
Un grido dall'esterno, un misto di voci umane e demoniache. Ramante solleva leggermente il volto, senza osservare in nessuna direzione particolare.
“Ma guarda... sembra che anche il mio arciere si stia divertendo parecchio.”
Mikael sfrutta la distrazione, carica il nemico. Le braccia circondano il corpo del demone, la spinta verso la finestra.
“E... ehi! Cosa...”
Un pugno improvviso nello stomaco, Ramante scagliato attraverso i vetri spezzati, si schianta sul terreno ruvido. Mikael atterra poco distante, ritorna in piedi, Balmung stretta saldamente tra le mani. Una rapida occhiata al tetto, al combattimento tra Vrai e l'arciere. Poi, l'attenzione torna su Ramante.
“Hai detto bene. Fino ad oggi.”
Le iridi sfavillano nel buio, le ali spiegate.
“Perché per te non ci sarà alcun domani.”
L'aura divampa, avvolge completamente il corpo di Mikael, brucia fino a i limiti estremi. E Balmung si incendia, trasformando la notte in giorno.
7.
Silenzio a Limularia (VI)
Vrai respira profondamente, le spade ruotano attorno al corpo, deflettono gli attacchi del demone. Le iridi opache, velate dalla stanchezza, i riflessi rallentati.
“I suoi colpi sono troppo potenti...”
L'arciere si solleva in volo, uno stridio acuto, il globo pulsante rigato dalle perdite ematiche.
“Assolo Prismatico!”
Un raggio letale emesso dal nucleo, il tetto bucato come se fosse di burro. Vrai balza all'indietro appena in tempo, una capriola, le mani puntate sul cemento malfermo. Polvere bianca, farinosa, tutto attorno, l'arciere sorvola senza tregua. Vrai stringe le palpebre, estrae nuovamente il mazzo di carte. Un rapido controllo alle possibilità rimaste, un joker stretto tra l'indice e il medio.
“Umpf. Proprio io devo affidarmi alla sorte?”
Un moto di disgusto, la carta gettata di nuovo nel mazzo, altre cinque pescate con rapidità. Il demone scende in picchiata, l'artiglio di fronte al volto, la bocca mostruosa spalancata. Vrai lancia quattro carte verso il nemico, urla a squarciagola.
“Cartes du Destin! Doppia Coppia!”
Le carte si raggruppano a due a due, si trasformano in spade lucenti, ruotano come dischi a velocità folle, dirette alle spalle del demone. L'arciere avverte il pericolo, si scansa all'ultimo secondo, un'ascesa fulminea verso il cielo. Vrai balza in aria, la quinta carta stretta tra le dita, il faccia a faccia col mostro.
“E... eh?”
“Sorpresa!”
Uno scatto del gomito, la carta scagliata in bocca all'arciere, fino ad incastrarsi in gola. Il demone tossisce, porta le mani al collo, perde l'assetto. Vrai sorride per un istante, atterra con eleganza, solleva entrambe le mani. Le spade tornano indietro come boomerang, si ritrasformano in carte, imprigionate tra le dita. Il demone si lamenta, sputa, tenta di liberare le vie respiratorie.
“Aaahk! Gaaahk! Coff!”
“Cartes du Destin...”
La consapevolezza tutta d'un tratto, il terrore puro negli occhi senza pupilla.
“N... no! Non fa...”
“... Asso di Spade!”
Schizzi verdastri, il collo squarciato di netto, una fontana di sangue. La spada emerge dalle carni del mostro, taglia la gola, interrompe l'urlo stridulo sul nascere. L'arciere traballa, incespica fino al cornicione. Prima di cadere nel vuoto, già morto.
Vrai raccoglie la testa del mostro, la fissa per un paio di secondi, stringe il collo mozzato con la mano sinistra.
“Mi dispiace, amico. Non era la tua giornata fortunata.”
Una voce contraffatta, a labbra chiuse, le mandibole del demone mosse con le dita.
“Oh, non fa niente, Vrai! Mi sono divertito lo stesso! Quando giochiamo di nuovo?”
Una carezza leggera sulle squame.
“Pazienza amico, pazienza. I mocciosi sono un po' troppo agitati...”
Un bagliore scarlatto attira la sua attenzione, lo riporta alla realtà.
“... ma anche la bimba non scherza.”
Ramante alza gli artigli, il mantello copre quasi completamente il corpo, l'elmo inclinato in avanti. Mikael impugna Balmung con entrambe le mani, la punta al volto del nemico.
“Senza ostaggi, non sei poi così coraggioso.”
La punta della lama genera un infinito, l'aria incendiata al passaggio del metallo.
“Balmung ammazzadraghi, io invoco il tuo potere...”
Un fendente brutale, un oceano di fiamme esplode con fragore divino
“... Infinity Slaaash!”
Ramante chiude le ali organiche, tenta di resistere all'impatto. La pelle prende fuoco, macchie nerastre su tutta la superficie, squarci, vene cauterizzate, metallo fuso.
“Ggggaaaak...”
Il tessuto incomincia a rigenerarsi, il dolore dominato, il casco illeso. Mikael punta Balmung a terra, lascia fluire tutta l'energia all'interno della lama. La rigenerazione prosegue, il mantello si ricrea, copre nuovamente il corpo del demone.
“O... okay. Ora ragioniamo...”
La nuova pelle penetra nel terreno, riemerge sotto forma di spine. Una barriera in movimento, in direzione di Mikael. La concentrazione rotta, il balzo atletico per superare il muro, l'atterraggio a pochi centimetri dal nemico.
“Yaaaaah!”
Una scarica di fendenti ad alta velocità, orizzontali, verticali, diagonali. Ramante si abbassa, scarta di lato, evita ogni attacco senza prestare attenzione, prepara il contrattacco. Gli artigli chiusi a pugno, un colpo diretto all'addome. Mikael perde il fiato, si piega su se stessa, interrompe l'assalto. Ramante respira profondamente, ansima, la mano stretta sul petto.
“T... tutto qui?”
Una voce dal piano superiore, il tono roboante.
“Ovviamente no!”
Vrai scende dal tetto con un salto mortale, l'intero mazzo sparso in aria, ad eccezione dei joker. Le carte cadono come piume al vento per qualche metro, rallentano, si bloccano a mezz'aria, completamente immobili. Ramante scuote il capo, le parole muoiono in gola.
“Cosa...”
“Cartes du Destin...”
Vrai guadagna il terreno, una capriola sull'asfalto, il ritorno alla posizione eretta.
“... Mischiata Vincente!”
Le carte si trasformano in spade, cinquantadue lame sospese in aria, puntate sul demone. Mikael arretra rapidamente, si porta fuori dall'area del bersaglio. Ramante rimane immobile, osserva senza dire una parola. Le spade si staccano dalla cupola immaginaria, calano sul bersaglio senza un ordine preciso, a coppie, da sole, a gruppi di tre. Ramante solleva il braccio destro, immerge il mantello, un muro di spine generato ai suoi piedi.
“Vincente?”
Le cuspidi intercettano le spade, le deflettono, le spezzano. Artigliate cieche, le lame fermate a qualche centimetro dal viso, poco prima dell'impatto. Quattro spade calano alle sue spalle, una rapida rotazione del mantello, i colpi bloccati senza fatica, senza spostare la testa. Otto spade scendono nello stesso istante, da ogni direzione. Le spine si concentrano attorno al suo corpo, si lasciano infilzare pur di proteggerlo. Le ultime due spade cadono in verticale, rimbalzano sul terreno, mirano alla gola. Ramante si abbassa senza preavviso, le lame cozzano tra loro, si distruggono a vicenda.
“No, questo era solamente un bluff. Mal eseguito, tra l'altro.”
Mikael scuote il capo, la sorpresa palpabile sul viso.
“C... come ha fatto ad evitarle tutte?”
Vrai stringe il pugno, digrigna i denti.
“Non lo so! Non ha distolto lo sguardo da me neppure per un momento, eppure...”
La saliva deglutita, tensione evidente.
“... è come se potesse vedere in ogni direzione contemporaneamente! ”
Un grido collerico, il rimbombo dell'elmo metallico, l'indice puntato verso Vrai.
“Oh! Guarda, guarda! Il mio teatrino ha avuto qualche risultato, alla fine! Eccoci finalmente faccia a faccia, mostro!”
Mikael inarca il sopracciglio, osserva senza comprendere. Vrai abbozza un sorriso, risponde per le rime.
“Non dovrei essere io a dirlo?”
“Demone e mostro non sono sinonimi. Non sempre, almeno.”
Vrai stringe le dita attorno alla scatola vuota del mazzo, la copre con un fazzoletto.
“Perché non la smetti con questo sproloquio?”
“Perché è esattamente quello a cui puntavo. Un confronto diretto con te, l'ultimo umano rimasto in città, la creatura immonda che straccia i bozzoli di Esakiuro!”
Mikael si intromette, grida contro Ramante.
“Bozzoli in cui hai intrappolato delle persone innocenti! Ventimila vittime! E tutto per...”
“Stai zitta, oca! Tu non sai niente!”
Ramante immerge il mantello, allarga le braccia, snuda gli artigli.
“Forse, sono ancora in tempo per salvarne qualcuno. Forse, non sono ancora scomparsi del tutto... ma ogni mio sforzo sarà vano...”
Le spine spaccano l'asfalto, puntano al cuore di Vrai.
“... finché tu sarai in vita!”
Il ragazzo non ha tempo di reagire, si protegge con le braccia, gli occhi chiusi per la paura. Un clangore metallico, un fuoco divampato dal nulla. Vrai riapre le palpebre. E trova Mikael in posizione di guardia, tra lui e il nemico.
Ramante alza lo sguardo al cielo, irrigidisce tutti i muscoli.
“Aaaaaaah! Stupida! Che cosa stai facendo?! Non metterti in mezzo a cose che non puoi capire!”
“Cose che non posso capire?! Io sono un angelo! Non c'è nulla che...”
“Silenzio!”
Una barriera di spine diretta verso Mikael, Balmung taglia con precisione, gli aculei ridotti ad un mucchio di cenere scura. Ramante solleva la mano destra, l'indice sull'angelo.
“Perché pensi che abbia rapito i tuoi compagni?! Io e Esakiuro abbiamo lavorato per tre giorni interi, senza dormire o mangiare, per preparare quei gusci! Tre giorni! E li abbiamo trovati aperti, rotti, strappati, la mattina successiva! Non poteva essere un caso, non era un fenomeno naturale! Doveva essere opera di qualcuno, qualcuno che non era fuggito come gli altri, qualcuno che non riuscivo a trovare! Stavo per rinunciare... ma ecco la sorpresa! Voi quattro!”
Un gesto plateale del braccio sinistro, in direzione del palazzo alle sue spalle.
“Quegli umani erano un'esca perfetta! Anime vive, ancora fresche! Quale miglior incentivo a muoversi in fretta?”
Vrai sogghigna, rimuove il fazzoletto con indifferenza, nasconde le carte rigenerate.
“Ci sono cascato in pieno. Complimenti.”
Mikael scrolla la testa, fissa il demone di sottecchi.
“P... perché non hai portato via anche me, allora?”
“Cosa me ne faccio di un pupazzo?”
Mikael perde il controllo, l'aura esplode, strali dorati attorno all'aureola, la Luna, le stelle oscurate dall'esplosione sacra, la spada puntata al cielo.
“Ti avevo avvertito!”
Vrai approfitta del momento, riorganizza rapidamente il mazzo senza essere visto. Mikael non lo nota, continua a fissare Ramante con uno sguardo carico di risentimento.
“Balmung ammazzadraghi, io invoco il tuo potere...”
“A... aspetta!”
Ramante richiama il mantello, inizia ad immergerlo, la mente concentrata solamente sull'angelo. Vrai compare alle spalle di Mikael, estrae sei carte, le lancia verso gli strascichi organici. La trasformazione in spade, le lame trafiggono i germogli di spina, bloccano i movimenti del demone.
“E... eh?! Da dove hai preso quelle...”
“... Infinity Slaaaaaash!”
Un'esplosione fragorosa, una colonna di fumo alta nel cielo, fino ad oscurare la Luna. Esakiuro la scorge dal centro città, strabuzza gli occhi, si ferma, dimentica la sua missione.
“C... capo?!
Le chele ticchettano, le zampe trafiggono l'asfalto alla massima velocità.
“... Capooooo!!!”
Una corsa sfrenata verso il laboratorio.
Sperando che non sia già troppo tardi.
8.
Silenzio a Limularia (VII)
La nube di fumo si dissipa con estrema lentezza. Mikael tiene la spada abbassata, respira a fatica. Vrai porta un fazzoletto alla bocca, tossisce più volte.
“Andato?”
Mikael socchiude le palpebre, osserva il metallo vermiglio della lama.
“C'è solo un modo per saperlo.”
Un passo, un altro passo. Mikael cammina attraverso la foschia sulfurea, tenta di individuare il corpo del nemico. Un rantolo a pochi metri di distanza, un urlo di dolore ricacciato in gola.
“U... ugh... gasp... ach...”
Un corpo carbonizzato, gli arti ridotti a poco più che un mucchio di ossa bruciate, il mantello divorato dalle fiamme. Il casco deformato, le fessure ostruite dal metallo fuso. Mikael stringe l'impugnatura, ruota l'arma, la solleva sopra la testa del demone.
“È il momento del colpo di grazia.”
“N... no...”
Ramante muove faticosamente il braccio destro, tenta di alzare la mano.
“È buio... n... non ci vedo... non ci vedo più! A... aiuto!”
“Non provo pietà per i demoni.”
Ramante continua imperterrito, la voce ridotta ad un lamento supplichevole.
“E... Esakiuro... dove sei? Esakiuro...”
“Non è qui. Non può salvarti.”
Un colpo di tosse, il tono disteso.
“M... meno male. A... almeno lui è al sicuro...”
Mikael si irrigidisce per un istante, spalanca le palpebre, distoglie lo sguardo. Un forte scrollone, i capelli neri sparsi attorno al volto.
“Basta, così rendi tutto più difficile! Non tentare di ingannarmi! Voi non provate sentimenti! Non potete provarne! Altrimenti...”
“... peccato... avrei voluto... mostrarti il mondo, prima o poi... farti uscire dal territorio del Maligno... il mare, Esakiuro... il mare...”
“Aaaaaaah!”
Mikael solleva l'elsa con violenza, chiude gli occhi, si prepara all'esecuzione.
“Capoooo!!!”
Un filo bianco sottile, espulso a velocità incredibile. Balmung cade dalle mani di Mikael, i polsi legati dalla ragnatela. Rombi di tuono ad ogni passo, lo stridore del guscio trascinato, le chele ticchettano, i quattro occhi furiosi. Strisce bianche lungo l'asfalto, tracce di sangue verdastro, la conchiglia consumata per la corsa. Vrai estrae quattro carte, incrocia le braccia davanti al petto.
“Cartes du Destin...”
“No!”
Un altro getto biancastro, il corpo di Vrai avvolto dalla tela appiccicosa.
“Eh?”
Mikael strappa il filo, libera i polsi, riprende la spada. Un balzo in avanti, un fendente diagonale in direzione di Esakiuro. Il demone alza la chela, para il colpo. Scintille, un urlo di dolore, la lama taglia attraverso la corazza, danneggia i centri nervosi.
“Ugh!”
Esakiuro si trascina all'indietro, copre il corpo di Ramante, trattiene le lacrime. Ramante percepisce la presenza, tenta disperatamente di girarsi verso di lui, di scorgerne la forma.
“E... Esakiuro! Esakiuro, sei tu? Non... non ti vedo!”
“Non preoccuparti, capo. Un po' di riposo e passa tutto.”
“Cosa... ci fai qui?! Non... non dovevi tornare! È... è troppo pericoloso...”
“Non potevo abbandonarti così.”
Il mantello organico rifiorisce alla base del collo, i primi tenui germogli di tessuto ricostruiti. Esakiuro controlla la situazione, osserva gli sfidanti. Mikael brandisce la spada con eleganza, lascia che le fiamme si accendano lungo la superficie lucida della lama. Vrai si libera della ragnatela, trattiene due carte per mano.
“Cartes du Destin! Doppia Coppia!”
Le lame ruotano come dischi mortali, feriscono il carapace. Tagli profondi, fluido ematico disperso. Il ritorno a boomerang, le spade colpiscono le zampe, trafiggono il rivestimento corazzato.
“Ghhhh...”
Esakiuro sopporta in silenzio, richiama tutte le forze residue. Il guscio trascinato a fatica, un movimento rapido verso l'angolo della strada, senza perdere il contatto visivo. Le chele trasportano Ramante, lo proteggono dagli assalti, mentre Esakiuro consolida la posizione tra due grattacieli vicini.
“N... non posso trattenerli a lungo. L'angelo mi può bollire in qualsiasi momento.”
Un lungo attimo di pausa, le iridi tremolanti.
“D... devi fuggire, capo. Se muori ora, chi salverà il nostro mondo dalla rovina?”
“Come posso... lasciarti qui? Come posso andarmene... senza vederti?”
Un sospiro trattenuto tra le chele, le zampe di ragno fissate al suolo, non arretrano di un centimetro.
“Devi! Non appena il tuo corpo si sarà rigenerato, scappa! Ti prometto che ci rivedremo, capo! Te lo giuro, ma ora fai come dico io!”
Mikael unisce le mani attorno all'impugnatura, punta Balmung a terra. Un anello di fuoco circonda i suoi piedi, si intensifica, si solleva come un muro invalicabile.
“Allontanati, Vrai. Fra poco, farà molto caldo qui.”
“O... okay.”
Vrai non se lo fa ripetere due volte, corre via, senza distogliere lo sguardo. Il mantello di Ramante ricopre il corpo, i muscoli ricostruiti, gli organi nuovamente funzionanti. Solo la vista ancora ottenebrata. Esakiuro abbozza un sorriso sulla bocca deforme, lascia scorrere le lacrime, conscio di non poter essere osservato.
“Balmung ammazzadraghi, io invoco il tuo potere...”
Ramante si alza in piedi, sotto il carapace di Esakiuro, sfiora la corazza chitinosa, la abbraccia.
“E... Esakiuro! Perché non la fermi? Perché non attacchi?”
“Devo lasciarglielo fare. È l'unico modo.”
Esakiuro china la testa di scatto, afferra Ramante tra le chele, ruota su se stesso, mostra il guscio all'avversario.
“Mi dispiace, capo.”
“Esakiuro...”
Una carezza sulla tenaglia, la carezza storpia di una mano artigliata. Ma è sufficiente a trasmettere il calore.
“... hai promesso. Non... non ti azzardare a morire, okay?”
Un cenno di assenso poco convinto, gli occhi puntati dall'altra parte. La tela bianca avvolge il corpo di Ramante, si appiccica attorno al mantello, si chiude a bozzolo. Esakiuro prende fiato, spalanca la bocca, lo ingoia intero. Mikael concentra tutte le sue forze, Balmung scintilla, avvolta da vampe scarlatte.
“Rising...”
Un rombo di tuono, il guscio di Esakiuro si spacca in cima, un'eruzione vulcanica, il bozzolo con Ramante scagliato lontano, come una palla di cannone. Esakiuro chiude gli occhi ancora una volta, mentre il proiettile sie allontana a velocità supersonica.
“Buon viaggio, capo...”
“... Phoeniiiiiix!”
Mikael solleva la spada di scatto, la fenice emerge rinata, le fiamme esplodono tutto attorno. Esakiuro viene avvolto dalle vampe, non prova nemmeno a scansarsi. Il fuoco divora la corazza, intacca il guscio, si fa strada fino agli organi interni attraverso le spaccature, raggiunge le ghiandole filiere. Esakiuro stringe le chele, un ultimo sforzo, tutta la produzione concentrata nell'addome, accumulata con un unico scopo.
“Gwaaaaaaaah!
Una bomba chimica, la reazione al calore estremo. Il guscio salta in aria, schizzi bianchi in ogni direzione, tutta la tela rilasciata in un istante, dilatata all'inverosimile. Una serie di getti sparati contro i palazzi, una barriera appiccicosa alta fino al cielo, tozza, irregolare. La strada completamente occlusa da una fitta rete, spessa diversi centimetri, un intreccio di nodi e fili sottili. Il corpo di Esakiuro brucia come paglia, il cuore smette di battere, gli occhi si spengono ad uno ad uno. Il fiato corto, le ultime parole dirette a Ramante.
“Scusa, capo... quando... quando ho promesso...”
Uno stridio agonizzante, la massa chitinosa collassa al suolo.
“... avevo le zampe... incrociate...”
Mikael abbassa la lama, prede fiato. Asfalto incenerito, finestre spaccate, segnali piegati dalla furia dell'attacco. Il cadavere irriconoscibile di un ragno eremita. E una tela candida come la neve a proteggere la fuga di Ramante.
9.
Angeli di Zenma (VII)
“Zia Liliel! Perché ci sono così tanti angeli in giro per Zenma?”
“Zia Liliel! Hai visto che belle ali aveva quella lì?”
“Zia Liliel! Perché siete tutte ragazze?”
“Stop! Basta! Datemi un attimo di tregua!”
Zenma, piazza centrale. Un angelo albino, abbigliamento casual. Scarpe da ginnastica, jeans scuri, t-shirt a righe aperta sulla schiena. Due mozziconi di ala all'altezza delle scapole, ancora bendate, qualche piuma superstite appiccicata ad una struttura morta. Un bambino e una bambina trotterellano attorno a lei, osservano ogni oggetto, ogni persona con meraviglia.
“Perché zia Liliel?”
Un lungo sospiro sconsolato. Liliel incrocia le braccia, scuote il capo con poca convinzione, il vano tentativo di recuperare l'equilibrio mentale.
“Mocciosi pestiferi. Se solo potessi passarvi la testa sul gas...”
Un gesto secco della mano, il limite della pazienza quasi oltrepassato.
“... ma no, non posso nemmeno toccarvi! Siete spiriti, per di più destinati al Paradiso! Se vi succedesse qualcosa, Cyrael me la farebbe pagare di brutto!”
I ricordi tornano a qualche ora prima, al colloquio con gli altri angeli. Liliel imita la voce della sorella maggiore, socchiude le palpebre e le labbra per darsi un'aria altezzosa.
“Oh, Liliel, questi poveri piccoli hanno subito un trauma. Tu sei stata la prima a soccorrerli, quindi è naturale che sia tu a prendertene cura, almeno finché l'uomo che era con loro non si sarà ripreso. Vedrai che ti divertirai tantissimo, Liliel! Aaaaagh!”
Le ultime parole quasi gridate, uno sfogo trattenuto a fatica. I due bimbi si fermano all'istante, la fissano negli occhi viola.
“Z... zia Liliel... davvero non ci sopporti? Lo zio Clevio...”
Occhioni dolci, spaventati, il massimo della tenerezza. Liliel ingoia un grumo di saliva, tenta il salvataggio in extremis.
“N... no! Non è così! Sono... sono solo un po' stanca. Sapete, mi hanno dimesso questa mattina dall'ospedale, dopo che un mostro mi ha strappato le ali! Come se non bastasse, la mia cara sorellina Mikael è stata costretta a lasciare la città e proseguire da sola nelle terre del Maligno...”
Un lungo sospiro, la voce addolcita, un vago timore nello sguardo.
“Miki... spero che tu stia bene. Mi manca tanto l'abbraccio delle tue ali...”
I due bambini si fermano ad osservare Liliel, un rapido scambio di occhiate. La bimba massaggia il mento con la mano destra, cerca la conferma del compagno.
“La zia Liliel è lesbica, Kai?”
Kai annuisce più volte con il capo.
“Lesbica e incestuosa, Chiki!”
Il volto di Liliel divampa, attraversa tutto lo spettro della luce visibile, gli occhi ridotti a puntini microscopici.
“E... eh?! Chi vi ha insegnato queste parole?! E... e poi, non è assolutamente vero! Insomma, è mia sorella! È normale che io sia preoccupata per lei!”
Chiki inarca le sopracciglia, la fissa poco convinta.
“Quindi non te la prendi se ha già la ragazza?”
Liliel congelata come uno stoccafisso, le parole bloccate in gola.
“C... cosa?”
Chiki sfodera un sorrisone, ruota di scatto verso Kai.
“Come si chiamava quella succube che flirtava con lei?”
“Mi sembra che si chiamasse Eden, Chiki.”
“Ecco! Io sono sicura che ci fosse del tenero tra di loro! È stato Sophidides a farmelo notare!”
“No! Non è possibile! Miki non uscirebbe mai con una...”
Liliel si morde la lingua, chiude gli occhi, agita le mani, grida a squarciagola.
“Cioè, no! Volevo dire... insomma! Smettetela subito! Voi due non dovreste essere bambini?!”
Kai sbuffa, incrocia le braccia.
“Siamo bambini da quasi trent'anni, abbiamo avuto tempo per imparare. E poi, che colpa ne abbiamo noi se non riesci a nascondere nulla?”
Liliel rimane basita, un brivido freddo lungo la schiena, il viso bluastro.
“...”
Un lampo d'orgoglio, l'angelo volge loro la schiena, si siede per terra, il viso imbronciato.
“Umpf. Devo migliorare sull'autostima. Non può continuare così.”
“Zia Liliel... perché le tue ali non ricrescono?”
Liliel riemerge dai suoi pensieri, i moncherini mossi involontariamente. Chiki e Kai li osservano con tristezza, innocente curiosità. Kai prova a sfiorarli, ma la mano passa attraverso. Chiki si chiude in un silenzio malinconico, si siede accanto a Liliel.
“Ti ha fatto tanto male?”
Un sorriso forzato, gli occhi velati dalle lacrime.
“Non potete neanche immaginarlo. È come se avessero portato via la parte più bella di me.”
Kai si siede dall'altro lato, tenta di arrivare al contatto, senza successo.
“Però continui ad andare avanti. Come fai?”
“So che c'è qualcuno, là fuori, che si fida di me. Qualcuno che mi vuole bene.”
“La sorella di cui sei innamorata?”
Liliel salta in piedi, i pugni chiusi, le gote rosse come mele mature.
“A... ancora con questa storia?! Giuro che se continuate così, vi passo la testa sul gas finché non vi addormentate! E non me ne frega niente se non posso afferrarvi, mi farò aiutare da Clevio!”
Chiki e Kai corrono via, mostrano la lingua all'angelo custode.
“Oh, Mikael! Sono tutta tua!”
“Oh, Mikael! Abbracciami! Baciami!”
“Aaaaaah! Smettetela o VI ESORCIZZO!”
“Ehm... quella dovrebbe essere la mia battuta.”
Un'ombra scura stagliata contro il Sole del mattino. Un uomo giovane, slanciato, vestito dei paramenti sacerdotali. Capelli rossi lunghi sino alla base del collo, occhi blu rubino, un crocefisso pendente. I bimbi lo fissano con un misto di orrore e disperazione, si gettano addosso a Liliel.
“Aaaaaah! L'uomo cattivo!”
“Zia Liliel! Proteggici, ti prego! Prometto che la piantiamo!”
“E... ehi, calmi! Cosa...”
L'uomo piega la testa di lato, stringe le palpebre, inumidisce le labbra.
“Mi permetta di presentarmi. Sono padre Yanma Rejo, esorcista della Santa Sede...”
L'indice puntato verso gli spiriti, il volto impassibile.
“... e quegli esseri immondi sono il motivo della mia presenza.”
Un ragazzo spunta fuori alle sue spalle, vestito di un completo sartoriale blu scuro. Capelli biondi, occhiali da vista, unghie smaltate fucsia, un pennello stretto tra le dita.
“Li stiamo inseguendo fin dal motel di Tabara. Padre Rejo ne ha continuato a percepire la presenza, nonostante gli sforzi del demone e del vecchio stupido di far perdere le loro tracce.”
Gli occhiali premuti contro il naso, l'aria da intellettuale soddisfatto del proprio ragionamento.
“Ovviamente, avevo subito dedotto che avrebbe cercato rifugio a Zenma, l'unica città nell'arco di dieci chilometri dall'albergo. L'unico problema era raggiungerla, dato che la nostra auto era fuori uso, ma con un sapiente utilizzo delle carte, abbiamo localizzato un...”
“Taglia, Sinisa. Non siamo qui per questo. Ora, se permetti...”
Le braccia aperte, uno sguardo di sfida.
“Sudario eterno, primo mistero...”
“Fermo!”
Liliel si mette in mezzo, alza la mano in direzione del prete.
“Che cosa stai facendo, brutto deficiente?!”
“Libero il mondo da una coppia di esseri infimi rifiutati sia dal Paradiso, sia dall'Inferno?”
“No, c'è un errore! Questi bimbi sono destinati al Paradiso! Dev'esserci stato un problema nelle procedure di assegnazione!”
Rejo stringe le labbra, una scintilla di sorpresa sul volto impassibile.
“Come fai ad esserne così sicura?!”
Liliel stringe gli occhi, le iridi viola scintillano per un lungo istante.
“Noi angeli siamo in grado di analizzare l'aura di uno spirito con una sola occhiata. E non possiamo sbagliarci.”
“... al Paradiso...”
Rejo incespica, tentenna, le dita premute sulla fronte.
“Mettiamo, per ipotesi, che un esorcista distrugga degli spiriti... innocenti. Quale sarebbe la pena?”
Chiki e Kai lo fissano con aria di rimprovero, ben nascosti dietro il corpo di Liliel. L'angelo abbozza un sorrisetto malevolo, guarda l'esorcista dritto negli occhi.
“Oh, oh! Abbiamo la coscienza sporca, a quanto pare.”
Un moto d'ira, la risposta in un tono seccato.
“Limitati a rispondermi. Non accetto lezioni da una creatura che è rimasta a guardare, mentre il Maligno prendeva possesso del mio mondo!”
Liliel distoglie lo sguardo, scrolla le spalle.
“Be'... onestamente, non ne ho idea. Io sono sempre stata un angelo minore, un'osservatrice. Credo che Cyrael sia molto più titolata di me a soddisfare la sua... curiosità.”
Rejo afferra il braccio destro della ragazza, cerca disperatamente il contatto visivo.
“Puoi portarmi da lei?”
“Uh? Sì, ma...”
Sinisa si schiarisce la voce, si intromette nella conversazione.
“Ehm... Padre Rejo? Qui stiamo perdendo tempo! Se non ci muoviamo, Ashburnt raggiungerà il territorio del Maligno prima di noi! La Santa Sede non sarà contenta e...”
Un turbine di bende emerge dalla manica dell'esorcista, avvolge il collo di Sinisa, lo solleva a venti centimetri da terra.
“Come dici, scusa? Non riesco a sentirti...”
“Uuugh...”
Rejo lo guarda di sottecchi, la collera dominata a stento.
“La mia Sindone non può uccidere un essere umano. È questo che vuoi dire, Sinisa? Lo so perfettamente. Ma non è scritto da nessuna parte che non possa farti provare un dolore senza fine!”
“P... pietà... farò... quello che dice...”
“Oh, bene.”
Rejo ritrae le spire, Sinisa crolla a terra. Chiki e Kai si nascondono, se possibile, ancora di più. Rejo incrocia lo sguardo di Liliel, uno scambio di lampi e scintille.
“Voi state cercando un uomo chiamato Thornheart Ashburnt?”
“Lo conosci?”
“Oh, sì. Ha ucciso il demone che mi ha fatto questo.”
Liliel solleva i moncherini, volge la schiena ai due uomini. Sinisa non comprende, Rejo spalanca le palpebre, una fitta al cuore, un ricordo appassito. Sinisa tossisce una, due volte, riprende l'usuale contegno, aggiusta la posizione degli occhiali.
“Interessante, ma non cambia nulla. La Santa Sede vuole che sia padre Rejo a sconfiggere il Maligno, per una questione di immagine. Se potesse gentilmente indicarci dove è andato...”
Rejo interrompe il discorso, fulmina Sinisa con un'occhiataccia.
“No.”
“Eh?”
Rejo incrocia le braccia, chiude gli occhi, pesa ogni parola.
“Desidero parlare con Cyrael. È una questione della massima importanza.”
“M... ma Ashburnt... il Maligno...”
“Possono aspettare.”
Un sospiro grave, la mano posata sul petto, il battito irregolare del cuore. Parole sussurrate sottovoce, la coscienza come unica ascoltatrice.
“... anime destinate al Paradiso... era questo che cercavi di dirmi quando...”
“Padre Rejo? Tutto a posto?”
Rejo riapre gli occhi, incontra lo sguardo indagatore di Liliel. Uno scatto della testa, il contatto visivo interrotto.
“Ho solo un po' di mal di testa, tutto qui.”
Kai compare dietro l'angelo, sogghigna divertito.
“Sì, certo! E zia Liliel non è innamorata pazza di sua sorella maggiore!”
Liliel arrossisce, una goccia di sudore freddo lungo la fronte. Rejo si gratta i capelli con poca convinzione, le sopracciglia inarcate.
“Cosa dovrebbe significare?”
Liliel agita le mani di fronte al volto.
“N... niente, assolutamente niente! Uh, cavolo! È... è già tardi! Se non ci sbrighiamo, non arriveremo mai in tempo! Mi segua, forza!”
“Ehi, aspetta un moment...”
Il polso di Rejo afferrato di scatto, la corsa folle verso le terme.
“.... ooooooooh!!!!”
Padre Rejo trascinato come un sacco di patate, sotto lo sguardo attonito di Sinisa. E le risate scomposte dei bimbi spettrali in sottofondo.
10.
Angeli di Zenma (VIII)
Una sala quadrata, illuminata dalla luce del Sole. Un tavolo circolare, quattro sedie, un paio di bicchieri posati con noncuranza sulla superficie a scacchi. Rejo incrocia nervosamente le mani, Sinisa spaparanzato sullo schienale, Liliel continua ad osservare entrambi. Il cigolio dei cardini, la porta si apre, una ragazza minuta entra nella stanza. Capelli lisci grigi, occhi dello stesso colore, pelle diafana. Un abito nero di pizzo, lungo fino alle ginocchia, stivaletti di cuoio. Un'aureola luccicante sul capo, più grande di quella di Liliel.
“Okay, nessuno ci disturberà qui.”
La nuova arrivata prende posto accanto alla sorella, passa in rassegna gli sguardi dei presenti.
“Io sono Cyrael, il capo-sezione degli angeli di Zenma. Sono parecchio impegnata, quindi spero che il motivo della vostra visita sia sufficientemente importante.”
Liliel annuisce, prende la parola.
“Ricordi il vecchio che è arrivato ieri pomeriggio con quei due spiriti? Quello che raccontava di essere stato assalito senza motivo da un prete della Chiesa?”
Cyrael digrigna i denti, le iridi si accendono con violenza.
“Quel mostro che ha distrutto più di trenta anime destinate al Paradiso? Quanto vorrei prenderlo a calci in...”
Rejo sospira, visibilmente a disagio.
“Sono io.”
“Ah.”
Un colpetto di tosse, il tentativo di schiarirsi la voce.
“Mi chiamo Yanma Rejo, sono un esorcista della Santa Sede. Sono stato incaricato di sconfiggere il Maligno, di distruggere tutti gli spiriti vaganti e di recuperare padre Ashburnt prima che causi altre situazioni imbarazzanti... non necessariamente in quest'ordine. Sono stato io a richiedere questo colloquio.”
Cyrael lo squadra dalla testa ai piedi, senza cambiare espressione.
“Padre Ashburnt è in possesso di una Reliquia Santa, un chiodo della Vera Croce. Se lei è stato inviato ad eliminare il Maligno, questo significa...”
“Esatto. Ne possiedo una anch'io. I miei tendini sono ricoperti dal tessuto della Sacra Sindone.”
Il viso di Cyrael si distende, la calma torna padrona del suo corpo.
“La più misteriosa e complicata delle tre Reliquie. Ne ho sentito parlare. Dicono che a differenza del chiodo della Vera Croce e della Corona di Spine, la Sindone abbia una sorta... di volontà propria. E che giudichi continuamente l'operato del suo portatore.”
Sinisa deglutisce, trema come una foglia.
“V... volontà propria?”
Cyrael appoggia il gomito sul tavolo, la guancia posata sul pugno destro.
“Se una Reliquia reputa il suo ospite indegno, lo può abbandonare in qualunque momento. Per la Sindone è ancora peggio, perché ti tortura psicologicamente, prima di scegliere se lasciarti o meno. Le conseguenze sono spiacevoli, di solito, ma la Sindone le rende addirittura più spiacevoli. Con il chiodo della Vera Croce, al più rischi un dito. La Corona di Spine ti buca il cranio, ma non ti uccide. La Sacra Sindone...”
Un sorrisetto sadico, l'indice passato maliziosamente sulle labbra.
“... ti strappa i tendini e ti stritola il cuore.”
“Per l'appunto.”
Rejo cerca lo sguardo dell'angelo, mantiene il controllo sulle sue emozioni.
“Io sono stato l'unico a sopravvivere, tra i candidati esorcisti. L'unico a cui la Sindone abbia accordato la sua fiducia... per il momento.”
“Oh, vediamo se ho capito bene... lei vuole sapere se la sua empietà potrebbe portare la Sindone a ribellarsi e a porre prematuramente fine alla sua vita?”
“Anche, ma non è il motivo principale del nostro colloquio.”
Rejo allarga placidamente le mani, posa i palmi sul tavolo.
“A differenza di voi, io non posso leggere la destinazione delle anime. Ho sempre pensato che gli spettri vaganti fossero rifiutati dall'aldilà, ma ora scopro che non è così! Come è possibile che degli spiriti destinati al Paradiso si trovassero ancora qui?”
Cyrael chiude le palpebre, sbuffa indispettita.
“Ne so quanto lei. È tutta la mattina che provo a contattare i responsabili nei Cieli, senza risultato. È come se il collegamento si fosse interrotto bruscamente.”
Liliel strabuzza gli occhi, scrolla la testa.
“Eh?! Vuol dire che non sei ancora riuscita a chiamarli?”
“Forse hanno cambiato metodo di comunicazione. Dopotutto, l'ultima volta che ho avuto bisogno di loro è stata due secoli fa.”
“E... e se fosse successo qualcosa di grave?”
Liliel respira rapidamente, agitazione profonda in tutte le fibre del corpo. Cyrael se ne accorge, tenta di rispondere con serenità.
“Ne dubito, Liliel. Sarà solo un inconveniente temporaneo.”
Rejo si infervora, sbatte il pugno sul tavolo.
“Temporaneo o no, io ho bisogno di una risposta! Devo... devo sapere da quanto tempo esiste questo problema!”
Liliel si stringe tra le braccia, lo sguardo basso, la voce ridotta ad un sussurro.
“Chiki e Kai mi hanno detto di essere morti circa trent'anni fa...”
“T... trent'anni? Così... tanto? Allora... allora...”
Rejo grida a squarciagola, la testa tra le mani, gli occhi sgranati, i denti stridono tra le labbra.
“No! No! No!”
Sinisa si alza di scatto, tenta di avvicinarsi.
“Si calmi, padre Rejo! Non è colpa sua! Non poteva sapere che...”
“No! Questa bastarda... questa bastarda lo sapeva! Lo sapeva! Io... io...”
“P... padre?”
Una serie di respiri tesi, terrore pure, il battito a mille.
“Vattene, Sinisa.”
“Eh?”
“Esci da questa stanza. E anche tu, Liliel. Devo parlare con Cyrael... da solo.”
Sinisa scuote il capo, osserva con un misto di timore e sorpresa.
“M... ma gli accordi con la Santa Sede... io devo verificare che lei non metta in imbarazzo...”
Rejo alza la voce, un urlo animalesco, il ruggito di un leone.
“ESCI SUBITO!”
“V... va bene.”
Liliel abbandona il posto a sedere, si esibisce in un inchino nervoso, si accomoda fuori dalla porta senza dire una parola. Sinisa annuisce con poca convinzione, segue l'angelo in silenzio. Uno scatto della serratura, il portone di alluminio si chiude alle loro spalle. Sinisa si siede sui gradini, indeciso sul da farsi.
“Chissà cosa gli è preso... fino a mezz'ora fa era così tranquillo...”
Liliel appoggia la schiena al muro, gli occhi fissi verso il pavimento.
“Qual è il motivo per cui si è fatto prete?”
“Non lo so, non me ne ha mai parlato. C'entrano qualcosa i demoni, ma non conosco i dettagli.”
Sinisa si interrompe per un istante, come per focalizzare i ricordi.
“Doveva essere mosso dall'odio o dalla disperazione. O da entrambi.”
Il pennello rotea tra le dita, come un bastone da majorette. Liliel alza lo sguardo al soffitto, i pensieri ingabbiati.
“Chissà cosa succederà, ora...”
I minuti trascorrono in fretta, senza che la situazione evolva. Poi, un segnale. La maniglia si abbassa leggermente, il cigolio dei cardini, la porta spalancata. Rejo cammina fuori dalla stanza, gli occhi arrossati ma sicuri, la determinazione stampata sul viso. Sinisa agita il braccio destro, la voce stridula.
“Se l'è presa comoda, eh, padre?! Ora possiamo andare?”
Rejo abbozza un sorriso, attorciglia i capelli rossi.
“Calma, Sinisa. A quest'ora, Ashburnt avrà sicuramente già attraversato il Confine.”
“Motivo in più per sbrigarsi! Se dovesse arrivare prima lui, sarebbe un disastro!”
Rejo incrocia le braccia, scuote il capo con disapprovazione.
“L'importante è che qualcuno elimini il Maligno... ma ti prometto che farà il possibile per essere io a dargli il colpo di grazia.”
Cyrael esce dalla stanza, il volto impassibile.
“Allora, siamo d'accordo?”
“Sì, Cyrael. Porterò il tuo messaggio.”
Cyrael controlla l'orologio a muro, un'occhiata veloce all'ora.
“Dobbiamo sbrigarci. Abbiamo meno di un'ora.”
Rejo alza il braccio, un gesto eloquente in direzione di Sinisa.
“Prendi i bagagli e seguimi. Andiamo.”
“Andiamo... dove?”
Cyrael supera i tre con passi leggeri, scende la scalinata con estrema tranquillità.
“Alla stazione sotterranea. Il vostro treno per Norfold parte da lì.”
Liliel strabuzza gli occhi, lo stupore si impadronisce del suo corpo.
“N... Norfold? Ma Norfold è nel territorio del Maligno! Come...”
“Ah, giusto. Liliel, sei dispensata dall'occuparti dei due bambini...”
Liliel saltella sul posto, sprizza gioia da tutti i pori, abbraccia Cyrael con trasporto.
“Oh, grazie, Cyrael! Sapevo che in fondo in fondo in fondo... in fondo eri buona!”
Cyrael resta immobile, continua a parlare con tranquillità.
“... dato che stai per partire anche tu. Seguirai questi due nella loro crociata. Sarai i miei occhi.”
Un goccione di sudore freddo sulla fronte, gli occhi ridotti a puntini microscopici.
“... eh?”
“Hai capito benissimo! Hai quarantatré minuti minuti per preparare le valigie e tornare qui! Forza!”
“Ma... ma...”
Liliel fa gli occhi dolci, fissa Cyrael con uno sguardo da cucciolo impaurito.
“... ma io sono così fragile e delicata! E non ho più neppure le ali! Come posso essere loro d'aiuto?”
Cyrael abbozza un sorrisetto compiaciuto.
“Sapevo che avresti risposto così. Ti do tre buoni motivi per accettare la mia... ehm... proposta.”
Cyrael alza il pollice, lo porta di fronte al viso della ragazza.
“Primo: grazie a te, padre Rejo eviterà di esorcizzare altri spiriti innocenti. Secondo: padre Rejo è abbastanza forte da proteggere tutti e tre. Terzo: se non accetti, potrei raccontare in giro che...”
Un sussurro a bassa voce nell'orecchio, Liliel si irrigidisce, le guance paonazze.
“E... ehi! N... non è assolutamente vero! Chi...”
Cyrael risponde con un occhiolino, la lingua fa capolino tra le labbra.
“I bambini non mentono mai, Lilichan.”
Uno sbuffo di vapore dalle narici, le iridi in fiamme, una venuzza in rilievo sulla fronte.
“Io quei due li ammazzo... di nuovo!”
“Guarda il lato positivo, sorellina. Da adesso, sono un problema di qualcun altro.”
“Oooouh.”
Liliel si accascia al suolo, stringe le gambe al petto.
“Perché devi sempre avere dei doppi fini, Cyrael?”
“Farò finta di non aver sentito.”
Cyrael volge loro la schiena, lascia oscillare i capelli con civetteria.
“L'appuntamento è tra quaranta minuti all'entrata delle terme. Siate puntuali!”
11.
Diretto per Norfold (I)
Il clangore delle ruote metalliche, il muggito dei vagoni. Il treno corre a velocità folle, nel buio senza fine. I fari squarciano le tenebre, rischiarano le gallerie sotterrane, immerse in una fitta oscurità di pece. Rejo osserva annoiato dal finestrino, la guancia appoggiata sul dorso della mano destra.
“Un treno diretto per le terre del Maligno. Se non lo avessi visto coi miei occhi...”
Sinisa apre una ventiquattr'ore, sistema con zelo i documenti all'interno. Carte bollate, permessi, lasciapassare, certificati di morte, indulgenze firmate dal Santo Padre, tutto compresso in una valigetta di pelle nera.
“E non un treno qualsiasi, padre! Alta velocità, completamente automatizzato. Non ci sono controllori, macchinisti o personale di bordo. Stando al piano di viaggio, questo bolide fa la spola tra Zenma e Norfold due volte al giorno, ad orari fissati.”
“Siamo gli unici passeggeri, a quanto vedo...”
Sinisa preme gli occhiali sul naso, esamina la documentazione.
“La signorina Cyrael sembrava interessata a nasconderne l'esistenza. Anche perché, grazie a questa linea possiamo attraversare il confine senza essere intercettati. Mi domando come mai non l'abbia mostrata a padre Ashburnt.”
“Chi lo sa? Quell'angelo è tutto tranne che semplice. Ho la sensazione che ci abbia manovrato come burattini.”
Liliel si accoccola nel sedile, le braccia strette attorno alle gambe ripiegate.
“Cyrael è una manipolatrice nata. Non dice mai chiaramente quello che pensa.”
Un vago tremore in ogni fibra del corpo. Rejo se ne accorge, la fissa con la coda dell'occhio.
“Mi sembri nervosa. Cosa c'è che non va?”
Liliel annuisce a scatti, lo sguardo timoroso vaga in ogni direzione, le unghie mangiucchiate senza posa.
“N... non ho mai lasciato Zenma prima d'ora! Non ho mai viaggiato su un treno automatico! Non combatto demoni da migliaia di anni! E non ho più le ali! Come... come farò a sopravvivere?”
“Si può fare lo scambio degli occhi con un angelo?”
“I... in che senso, scusi?”
“Se cedo metà della mia durata vitale residua, posso vedere quello che vedi tu? La destinazione delle anime e tutto il resto?”
Liliel alza lo sguardo al soffitto, l'indice battuto ritmicamente sulle labbra.
“Uhm... no, credo di no.”
“E se ti strappo gli occhi e li sostituisco ai miei?”
Liliel deglutisce, si stringe ancora di più nell'angolo.
“N... no! Decisamente no! Non... non funziona così, padre Rejo!”
Un sospiro sconsolato.
“Peccato, lo avrei fatto subito. Così, dopo avrei potuto ucciderti senza rimpianti.”
“Waaaaaaah!”
Liliel si getta dietro lo schienale, trema come una foglia. Il viso bluastro, gli occhi come puntini inesistenti, una cascata di sudore freddo sulla fronte, i moncherini d'ala sbattuti rapidamente.
“Era uno scherzo, vero?”
“No, una magra constatazione. Purtroppo, mi servi viva... quindi dovrò proteggerti, con o contro la mia volontà. Finché mi sarai utile, non avrai nulla da temere.”
“E... se diventassi cieca?”
Rejo si esibisce in un sorriso a trentadue denti.
“Avrei una persona in meno di cui occuparmi.”
Liliel si abbassa, nasconde completamente la testa – solo le dita aggrappate alla fodera bluastra. Sinisa sogghigna divertito, unisce le mani di fronte al viso.
“Non se la prenda, signorina Liliel. Anche io avrei preferito continuare il viaggio da soli, ma sua sorella ha insistito perché fosse proprio lei a seguirci. Ho chiesto garanzie, ovviamente, e sembra che lei fosse a tutti gli effetti la persona più adatta. Sa, padre Rejo aveva bisogno di un angelo... ehm... particolare. Un angelo incapace di provare desiderio per il suo fisico avvenente e muscoloso – un rischio per il suo voto di astinenza dalla carne. Capisce cosa intendo?”
Liliel emerge di qualche centimetro, fissa il ragazzo negli occhi con istinto omicida.
“Non c'è pericolo, Unghiefucsia. Non uscirei con lui nemmeno se fosse l'ultimo uomo rimasto sulla Terra. Ho altri interessi.”
“Ecco! È precisamente questo il punto. Dato che padre Rejo è un maschio e non è suo fratello, sono sicuro al cento per cento che non ci saranno problemi!”
“Aspetta... non dirmi che...”
Liliel stringe i pugni alza la voce, chiude le palpebre, agita le braccia in lacrime.
“Aaaaaah! Cyraeeeeel! Non puoi avergli veramente detto questo per sbolognarmi a loro e non dover coinvolgere un altro angelo! Se riesco a tornare a Zenma viva, giuro che te la faccio pagare!”
Rejo sbuffa indispettito, serra i muscoli della mano destra.
“Vuoi smetterla? Se continui a urlare così, finisce che questo treno decide di lasciarci a piedi e si pianta a metà percorso!”
Una sussulto improvviso, i freni stridono, le luci traballano. Una pioggia di valigie dalle cappelliere, le urla acute di Sinisa. Rejo sbalzato oltre il tavolino, Liliel premuta contro lo schienale del sedile di fronte. Un clangore metallico continuo, il rombo del motore, il lamento dei giunti magnetici.
Poi, il silenzio.
“Uuuuh...”
Sinisa pianta i palmi sul pavimento, si mette a sedere, controlla le lenti degli occhiali da vista.
“Sono intatte, per fortuna...”
Rejo si alza da terra, spolvera l'abito, impreca sottovoce. Un colpo di tosse, la voce irata.
“Visto? Che ti dicevo?”
“Ehi! Non è colpa mia!”
Liliel scrolla il capo, guadagna posizione eretta.
“Forse la motrice si è rotta.”
Sinisa si guarda attorno con preoccupazione, stringe la valigetta al petto.
“Potremmo aspettare un po' e vedere se si ripara da solo.”
Liliel punta i piedi, incrocia le braccia.
“No, la situazione è troppo... strana. Stando a Cyrael, questo treno non ha mai avuto un guasto negli ultimi due secoli.”
“C'è sempre una prima volta, no?”
“Proprio mentre viaggiamo noi? Non credo così tanto nel caso.”
Rejo annuisce, getta un'occhiata al corridoio.
“Devo dare ragione all'angelo, mio malgrado.”
“... angelo? Sigh... io ho un nome, non sono una cosa...”
“Questione di punti di vista.”
Un cenno del capo, il braccio puntato verso il corridoio.
“Comunque... propongo di raggiungere la prima carrozza. Forse possiamo farlo ripartire dalla sala comandi.
Sinisa si intromette nella conversazione indica le valigie.
“E... e i bagagli?”
Rejo ruota i palmi verso l'altro, scrolla le spalle.
“Il treno è vuoto, Sinisa. Chi vuoi che ce li rubi?”
“G... giusto.”
Sinisa estrae a malincuore tela e pennello, si prepara psicologicamente a lasciare il sedile. Rejo fissa Liliel per un lungo istante, la squadra dalla testa ai piedi.
“Tu hai qualche arma, angelo? A parte gli airbag frontali e la lampadina incorporata, intendo.”
“Sempre più galante, eh? Comunque sì... anche se è un po' che non la uso.”
“Farai meglio a ricordarti presto come si fa. Se finiamo in guai grossi, il mio ultimo pensiero sarà salvare te.”
“Umpf... che antipatico.”
Rejo abbozza un sorrisetto soddisfatto, senza farsi vedere dagli altri due.
“Okay, allora faccio strada. Seguitemi, forza.”
Passi lenti, nel silenzio della galleria. I finestrini aperti sulle pareti scure, poche lampade ancora attive. Il motore spento, lamenti e cigolii, l'intero treno come una bestia ferita. Cappelliere vuote, sedili sdruciti, nessun'altra anima viva. Rejo apre una porta dopo l'altra, la maniglia ruotata con cautela ad ogni carrozza. Sinisa si guarda attorno senza posa, gli occhi vagano in ogni direzione, il panico controllato a fatica. Liliel non dice una parola, segue il duo controvoglia, le mani unite dietro la schiena. Un colpo di tosse, Sinisa sistema nervosamente gli occhiali con il manico del pennello.
“S... sembra tutto in ordine, per ora...”
“Tranne per il fatto che siamo ancora fermi. Quante carrozze abbiamo attraversato?”
“Due o tre, non di più.”
“Non dovremmo essere lontani. Il treno non sembrava così lungo, da fuori.”
Un tonfo sordo, attutito dalla distanza, aldilà della porta. Rejo si immobilizza, porta l'indice di fronte alle labbra, fa segno di non parlare. Le dita scivolano lungo maniglia, la afferrano con forza. Un gesto repentino, il portello aperto di scatto, le spire della Sindone avvolgono il braccio libero.
“Sudario eterno, primo mistero...”
“Aaaaaaaaah!”
Un urlo acuto, la caduta, le braccia portate di fronte al viso. Una figura esile, minuta, accoccolata per terra. Capelli neri a caschetto lunghi fin sotto le orecchie, occhi azzurro mare, una mantellina rossa con cappuccio su un abitino bianco a strisce celesti. Rejo tira un sospiro di sollievo, richiama i tentacoli di tessuto grigio.
“È solo una bambina.”
Rejo appoggia la mano sul pavimento, si china in avanti. Un brivido lungo la schiena, un ricordo affiorante. La testa scossa con forza, il tentativo di sembrare normale.
“Ugh...”
La piccola tira su col naso, singhiozza, si mette in ginocchio, unisce le mani in preghiera.
“S... siete demoni?”
Sinisa si fa avanti, con finta spavalderia, indica Rejo con la punta del pennello.
“Direi proprio di no! Padre Rejo è...”
“... per carità, sono solo un umile prete. Mi chiamo Yanma, Yanma Rejo. Lui è il mio assistente Sinisa, lei è Liliel.”
La bimba si produce in un profondo inchino, incrocia lo sguardo enigmatico dell'uomo.
“Nyce, i... io sono Nyce.”
Rejo le porge la mano, un'espressione tranquilla sul volto.
“Cosa ci fai su questo treno, Nyce? Sai dove è diretto?”
Nyce si ritrae di scatto, uno, due metri di distanza da Rejo.
“N... no! Stavo giocando a nascondino con i miei amici a Zenma, cercavo un posto dove nascondermi e... e... ho visto il treno! Credevo che fosse fermo, perché non c'era una stazione lì! Subito dopo che sono entrata, volevo scendere... ma è partito!”
Un fiume inarrestabile di lacrime, due fontane inesauribili dagli occhi.
“A... avevo tanta paura! Poi, ho trovato quella maniglia con scritto freno di emergenza... e l'ho tirata. Però, ora siamo fermi qui, al buio! Voglio tornare a Zenma! Vi prego, aiutatemi!”
Un lungo grugnito, Rejo scuote il capo, punta gli occhi al cielo.
“Se riattiviamo la motrice, la prima fermata sarà Norfold, nel territorio del Maligno. Possiamo provare ad invertire la rotta, ma non so come...”
Liliel incrocia le braccia, lo sguardo puntato al finestrino.
“Semplice. Arriviamo a Norfold e portiamo indietro la bambina con il viaggio di ritorno. Perderemo un giorno, ma almeno saremo sicuri che non le succeda nulla di male.”
Sinisa si massaggia la fronte poco convinto, le labbra contratte in una smorfia.
“No, non mi va. Non abbiamo abbastanza tempo.”
Rejo socchiude le palpebre, riflette per qualche secondo.
“Forse ho un'idea migliore.”
Un gesto di invito, la mano tesa in aiuto.
“Cosa ne dici se ti porto nel posto più sicuro dell'universo?”
Nyce arretra di qualche passo, il corpicino scosso da tremiti.
“E... e quale sarebbe?”
“Semplice...”
Un ghigno beffardo, il braccio destro esteso, la mano aperta. Le spire di tessuto avvolgono la pelle, si intrecciano come serpenti.
“... l'aldilà.”
12.
Diretto per Norfold (II)
“Sudario eterno, primo mistero...”
“No!”
Liliel si frappone tra Rejo e la bimba, le braccia distese, lo sguardo deciso.
“No?”
“L... lei è un prete, padre Rejo! Non può usare una reliquia sacra per uccidere un'innocente!”
“No, infatti... ma posso spezzarle la colonna vertebrale. E lasciare che muoia per le ferite.”
Nyce si alza spaventata, si accoccola dietro all'angelo, gli occhi rigati dalle lacrime. Liliel socchiude le palpebre, gli occhi viola fissi sul prete, sulle spire in continua agitazione. Sinisa si affianca a Rejo, il pennello sollevato, puntato al cuore di Liliel.
“Se padre Rejo ha deciso così, allora vuol dire che non esistono alternative. I consigli della Sacra Sindone...”
“Ma sei completamente scemo, Unghiefucsia?! Se Rejo fa del male a questa creatura, la Sindone si ritorcerà contro di lui... e lo ucciderà.”
Sinisa sistema gli occhiali, annuisce con aria di superiorità.
“Anche se eliminiamo qualcuno per un bene più grande, il Paradiso non ci sarà negato! Secondo te, perché ho una valigia piena di indulgenze firmate dal Santo Padre in persona? Io ho già ammazzato un sacerdote, ma grazie a quel prezioso documento la mia anima non ne sarà toccata.”
“Quando è così...”
Un cenno del capo verso la bimba. Nyce capisce al volo, corre a nascondersi dietro un sedile. Liliel chiude gli occhi, alza la mano destra al cielo, il palmo rivolto verso il volto. Il dorso della mano sinistra posato sotto il gomito, le gambe unite.
“O lama incantata dall'empio fulgore...”
Un'aura verde si infiamma attorno al corpo della ragazza, i moncherini d'ala oscillanti, l'aureola scintillante. Sinisa impugna l'arma, Rejo gli afferra il polso, lo ricaccia verso il basso. Liliel continua il suo inno, le parole scivolano come gocce di pioggia, una cascata di note malinconiche.
“... celata dai miei desideri più impuri...”
Una lama ondulata materializzata dal nulla, il vortice d'aria attorno alle dita distese.
“... libera il mondo da odio e dolore...”
Un'elsa dorata compare nel palmo dell'angelo, la mano chiusa a pugno.
“... fai che il mio canto raggiunga le stelle!”
Liliel apre gli occhi di scatto, la lama puntata verso padre Rejo.
“Cedimi la tua forza, scudo di fiori! Taming Sariiiii!”
Sinisa si irrigidisce, tiene il pennello a pochi centimetri dal volto, mantiene il contatto visivo. Rejo abbozza un sorriso, abbassa il braccio.
“Ma guarda... Taming Sari. La daga leggendaria che si dice renda il suo possessore invulnerabile...”
Un'occhiata alle ali tranciate, il tono sarcastico della voce.
“Non mi sembra che ti sia servito a molto.”
Liliel estende il braccio in avanti, la punta a pochi centimetri dal volto di Rejo.
“Vuoi provarlo sulla tua pelle?”
“Ah, ah! No, no! Ci mancherebbe, basta così!”
Le spire risucchiate dal corpo del prete, svanite nell'arco di un istante. Sinisa deglutisce a fatica, scrolla il capo senza comprendere.
“P... padre?”
Rejo cammina verso Liliel, un passo alla volta.
“Puoi rinfoderare il tuo kris, angelo. Non ho nessuna intenzione di macchiarmi di altre colpe.”
Liliel lascia sparire il coltello, continua ad osservare il nemico. Un grugnito seccato, le braccia incrociate.
“Alla buon'ora.”
Rejo socchiude le palpebre, scrolla le spalle con noncuranza.
“Va bene, va bene. Ho esagerato, okay? Ora, cerchiamo di riallacciare i rapporti con la nostra gradita quanto inattesa ospite.”
Rejo si inginocchia di fronte a Nyce, avvicina la mano al volto della bimba.
“Ricominciamo. Io mi chiamo Yanma e sono...”
Uno schizzo rossastro una gemito di dolore, le pupille ridotte a puntini microscopici.
“... un esorcista della Santa Chiesa, forse?”
Una lama nera come la notte trafigge il costato, emerge dalla schiena. Rejo tossisce, sputa sangue, l'abito bianco cosparso di macchie vermiglie.
“Padre Rejo!”
Nyce si allontana di qualche passo, uno sguardo innocente, la testa piegata di lato.
“Oh! È ancora vivo? Che peccato!”
Sinisa si getta su Rejo, cerca di sostenerlo. Un colpo secco nello sterno, il prete lo getta a terra, digrigna i denti, si rialza a fatica. La mano portata al cuore, parole biascicate con odio.
“I... intervento divino, primo miracolo – Guarigione degli Infermi.”
Un flash di luce bianca, la ferita si rimargina, l'emorragia arrestata sul nascere. Nyce appoggia i pugni sui fianchi, sbuffa poco convinta, gli occhi roteano nelle orbite.
“Uffa! Se ti rigeneri, non c'è divertimento!”
La mantellina si straccia, si separa in decine di filamenti scuri.
“Se ti strappo le braccia e le gambe, sei in grado di rimetterle assieme? Sono così curiosa!”
Liliel materializza la daga, si porta in posizione di guardia.
“Non ci provare!”
Nyce sogghigna divertita, agita l'indice di fronte al naso.
“No, no, no! Non è così che si tiene un'arma. Ora capisco perché hai perso le ali.”
Liliel rotea rapidamente la daga, la porta di fronte al viso. Un'aura verdastra circonda il metallo lucido, antichi caratteri orientali compaiono sull'elsa dorata.
“Taming Sari, rispondi al mio canto! Petali di Sangue!”
Un fendente improvviso, alla massima velocità. La lama esplode in un tripudio di frammenti di energia, una pioggia di schegge affilate. Nyce sposta la mano, la mantellina si attorciglia, si solidifica, deflette ogni colpo senza riportare danni.
“Oh, allora l'angioletto sa veramente combattere! Quindi, non era tutta scena prima?”
“C... che cosa sei?”
Occhioni dolci, i capelli neri arricciati con civetteria.
“Una piccola, candida, bimba spaventata?”
Una piroetta, un salto mortale, il mantello come una sega circolare. Liliel porta la daga in difesa, subisce l'impatto, ruzzola a terra, recupera l'equilibrio. Nyce atterra con eleganza, osserva il trio senza scomporsi minimamente. Sinisa brandisce il pennello, lo stringe con forza.
“P... perché ci stai attaccando, demone?”
“Io... un demone?!”
Nyce stringe le palpebre, gli occhi azzurri luccicano nel buio. Una risata argentea, squillante.
“No, per niente! Sono un essere umano come te...”
L'abito della bimba si deforma, si raggruma. Una massa nera informe si chiude attorno al corpicino, lo avvolge come un bozzolo. Il manto nero si solidifica, la superficie diventa granulosa, irregolare. Un sorrisetto crudele stampato sul viso, prima che il tessuto lo nasconda completamente.
“... o forse no?”
Liliel solleva la daga, si avventa sul guscio.
“Taming Sari, ascolta il mio canto...”
La lama si allunga, avvolta da fiamme smeraldine.
“... Essenza Sfregiataaaa!”
Un taglio in verticale, un'onda di pura energia scagliata dalla punta. L'impatto, l'esplosione, uno squarcio diagonale carbonizza parte del vagone, si accanisce sul bozzolo, lo attraversa da lato a lato. Silenzio, per alcuni secondi. Poi, un rumore sordo.
Frammenti di materiale staccato, polvere scura, bagliori biancastri dall'interno. La spaccatura si prolunga, attraversa la crosta, la spezza a zig-zag, senza fermarsi. Una ragnatela di crepe, la coesione viene meno, scricchiolii sinistri. Il guscio esplode, il corpo di Nyce ne emerge più adulto – una ragazza nel fiore degli anni. I capelli lucenti, gli occhi chiusi in uno stato di estasi, la pelle nuda, completamente liscia, l'anatomia di una bambola. E due maestose ali da farfalla si aprono di fronte ai presenti, dipinte dei colori dell'arcobaleno.
13.
Diretto per Norfold (III)
Nyce atterra con leggerezza, dispiega le ali con vanto, incrocia le braccia di fronte al petto.
“Oh, che cattivi. Volevate interrompere la mia muta.”
Liliel socchiude le palpebre, scuote il capo, disorientata.
“E... ehi! Come hai fatto a crescere così in fretta?! Eri una bambina fino a...”
Nyce porta l'indice alle labbra, un occhiolino in direzione dell'angelo.
“Ma io sono ancora una bambina! Ho solo sei anni, dopotutto!”
Le ali spiegate, due occhi maestosi disegnati in tinta dorata, arabeschi, spirali e motivi variopinti.
“Ne dimostro solo qualcuno di più! Dici che da adolescente sono più carina? Posso cambiare la mia età apparente a mio piacimento!”
Rejo inclina la testa in avanti, massaggia il mento con tranquillità.
“Un corpo perfetto, ma privo di dettagli anatomici, come quello di una bambola. Piatto come una tavola. No, non mi tenta per niente. L'unica eccezione sono le ali.”
Nyce unisce le mani, gli occhi brillano di luce propria.
“Ti piacciono davvero?”
“Devo ammettere che sono stupende, quasi più belle di quelle degli angeli.”
Rejo estende il braccio destro, le spire di lino ocra si attorcigliano attorno alle giunture. Un ghigno sarcastico, le pupille ristrette.
“Sarà un piacere strappartele di dosso!”
“E... eh?”
“Sudario eterno, primo mistero...”
I polsi sovrapposti, serpenti di tessuto emergono dalle maniche, aggrovigliati in un intreccio letale.
“... Spire della Sindone!”
Le strisce si intrecciano l'una con l'altra, formano una figura mostruosa. Un serpente di lino, gli occhi fiammeggianti, la bocca spalancata. Nyce sbatte le ali, salta all'indietro, le unisce in uno scudo improvvisato. Le fauci squarciano la membrana, passano attraverso, si fermano a cinque centimetri dal viso. E lì rimangono.
“Ah, ah, ah! Perfetto! Perfetto!”
“C... cosa?”
Le ali di Nyce si avviluppano al tessuto, lo inglobano, si fondono alla tela, diventano un tutt'uno indivisibile. Rejo immobile, le braccia bloccate, i muscoli contratti. Lo sforzo immane, l'inutile tentativo di estrarre il serpente. Nyce abbassa leggermente le ali, mostra gli occhi di ghiaccio al nemico.
“Queste ali erano il mio vestito, padre. Sono fatte di tessuto, esattamente come la Sacra Sindone...”
Uno scatto secco, le spire liberate di colpo. Rejo si sbilancia, cade a terra, trascinato dalla foga della serpe. Nyce solleva i palmi al cielo, continua indisturbata a parlare.
“... e sa qual è la cosa più straordinaria? Che possono assorbire qualunque tessuto, per diventare più belle e forti!”
Le ali si estendono, afferrano la manica destra di Rejo, la avvolgono completamente, il colore lascia il posto ad un nero di pece. Le membrane pulsano per qualche istante, si allargano, si restringono. Poi, si staccano. Lasciando solamente la pelle nuda.
“Eh?! Ma cosa...”
Sinisa urla a squarciagola, gli occhiali saltano sul naso.
“No! No! Non la toga cerimoniale ufficiale! Ora come lo spiego alla Santa Sede?!”
Rejo gli getta un'occhiataccia, batte sarcasticamente le mani.
“Grazie per esserti sinceramente preoccupato per me, eh?”
Le ali si riformano, più grandi e lucenti di prima. Nyce accarezza le membrane di seta, un bacio fugace sulla superficie morbida.
“Fantastico, non è vero? Booth è stato così gentile a regalarmi questo potere...”
Liliel digrigna i denti, brandisce la daga.
“Bell Z. Booth?! Il braccio destro del Maligno?”
“Proprio lui! È una persona così a modo! Il signor Booth è sempre stato tanto gentile con me! Mi ha donato queste bellissime ali, a condizione che assorbissi la Sacra Sindone da un certo padre Rejo...”
Un ghigno compiaciuto, l'indice puntato sul trio.
“... ma non posso farlo finché è vivo. Il signor Booth mi ha detto che è legata ai suoi tendini. Quindi, prima devo smembrarlo.”
Le ali si attorcigliano, si induriscono, si trasformano in una coppia di lame affilate.
“Non le dispiace, vero, padre?”
Un guizzo mortale, il tessuto compatto diretto al collo di Rejo. Uno scatto di reni, Liliel si para di fronte con la daga, intercetta l'assalto, viene scagliata via dall'impatto. Una schienata contro le pareti del vagone, la caduta a terra. Sinisa preme gli occhiali, rotea il pennello come un bastone da majorette. Un cerchio perfetto tracciato a mezz'aria, la precisione assoluta.
“Proiezione Ortogonale!”
Una colonna di luce diretta verso il cuore di Nyce. La ragazza chiude le ali, le trasforma in uno scudo impenetrabile. L'energia riflessa, dissipata, nessuna figura incisa sulla superficie.
“Dannazione...”
Nyce restituisce alle ali la loro forma originaria, si perde in un sospiro.
“Ce l'avete tutti con me...”
Una minuscola lacrima lungo la guancia, il dolore materializzato per un istante infinitesimo.
“Solo perché non sono come voi. Solo perché mi hanno fuso con i resti di demoni innocenti.”
Nyce raccoglie le gambe all'addome, si accoccola sul pavimento.
“Solo perché non avete il mio potere.”
Le ali si ricompattano, una tempesta di lance emersa dal nulla. Dieci, venti, cento punte acuminate, dirette sul trio come una pioggia inarrestabile.
“Petali di Sangue!”
Liliel agita la daga, scatena una contraerea di acciaio, risponde colpo su colpo. Due lance superano lo sbarramento, si avventano sull'angelo.
“No!”
Rejo si para di fronte a Liliel, si lascia colpire al suo posto. Le punte trafiggono una spalla, l'addome, un fianco.
“Aaaaagh!”
“Oh, che peccato! Ho sbagliato bersaglio! Ma non importa, no? Tanto, devo uccidervi tutti.”
Le lance affondano nella carne, trapassano i muscoli. Rejo pianta i piedi a terra, ogni fibra del corpo contratta fino allo spasmo.
“Sudario eterno... secondo... mistero... Costrizione!”
Lacci color ocra fuoriescono dalle ferite, avvolgono le punte, le bloccano sul posto. Nyce tira a tutta forza, cerca inutilmente di liberare le ali.
“Ugh! Non vengono via! Com'è possibile?!”
Nyce richiama le strisce rimaste libere, le ricompatta in lame,
“Se non le molli, ti taglio la te...”
“Assonometria Monometrica!”
Tre cerchi disegnati in aria, da tre lati differenti. Le colonne di luce si accendono, si proiettano sul bersaglio. Nyce scompone le ali, le chiude a scudo, riflette l'attacco di Sinisa, rimane scoperta per un istante.
Un istante di troppo.
“Sudario eterno, terzo mistero...”
Le spire gorgogliano, si avvolgono attorno a Rejo come pitoni, sgorgano come un fiume in piena.
“... Tomba del Golgotaaaaa!”
La sindone risale lungo le lance, si avvolge attorno alle braccia, alla vita, alle gambe di Nyce, la crocifiggono, ingabbiano le ali, le legano impedendone ogni movimento.
“E... eh?!”
Nyce tenta di liberarsi, uno sforzo immane.
“Sono paralizzata! Non riesco a muovermi!”
Rejo contiene le appendici nel suo corpo, non molla la presa, ringhia come una bestia ferita.
“La Tomba del Golgota non lascia scampo. Una volta che la Sindone ti ha stretto tra le sue grinfie, sei finita. Nessuna tecnica può liberarti... e uccidermi non serve a niente. Se muoio, la sindone ti farà a pezzi, prima di tornare inerte.”
“N... no! Fermati! Io sono solo una bambina! Non ho fatto nulla di male.”
“Questo lascialo... decidere a me.”
Rejo si strappa la toga di dosso, rimane a torso nudo, unisce le mani in preghiera, un'aura dorata si infiamma attorno al corpo, gli occhi azzurri animati da una volontà inarrestabile.
“Il mio corpo è fatto di spire. La mia volontà è la sua volontà. Possa questa reliquia guidarti verso l'oltretomba.”
Una fessura si apre sul petto di Rejo in uno scoppio di luce, la mano destra penetra all'interno, afferra un'impugnatura, la estrae a fatica, il dolore palese in ogni movimento.
“Sudario eterno, mistero supremo...”
Una lancia di lino arrotolato, scintillante come una stella, puntata verso il corpo inerme della ragazza, la fessura si richiude, una cicatrice a forma di croce sullo sterno.
“... Lancia di Longino!”
L'arma si allunga all'istante, trapassa il cuore di Nyce, perfora la schiena, colpisce il tetto del vagone.
“Aaaaaaaaah!”
Un urlo disperato, lacrime, terrore, mentre il sangue sgorga dalla ferita. La voce fievole, occhi tristi, opachi, le ali perdono vigore, si staccano da Rejo.
“Io... volevo solo... giocare... un... po'...”
La lancia si sfalda, la croce perde forma. Il corpo di Nyce crolla a terra senza vita, come un burattino senza fili lasciato cadere dal marionettista. Rejo raccoglie le spire striscianti, le richiama a sé. La mano circondata da un alone bianco, passa sulle ferite causate dal nemico.
“Intervento divino, primo miracolo – Guarigione degli Infermi.”
Gli squarci si chiudono senza lasciare cicatrici, la pelle rigenerata riprende il suo posto. Liliel osserva malinconicamente la ragazza, gli occhi ancora aperti, le labbra leggermente socchiuse.
“Forse... poteva finire in un altro modo.”
Rejo risponde con tono secco, una venatura malinconica in sottofondo.
“Mi dispiace, non avevo alternative. Ma ora devo fare penitenza. Ho ucciso un essere umano... o quello che ne rimaneva. La Sindone mi ha permesso di farlo solo perché era un ibrido.”
Un lungo sospiro, Rejo scuote il capo più volte.
“Sinisa? Portami un'indulgenza, per favore. Devo purificarmi.”
“M... ma padre! Potrebbe usarle tutte alla fine del viaggio, no? Perché proprio ora?”
“Fallo e basta!”
Sinisa annuisce con poca convinzione, corre verso il vagone coi bagagli. Liliel incrocia le braccia, si porta davanti al prete, osserva per un lungo istante i pettorali dell'uomo.
“Qualcosa non va?”
Liliel arrossisce, distoglie lo sguardo.
“P... perché hai tutte quelle cicatrici?”
“Lo scoprirai tra un secondo.”
Rumore di passi nel corridoio, Sinisa torna con un pezzo di carta in mano, lo porge a padre Rejo.
“Eccola!”
“Grazie. Ora, allontanati.”
Rejo stringe il foglio con entrambe le mani, lo porta all'altezza del cuore.
“Mio Dio, mi pento e mi dolgo delle mie azioni, che hanno causato dolore contro la Tua volontà. Sono pronto ad accettarne lo scotto. Che il mio corpo sia marchiato per sempre per la mia infamia, ma la mia anima venga depurata dal mio peccato...”
L'indulgenza prende fuoco, si dissolve in una nuvola di cenere. Un taglio diagonale inizia a squarciare l'addome, Rejo trattiene un grido, lacrime soppresse, i muscoli contratti. La ferita si rimargina subito, una cicatrice ne prende il posto, segnando la pelle.
“... amen.”
Rejo butta fuori l'aria, si lascia andare in un sospiro di sollievo.
“Okay, ora possiamo raggiungere la motrice e riattivare questo stupido treno. Norfold ci aspetta.”
Liliel osserva sconvolta, balbetta qualcosa di incomprensibile.
“Quindi, ogni cicatrice...”
“Esatto, angelo.”
“M... ma perché proprio adesso?”
Rejo solleva lo sguardo al soffitto, incrocia le braccia
“Perché stiamo per incontrare una persona speciale... e non posso presentarmi a lui con l'anima sporca.”
“Q... quanto speciale?”
“Credo che potremmo definirlo...”
Rejo abbozza un sorriso, gli occhi azzurri nuovamente pieni di vitalità.
“... l'uomo più vicino a Dio.”
14.
Il Circo della Luna Rotta (I)
Periferia di Limularia. Un grosso tendone da circo, blu e rosso. Rattoppi, cuciture, teloni malmessi, un'impalcatura improvvisata formata da tubi di piombo. Un demone vestito da clown seduto sulla piattaforma malferma, ago e filo usati con perizia per riparare un vistoso strappo. Un sospiro lamentoso, la lingua sibila tra i denti della bocca superiore.
“Ehi, Ogotchka! Qui ho quasi finito!”
Un grugnito d'intesa dall'interno, l'incedere di passi pesanti.
“Quasi non è abbastanza! Cerca di sbrigarti, siamo già in ritardo!”
Uno sbuffo risentito, i quattro occhi senza pupilla si accendono di luce azzurra.
“Va bene, va bene.”
Il demone torna alle sue mansioni, le quattro braccia trattengono la tela, uniscono i lembi con decisione e precisione. La Luna trionfa nel cielo, scintilla sulle strutture di metallo ritorto. Un'ombra sul viale, in lontananza, un cenno di saluto. Il demone aguzza la vista, cerca di distinguere la sagoma. Un sorriso abbozzato sulla bocca inferiore, l'urlo a pieni polmoni.
“Vrai! Ce ne hai messo di tempo a tornare!”
Vrai emerge dalle tenebre, ricambia il sorriso, corre fino alla base del tendone.
“Ciao, Sasoo! Ho avuto un piccolo... ehm... contrattempo.”
Sasoo incrocia le braccia, inarca un sopracciglio.
“Non ti sarai addentrato nella città morta, vero? Ramante non ce lo perdonerebbe mai! Ogotchka ha già fatto tanto per...”
“Credo che Ramante avrà altro a cui pensare, almeno per un po'.”
“Uh, se lo dici tu...”
Quattro figure indistinte alle spalle del ragazzo, una camminata lenta verso il circo. Sasoo scuote il capo, stringe gli occhi.
“E... ehi! Chi sono quelli?”
“Quelli? Oh, ehm... sono delle persone che ho incontrato per strada. Avevano bisogno di un posto tranquillo dove passare la notte e...”
“Ho capito. Li hai invitati. Non credo che ci siano problemi, non è la prima volta che succede.”
Vrai si esibisce in un inchino, le braccia estese in una posa scenografica.
“Lascia che te li presenti! Allora... le due ragazze si chiamano Eden e Mikael. Eden è quella bionda e carina, invece la tappetta...”
Un pugno sulla nuca, la testa di Vrai sprofonda nel fango. Eden lo prende per un braccio, lo aiuta a rialzarsi da terra. Un bernoccolo pulsante tra i capelli blu, le lacrime agli occhi.
“Ahio! Okay, okay. Mikael è la ragazza minuta e nevrotica.”
Sasoo sogghigna divertito, accarezza il mento con gli artigli.
“In giro per pollastre, eh? Chi sono gli altri due?”
Ledger si fa avanti con tranquillità, il cappellaccio calato sul viso.
“Mi chiamo Ledger Mihowck. Sono un baro professionista in cerca di impiego.”
“Ooooh! Piacerai di sicuro a Vrai, allora! Lui con le carte ci sa fare davvero!”
L'indice puntato verso l'ultima figura, leggermente in disparte rispetto alle altre.
“E chi sarebbe quel simpaticone silenzioso?”
Ledger rivolge lo sguardo ad Ashburnt, abbassa leggermente la sciarpa per parlare meglio.
“Lui è...”
“... Thorn! È un indovino errante!”
Vrai si intromette nel discorso, gocce di sudore freddo lungo il viso. Ledger rimane sorpreso per un istante, riprende il controllo, tiene il bluff.
“Sì, esatto. Ed è anche piuttosto bravo.”
Eden si sporge in avanti, osserva Ledger senza comprendere.
“Un indovino? Ma padre Cross è un...”
Vrai agita le mani, strabuzza gli occhi.
“Z... zitta per carità! Non posso dirgli che è un esorcista ammazzademoni!”
“Un... un...”
Sasoo spalanca entrambe le bocche, le braccia aperte di scatto.
“Waaaaaaaah! Ogotchkaaaaaaa!”
Gli artigli strappano il tendone appena rattoppato, un salto nel vuoto di parecchi metri. Bisbigli, sussurri all'interno, caos generale, grida, strepiti. Vrai socchiude le palpebre, la mano stampata sulla fronte.
“Ecco, lo sapevo.”
Passi lenti fino al tendone, i piedi puntati di fronte all'ingresso.
“Sasoo? Stavo scherzando! Sasoo?!”
Nessuna risposta, solo un chiasso infernale. Vrai sbuffa, afferra la tenda, la apre con decisione. Una dozzina di demoni tremanti accatastatati dall'altro lato del circo, stretti attorno ad una figura imponente. Gambe corte, pancia prominente, quattro minuscole braccia da rettile dotate di artigli, il muso leggermente allungato, la pelle nera a scaglie. Un panciotto scuro, la camicia bianca, un cilindro indossato sul capo. Vrai si fa avanti, cammina sulla pista in direzione della figura. Il demone alza una delle mani tetradattili, balbetta qualcosa con voce profonda.
“V... vattene! Lasciaci in pace!”
“Ehi, Ogotchka! Era solo un gioco, davvero. Un'accoglienza speciale per i nostri ospiti...”
Vrai socchiude gli occhi, un sorriso crudele aperto sul volto.
“... nel pieno spirito del Circo della Luna Rotta.”
Ogotchka borbotta, corruga la fronte, fa oscillare la mandibola. Prima di scoppiare in una risata sguaiata.
“Ah, ah, ah! Il piccolo Vrai è cresciuto su bene, eh? Tutto merito del papà!”
Ogotchka si stacca dal resto del gruppo, gli occhi rossi scintillano nella penombra.
“Dai, su, fai entrare i tuoi amici! Voglio conoscerli di persona!”
Eden fa capolino dall'ingresso, osserva l'interno con curiosità.
“Un circo di demoni?”
Ogotchka si schiarisce la voce, porta due pugni sui fianchi con orgoglio.
“Sì, signorina! L'unico e vero Circo della Luna Rotta!”
Eden saltella tutta eccitata, unisce le mani, sorride con calore.
“Mi chiamo Eden! Piacere di conoscervi!”
I demoni si rilassano un po', alcuni si staccano dal fondo, altri iniziano di nuovo a parlare.
Ashburnt entra nella tenda, sistema gli occhiali sul naso, assume un'espressione di sfida.
“Io, invece, sono padre Thornheart Ashburnt. E sono un esorcista della Santa Chiesa.”
Urla, panico generale, i demoni si gettano sotto le panche, dietro il palcoscenico. Sasoo si aggrappa ai piloni di metallo, cerca di raggiungere il tetto. Vrai chiude le palpebre, inclina il capo in avanti.
“Sigh... che cosa ho fatto di male? Cosa?”
Eden rotea gli occhi, si porta al centro della pista, stringe i pugni, la voce roboante.
“Allora, volete piantarla di urlare?”
Un secondo di silenzio, Ogotchka si rialza in piedi, spolvera il cappello a cilindro. Eden osserva il risultato soddisfatta, le iridi rosa brillano di luce propria.
“È vero, padre Ashburnt è un esorcista... ma non è un mostro! Non ha mai ucciso un demone innocente da quando sono con lui. E potete credermi, perché...”
La lingua biforcuta scivola tra le labbra, le pupille ristrette a fili sottili.
“... io ero una succube.”
Il tumulto sedato, i demoni si fermano, Sasoo rimane a metà strada. Vrai annuisce, come per confermare la versione della ragazza. Ogotchka ripone il cappello sulla testa, squadra Eden dalla testa ai piedi.
“Aspetta, aspetta... hai detto di chiamarti Eden?”
“Sì, perché?”
La bocca si apre in un sorriso a cinquanta denti, un urlo verso il backstage.
“Misiaaaaa! Puoi venire un attimo?”
Una voce femminile in risposta, delicata e squillante assieme.
“Cosa c'è, Ogotchka?! Stavo finendo di truccarmi...”
Rumore di passi leggeri, una ragazza vestita da pierrot, il cappello a cono in testa, una lacrima nera disegnata sulla guancia. Capelli rossi come il fuoco, lunghi sino alle scapole, occhi ambrati, incarnato chiaro, lineamenti dolci e sensuali allo stesso tempo. Ashburnt trattiene a stento la mandibola, gli occhi fuori dalle orbite. Eden socchiude le palpebre, cammina verso la nuova arrivata.
“Non ci credo...”
“Oh!”
Misia incrocia le braccia dietro la schiena, inclina leggermente il capo.
“Sei proprio tu?! Non è uno scherzo, vero?”
“Misiaaaa!”
Eden le corre incontro la abbraccia con furore, Misia ricambia il gesto di affetto, stringe con tutte le sue forze.
“Eden! La piccola Eden! Da quanto tempo!”
Ledger entra all'interno del tendone, fissa le due con curiosità. Vrai gli si avvicina rapidamente, sussurra sottovoce.
“Non farti ingannare dalle apparenze. Misia non è quello che sembra.”
“Fammi indovinare... la sua dieta è a base di vestiti usati?”
“Precisamente.”
“Capisco. Credi che padre Ashburnt se ne sia accorto?”
“A giudicare dalla bava, direi di no.”
Le due ragazze si guardano negli occhi, ridono all'unisono.
“Perché sei conciata così, Mi? Io sono stata trasformata da Booth, ma tu...”
Misia stringe le palpebre, corruga la fronte.
“Aspetta. Vuoi dirmi che non stai usando i tuoi ormoni per apparire come una di loro?”
Eden abbassa lo sguardo, nasconde l'imbarazzo.
“N... no, Misia, purtroppo no. Sono... sono un essere umano adesso. O qualcosa che ci somiglia molto.”
“Povera piccola! Lascia che ti coccoli un po'...”
Una nebbiolina violacea attorno al corpo, l'immagine oscilla, perde stabilità.
“... con il mio vero aspetto.”
La figura di Misia si scioglie, cambia in un istante, mostra ciò che è in realtà. Ali membranose, pelle nera come il carbone, due occhi ambrati privi di pupilla, denti da squalo, mani artigliate, il seno prorompente trattenuto a malapena dal vestito bianco di prima. Ashburnt riemerge dallo stato catatonico, cade a terra per la sorpresa, urla come un ossesso, la bocca spalancata.
“U... una succube! Una vera succube! Con tutti gli attributi in regola!”
Eden gli lancia un'occhiataccia, scariche elettriche scagliate dagli occhi.
“Questo. Era. Un colpo. Basso.”
Misia cinge il corpo dell'amica con grazia, sfiora le guance con le dita deformi.
“Non prendertela, Eden. Sei sempre bellissima, proprio come ti ricordavo. La tua immagine umana era tra le mie preferite, quando ci trasmettevamo le conoscenze!”
Eden abbozza un sorriso, saltella tutta contenta.
“Come dimenticarlo? Tutte le ore passate a scambiarci le abilità! Senza di te, non avrei mai imparato a recitare così bene la parte della brava bambina desiderosa di affetto!”
“E io non avrei mai saputo che esistono così tante posizioni per fare...”
“Ehm...”
Ledger interrompe il discorso con un colpetto di tosse, nasconde il viso nella sciarpa, preme il cappellaccio sulla testa.
“Detesto intromettermi, ma si sta facendo tardi e dovremmo riposare. Soprattutto tu, Eden. Hai avuto una giornata difficile e...”
Eden lo fissa a lungo negli occhi, li vede spostarsi inquieti, cercare rifugio sotto la tela scura. Un sorriso malizioso, la lingua scivola tra le labbra.
“D'accordo, d'accordo. Lasciami solo salutare Misia come si deve. Un bel bacio da succube a succube, con tanto di...”
“N... no! Fermati!”
Ledger distende il braccio, la mano aperta, le pupille ristrette. Un attimo per rendersi conto della situazione. Dello sguardo di tutti i presenti. Misia sogghigna divertita, massaggia il mento appuntito. Ledger afferra nervosamente il cappello, lo cala ancora di più sul viso.
“Ehm... scusate. Sono un po' stanco anche io, fate pure come se non ci fossi.”
Eden scambia un occhiolino con Misia, si stacca da lei, raggiunge Ledger a passi veloci, lo prende per mano.
“Sei geloso, eh?”
Ledger congelato, le parole bloccate in gola, un grugnito privo di forma e sostanza. Eden lascia la presa, sorride dolcemente, le gote lievemente arrossate.
“Lo prendo come un sì.”
Ogotchka batte le mani con forza, tutte e quattro a tempo.
“Signori, grazie per il siparietto, ma è il momento di andare a nanna. Domani mattina si parte per Verence e dobbiamo essere in forma!”
Ashburnt tende l'orecchio, preme gli occhiali contro il naso.
“Verence, eh?”
La mano destra tenuta saldamente in tasca, la determinazione esplode nelle iridi.
“Vi dispiace se veniamo con voi?”
15.
Il Circo della Luna Rotta (II)
Strada per Verence, nodo di comunicazione numero trentasette. Il Sole del mattino scintilla nel cielo, l'orizzonte tinto di rosa chiaro. Il rombo sordo dei motori, le gomme dei tir si trascinano tra la sabbia ruvida. Il tendone ripiegato, sistemato nel rimorchio del tir più grande. Misia guida con destrezza, gli artigli stretti attorno al volante, Ogotchka e Ashburnt seduti a fianco a lei. Ogotchka spolvera il cilindro, getta un'occhiata distratta al vano posteriore. Una dune buggy scura, le ruote bloccate con ganasce. Eden seduta sul pianale, la schiena appoggiata alla macchina, la testa inclinata sulla spalla di Ledger, in silenzio.
Ogotchka sospira, torna a fissare la strada.
“Crede che sia successo qualcosa di grave, padre?”
Ashburnt ripulisce gli occhiali con cura, li ripone sul naso, incrocia le braccia.
“Sì, temo di sì.”
Misia gli rivolge un'occhiata interrogativa, distoglie lo sguardo per un attimo.
“Come fa ad esserne così sicuro?”
Un cenno del capo, in direzione del retro.
“Ledger non la sta allontanando come al solito. Ha deciso di starle vicino.”
“E... e quindi?”
Ashburnt serra le palpebre, corruga la fronte.
“Se lo conoscesse quanto me, saprebbe cosa significa.”
**
Periferia di Limularia, la notte precedente.
Eden e Misia sedute su una panca a chiacchierare, la luce della Luna a rischiarare il buio.
“Ma quindi, stai con lo storpio? Ti piace veramente?”
Eden arrossisce, abbozza un sorriso.
“Forse. È... complicato.”
Misia scrolla il capo, lascia ticchettare i denti più volte, batte gli artigli in un applauso sgraziato.
“Oh, la piccola Eden innamorata! E di un umano, per giunta! Non avrei mai pensato che potesse succedere!”
“I... infatti non è ancora successo!”
“Brava, brava. Negare sempre.”
Misia distende le braccia, sbadiglia, si stiracchia. Una rapida occhiata all'orologio da polso, uno sbuffo risentito.
“Uh, si è fatto tardi. Domani devo guidare uno dei tir più grossi, quello in cui carichiamo anche la vostra macchina. Se non riposo abbastanza, Ogotchka mi uccide.”
Eden annuisce, lascia il posto a sedere.
“Vado a dormire anch'io. Buonanotte!”
Un bacio sulle labbra mostruose, ad occhi chiusi, prima di lasciarsi la succube alle spalle. Passi lenti, cadenzati, verso uno dei carrozzoni. Eden trotterella con tranquillità, senza fretta. Una figura in piedi, di fronte alla porta, mescolata alle tenebre. Eden si ferma all'improvviso, tenta di identificarla.
“Miki? Cosa ci fai ancora in...”
“Ti stavo aspettando.”
Mikael tira giù il cappuccio, lascia risplendere l'aureola, gli occhi brillano di luce propria. Eden deglutisce rumorosamente, alza istintivamente le braccia.
“Ho fatto qualcosa di male?”
Mikael alza le braccia al cielo, una colonna di fiamme comparsa dal nulla, Balmung evocata quasi senza parlare. Uno scatto fulmineo, le ali spiegate, la lama puntata al mento di Eden, a pochi centimetri di distanza.
“M... Mikael?”
“Perché?”
I denti digrignati, il volto rigato dalle lacrime.
“Perché Ramante mi ha lasciata indietro?”
La mano stretta saldamente attorno all'impugnatura, le dita doloranti.
“Perché ha rapito te... anche se eri una demone?”
Eden scuote il capo, cerca di capire.
“Miki, cosa stai dicendo?! Sembra quasi che ti dispiaccia!”
“Cos'hai tu più di me? Perché... perché non ti sei spenta anche tu, nel suo mondo interiore? Perché sono collassata solo io?”
“N... non lo so. Credevo che fosse collegato all'avere o al non avere un'anima, ma...”
Un calcio nello stomaco, Eden crolla a terra, i gomiti attutiscono la caduta.
“S... stai dicendo che non ho un'anima? Che ho qualcosa di meno rispetto ad un essere umano... o a te? No, non posso accettarlo!”
Eden balza in piedi, si mette in posizione di guardia.
“Miki, smettila! Neanche io ho un'anima!”
“Ma tu sei rimasta cosciente. S... solo io...”
Il dolore represso cristallizzato in un fiume in piena, Balmung divampa, brilla come il Sole di mezzogiorno.
“... mi sono disattivata...”
Una pausa di un istante, il coraggio di pronunciare le ultime sillabe.
“... come uno stupido pupazzo.”
**
“Le ho già spiegato perché il nostro si chiama Circo della Luna Rotta, padre?”
Ashburnt riemerge dai pensieri, inquadra Ogotchka con fare distratto.
“No, credo di no.”
Ogotchka batte le mani sulla pancia, si schiarisce la voce.
“Noi demoni non abbiamo anima. La nostra personalità, la nostra mente, i nostri ricordi... sono un tutt'uno col nostro corpo. Quando moriamo, le nostre ceneri mantengono qualcosa di noi. Credo che si chiami memoria somatica.”
Misia annuisce, senza aggiungere nulla. Ashburnt osserva annoiato il paesaggio, senza prestare troppa attenzione.
“Non riesco a comprendere il collegamento.”
“Sa come nascono i demoni, padre?”
“No, non esattamente. Voglio dire, so qual è l'origine dei primi demoni, ma quelli dalla seconda generazione in poi...”
Ogotchka batte il dito sulla tempia, riprende fiato.
“Lei ha incontrato un leviatano, vero? Pensi allo stesso processo che lo ha generato, ma in piccolo.”
“Intende dire...”
“Frammenti di demoni deceduti, assorbiti dalla Terra e redistribuiti in locazioni casuali, che si amalgamano e generano un nuovo individuo, con parte dei ricordi delle creature defunte. Copie imperfette, puzzle a cui mancano pezzi, se gradisce la metafora. In buona sostanza... rotti. Come la Luna del nostro simbolo.”
Un ampio gesto ad indicare Misia, i camion, tutto il convoglio.
“Noi siamo tutti demoni nati in questo modo... e proviamo una specie di empatia uno per l'altro. Così, abbiamo deciso di lavorare insieme e di portare un po' di gioia in questo mondo. Se noi siamo in grado di essere felici, allora chiunque può esserlo.”
“Tutti demoni rigenerati?”
“Tutti. Dal primo all'ultimo.”
“Cosa mi dici di Vrai?”
Ogotchka sogghigna divertito, batte le mani sulla pancia.
“Ecco, questa è una buona domanda...”
**
“M... Miki? Che cosa stai dicendo? Tu non sei un...”
“Tu sei una demone, anche se hai un guscio umano! Tu non hai un'anima! Ma allora... perché? Perché Ramante ti ha portato via? Perché era così interessato a te?”
Un pugno in pieno volto, Eden cade di nuovo, la nuca sbatte sul terriccio compatto.
“E Ledger? E... e Ashburnt?! Perché hanno deciso di portarti con loro?! Di portarsi dietro un mostro? Perché non hanno esitato neanche un attimo?”
Mikael punta Balmung alla base del top, la lama squarcia il tessuto verde, risale lentamente fino al collo, aprendo il vestito a metà.
“Forse, hai qualcosa sotto quella pelle finta? Magari, se te la strappo riesco a capire...”
“Miki! Sei impazzita?! Io...”
Mikael si siede sul bacino di Eden, le tira i capelli, mentre la spada lacera gli indumenti.
“Io non sono una cosa! Non sono una cosa come te! Io ho un nome, ho una mente! Non sono... non...”
Un'esplosione azzurra, a poca distanza, sprizzi di energia spirituale. Mikael si distrae, Eden libera il sinistro, la colpisce nell'addome. Mikael ruzzola a terra, un grugnito di dolore. Ledger compare dalle ombre, il cappello calato sul viso, gli occhi fuori dalle orbite.
“Basta! Smettetela subito! Cosa sta succedendo, qui?”
Eden si lascia cadere a peso morto, distende le braccia, il vestito strappato scopre parte del busto. Un sorriso amaro sul viso, uno sguardo riconoscente diretto verso Ledger
“Oh, niente! Ci stavamo baciando con passione e abbiamo... ehm... un po' esagerato.”
Ledger tira un sospiro di sollievo, distoglie lo sguardo, il rossore del viso nascosto con poca convinzione.
“Sì, certo, come no.”
Passi pesanti verso Mikael, l'artiglio spettrale teso in aiuto.
“Me lo dici tu perché la stavi spogliando?”
Mikael si porta in ginocchio, le ali scomparse, le braccia strette attorno al corpicino tremante, gli occhi gonfi, rigati dalle lacrime.
“M... mi sento così stupida...”
Mikael si rialza, lo sguardo basso, il contatto oculare negato.
“H... ho da... sono stanca. Meglio... meglio se vado a dormire, sì. Meglio.”
Andatura barcollante, passi incerti verso il carrozzone, nel buio della notte. Ledger fa per inseguirla, allunga il braccio umano.
“Aspetta! Cosa...”
Un forte strattone alle sue spalle, Eden tira il mantello con forza.
“L... Ledger...”
Ledger si abbassa, ruota verso la ragazza. Un abbraccio improvviso, il corpo di Eden scatta in avanti, stringe il ragazzo con forza. Gli occhi rosa velati, incerti, i capelli biondi sparsi, disperazione palpabile.
“Io... io per te sono una cosa? Dimmi la verità! Dimmelo, ti prego! I... io non ho un'anima. P... potrei essere finta, potrei essere solo un bizzarro incrocio di sentimenti e ricordi altrui, potrei...”
Ledger socchiude le palpebre, un tenero bacio sulla guancia.
“Anche se fosse vero, non me ne importerebbe nulla.”
**
“... ma la risposta richiederebbe troppo tempo. Siamo quasi arrivati, lascerei la storia a metà.”
Ogotchka punta il dito verso il termine della strada.
“Fra poco dovremmo vedere i grattacieli di Verence. Sono uno spettacolo impressionante, se uno non c'è abitua...”
Una nube grigia all'orizzonte, imponente, titanica. Le parole si congelano nella gola di Ogotchka, si rifiutano di uscire. Ashburnt si sporge dal finestrino, urla in direzione di Misia.
“Ferma subito il camion!”
Misia preme sul freno, il gigante di metallo si arresta bruscamente, le gomme strisciano sull'asfalto accidentato. Un urlo sorpreso dal vano posteriore, Ledger stringe Eden con forza, un accidente gridato a squarciagola.
“Cosa sta succedendo?”
“Tenetevi forte!”
I tir si arrestano uno dopo l'altro, seguono l'esempio del capofila. Clacson, caos, rumori metallici, lo stridio dei freni. Ashburnt balza giù dal veicolo, aggiusta gli occhiali, osserva allibito. La bocca spalancata, i muscoli rigidi. Ogotchka scende malamente dal suo posto, rimbalza sul terreno, cammina fino ad Ashburnt. Lo sguardo terrorizzato, le mani stropicciano le pupille, il capo scosso più volte.
“Ma... ma...”
Mikael scende da un veicolo vicino, il cappuccio calato sulla testa. Un moto di orrore puro, il riflesso delle fiamme sulle iridi dorate.
“Mio Dio...”
Vrai ragiunge il gruppetto, trafelato. Il fiato corto, deficit d'ossigeno.
“E... ehi, Ogotchka! Perché ci siamo fermati così? Non... non dovevamo raggiungere Verence?”
“Vrai...”
Uno sguardo scioccato in direzione del giovane, gli occhi rossi completamente dilatati.
“...Verence non esiste più.”
16.
Verence in Fiamme (I)
“Ehiiii! C'è nessuno?!”
“Rispondete, vi prego!”
Vrai si fa largo tra le rovine fumanti, lo sguardo smarrito. Sasoo lo segue a breve distanza, avanza lentamente tra i calcinacci. Un'occhiata nervosa alle spalle, ai demoni rimasti con i furgoni. Pronti alla fuga. Ashburnt e Ledger dall'altro lato della strada, Eden controlla negli angoli ciechi dei due.
“Peggio che a Limularia...”
Mikael osserva in silenzio, rimane indietro. Fiamme altissime tutto attorno, un incendio di dimensioni colossali. Vetri spaccati, tondini fusi, cemento annerito. Scheletri d'albero sparsi sui marciapiedi, l'asfalto crepato. Segni di lotta, mezzi corazzati in panne. Un blindato rovesciato su un fianco, pistole e altre armi sparse tutto attorno. Ashburnt strabuzza gli occhi, incapace di comprendere.
“Sembra l'apocalisse. Una pioggia di fuoco e sangue...”
Mikael sospira, tira un calcio ad un sasso.
“No, padre. Quando sarà il momento giusto, mi chiameranno dal Cielo per guidare le schiere degli angeli. Per vostra fortuna, non ho ancora ricevuto alcun ordine in merito.”
“Sei più acida del solito. Cos'è, ti sei svegliata male?”
“Non sono affari suoi.”
Vrai salta tra un rudere e l'altro, cerca di raggiungere una posizione elevata. Sasoo gli sta dietro a fatica, incespica, sbuffa pietosamente.
“A... aspettami! Non riesco a...”
“Dopo, Sasoo. Voglio capire cosa è successo.”
Un balzo, un altro balzo. Il tetto di una palazzina raggiunto in pochi istanti, lo sguardo rivolto verso il centro città. Verso il fulcro dell'incendio.
Una marea di vampe scarlatte, fumo nero come il carbone, il cielo oscurato. Nessun cadavere, nessun corpo. Solo una figura indistinta, avvolta da un vento di braci.
“C'è qualcuno là in fondo.”
Ledger aguzza la vista, un ronzio metallico, la pupilla si contrae e si dilata a ritmo.
“Sembra... un essere umano.”
Una lunga tunica marrone chiaro, strappata, un cappuccio calato sul capo. In piedi, trionfante. Circondato dall'inferno terrestre.
Ashburnt tenta di scorgere qualche dettaglio, senza successo. Eden si morde il labbro, socchiude le palpebre.
“Un essere umano sarebbe già morto per asfissia.”
Mikael raggiunge Vrai senza troppa fatica, abbassa lo sguardo. Il ragazzo ruota leggermente la testa, la accoglie nel suo campo visivo.
“Sembra che abbiamo a che fare con qualcosa di grosso. Forse è meglio se ti fai da parte, angelo. Potrebbe essere troppo pericoloso, per te.”
“Sai con chi stai parlando, vero?”
Una risatina trattenuta a fatica, il mazzo estratto con maestria, una carta scivola fuori dal contenitore. Vrai la afferra al volo, prima che cada a terra, la posizione coperta sul palmo della mano.
“Come potrei dimenticarlo?”
Un gioco di dita, la carta svelata. Un due di bastoni.
“Una stupida che risolve tutto con la forza, lanciandosi a testa bassa contro il nemico. Un gattino che vorrebbe ruggire come un leone. Incapace di vincere da sola.”
Mikael digrigna i denti, la voce come una lama di ghiaccio, il tono carico di risentimento.
“Da sola, io ho sconfitto il Maligno, se non ti è ancora entrato in testa!”
“Ah, sì? Allora, perché hai faticato così tanto contro Ramante?”
I pugni stretti in un moto d'ira, gli occhi fiammanti.
“Ti dimostrerò che sbagli. Io non ho bisogno di nessuno.”
Vrai sogghigna divertito, massaggia il mento con due dita. Un tocco dell'indice, gli orecchini tintinnano delicatamente.
“Non vedo l'ora.”
Mikael scende dal tetto con un salto preciso, supera il gruppo con disinvoltura, cammina a passi lenti, le mani tenute nel tascone della felpa. Ledger distende il braccio, grida a squarciagola.
“Mikael! Fermati! Non sappiamo nemmeno se è un demone o...”
“Non lo scopriremo mai, se rimaniamo qui.”
“A... aspetta! Noi possiamo...”
Ledger scatta in avanti, tenta di afferrare Mikael per il braccio. Un movimento rapido, un pugno sul mento. Ledger prende il volo, si schianta sull'asfalto ruvido, striscia per qualche metro prima di fermarsi contro un muro di mattoni. Mikael lo ignora, gli volta le spalle, continua a camminare come se niente fosse.
“Non provate a interferire o vi ammazzo. Sono stata chiara?”
Mikael alza entrambe le mani al cielo, parole sussurrate sottovoce per evocare la sua arma. Un cerchio incandescente, Balmung materializzata dal nulla, il cielo annerito, gli occhi dorati superano la spada in splendore. Due scintille candide sulla schiena, le ali emergono in tutta la loro imponenza. Sasoo spalanca la bocca, gli occhi sgranati, le quattro mani attorno alla testa.
“U... un angelo! Abbiamo viaggiato con un angelo! S... se lo sa Ogotchka...”
Un urlo dal tetto, la voce acuta di Vrai.
“Zitto, Sasoo! Lasciami ammirare lo spettacolo...”
Vrai si accomoda sul cornicione, incrocia le gambe, punta lo sguardo all'orizzonte.
“... e preparati ai fuochi d'artificio!”
Mikael abbassa il cappuccio, l'aureola scintilla, l'intero corpo avvolto da vampe dorate. Il metallo di Balmung riluce nella cappa di fumo nero, la disperde ad ogni passo. Le nubi si separano, un corridoio di luce tra le tenebre. Le piume riflettono gli strali, un caleidoscopio di stelle ad oscurare persino il bagliore tetro dell'incendio. Mikael punta i piedi, solleva Balmung, assume posizione di guardia. La voce come un rombo di tuono, la maestosità di una tempesta in arrivo.
“Ehi, tu!”
La figura misteriosa sussulta, ruota su se stessa, inquadra la nuova arrivata. Un sorriso nascosto dall'ombra del cappuccio, lunghe ciocche castane riversate sull'abito strappato.
“Sì? Ho fatto qualcosa che non va?”
Nessun timore nella voce, un misto tra sfida e spavalderia.
“Dove sono tutti gli altri?”
“Tutti... chi? I vermi che infestavano questa città immersa nel peccato, intendi?”
Un gesto eloquente della mano, le dita avvolte in un guanto di metallo. Mikael si irrigidisce per un attimo, la presa vacilla.
“H... hai ucciso più di duecentomila persone?”
“Ucciso è una parola forte. Diciamo che ho offerto loro un viaggio a mie spese. Sì, così suona meglio.”
“Spero che tu abbia tenuto un biglietto per te.”
“Uh?”
Mikael solleva la lama al cielo, il metallo scarlatto splende con la luce di mille Soli.
“Balmung ammazzadraghi, io invoco il tuo potere! Infinity Slaaaash!!!”
Un'ondata di fuoco sacro, energia pura scagliata contro il bersaglio. Lo sconosciuto lancia un grido inumano, evita l'attacco all'ultimo secondo, atterra malamente sulla schiena, si rialza subito dopo. Un movimento rapido, una spada estratta dal fodero. L'acciaio scintillante, lettere di un alfabeto dimenticato incise sull'elsa dorata. La creatura distende la mano verso Mikael in un gesto di sfida.
“Balmung, hai detto? Bene, bene...”
Mikael si porta in posizione di guardia, analizza il nemico con calma. Movimenti speculari dall'altro lato del campo di battaglia, uno scontro di sguardi prima dell'assalto. La creatura continua a parlare come se niente fosse, il tono studiato.
“... non pensavo di rivederla così presto.”
“Rivederla?”
Un bang supersonico, le ali di Mikael sbattute alla massima potenza, un fendente verticale a squarciare l'aria. L'avversario solleva la spada di fronte al volto, para l'assalto, i piedi affondano nell'asfalto, la strada si spacca per la violenza dell'urto. L'urlo del metallo, una pioggia di scintille incandescenti, le lame danzano una sull'altra, senza un vincitore. Mikael abbassa la spada, il nemico si sbilancia in avanti. Una rotazione rapida del busto, Balmung taglia in orizzontale, una scia di fuoco dalla punta. Il nemico ritrova la posizione, blocca l'impeto, rispedisce il colpo al mittente. Una serie di scambi veloci, il clangore ripetuto. L'avversario si allontana con un balzo, consolida la posizione, impugna l'arma con entrambe le mani. Mikael si ferma per un istante, l'adrenalina a mille, la fronte imperlata di sudore, il fiato corto.
“N... non ha senso. Balmung dovrebbe spezzare quella spada senza problemi.”
Una risata in risposta, il capo scosso con scherno.
“Non hai studiato la lezione? Balmung non può tagliare...”
Il braccio sollevato al cielo, l'acciaio avvolto da un'aura dorata.
“... ciò che è imbevuto di energia sacra!”
Un urlo rabbioso, una colonna di luce elevata sino alle nuvole, la cappa nera squarciata.
“Ruggisci al suono dell'olifante! Durandaaaal!”
Un movimento secco della mano destra, un taglio orizzontale a velocità folle. La lama eterea passa attraverso i palazzi, spacca i tondini, distrugge il cemento, un arco di distruzione di centinaia di metri. Mikael si getta a terra, schiva l'assalto per un soffio, un grido terrorizzato. Ciocche di capelli neri incendiati, la superficie delle ali accarezzata dal fascio di energia, piume strappate con violenza, il cappuccio della felpa stracciato. Il tessuto prende fuoco, Mikael richiama le ali, rotola sulla schiena, spegne l'embrione di incendio, si porta in ginocchio. Gli occhi sgranati, il battito accelerato.
“D... Durandal?”
Un sorriso a trentadue denti, la lama mostrata con spavalderia.
“Oh, te la ricordi?”
“Quella spada è sparita a Roncisvalle, più di duemila anni fa! Scomparsa prima che potessimo recuperarla!”
Lo sconosciuto scrolla le spalle, il tono di voce divertito.
“Prima che voi poteste recuperarla.”
Mikael riprende Balmung, ritrova il coraggio, l'aureola al massimo dello splendore.
“Non so come tu abbia fatto ad averla... ma non importa.”
Le ali materializzate nuovamente, Balmung circondata da fiamme inestinguibili.
“Certe spade non basta averle. Bisogna anche saperle usare!”
Una pioggia di fendenti rapidissimi, il nemico sulla difensiva, Durandal e Balmung cozzano, scivolano una sull'altra, senza danni apparenti. Scie attorno ai combattenti, i movimenti impossibili da distinguere ad occhio nudo. Esplosioni, scoppi ripetuti, stridori, metallo contro metallo.
“Sì, sì, sì!”
Lo sconosciuto prende il tempo, procede a passo di danza, i ciuffi castani oscillano come pendoli, ogni colpo ricevuto aumenta l'estasi. Mikael ringhia come una bestia ferita, evita a stento i contrattacchi, resta sulla difensiva. Un contrasto duro, un calcio nello stomaco, l'angelo sbalzato all'indietro. Il nemico solleva la mano, la punta della lama si accende.
“Durandal, mostrami la via! Douze Paladiiiiins!!!”
Durandal completamente avvolta dalla luce, il movimento circolare della mano. La scia lasciata dalla spada si solidifica, dodici lame di pura energia disposte attorno allo sconosciuto. La rotazione del polso, le lame ruotano in aria, seguono il movimento dell'unica spada vera. Poi, il balzo.
Mikael para il primo colpo, il secondo, il terzo, la quarta spada trafigge l'ala destra, la quinta ferisce la spalla, la difesa abbattuta, le altre lame libere di infierire. Tagli sull'addome, le braccia martoriate, il collo, le gambe, il busto. Schizzi di sangue rossastro, gli squarci incandescenti, il tessuto prende fuoco, brucia la pelle.
“Aaaaaaaah!”
Mikael crolla a terra, stringe i denti, trattiene le lacrime. La mano tenta disperatamente di raggiungere Balmung, di erigerla a difesa. Un colpo di tacco, il polso schiacciato dallo stivale del nemico.
“Ah, che delusione! La mitica Mikael, colei che ha sconfitto il Maligno... non è durata nemmeno un minuto? A saperlo, ti avrei cercato prima...”
La mano sposta il cappuccio, libera la folta chioma castana. Occhi di brace, un sorriso beffardo, crudeltà sprizzata da ogni poro.
“... per ottenere la mia vendetta.”
Un'aureola splendente a coronare il capo, quattro candide ali dispiegate nel fumo acre, circondate da fiamme divine. E Durandal sollevata al cielo.
Pronta ad abbattersi come una ghigliottina.
17.
Verence in Fiamme (II)
“R... Rafael?!”
L'angelo socchiude le palpebre, abbozza un macabro sorriso. Un lampo crudele nelle iridi argentee, sadismo puro ad affollare la mente.
“Oh! Ti ricordi ancora di me? Sono lusingato.”
Durandal riflette le fiamme, il metallo scintilla sinistramente.
“Un vero peccato doverci già salutare!”
La mano destra sollevata, la spada circondata da lampi giallastri.
“Durandal, mostrami la vi...”
“Non sei cambiato per niente.”
Mikael richiama le ali, rotola sull'asfalto, libera il polso con uno strappo deciso. Le dita raggiungono Balmung, ne stringono l'impugnatura. Rafael barcolla per un istante, perde la concentrazione.
“Eh?”
Mikael si rialza, rotazione rapida del busto, Balmung brandita all'altezza del collo.
“Parli ancora troppo.”
Rafael sposta il peso all'indietro, alza Durandal, ferma l'assalto a dieci centimetri dalla pelle. Mikael si allontana con un balzo, stringe entrambe le mani sull'elsa della spada. Il sangue coagulato, tracce ematiche su felpa e capelli. Scottature sparse su tutto il corpo, ovunque Durandal abbia raggiunto il contatto. Rafael torna lucido, osserva la sua avversaria senza battere ciglio.
“Sbaglio, o solo tu sembri uscita da una lotta con un leone alpha in calore?”
“Perché?”
Rafael corruga la fronte, scrolla le spalle.
“Be', hai mai visto un documentario, prima dell'Ascesa? I leoni maschi...”
“L... la domanda non era quella! Perché sei tornato?”
Un sospiro contrariato, gli occhi puntati al cielo.
“Dunque... forse perché sono diventato abbastanza forte da sconfiggerti? Certo, anche il collasso della dimensione dove mi ero rifugia...”
Un clangore allucinante, il frastuono del metallo. Balmung schiantata con violenza contro il nemico, la parata all'ultimo istante utile.
“N... non vale! Non è leale! Quando l'eroe racconta il suo passato tormentato, l'antagonista non ha diritto di attaccarlo!”
“Eroe?”
Un rapido scambio di fendenti, Rafael accusa i colpi, perde terreno. Balmung si abbatte con furia, l'impeto contenuto a malapena
“Eroe... un angelo che lascia questo mondo a causa del suo stupido orgoglio?!”
Rafael si lecca le labbra, sbatte le palpebre. Le pupille assottigliate, occhi da serpente.
“Oh, sì! Sì! Sì! Era proprio quello che cercavo!”
Durandal si incendia, bagliori dorati a circondarne la lama. Rafael restituisce i colpi al mittente, una danza frenetica a passo leggero, la chioma castana mossa in onde eleganti. Mikael schiva un paio di fendenti, torna sulla difensiva, prende distanza. Rafael avvicina la spada alle labbra, un bacio sull'acciaio freddo.
“Sarà un enorme piacere ucciderti, bambola!”
“Aaaaah!”
Un gancio sotto il mento, la testa di Rafael rimbalza, i capelli sparsi. Mikael respira profondamente, gli occhi velati, un luccichio opaco nelle iridi.
“I... io non sono un pupazzo.”
Rafael riprende posizione, la spada saldamente tenuta tra le mani.
“Ne sei davvero così sicura?”
Grida, urla in lontananza. Ashburnt digrigna i denti, agita il braccio con foga. Ledger lo trattiene a fatica, Eden aggrappata al giaccone beige, trascinata come un sacco.
“P... padre! Si fermi!”
“Mikael ha detto che se l'aiutiamo ci ammazza!”
Un ruggito bestiale, la voce sovrasta il crepitio delle fiamme.
“D'accordo, e allora? Io non voglio correre il rischio che se non l'aiutiamo, uccidano lei!”
Ledger preme il cappello sul capo, scuote la testa.
“Padre, ha visto contro chi sta combattendo? Un altro angelo! Io e Eden non possiamo fare nulla per fermarlo e lei... la Vera Croce...”
Ashburnt si toglie gli occhiali, li ripone rabbiosamente nella tasca. Un grugnito seccato, i pensieri controllano la mente, lo obbligano a riflettere.
“Forse hai ragione...”
Lo sguardo diretto verso i due combattenti, un respiro profondo.
“... questa non è la mia battaglia.”
Rafael guadagna qualche metro, un cantico ripetuto come un mantra.
“... Douze Paladins!”
Un fulmine squarcia il cielo, Durandal circondata da undici spade fantasma. Mikael tenta di seguirle con lo sguardo, di non perderle di vista.
“Non ci riuscirai mai, piccola!”
Balmung puntata al terreno, le fiamme avvolgono la lama, risalgono fino all'elsa.
“Balmung ammazzadraghi, io invoco il tuo potere...”
Uno scatto deciso, la spada sollevata con forza.
“Rising Phoeniiiiiix!”
Le vampe si condensano in forma di fenice, una barriera di fuoco si espande a velocità folle. Rafael fende l'aria con Durandal, le undici immagini la seguono al rallentatore. Uno scudo di energia e spade eteree, il calore dissipato, disperso. Le finte spade esplodono, una ad una, sopraffatte dalla violenza dell'attacco. Rafael chiude gli occhi, porta Durandal di fronte al viso, stringe le labbra. L'onda d'urto lo schianta contro il muro di un palazzo, una nuvola di polvere e cenere a saturare l'aria. Mikael abbassa la spada, osserva in silenzio, attende un segnale.
I calcinacci smossi, una figura emerge dalla nube scura. I capelli in disordine, l'abito stracciato, le ali arruffate. Un colpo di tosse, lo sguardo torvo, la mano a cercare l'elsa di Durandal. Rafael alza la voce, uno strillo acuto, ricolmo d'ira.
“Perché... quella dannata spada... continua a proteggerti?!”
Mikael stringe Balmung, consolida la posizione, dispiega le ali.
“Balmung è la mia compagna fidata, l'arma forgiata per Sigfrido e donatami da lui in punto di morte! Io e lei siamo unite da secoli di fiducia reciproca. Lei... lei non mi abbandonerebbe mai!”
Rafael scuote il capo, inarca un sopracciglio.
“Quindi, sei stata a letto anche con Sigfrido? Ahi, ahi, ahi! La tua fidanzatina albina non la prenderà bene, quando lo scoprirà!”
Il fuoco divampa attorno a Mikael, le lingue si dispongono a cerchio, raggiungono il cielo.
“... ora basta.”
Mikael stringe l'impugnatura con entrambe le mani, chiude gli occhi, lascia scorrere l'energia nella lama.
“Balmung ammazzadraghi, io invoco il tuo potere...”
L'aura esplode, brilla come un Sole nascente, oscura l'incendio.
“... Flame Chain Armageddon!”
Un taglio a croce nell'aria, il vento si alza, un turbine di potenza epocale. Le fiamme naturali risucchiate dal vortice, un serpente di fuoco vivo, una catena ardente a circondare il metallo vermiglio. Le fiamme si aprono a ventaglio, una bocca enorme, spettrale, pronta a divorare il mondo. Il profilo di un drago domina il cielo, si abbatte su Rafael, una cascata infernale di meteore e strali incandescenti.
“D... Durandal! Ruggisci al suono del...”
Le parole troncate in gola, il boato, gli scoppi a catena. I palazzi crollano come torri di carta, le finestre saltano in aria, Un nuvola di fumo acre invade la piazza, riduce la visuale. Mikael rimane in attesa, respiri lenti, controllati, la stanchezza inizia a filtrare tra i muscoli. Gocce di sudore, la vista annebbiata, il dolore delle ferite risvegliato. Un gemito, le gambe cedono, il ginocchio tocca l'asfalto. La voce ridotta ad un sussurro, i denti digrignati.
“... te la sei cercata, verme.”
Un lampo accecante, la nuvola squarciata, le quattro ali richiuse a guscio. Lo scudo di piume si apre, Rafael ne emerge illeso, la spada impugnata nella mano destra.
“Puoi ripetere, scusa?”
Mikael sgrana gli occhi, si rialza a fatica, Balmung portata a difesa del corpo. Uno scatto alla massima velocità, Durandal brandita con foga.
“Non ho...”
L'impatto tra le spade, Mikael sbalzata all'indietro, perde l'equilibrio.
“... sentito...”
Rafael ruota rapidamente su se stesso, un taglio in diagonale, il corpo di Mikael sfregiato dalla coscia alla spalla.
“... bene!”
Un violento fendente orizzontale, diretto al collo. Mikael chiude gli occhi, serra le labbra, solleva Balmung con tutte le forze rimaste. Durandal cozza al massimo della potenza, una pioggia di scintille. Mikael geme per il dolore, il viso rigato dalle lacrime, l'inutile tentativo di opporre resistenza. Rafael imprime più forza, cerca lo sguardo spaventato della ragazza.
“Cosa si prova a non avere scampo, piccola?”
Durandal e Balmung lottano fra loro, l'aura scintillante contro un fievole bagliore. Uno scricchiolio sinistro, una crepa sul metallo vermiglio.
“N... no...”
Uno schiocco tremendo, schegge taglienti in volo. Mikael crolla a terra per il contraccolpo, l'elsa ancora impugnata con entrambe le mani. Un luccichio rossastro in aria, la parte superiore di una spada. Una lenta rotazione in cielo, prima di cadere e incagliarsi nell'asfalto. Mikael scuote il capo con orrore, si rifiuta di credere ai suoi occhi.
Di credere che Balmung sia stata spezzata.
18.
Verence in Fiamme (III)
“Balmuuuung!”
Mikael urla a squarciagola, tende la mano verso la lama spezzata. Il pianto non più trattenuto, lo sgomento, il terrore sul volto, alla vista di ciò che resta della spada. Rafael solleva Durandal, rivolge la punta verso il basso, troneggia sull'avversario annientato.
“Consolati, Mikael. Non potevi vincere...”
“N... no... B... Balmung... Balmung...”
“... e lo sai perché? Certo che lo sai, ora che quella stupida spada si è rotta, starai iniziando a ricordare...”
“No, no...”
“... oh, sì, sì, sì invece!”
Rafael si lecca le labbra, socchiude le palpebre, una pausa per godersi di più il momento.
“Sai, per un attimo mi sono spaventato quando ti ho visto. Come quando si incontra un fantasma, hai presente, no? Specie perché sono stato io ad ucciderti.”
Mikael scuote il capo, gli occhi spenti, le pupille dilatate, la bocca spalancata. Chiazze di sangue su tutto il corpo, gli abiti stracciati, scottature e bruciature sulla pelle, il corpo bloccato, incapace di muoversi.
“N... no. Io... io sono...”
“Fammi un favore, questa volta...”
Il luccichio sinistro sulla punta di Durandal, un sorriso sadico, le pupille microscopiche, gli occhi deformati dall'eccitazione.
“... non ritornare!”
“Rosario divino, primo mistero – Folgore Angelicaaaaaa!”
Una fulmine attraverso il cielo, una croce di pura energia sacra.
“Cosa?!”
Rafael chiude le ali, deflette l'attacco, distoglie l'attenzione dalla preda. L'angelo brandisce Durandal, la punta nervosamente in direzione dell'attacco.
“Chi sei?! Fatti vedere!”
Una figura in movimento, nel fumo acre. Passi lenti, il giaccone ondeggiante, occhi verde smeraldo, i capelli biondi disordinati, l'indice e il medio della mano destra uniti, scariche elettriche tutto attorno. Lo sguardo deciso, scintille nelle iridi, gli occhiali riposti in una tasca. Incedere deciso, nessuna traccia di esitazione, una forza d'animo inumana.
Mikael ruota debolmente il capo, riconosce la figura. Un esile sussulto, la voce indebolita dal trauma.
“P... padre?”
Rafael la fissa con rabbia, tutti i muscoli contratti.
“C... chi?”
Ashburnt si ferma a qualche metro di distanza, le braccia distese, non un accenno di esitazione
“Il mio nome è Thornheart Ashburnt, portatore della Vera Croce.”
“Un prete? Cosa...”
Ashburnt chiude gli occhi, la voce profonda, il tono infervorato.
“Per il tuo folle sadismo, la tua assoluta mancanza di pietà verso gli innocenti, la tua crudeltà verso il nemico sconfitto...”
Le palpebre spalancate, rombi di tuono in sottofondo.
“... ti ho giudicato colpevole! E, come tale...”
L'indice traccia una croce in aria, il cielo si oscura, le nubi vorticano furiosamente, un urlo bestiale, tutta l'aria espulsa dai polmoni.
“... ti esorcizzerò!”
Una risata folle, le lacrime agli occhi per l'ilarità. Rafael porta la mano sinistra sulla fronte, scuote la testa più volte.
“Puoi ripetere, scusa? Non credo di aver capito. Tu... vuoi esorcizzare me? Un arcangelo?”
“Precisamente.”
Rafael scrolla le spalle, distoglie lo sguardo.
“È la cosa più ridicola che abbia mai sentito.”
Mikael apre la bocca, respira affannosamente, tenta di urlare. Solo un filo di voce attraversa le labbra, parole spezzate da singhiozzi.
“Padre Ashburnt! Scappi, la prego! Porti via gli altri! Altrimenti... altrimenti tutto quello che ho fatto, tutto quello per cui ho lottato...”
Ashburnt chiude le palpebre, unisce le mani in preghiera.
“Fidati di me.”
Rafael rotea gli occhi, si lascia Mikael alle spalle.
“Un secondo e torno subito da te.”
Un fendente improvviso di Durandal, le gambe di Mikael ferite più volte, sopra, sotto le ginocchia. Grida sommesse, la voce rotta, il dolore sgorga come un fiume in piena.
“In caso ti venisse in mente di scherzare col fuoco.”
Ashburnt rimane impassibile, il giaccone oscilla seguendo il flusso del vento, la figura maestosa in mezzo alle fiamme, nessuna esitazione. Rafael solleva Durandal, la punta diretta verso il collo dell'uomo.
“Durandal, mostrami la via! Douze...”
“Fossi in te, ci penserei due volte.”
Rafael blocca il movimento, fissa il nemico per un istante, il sopracciglio inarcato.
“Non mi sembra molto convinta, come minaccia. Le mie ali sono uno scudo impenetrabile.”
“Tu non sai cos'è la Vera Croce, vero?”
Una risata sadica in risposta.
“Perché dovrebbe interessarmi?”
La spada agitata in moto circolare, un sorriso beffardo sul viso.
“Durandal, mostrami la via! Douze Paladins!”
“Rosario divino, accelerazione – Separazione dei Grani!”
Cinquantanove sfere di luce in volo attorno al corpo di Ashburnt, piccole stelle nel buio, scintillano tra i riflessi rossastri. Rafael balza in avanti, le undici spade seguono l'originale, una scia mortale diretta al centro del cranio. Le sfere ruotano rapidamente, intercettano il fendente, lo respingono. Rafael sbalzato all'indietro, le lame ombra ancora attive.
“Come...”
Ashburnt raccoglie un sassolino dal terreno, lo pesa sulla mano destra, lo lancia in aria due volte per saggiarne il peso.
“Questo rappresenta l'uomo di fronte a Dio e ai suoi messaggeri: nulla più che sabbia, ghiaia corrosa dal fiume in piena. Ma ricorda, angelo...”
Le sfere di luce si sparpagliano, si dispongono attorno a Rafael come una gabbia, ruotano senza posa, senza lasciare alcuno spiraglio.
“... anche una pietra così piccola...”
Ashburnt lancia il sassolino verso l'alto, con tutta la sua forza.
“... può fare la differenza!”
La prima sfera lo intercetta, gli trasferisce la sua energia, svanisce nel nulla. Il sasso rimbalza, colpisce la seconda sfera, la terza, la quarta, a velocità sempre maggiore. Rafael sgrana gli occhi, osserva allibito.
“Eh? N... non riesco più a seguirlo!”
Alcune sfere tornano su Ashburnt, uno scudo di luce a protezione del corpo. La traiettoria del sasso diventa una linea continua, venti, ventuno, ventidue rimbalzi. Rafael alza Duradal, le undici lame disposte tutte attorno, in difesa. Ashburnt solleva la mano destra, uno schiocco di dita.
“Ora.”
Il sasso proiettato contro il quarantesimo globo, le altre sfere si ritirano, scompaiono all'istante. Un unico bersaglio rimasto nelle vicinanze. Rafael chiude le ali a scudo, si prepara al colpo. Il sasso perfora il guscio, disgrega le piume al contatto, apre un foro di venti centimetri, perde parte dell'energia accumulata.
“Gyaaaaaah!”
Il proiettile impatta sullo sterno di Rafael, trapassa la cassa toracica, una fontana di sangue vermiglio, il saio imbrattato.
“Maledetto! Maledetto!”
L'angelo si riprende dallo shock, appoggia il pomolo della spada sulla ferita. Un'aura lucente, la pelle si richiude, i fluidi smettono di sgorgare. Gocce di sudore sulla fronte, un ringhio di dolore.
“Mi hai ferito... con un sasso?”
“Un umile granello di polvere e asfalto.”
Rafael impugna Durandal con entrambe le mani, rimane cautamente in guardia. Ashburnt mantiene il contatto visivo, le iridi specchiate nei pozzi di fiamma.
“Durlindana, la spada del paladino Orlando. Scomparsa dopo la battaglia di Roncisvalle. Recuperata da te. Questo significa che tu sei tornato in questo mondo oltre duemila anni fa, lasciando la dimensione in cui tu e gli altri angeli maschi vi eravate esiliati.”
“Sei perspicace, padre. Sa, durante la Guerra nei Cieli, il concetto stesso di arma doveva ancora essere inventato. Ho dovuto attendere millenni prima che voi umani perfezionaste qualcosa degno di essere utilizzato in battaglia.”
Un movimento lento, passi laterali, un cerchio stretto attorno al nemico.
“Dopo che Mikael ha messo le mani su Balmung, avevo bisogno di una spada. Non avrei mai potuto sconfiggerla senza... e cosa c'era di meglio di una lama benedetta da noi stessi? È stata Cyrael a donare la spada a Carlo Magno. Io ho solo ripreso possesso di ciò che era già nostro.”
“Istigando Gano di Magonza a tradire la retroguardia. Avevi bisogno che Orlando morisse, senza macchiarti direttamente le mani.”
“Precisamente. Un applauso al tuo acume, padre...”
Durandal avvolta da un'aura dorata, il volto deformato dall'eccitazione.
“... oppure no? Non ti sei reso conto...”
La spada completamente avvolta dalla luce, la lama si estende, raggiunge il cielo, taglia le nuvole.
“... che stavo caricando un attacco?”
La mano destra puntata verso l'alto, la sinistra aperta, il palmo rivolto verso Ashburnt.
“Durandal, distruggi la via! Brèche de Roland!”
Ashburnt solleva lo sguardo, stringe il pugno, unisce indice e medio, urla a squarciagola.
“Ledger!”
Un cenno dall'altra parte del campo di battaglia, Ledger in ginocchio, il braccio fantasma in forma di fucile. La pupilla si contrae, si dilata, mette a fuoco il bersaglio. Il respiro pesante, sudore freddo, un solo tentativo a disposizione.
“Se sbaglio, è la fine...”
Eden lo abbraccia alle spalle, le mani strette sul suo petto. Un'aura biancastra attorno al corpo della ragazza, energia trasmessa tramite il contatto, il timore assorbito, trasformato in fiducia.
“Non sbaglierai.”
Ledger annuisce, chiude l'occhio, lo riapre. Un istante per mirare. Un istante solo.
“Sharpshooter Inferno!!!”
19.
Verence in Fiamme (IV)
Un aculeo supersonico, Ledger sbalzato all'indietro per la violenza del rinculo. La mano destra di Rafael tranciata di netto, polverizzata dall'impatto. L'avambraccio oscilla casualmente, le ossa rotte dall'onda d'urto, spezzate dalla violenza del colpo.
“Aaaaaaah!”
Rafael strabuzza gli occhi, sbatte le palpebre più volte. Durandal rotea in aria per qualche secondo, scintilla tra le nubi di fumo acre. Uno scatto rapido del busto, la mano sinistra aperta, l'impugnatura afferrata al volo.
“Ngyaaaah! B... brèche de Rolaaaand!!!”
Durandal sbattuta a terra con forza, l'asfalto percosso con la punta della spada. Crepe giallastre, mura di energia, la terra si spacca, si solleva, trema. I palazzi crollano, i tombini saltano in aria, i lampioni si piegano, le fiamme domate in un raggio di cento metri. Ashburnt scagliato in aria, l'effetto di centinaia di pugni a ripetizione. La caduta sulla schiena, il corpo rotea nella polvere, il naso sanguinante. Rafael cammina lentamente, il braccio destro massacrato, la ferita cauterizzata dal calore della spada, il sangue fermato. La mano assente, impossibile da rigenerare. Un ringhio sofferto, Durandal trascinata a fatica. Ashburnt cerca di rialzarsi, punta i palmi al terreno. Un calcio nell'addome, tutto il fiato perso.
“M... millenni di addestramento in fumo per colpa tua, bastardo!”
Un altro calcio, nella tempia. Ashburnt perde i sensi, si accascia al suolo. Rafael solleva il moncherino, lo sguardo schifato.
“Con solo la sinistra...”
Una risatina nervosa, automatica.
“Ma io ho già fatto tutto, no? A cosa mi serviva un'altra mano? Una basta e avanza! Io ho già ucciso Mikael! L'ho già uccisa duecento anni fa! Eh, eh! A cosa mi serve la mano destra, ora?”
Il capo scosso, la mente annebbiata.
“Ah, già. È tornata. È rinata come fanno i demoni, eh? Eh? Lo sapevi, padre? Quella non è un vero angelo! È rinata dai suoi resti, è solo in parte Mikael! Solo. In parte.”
Rafael chiude gli occhi, li riapre, la lucidità tornata all'improvviso. Un sibilo acuto, sempre più vicino.
“Non un'altra volta.”
Rafael brandisce Durandal, un fendente rotante. Il proiettile di Ledger scoppia al contatto, l'energia assorbita dalla lama. Rafael appoggia la lama sul collo di Ashburnt, il piede sopra al filo della spada. Un urlo ad alta voce, il tentativo di farsi sentire dal cecchino.
“Se mi uccidi, muore anche lui. Non mi sembra il caso di rischiare, dico bene?”
“L... lascialo... andare.”
Una debole voce alle spalle, indecisa, insicura. Rafael ruota leggermente il capo, il volto crucciato per la sorpresa. Mikael in piedi, il corpo massacrato, l'aureola intermittente, la metà inferiore di Balmung impugnata con tutta la decisione residua. Rafael alza gli occhi al cielo, la voce a metà tra il lamentoso e il seccato.
“Balmung, è tutta opera tua, vero? Ti rifiuti di abbandonarla. La lasci vivere in un sogno, modifichi i suoi ricordi, mantieni il suo vecchio aspetto, fintanto che hai energia da spendere. Tenevi così tanto a lei, in vita? Quante volte dovrò spezzarti ancora?”
Mikael prende coraggio, ignora il dolore.
“S... smettila! Io sono Mikael. Non sono nata dai suoi resti! Io sono quella originale! L'unica...”
Una pulsazione. Balmung si accende, si spegne subito dopo. Mikael trema, una fitta alla testa.
“A... ah!”
Rafael rimane immobile, si lecca le labbra.
“Oh. A quanto pare, siamo arrivati al capolinea.”
“N... no.”
Una crepa scura sulla pelle, il rumore del vetro incrinato. Mikael porta la mano al viso, sfiora la superficie scabra, sente il bordo della scanalatura.
“No! N... no!”
“Oh, sì! Sì! Sì!”
Rafael si alza in piedi, allarga le braccia.
“Valeva la pena aspettare così tanto tempo per poter ammirare questo spettacolo! La fine ingloriosa dell'arcangelo Mikael, frantumata come una bambolina di porcella...”
Un fiotto di sangue caldo, le costole spezzate. Ciò che resta della lama di Balmung trapassa il corpo di Rafael, si pianta nello sterno fino all'elsa.
“P... parli troppo.”
L'angelo barcolla, allunga la mano in direzione di Durandal. Un colpo di tosse, rivoli rossastri dalla bocca, i lunghi capelli castani imbrattati. Le ali spiegate, un ventaglio di luci caleidoscopiche.
“Brutta stronza! Ora ti...”
Un sibilo acuto, un aculeo attraversa l'aria, perfora le piume, strappa l'ala alla radice. Un grido bestiale, gli occhi sgranati.
“Il cecchino! Dove...”
Altri tre aculei, in rapida successione. Tutte le ali colpite, una pioggia di piume bianche in volo. Un grido animalesco, la consapevolezza di essere stato sopraffatto. Rafael strappa via Balmung, la getta a terra, afferra Durandal, la alza in difesa. Una salva di proiettili, la mitragliatrice spettrale.
“Durandal, mostrami la via! Douze Paladins!”
Le lame ombra si manifestano, compaiono dal nulla. Il moto circolare della spada, i proiettili intercettati a fatica. Una ferita alla spalla, una alla gamba, una al collo. Rafael cammina all'indietro in direzione dell'incendio, senza abbassare la guardia. Il muro di fuoco a pochi metri, follia e smarrimento nello sguardo. Un luccichio in lontananza, il braccio di Ledger. Pronto a sparare di nuovo. Rafael ingoia la saliva, guarda avanti, indietro, avanti di nuovo. La decisione di un istante, il terrore da superare. Un'ultima occhiata in direzione di Mikael.
“Non è finita qui. Mi vendicherò di tutti voi. È una promessa.”
Poi, si getta tra le fiamme.
E scompare in una nuvola di fumo.
“Bastardo...”
Mikael osserva senza fiatare, raccoglie ciò che resta della sua spada, si trascina lentamente fino ad Ashburnt. Un coro di voci alle spalle, Ledger e Eden corrono trafelati verso di loro.
“Mikael! Padre Cross!”
Ashburnt si massaggia la tempia, grugnisce poco convinto.
“Ugh... quale parte dell'intervenite se vedete che sono in difficoltà non era chiara, Eden?”
Ledger lo aiuta a rialzarsi, il braccio attorno al busto.
“Non può lamentarsi, padre: siamo ancora tutti vivi. Compresa Mikael.”
Mikael annuisce, tenta di abbozzare un sorriso.
“Io... be', da un certo punto di vis...”
Un tremito improvviso, il corpo scosso da convulsioni. La crepa sul viso si allunga, altre spaccature lungo la pelle. Mikael scuote la testa inorridita, arretra di alcuni passi.
“No!”
Eden sgrana gli occhi, si avvicina, le porge la mano.
“Miki! Cos'hai?! Miki!”
“No, no!”
Mikael si stringe tra le braccia, lascia la presa, Balmung cade sull'asfalto. Eden tenta di raggiungerla, la prende per mano.
“Miki! Calmati, ti prego...”
Una ginocchiata nell'addome, Eden perde il fiato. Mikael getta uno sguardo disperato ai confini della città, sente ogni scricchiolio della sua pelle. Ashburnt distende la mano, alza la voce.
“Mikael! Posso guarirti! Il potere della Vera Croce...”
“Lasciatemi in pace! Non... non potete fare nulla!”
Mikael lascia scorrere le lacrime, ignora il dolore alle gambe, arretra di un passo, di un altro, un altro ancora. Poi, la corsa disperata verso i confini della città. Lontano dai suoi compagni di viaggio. Lontana dal passato.
Ledger evoca l'arto etereo, punta i piedi, prende la mira.
“Mano Fantasma – Fucile Spettrale! Sharpshoo...”
“No!”
Un colpo secco sulla testa, Eden lo placca, gli impedisce di puntare.
“Cosa stavi cercando di fare?”
“Volevo solo fermarla, non certo...”
Ashburnt si alza in piedi, inciampa, si rialza, crolla in ginocchio, urla a squarciagola verso l'orizzonte, verso il puntino lontano che scappa tra i palazzi in rovina.
“Mikael! Mikaeeeeeeeel!”
Ma l'unica risposta è un'eco silenziosa.
20.
L'uomo più vicino a Dio (I)
“D... dove siamo finiti, padre? Questo posto è... inquietante!”
“Taci, Sinisa.”
Passi lenti verso la luce del Sole, fuori dalla stazione abbandonata. Rovine a perdita d'occhio, i resti della città di Norfold. Una foschia pesante impregna ogni centimetro quadrato della via, ricopre i lampioni ritorti, blocca la vista dei palazzi. Uno sbuffo alle spalle, una voce lamentosa.
“E... ehi! Non potreste darmi una mano coi bagagli?! Non posso portare tutto io!”
Rejo rotea gli occhi, getta uno sguardo seccato in direzione di Liliel.
“Cyrael ha detto che sei a nostra completa disposizione, quindi non rompere.”
“C... cosa?!”
Liliel lascia cadere le valigie, una venuzza in rilievo sulla fronte.
“Giuro che la ammazzo! Non la passerà liscia anche questa volta!”
Sinisa preme gli occhiali sul naso, stringe il pennello nella mano destra, prosegue di fronte a Rejo.
“Non c'è anima viva, qui attorno. È sicuro che...”
“Egli è qui, Sinisa. Lo percepisco chiaramente.”
Un tremito, crampi ai muscoli. Rejo crolla in ginocchio, la mano sul cuore, le pupille dilatate, sudore freddo.
“Urgh...”
“Padre?”
Rejo solleva il capo a fatica, spalanca le palpebre.
“L... la Sindone... sta reagendo alla sua presenza! Siamo vicini.”
Il rintocco di una campana, in lontananza. Una serie di cupi rimbombi, in rapida successione. Uno, due, tre, sette, nove, undici, dodici. Tredici.
Tredici rintocchi.
Liliel si guarda nervosamente attorno, le ali sbattute con un gesto automatico, in cerca di una protezione che non esiste più.
“L... lo sento anch'io. È come... come se il mio corpo e la mia mente fossero compressi fino ad esplodere!”
Liliel incespica, perde l'equilibrio, i palmi premuti sull'asfalto per frenare la caduta.
“A... aiuto! Aiutatemi, vi prego! Non riesco... nemmeno... a pensare!”
Sinisa ingoia un grumo di saliva, imperturbato, prosegue passo dopo passo.
“Io non sento nulla. Forse vi siete lasciati suggestionare.”
Un rombo di tuono in risposta, una voce echeggia nell'aria immobile, squarcia il silenzio con la sua disturbante tranquillità.
“Fermi.”
La nebbia vortica, avvolge l'uscita della stazione, nasconde il panorama, ricopre tutto di uno spesso velo bianco chiudendo il mondo dall'altra parte. Una sagoma lucente fa capolino dalle nubi, una figura indistinta, priva di lineamenti.
“Non un passo in più. Non siete degni di proseguire.”
Rejo si rialza, respira profondamente, solleva la mano in segno di saluto.
“Sono desolato, ma ci deve essere un malinteso. Sono padre Yanma Rejo, esorcista della Santa Chiesa. Sono qui sotto consiglio di Cyrael, la rappresentante degli angeli di Zenma.”
Un ampio gesto del braccio, l'indice attraversa la sala, indica i compagni di viaggio.
“Lui è Sinisa Kasher, il mio assistente personale. Lei è un angelo storpio che mi porto dietro per cause di forza maggiore.”
Liliel si accascia al suolo, gli occhi velati da lacrime, il dolore lancinante.
“N... non ho nemmeno... la forza di reagire...”
La figura oltrepassa le nuvole, si avvicina ai tre levitando a qualche centimetro dal suolo.
“Nessun malinteso. Voi non siete degni.”
Rejo sgrana gli occhi, digrigna i denti.
“Cosa significa?! Io sono il portatore della Sacra Sindone, una delle Sacre Reliquie!”
“E allora?”
La voce riecheggia, rimbomba con vigore.
“Il fatto che la Sindone ti abbia scelto non significa nulla. L'anima del portatore poteva essere pura al momento del contatto, ma quanto tempo è passato da allora? Sei sicuro di essere ancora la stessa persona?”
Rejo indietreggia, scuote il capo, balbetta qualcosa di incomprensibile. Sinisa punta il pennello verso la figura, gli occhi attraversati da lampi di determinazione.
“Come osi parlare così a padre Rejo? La Santa Chiesa ha piena fiducia in lui! Se anche avesse compiuto qualche atto impuro, ha sicuramente espiato le sue colpe grazie alle indulgenze!”
“Le indulgenze...”
Una sonora risata, la testa priva di bocca oscilla avanti e indietro.
“Pezzi di carta creati dagli uomini per sostituirsi a Dio. Forse, per qualcuno contano. Non per me. Io valuto tutta la vita di un essere umano. Nonostante il pentimento, il peccato rimane. Viene lavato via, certo, ma lascia una traccia nell'anima. Io valuto quelle tracce, le minuscole scorie che minano l'uniformità del disegno, tocchi di colore scuro su un mare candido...”
Le nuvole si dissolvono, si uniformano in una cappa bianca, liscia, priva di contorni.
“... ma cos'è esattamente un peccato? Amare e consumare il proprio amore è forse un peccato? Desiderare, provare piacere, è un peccato? Se sì, per quale ragione? Anche uccidere. Uccidere è un peccato, vero? Ma se uccidendo si salvasse la vita di migliaia di persone? Sarebbe ancora un peccato?”
Una pausa scenografica, due strali simili a braccia spalancati.
“La morale è una costruzione, le leggi un sacrificio necessario. Un Dio che non dà regole, non ha autorità sul suo popolo... ma siamo sicuri che le regole siano assolute? Che non esista una zona grigia?”
“Ora basta!”
Rejo alza la voce, ruggisce come un leone ferito.
“Le leggi di Dio sono indiscutibili! Il male va punito e distrutto! Non esistono zone grigie! Solo bene o male! Deve essere così, altrimenti io...”
“Dimostramelo.”
La sagoma svanisce, il mondo ruota attorno ai tre, immagini e figure sovrapposte, l'ambientazione cambia, un film proiettato in tre dimensioni. La voce fuori campo, il tono autoritario.
“Ora assisterete ad una scena. Alla fine, vi porrò una domanda. Valutate bene la risposta, non avrete seconde occasioni.”
La voce sfuma, lascia il posto ai rumori. Vociare confuso, ambulanze, medici in subbuglio. Decine di cadaveri e feriti gravi, gente che scava tra le macerie dei palazzi. Guardie robotiche sparse per la città, a difesa dei civili. Un uomo avanza a fatica tra le rovine, il viso segnato da graffi ed escoriazioni, l'elegante veste sacerdotale macchiata di sangue, strappata in più punti, i lunghi capelli bianchi sporchi di fuliggine, gli occhi rossi spenti, ricolmi di disperazione.
“Che cosa ho fatto? Tutto... tutto questo è colpa mia...”
“Gran sacerdote Ilias!”
Una voce alle sue spalle, l'uomo si volta freneticamente.
“Avete trovato qualcuno?”
“Un bambino! È ancora vivo, ha perso molto sangue ma...”
Ilias corre verso i soccorritori, la stanchezza svanita in un istante.
“Voglio vederlo, portatemi da lui!”
Uno degli uomini scuote il capo, sospira gravemente.
“Con tutto il dovuto rispetto, sacerdote... lei dovrebbe riposare. È in piedi da più di ventiquattr'ore per coordinare le operazioni di soccorso. Non crede che sarebbe meglio per tutti se...”
Le iridi si infiammano, la voce infervorata.
“Portatemi da lui, ho detto!”
I due uomini annuiscono nervosamente, si incamminano verso le tende di fortuna.
“Quei maledetti schelaironi hanno colpito duro, sua eccellenza. Molti dei feriti sono morti per dissanguamento, dopo che quei mostri hanno sciolto qualche parte del loro corpo con l'acido...”
“Non dirmi cose che so già.”
“... volevo solo spiegarle perché i medici hanno gridato al miracolo.”
Ilias si ferma di fronte alla tenda, chiude le palpebre.
“Il bambino... è sopravvissuto all'acido?”
“Sembra che i vasi sanguigni siano stati otturati, impedendo al sangue di defluire. Un evento rarissimo.”
“Posso parlargli?”
“Si è svegliato da poco, ma credo di sì.”
Ilias annuisce, entra a passo deciso, si fa strada tra le brande, gli strumenti, le cassette di pronto soccorso. Un corteo di sudari distesi, la galleria della morte. Gli infermieri portano via alcuni corpi, fanno spazio per altri pazienti terminali. Flebo, garze, bende, arti amputati. Ilias trattiene un conato di vomito, si fa forza, attraversa la sala senza guardarsi attorno, frammenti di discorsi raggiungono le sue orecchie.
“... tutta colpa sua. Se non avesse sfidato il Maligno...”
“... mia moglie, la mia famiglia... tutto... ho perso tutto...”
“... Qambura aveva bisogno di pace. Perché le cose non potevano rimanere com'erano?”
Uno degli infermieri alza il braccio, indica una lettiga.
“Eccolo, è qui!”
Ilias scuote il capo, si inginocchia di fronte al corpicino. L'orrore, il raccapriccio alla vista del braccio mancante, delle bende avvolte attorno alla spalla, al mignolo reciso. Tagli su tutto il corpo, suturati a tempo di record, iridi marroni segnate dal dolore, capelli castani lunghi fino al collo.
Ilias sgrana gli occhi, lo riconosce al primo sguardo.
“T... tu sei...”
“G... gran sacerdote? È... venuto per me?”
“Sì. Io...”
“Dove sono mamma e papà?”
Il medico si esibisce in un gesto eloquente, Ilias capisce all'istante.
“Sono volati in cielo, Ledger. Ti proteggono da lassù, ora. Mi dispiace.”
Un debole sorriso sul volto del bimbo, le lacrime liberate.
“Sono felice.”
“Uh?”
“Si ricorda il mio nome, gran sacerdote! Quindi, manterrà la promessa, vero? La farà pagare al Maligno per tutto il dolore che ha causato?”
“I... io...”
Ilias si alza a fatica, stringe i pugni, il tono sommesso.
“Io non posso. Non posso farlo. Hai visto... quanta gente ha sofferto, per colpa mia? Solo perché ho detto che mi sarei ribellato. Solo per quello. Se... se attaccassi il Maligno, l'intera Qambura potrebbe... potrebbe...”
“M... ma gran sacerdote Ilias! Mi... mi aveva promesso che...”
Ilias si allontana di scatto, corre verso l'uscita, senza guardare senza ascoltare. Ledger alza la voce, grida disperato, cerca di richiamarlo indietro.
“G... gran sacerdote! La prego! Deve vincere! N... non può arrendersi per...”
Ilias si chiude la tenda alle spalle, crolla in ginocchio, il respiro mozzato. Due uomini si avvicinano, tentano di prestargli soccorso. Un moto d'ira, Ilias si rialza, urla a squarciagola.
“C... chiamatemi subito un messaggero, presto! Devo... voglio trattare la resa.”
Il capo stretto tra le mani, le guance rigate dal pianto incessante.
“N... nessuno deve soffrire per causa mia. Il Maligno ha vinto... ha vinto... io non sono abbastanza forte...”
Il nastro si interrompe, l'immagine svanisce, la cappa bianca riprende il suo posto. Una voce fuori campo, innaturalmente calma.
“Il gran sacerdote Ilias è sceso a patti col Male. Ha rinunciato alla sua crociata e ha stretto accordi col nemico, peccando di codardia e tradendo la fiducia della Santa Chiesa, lordando la sua anima per l'eternità. Così facendo, ha salvato Qambura e i suoi abitanti da un destino orribile. Grazie a lui, nessun demone ha ucciso più un abitante della città. Ora ditemi...”
La sagoma ricompare tra le nubi, il volto liscio brilla di luce dorata.
“... merita la salvezza o la dannazione?”
Una clessidra eterea materializzata dal nulla, la metà superiore completamente piena.
“Avrete tre minuti per rispondere.”
Rejo si irrigidisce, le pupille ristrette, il capo scosso con forza.
“Perché così poco?!”
“Ma come? Se non esistono zone grigie, la distinzione tra bene e male sarà estremamente semplice, no?”
“Ne ho abbastanza!”
Le braccia aperte di scatto, le spire di tessuto come fruste, la cupola bianca squarciata, il panorama cittadino riemerge dal nulla. La figura lucente svanisce assieme alla clessidra, una sagoma scura prende il suo posto. Una sagoma umana.
Rejo richiama la Sindone, stringe i denti, i muscoli contratti, l'ira trattenuta a stento.
“Non ho tempo per gli indovinelli! Sono venuto qui per parlare con l'uomo più vicino a Dio...”
L'indice puntato verso la persona nascosta dalle ombre, la voce ruggente, gli occhi fiammanti.
“... Yehohanàn1, il discepolo che Gesù amava.”
21.
L'uomo più vicino a Dio (II)
Sinisa spalanca la bocca per la sorpresa, Liliel si rialza poco per volta, tenta di raccogliere i pensieri. Rejo distende le braccia, respira lentamente, recupera fiato. Di fronte a loro, la navata di una chiesa diroccata. Archi spezzati, dipinti e mosaici in frantumi, pulpiti erosi dal tempo. Una sinfonia di candele fluttuanti, sospese in aria senza filo o sostegno. Un altare al termine del percorso, immerso nell'ombra più assoluta. Un uomo seduto sulla superficie dorata, le gambe incrociate, le mani a sfiorare il marmo dipinto, il volto celato da un velo di tenebra. Lunghi capelli castani lisci, quasi a sfiorare il pavimento, una tunica bianca e rossa a fasciare il corpo sottile. Un sorriso forzato, gli occhi tenuti chiusi.
“Che irruenza, padre Rejo. Dove sono finite le sue buone maniere?”
“Non sono mai esistite.”
Yehohanàn scende dall'altare, si incammina verso i nuovi arrivati. Passi leggeri, privi di peso, un'aura impercettibile a circondare il capo.
“Mi congratulo con lei. Sa padroneggiare la Sindone con estrema efficacia...”
Le spalle scrollate con calma, un'espressione ambigua sul viso.
“... o è la Sindone a padroneggiare lei, padre? È un mistero su cui non ho diritto di parola.”
Rejo stringe il pugno, trattiene a fatica la rabbia. Liliel gli stringe il braccio, la voce ancora debole.
“S... si fermi, padre! Se quello è veramente l'uomo più vicino a Dio...”
“Ma lo sono, mia cara...”
Il volto emerge dall'ombra, si mostra alla luce diffusa. Pelle scusa, distesa, giovane, il viso di un uomo di trent'anni, nessuna traccia di barba.
“... in carne e ossa.”
Sinisa arretra, si nasconde dietro a Rejo. Yehohanàn solleva il palmo della mano destra, abbassa il palmo sinistro, l'aura divampa, avvolge l'intero corpo come una fiamma dorata. Liliel prende coraggio, avanza verso l'uomo, blocca la sua avanzata.
“F... fermati! Siamo stati mandati da Cyrael!”
“Il capo degli angeli di Zenma è poca cosa, rispetto alla grandezza del Signore.”
Liliel alza la mano, chiude gli occhi, intona il cantico di evocazione a bassa voce.
“Cedimi la tua forza, scudo di fiori! Taming Sariiiii!”
La lama trafigge l'aria immobile, materializzata nel palmo di Liliel. Lo sguardo deciso, le labbra tremanti, gocce di sudore freddo lungo la fronte.
“T... tu non farai del male padre Rejo! Ho giurato a Cyrael che l'avrei protetto, anche a costo della vita!”
“Oh, interessante. E, dimmi... cosa ti ha promesso in cambio?”
Le parole come un fiume silenzioso, raggiungono solo le orecchie dell'angelo, si disperdono senza poter essere ascoltate dai due uomini.
“Forse... ciò che brami di più in assoluto? Il tuo desiderio più intimo e segreto?”
“C... come fai a...”
Le mani si illuminano, sette cerchi di pura luce ruotano attorno all'uomo.
“Primo sigillo...”
“Liliel!”
Rejo afferra il polso della ragazza, la getta a terra con uno strappo deciso.
“... il Bianco Cavaliere!”
Una salva di frecce spirituali scoccate da ogni cerchio, a ripetizione. La Sindone si gonfia, le bende si allargano, formano uno scudo impenetrabile. Le frecce si spezzano, si infrangono contro il tessuto, riflesse da ogni lato. Rejo richiama le spire, le riassorbe nelle maniche, rimane in posizione di guardia.
“C... cosa abbiamo fatto per meritare la tua ostilità?! Noi siamo venuti qui per avere risposte e...”
“Silenzio!”
Le mani unite in preghiera, gli occhi chiusi, i lunghi capelli oscillano attorno al corpo come un enorme ventaglio.
“Io sono l'ultimo apostolo, graziato dal Signore con il dono della vita eterna, condannato a non poter mai raggiungere il Paradiso fino al Giorno del Giudizio!”
La chiesa scompare, inghiottita dalle tenebre, il deserto prende il suo posto. Immagini del passato, l'Ascesa, l'assalto dei demoni, le città distrutte.
“Duecento anni fa, era giunto il momento. Io c'ero, l'ho visto. Sapevo che Dio avrebbe distrutto l'uomo. L'Ascesa era solo il primo passo, la prima mossa verso l'annichilazione completa del creato...”
Sinisa si lancia a terra terrorizzato, Liliel si rialza, Rejo congelato dalla brutalità della visione. Yehohanàn continua senza battere ciglio, la voce sempre più potente.
“... gli angeli del Cielo e della Terra attendevano solamente il Suo ordine per marciare contro il Maligno e compiere così il Suo disegno...”
Nuvole grigie ad oscurare il Sole, una pioggia rossastra, sabbia in sospensione a saturare l'atmosfera.
“... ma quell'ordine non arrivò mai! I sette sigilli rimasero intatti, e il demonio libero di governare sul mondo intero.”
Rejo abbassa lo sguardo, stringe i pugni.
“N... non capisco. Vuoi dire... che dovremmo essere tutti morti?”
“Questo era il piano originale, ma qualcosa di terribile e inaspettato sovvertì l'ordine naturale delle cose...”
L'aura esplode, centuplica in luminosità, si allarga, brucia le immagini attorno a Yehohanàn.
“... e, adesso, la mia stessa esistenza non ha più importanza.”
Rejo punta i piedi, lascia emergere le spire dalla schiena, attraverso il vestito. I tentacoli della Sindone si dimenano come serpenti, guizzano da un lato all'altro senza posa.
“Non è finita! Io posso sconfiggere il Maligno! Io posso riportare l'ordine nel mondo!”
“No!”
“No?”
Gli occhi aperti, le iridi nere come la pece.
“Io lo impedirò, con ogni mezzo! Trombe del Giudizio! Pioggia di Fuoco e Grandine!”
L'aura fiammante raggiunge il cielo, spezza le nuvole. Una miriade di crepe sulla volta celeste, centinaia di varchi ardenti, come coni vulcanici. I raggi perforano la terra, congelano e sciolgono. Colpi violentissimi, uno sbarramento ad altissima intensità. Rejo scuote il capo, terrore puro sul volto, Liliel scoppia in lacrime, si chiude tra le braccia, tenta di proteggersi con i moncherini d'ala.
“T... Taming Sari, ti prego... ti prego, salvami!”
“Sudario eterno, secondo mistero – Crisalide eterna!”
La Sindone si ingrossa, avvolge i tre come un bozzolo, si compatta. I raggi incandescenti impattano contro la superficie, nubi di vapore generate al contatto. Yehohanàn serra le palpebre, la voce come un rombo di tuono.
“Resistere non porterà alcun bene al mondo umano! Se combatterai il Maligno, diverrai tu stesso la causa dell'apocalisse!”
La Sindone rientra in Rejo, lo sguardo di sfida, il sangue ribolle nelle vene.
“Io andrò fino in fondo! Questo è il mio unico scopo!”
Yehohanàn solleva il palmo destro, abbassa il palmo sinistro, sfere di luce concentrata accumulate in ogni mano.
“Devi scegliere, esorcista! Distruggere il Maligno e condannare il genere umano alla scomparsa...”
Scintille e scariche, la chiesa distrutta dalla violenza del cielo, le candele spente, l'oscurità squarciata dall'aura sfavillante.
“... o arrenderti ora e salvare le vita di milioni di persone!”
Liliel recupera il coraggio, brandisce l'arma a difesa del volto.
“N... non ha senso! Perché la sconfitta del Maligno dovrebbe causare la fine del mondo?”
“Perché è la sua stessa esistenza a stabilizzarlo, ora che...”
“Basta con queste stupidaggini!”
Rejo porta le braccia in orizzontale, chiude le gambe, l'intero corpo a formare una croce, la testa piegata in avanti.
“Sarai anche l'uomo più vicino a Dio, l'apostolo prediletto, il discepolo che Gesù amava...”
La Sindone emerge dagli arti, la corona di serpenti si agita senza meta.
“... ma non posso permettermi di crederti, se ciò significa rinunciare alla mia fede, a tutto quello che ha guidato la mia esistenza! Se il Male è assoluto, la risposta è una sola...”
Il viso alzato di scatto, gli occhi di zaffiro avvolti dalle fiamme.
“... la distruzione totale!”
Yehohanàn unisce i palmi, le nuvole rallentano, l'aura si affievolisce, i capelli cadono sulle spalle.
“Quindi, hai deciso. Combatterai il Maligno anche se dovessi causare la fine dell'umanità.”
Liliel osserva il lento ritorno alla normalità, lo sguardo di Sinisa guizza da ogni lato, in cerca di un punto di riferimento. Rejo si rilassa per un istante, fissa l'uomo con sospetto.
“... non credo di capire.”
“Non vedo timore o ripensamento in te. Hai deciso, anche se in ritardo. Hai giudicato l'uomo del ricordo, indirettamente. Ora so chi sei e cosa pensi, Yanma Rejo. Ho dovuto spingermi all'estremo, per ottenere la risposta che attendevo. Tu vivi di assoluti, non è così?”
“Tutto questo squallido teatrino... solo per testare la mia forza di volontà? Tutte le menzogne sulla fine del mondo...”
“Io non ho mai mentito. Tutto ciò che hai sentito dalla mia bocca è la verità assoluta. Ora, siete liberi di proseguire. Non interferirò più col vostro percorso. Ma prima, lasciate che vi dica ancora una cosa: non contate sull'aiuto dei Cieli. Nessuno verrà in vostro soccorso.”
“Ehm...”
Un colpetto di tosse, Liliel si intromette nel discorso.
“Sì, Liliel?”
“P... perché non riusciamo a metterci in contatto col Paradiso? Cyrael ci ha provato a lungo, senza successo. Ha a che fare con l'evento terribile e inaspettato di cui parlavi?”
Una smorfia amara, il capo scosso con rassegnazione.
“Il Paradiso non esiste più.”
Liliel paralizzata dalla risposta, la bocca spalancata. Yehohanàn continua imperterrito, socchiude le palpebre, le lacrime trattenute a stento.
“Sono rimasti solamente tre Cieli, dei nove iniziali. Molte delle anime si sono dissolte... e nessuno può più raggiungerlo da questo mondo. Il suo collasso è quasi giunto al termine. Nulla può più evitarlo.”
Liliel sgrana gli occhi, la voce acuta, gli arti congelati.
“C... cosa? No, non è possibile! È uno scherzo, vero?”
“Vorrei che fosse così.”
Rejo digrigna i denti, un attimo di realizzazione.
“Q... quindi, le anime del motel... e tutte quelle che ho esorcizzato...”
Yehohanàn annuisce con un cenno del capo.
“Precisamente.”
Sinisa preme nervosamente gli occhiali contro il naso, parla con voce roca.
“N... non pensavo che il Maligno potesse essere così potente...”
“Il Maligno non c'entra nulla, Sinisa. Anzi, la sua presenza è ciò che permette a questo mondo di esistere ancora – almeno in parte. Se il Maligno sparisse, il sostegno spirituale di questa realtà verrebbe meno. E tutto tornerebbe al nulla.”
Rejo ruggisce, sovrasta la voce dei presenti.
“Smettiamola con questa farsa! Il mondo... ancorato all'esistenza Maligno?! Ma scherziamo? Perché Dio non interviene, allora? Perché non è intervenuto, duecento anni fa?! Basterebbe una Sua parola e tutto questo...”
“Duecento anni fa, poco prima dell'Ascesa...”
Un lungo respiro, le parole incastrate in gola, la paura di pronunciarle. Yehohanàn si fa forza, trova il coraggio. Il coraggio di concludere la frase.
“... Dio è morto.”
22.
L'uomo più vicino a Dio (III)
Rejo scuote il capo, sbatte le palpebre, si morde le labbra.
“C... come?”
Un sospiro grave, Yehohanàn risponde a voce bassa.
“Dio è morto, padre Rejo.”
“No, è assurdo! Dio è eterno! Non può morire!”
“Questo è ciò che raccontano i testi sacri... ma se prova a pensare a chi li ha dettati, si renderà subito conto della fallacia del suo ragionamento.”
Rejo barcolla, le gambe piegate, la pelle bianca.
“Come è successo?”
Yehohanàn chiude gli occhi, congiunge le mani in preghiera.
“Ogni ciclo di creazione e distruzione richiede energia, consuma l'essenza del Creatore. Ogni apocalisse svuota il tavolo per ricominciare da zero. Ma il nostro è un universo fisico, padre. L'entropia non può che aumentare. Ridurla in un sistema locale significa aumentarla nel complesso. Dio non era al di sopra di queste regole: neanche lui poteva creare energia dal nulla – al più, aggregare e riplasmare ciò che già esisteva... ed è ciò che ha continuato a fare, fino a spegnersi del tutto. Una triste verità, padre Rejo. Una verità tenuta nascosta all'intero creato, persino al Figlio. Almeno, fino alla fine inevitabile.”
Una pausa di qualche istante, la voce rotta dall'emozione.
“Quanti cicli di creazione crede che si siano compiuti finora, padre?”
“Io... ho sempre pensato... ad un unico ciclo.”
“Sedici milioni ottocentosessantasettemila. Tutti terminati con un Giudizio Universale. Tutti meno uno: questo.”
“C... così tanti?!”
“Prima di creare l'universo attuale, Dio ha sperimentato diverse possibilità. Creato, distrutto, amalgamato, usato centinaia, migliaia di pianeti e civiltà, osservato e guidato l'evoluzione, modificando l'ambiente e il moto delle stelle. È ingenuo pensare che un capolavoro come la Terra sia nato dal nulla: anche un essere sovrannaturale e dalla potenza pressoché illimitata ha bisogno di esperienza.”
Liliel emerge dallo stato di shock, articola alcune parole.
“M... ma quindi... cos'era Dio? Da dove è arrivato? Esistono altri esseri simili nell'universo?!”
Yehohanàn solleva i palmi al cielo, lo sguardo basso.
“Sfortunatamente, non mi è dato saperlo. Sono solo un uomo, dopotutto... ma una cosa è certa: senza la Sua presenza, presto questo pianeta collasserà su se stesso, così come il Paradiso. Ciò che lo mantiene ancora semistabile è la presenza del Maligno, la più spregevole e, allo stesso tempo, affascinante delle Sue creature.”
Liliel inclina il capo, porta le mani ai lati della testa, tira i capelli con forza.
“C... cosa ne sarà di noi angeli, senza il Paradiso? Senza il flusso continuo di energia sacra? Ci... spegneremo?”
“È inevitabile. Voi angeli non siete esseri viventi nel senso stretto del termine: siete contenitori vuoti, macchine programmate per uno scopo. Ora, il vostro compito non sarà più aggiornato, il vostro sistema neurale lasciato a se stesso. Prima o poi, qualcosa scatterà nella vostra mente e inizierete a sperimentare sensazioni contrastanti, non previste. Molto probabilmente, impazzirete prima di esaurire le vostre scorte di energia.”
“N... no...”
Liliel crolla in ginocchio, lacrime calde lungo le guance, gli occhi velati dalla disperazione. Una mano sulla spalla, il calore di un gesto comune. Liliel si volta lentamente, solleva lo sguardo, incrocia quello di padre Rejo. Per un istante, un'espressione di compassione sincera attraversa il viso dell'uomo. Solo per un istante, prima di tornare all'usuale noncuranza. Ma quell'istante è sufficiente.
Liliel accarezza la mano estranea, si rialza in piedi, asciuga le lacrime.
“N... non importa. Io ho promesso... che avrei aiutato quest'uomo nella sua crociata. Questo è il mio compito. Non... non posso spegnermi prima di averlo portato a termine.”
Yehohanàn annuisce, le accarezza la guancia con dolcezza.
“Cyrael non poteva scegliere meglio.”
Un lampo di luce, Liliel avvolta per un attimo da un'aura scintillante. Yehohanàn arretra, incespica. Un colpo di tosse, la fronte sudata. Liliel cade all'indietro, si affloscia tra le braccia di padre Rejo. Un rantolo di dolore, Yehohanàn porta la mano alla fronte, riprende il controllo sul proprio corpo.
“Le ho trasferito un po' della mia energia. Forse... forse non era necessario, ma ora... ora sono sicuro che non si spegnerà prima della fine. In bene o in male.”
Un incrocio di sguardi, Rejo e Yehohanàn si scrutano a vicenda, in silenzio. Un grugnito seccato, Rejo rompe gli indugi.
“Grazie per la lezione, uomo più vicino a Dio, ma ormai ho deciso. Ho deciso di non crederti. Perché se ti credessi... la mia missione non avrebbe più senso.”
“Non interferirò con la tua scelta. Sei libero di proseguire... e di pagare le conseguenze del tuo gesto.”
Un ampio gesto del braccio, la strada principale indicata al di fuori della chiesa.
“Norfold è morta dieci anni fa, da un giorno all'altro. Gli abitanti sono spariti misteriosamente, senza lasciare traccia. Ramante, uno dei sottoposti di Booth, ha studiato questo luogo per cinque mesi per trovare una spiegazione... senza successo. Ora, mi è giunta notizia che anche Limularia ha subito lo stesso destino. Forse c'è un collegamento, forse no. Prima di irrompere nella rocca del Maligno, faresti bene ad incontrare quel demone.”
“Non ce ne sarà bisogno.”
Un gesto secco della mano, in direzione del sottoposto.
“Sinisa, qui abbiamo finito. Proseguiremo in macchina, ne ho viste parecchie in buono stato là fuori. Non dovremmo avere problemi a prenderne una in prestito.”
“Sì, padre.”
“Bene. Ti lascio i bagagli, prenditene cura.”
Le braccia aperte, Liliel lasciata cadere come un sacco di patate. Un risveglio brusco, il ritorno dallo stato catatonico.
“Ahio! Ma che cavolo...”
“Caricala nel bagagliaio assieme alle valigie. Legala, se necessario.”
“E... eh?!”
Liliel salta in piedi, afferra il giaccone di Rejo.
“M... ma perché deve sempre trattarmi così male?!”
“Perché per me sei poco più di un giocattolo.”
Liliel arrossisce, stringe le palpebre, inarca un sopracciglio.
“Sì, sì, certo. Guardi che ho capito cosa pensa veramente di me, padre. I suoi continui... ehm... apprezzamenti alle mie dotazioni...”
Un colpo di tosse, Rejo si volta dall'altra parte.
“Va bene, puoi sederti dietro come passeggero. Basta che la smetti con queste allusioni, okay? Mi ripugna anche solo pensarci.”
Yehohanàn abbozza un sorriso, incrocia le braccia, torna a sedersi sull'altare.
“La città più vicina è Holreck, a venti chilometri da qui. Dovreste arrivare prima che faccia buio, di notte le strade non sono sicure qui attorno.”
Rejo annuisce, cammina lentamente fino all'uscita della chiesa.
“Grazie del consiglio, lo terremo a mente.”
Un gesto seccato, l'indice puntato verso la porta.
“Andiamo, forza. Non abbiamo altro tempo da perdere qui.”
Yehohanàn osserva i tre scomparire aldilà della soglia, in silenzio. Le candele fluttuano in aria senza meta, lo scricchiolio del legno antico come unico sottofondo. Il rumore di passi si attenua, svanisce completamente. Uno scricchiolio improvviso, Yehohanàn scuote il capo, alza la voce.
“Perché non ti mostri, adesso? Non c'è più nessuno tranne noi, se è quello che stavi aspettando.”
Una risata divertita, lo scintillio di un'aureola. Lunghi capelli azzurri, linee blu tracciate sulle guance e sul mento, occhi d'argento, il corpo slanciato delineato dalle fioche fiammelle erranti. Pantaloni neri, giacca di pelle scura, guanti a mezze dita, numerosi orecchini tempestati di pietre preziose. Un applauso ironico, un fischio di ammirazione.
“Quando te ne sei accorto?”
“Non appena hai messo piede qui dentro, Djibriel. Non è così semplice ingannare i miei sensi.”
“Aaaaah! Sai persino il mio nome, uomo più vicino a Dio? Sono commosso.”
Yehohanàn solleva la mano destra, una luce soffusa attorno al palmo.
“Avevi l'occasione di eliminare tutti... eppure, hai atteso. Cosa ti ha trattenuto, angelo?”
Le spalle scrollate con noncuranza, un sorrisetto crudele sulle labbra sottili.
“Mettermi contro l'Evangelista dell'Apocalisse e il portatore della Sacra Sindone contemporaneamente non è quella che definisco una strategia ottimale.”
Un lampo nero nella penombra, una spada bizzarra sfoggiata con civetteria.
“Meglio uccidervi uno alla volta.”
“Uccidere... me?”
Una risata di cuore, Yehohanàn si volta verso Djibriel.
“Grazie, angelo...”
Le mani unite, lo scintillio di mille luce, le palpebre spalancate di scatto.
“... era da secoli che non ridevo così tanto.”
23.
L'uomo più vicino a Dio (IV)
“Primo sigillo – il Bianco Cavaliere!”
Una pioggia di frecce spirituali, generate dai sette dischi. Djibriel salta all'indietro, alza la spada al cielo, una scarica sulla superficie scura, sul cristallo sferico incastonato alla base della lama. Le frecce cambiano direzione, evitano il bersaglio, deflesse da uno schermo invisibile. Yehohanàn stringe gli occhi, chiude il pugno con rabbia.
“... una distorsione spaziale?”
Djibriel scrocchia il collo, si massaggia la nuca con la mano sinistra.
“Sai, quando la dimensione in cui mi ero rifugiato è collassata, ho iniziato a cercare un'arma per mietere la mia vendetta. Excalibur, Durandal, Joyeuse, Balmung, Gramr, Gungnir, Hrunting... nomi altisonanti, certo, ma per me di nessun valore. Non trovo interesse nelle armi leggendarie o antiche. La mia mente è sempre stata proiettata verso il futuro...”
Djibriel impugna la spada con entrambe le mani, fregi azzurri si accendono sul metallo nero, il freddo bagliore delle luci al neon.
“... ed è così che ho forgiato questa.”
“Una spada senza filo?”
Un sorriso enigmatico in risposta, il moto lento delle mani, la scia di luce a rischiarare l'oscurità. Yehohanàn unisce i palmi, l'aura dorata divampa.
“Folle! Un angelo rinnegato non può pensare di sconfiggere chi in vita fu così vicino al Maestro!”
I simboli ruotano a velocità folle, si moltiplicano a dismisura, riempiono la volta della chiesa.
“Trombe del Giudizio! Pioggia di fuoco e grandine!”
Raggi incandescenti trafiggono l'aria, puntano all'angelo con precisione assoluta. Una deviazione imprevista, le masse ardenti mancano il bersaglio, esplodono tutto attorno. Yehohanàn digrigna i denti, una goccia di sudore scende lungo la fronte.
“I... impossibile... che magia è mai questa?!”
Djibriel tasta l'elsa della spada, sfiora gli ingranaggi con orgoglio.
“Vorresti saperlo, non è così?”
Un lungo contatto oculare, Yehohanàn deglutisce, assaggia il terrore. Una maschera impassibile a nascondere la paura, il tono di voce a tradire le emozioni
“Tu... sei pericoloso. Non cerchi semplicemente vendetta. Tu vuoi... no, non ha senso! Un angelo non può...”
Djibriel stringe le palpebre, le iridi luccicano di gioia crudele.
“Io. Posso.”
Yehohanàn si alza in piedi, unisce nuovamente le mani, chiude gli occhi. L'aura esplode, divampa come una fiamma viva.
“Allora, non ho altra scelta. Ti fermerò a costo della mia stessa vita!”
La chiesa trema fino alle fondamenta, i sigilli si uniscono in un'unica entità, al centro della navata. Scariche elettriche, fiamme scintillanti, figure evanescenti di trombe monumentali.
“Trombe del Giudizio! Meteora del Caos!”
Una sfera di fuoco emerge dal portale, una stella in miniatura, il calore immenso. La meteora scende lentamente, distrugge ogni ostacolo sul suo cammino, frantuma i muri, le colonne, vaporizza l'intonaco, gli arazzi. Djibriel grida a squarciagola, stringe le mani attorno all'impugnatura.
“Sei impazzito?! Così moriremo entrambi!”
Yehohanàn allarga le braccia, distende le dita.
“Ho vissuto abbastanza, angelo. Per me non è un problema.”
Djibriel punta i piedi per terra, stabilizza la posizione, chiude gli occhi, sfiora la lama.
“È il tuo momento, piccola.”
Un'aura biancastra avvolge il corpo dell'angelo, i capelli ondeggiano in aria, il cristallo ruota nell'alloggiamento.
“Risvegliati, Schwarzschild! Supermassive Black Hole!!!”
Un vortice d'aria compressa attorno alla lama, il risucchio allucinante, il cristallo prende vita, si illumina di azzurro ghiaccio. La meteora rallenta, la superficie scricchiola, un manto di crepe si dirama lungo tutta la sfera. Le parti perdono coesione, si separano, il plasma si deforma, si apre, forma un disco, ruota con violenza. Yehohanàn sgrana gli occhi, arretra di alcuni passi.
“Una distorsione spaziale così violenta da polverizzare un meteorite...”
Djibriel punta la spada verso l'avversario, superiorità manifesta sul viso, la consapevolezza del vantaggio psicologico.
“Polverizzare? No, non è esatto. La massa è tutta lassù, sospesa in aria...”
Le pupille ristrette, i denti digrignati.
“... pronta ad esplodere al mio comando!”
“Tu sei pazzo! Un potere simile...”
“... è ciò che mi serve per prendere il Suo posto, ora che è vacante.”
“Cosa?!”
Un movimento rapido della lama, il disco di fuoco inizia a ruotare sempre più velocemente.
“Sì, Yehohanàn. Io sarò il nuovo Dio.”
La spada si illumina, i fregi irrorati di un chiarore azzurro, il cristallo si accende di rosso vermiglio.
“Risvegliati, Schwarzschild! Mass/Energy Conversion! Libera il potere dell'atomo! Oraaaaaaa!”
Il disco collassa su se stesso, il plasma compresso. Un istante di silenzio, di buio. Poi, la luce abbagliante. E l'onda d'urto.
Yehohanàn porta le mani di fronte al volto, innalza una barriera spirituale, grida con tutte le forze residue, mentre la realtà si disgrega, come le mura della chiesa.
“Nooooooo!!!”
La luce avvolge la barriera, la scuote, la superficie si crepa, oscilla. Yehohanàn cade in ginocchio, le energie prosciugate dallo sforzo, il battito irregolare. Il mondo cade a pezzi, il bagliore raggiunge il cielo, oscura il Sole.
“Maestro...”
La barriera cede di schianto, lasciando passare il turbine di energia.
“... perdonami...”
Il corpo di Yehohanàn avvolto dalla vampata, travolto dall'impeto, il rombo dell'esplosione risuona nel cielo vuoto. Una colonna di fumo si alza dal terreno, domina il panorama, la terra trema come percossa da un colossale martello.
Sinisa ruota il volante con uno scatto deciso, la berlina si mette di traverso, prosegue la sua corsa tra le lastre di asfalto crepato. Liliel si tappa le orecchie, chiude gli occhi. Rejo si sporge dal finestrino, osserva allibito lo spettacolo. Sinisa guarda nervosamente negli specchietti, tenta di tenere la vettura sotto controllo.
“C... cosa è successo, padre?!”
“La chiesa...”
Un grumo di saliva inghiottito, l'incapacità di credere ai propri occhi.
“... la chiesa è saltata in aria!”
“Eh? Non ha senso!”
Liliel alza la testa, si aggrappa ai sedile anteriori.
“Dobbiamo tornare indietro! Forse Yehohanàn ha bisogno di aiuto!”
“No.”
Rejo torna a sedersi, un lungo respiro prima di continuare.
“Dobbiamo andare avanti! Sinisa, ingrana la quinta! Se non è stato lui a causare questo disastro...”
Sinisa preme a tavoletta sull'acceleratore, sorride soddisfatto.
“Si calmi, padre. Nessuno potrebbe sopravvivere ad un'esplosione del genere. Anche se fosse stata opera di qualcun altro, a quest'ora...”
Una raggio abbagliante dalle rovine, una figura si alza in volo a velocità supersonica. Otto ali spiegate, un'aureola scintillante, una spada nera come la pece.
“Eeeeeek!”
Gli occhiali di Sinisa saltano sul naso, le mani si stringono attorno al volante, alla leva del cambio. Rejo osserva ammutolito la sagoma lontana, fatica a distinguere i dettagli.
“... un angelo?!”
Liliel si sporge dal finestrino, spalanca la bocca per la sorpresa.
“No!”
Uno scrollone al sedile del pilota, le mani premono sulle spalle di Sinisa.
“Unghiefucsia! Ferma subito la macchina! Subito!”
“E... eh? Cosa...”
“Non ci ha ancora visto! È girato di schiena! Se ti fermi ora, ci confonderà con tutte le altre auto ferme e se ne andrà senza controllare!”
Rejo sgrana gli occhi, le parole bloccate in gola.
“L... Liliel?”
Sinisa scuote la testa, urla come un ossesso.
“No! Io non...”
Un bagliore verdastro, Taming Sari evocata in un battito di ciglia, la lama puntata al collo del ragazzo.
“Ferma. Subito. La macchina!”
“Eeeeeek! Sì signoraaaaa!!!”
Un pestone sul pedale del freno, il freno a mano tirato con forza. La vettura sbanda, controsterza, si immobilizza dopo alcuni secondi, in mezzo ad un gruppo di auto simili. Liliel si appiattisce sotto i sedili posteriori, Rejo e Sinisa si appallottolano alla meno peggio. La figura alata si volta verso la strada principale, ammira per un istante la distesa infinita di veicoli senza padrone. Uno sguardo all'orizzonte, in cerca di auto in movimento, in cerca dei fuggitivi.
“Uh, li ho persi davvero...”
Una risata folle risuona nell'aria.
“Pazienza. So dove sono diretti.”
Un movimento rapido della spada, i fregi si accendono per un istante. Lo spazio si incurva, i palazzi tremano, le auto sbalzate in ogni direzione, in un raggio di centinaia di metri. La berlina oscilla con violenza, senza ribaltarsi, i tre mugugnano a voce bassa, l'intero corpo si lamenta. Poi, il bang supersonico.
E l'angelo scompare in direzione di Holreck, lasciandosi dietro una scia di distruzione.
Rejo si rialza lentamente, domina la nausea a fatica, le mani ferme sul cruscotto, la fronte sudata.
“Chi... o cos'era quello?”
Liliel si sdraia sul sedile, chiude gli occhi, si massaggia la pancia.
“Un angelo di rango elevato. Aveva otto ali. Ne conosco solo tre in grado di evocarne così tante...”
“Fammi indovinare... Gabriel, Rafael e Mikael? I tre arcangeli che hanno combattuto il Maligno?”
“No, non Gabriel. Djibriel. I nomi sono simili, ma la prima è l'angelo dell'Annunciazione, il secondo un comandante delle truppe celesti. Nella bibbia hanno unito le figure per sbaglio.”
Sinisa stramazza sullo schienale, sistema gli occhiali con un gesto automatico.
“N... niente dettagli storici, grazie. Chi era dei tre?”
“Se non fosse impossibile, giurerei di aver riconosciuto Djibriel... ma non ha senso! Gli angeli maschi sono scomparsi da millenni, perché tornare proprio ora... e attaccare Yehohanàn?”
Rejo la fissa negli occhi, tenta di rispondere con calma.
“Non ha importanza, adesso. Dobbiamo pensare ad un piano d'azione. Sinisa, puoi passarmi una cartina?”
“P... perché? Non eravamo diretti a Holreck?”
“Per finire in pasto a quel mostro? No, grazie. È possibile che ci abbia sentito parlare con Yehohanàn. E poi, anche se ho il potere della Sindone, non sono così stupido da ritenermi più forte di lui... specie dopo aver visto quello di cui è capace.”
Sinisa apre un vano nel cruscotto, rovista tra le cartine, ne estrae un paio, le dispiega di fronte a padre Rejo.
“La rocca del Maligno è a più di mille chilometri da qui. Qualunque città va bene, per avvicinarci.”
“Holreck è l'unica raggiungibile prima del tramonto... no, aspetta... qui ne è segnata un'altra: Dite. Possiamo arrivarci in un paio d'ore, se tagliamo per la foresta.”
“D'accordo, allora. Speriamo solo di fare in tempo.”
Sinisa lascia la mappa a Rejo, impugna nuovamente il volante dell'auto.
“Rotta per Dite, allora. Allacciate le cinture, si riparte.”
“Solo un secondo, Sinisa...”
Rejo ruota sul sedile, cerca lo sguardo di Liliel. I lineamenti di Rejo si addolciscono, un'espressione di sincera gratitudine sul viso.
“Grazie, Liliel. Ci hai salvato.”
Liliel arrossisce leggermente, socchiude le palpebre, si stringe sul sedile.
“P... prego.”
“Per essere un inutile pupazzo a molla, non te la cavi così male.”
“E... ehi! Possibile che non riesca mai a farmi un complimento senza insultarmi?”
Rejo scrolla le spalle, torna a concentrarsi sulla strada.
“Non sono capace di dire bugie, angelo.”
“Uffa...”
Rejo scuote il capo, la cartina pronta all'uso.
“Sbrighiamoci, allora...”
Il dito passa sulla mappa, si ferma per un attimo sul nome scritto in nero. Un lungo sospiro, parole quasi sussurrate a se stesso.
“... non voglio rimanere bloccato nella foresta durante la notte.”
24.
Interludio con angeli e demoni (I)
“Sei sicuro che sia entrata qui?”
“Questo è quello che dicono i miei corvi. La ripresa è piuttosto chiara.”
Vrai si fa largo tra le macerie di un ufficio, sposta la scrivania massacrata dal crollo, guarda ovunque in cerca di segni di vita. Un'occhiata in direzione di Ledger, un brivido lungo la schiena.
“Non trovi che sia... strano, spaventapasseri?”
“Sì. È assolutamente illogico.”
“Lo hai pensato anche tu?”
Un cenno di assenso, Ledger solleva la sciarpa, copre completamente la bocca. La pupilla destra si allarga e restringe, un ronzio metallico accompagna la mutazione.
“Rafael non è potente come sembra. Se Mikael avesse mantenuto la calma, lo avrebbe potuto sconfiggere senza troppi problemi.”
Vrai deglutisce rumorosamente, tenta di sorridere.
“È stata colpa mia. Se non l'avessi provocata...”
“Non sarebbe cambiato nulla. È stato lo shock di rivederlo vivo a distruggerla. Vivo in mezzo alle fiamme di una città devastata... da chi avrebbe dovuto proteggerla.”
Ledger lascia l'ufficio, si dirige lentamente verso le scale. Una pausa di qualche secondo, prima di concludere la frase.
“Sempre che sia stato davvero lui.”
Vrai ruota rapidamente il capo, cerca di non perderlo di vista.
“Allora te ne sei accorto. ”
Ledger raggiunge il piano superiore, apre la porta più vicina. Una lampada al neon oscilla come un pendolo, attaccata al soffitto solamente da un sottile cavo elettrico. La mano si muove a tentoni sul muro, preme un interruttore. Una fievole luce rischiara il buio vuoto della stanza, le pareti immacolate, ricoperte di quadri e poster. Vrai entra nella camera, osserva ogni dettaglio senza fretta.
“Non abbiamo trovato neanche un corpo. Sembra che gli abitanti siano spariti nel nulla, come a Limularia...”
“... e Rafael abbia messo a ferro e fuoco ciò che restava della città dopo la loro scomparsa. Precisamente.”
“Ehiiiii! L'avete trovata?”
Una voce dal corridoio opposto, in tutta la sua squillante potenza. Ledger cala il cappello sulla fronte, mormora qualcosa di incomprensibile.
“No, Eden! Ti avrei chiamato, altrimenti.”
“Oh, Miki...”
Eden e Misia fanno capolino dall'altro lato, visibilmente deluse. Eden si stringe tra le braccia, abbassa lo sguardo.
“Questo posto è super-enorme! Chissà come sarà spaventata...”
Misia la abbraccia con forza, le bacia la guancia con dolcezza.
“Sono sicura che stia bene. Dobbiamo avere solo un po' di pazienza.”
Ledger arrossisce, si volta di scatto.
“I... io vado al terzo piano. Da solo. Vrai, continua a controllare questo livello. Se Ashburnt, Sasoo e Ogotchka tornano dai sotterranei, venitemi a chiamare.”
Vrai sogghigna, porta la mano alle labbra, stringe gli occhi, un istante di ilarità malcelata.
“Oh! Quindi non sei interessato ad una succubus-on-succubus-action? Io la trovo stimolante!”
Ledger non risponde, supera Vrai, si dirige verso le scale senza dire una parola. Eden si libera dalle braccia di Misia, corre verso le rampe.
“A... aspettami! Vengo con te!”
“Eden, non...”
Una morsa stretta attorno al braccio destro, la testa appoggiata sulla spalla. Ledger prova a scrollarla via, senza successo. Un sospiro rassegnato, gli occhi ruotano nelle orbite.
“Va bene. Seguimi.”
Vrai osserva la strana coppia per qualche istante, aspetta che si sia allontanata a sufficienza, getta uno sguardo furtivo a Misia.
“Hai detto a Ledger quello che hai raccontato a me ieri sera?”
“No, non ho avuto modo di parlargli da sola.”
“Ah. Peccato...”
Un sibilo serpentino, le labbra contratte, la guancia appoggiata sul dorso della mano.
“... avrebbe reso tutto più interessante.”
**
“A... aiuto! Sono incastrato!”
Ashburnt alza gli occhi al cielo, torna sui suoi passi, afferra il braccino di Ogotchka, tira con forza assieme a Sasoo. Un pop sonoro, il demone emerge dall'intricato cumulo di macerie, tossisce più volte per la polvere.
“Grazie, padre! Non credevo che il passaggio fosse così stretto!”
Un lungo sospiro sconsolato.
“Prego, figurati.”
Ashburnt sistema gli occhiali, cammina rasente al muro esaminando ogni anfratto.
“Perché ci state aiutando?”
“Uh?”
“Due demoni cercano un angelo assieme ad un esorcista. Non è un po' un controsenso?”
Sasoo annuisce senza ritegno, Ogotchka lo colpisce sotto il mento con un pugno.
“A... ahio, capo! Cosa...”
“Lasciami parlare, imbecille! Così ci metti in imbarazzo!”
Ogotchka si schiarisce la voce, si avvicina dondolando ad Ashburnt.
“Noi non cerchiamo la guerra o la supremazia, solo un posto dove vivere in pace. Per noi, voi umani non siete solo invitanti spuntini: siete la specie con cui vorremmo condividere il pianeta. Ti stiamo aiutando in nome della mia utopia.”
“Condividere il pianeta, eh?”
Ashburnt apre una porta, dà un'occhiata veloce all'interno.
“Un pianeta che non era nemmeno vostro.”
“Ora lo è.”
Ashburnt ascolta senza rispondere, attende qualche secondo in silenzio.
“È per questo che avete accolto Vrai nel vostro circo?”
Ogotchka scuote il capo, socchiude le palpebre.
“Vorrei dirle che è così, ma non sarebbe la verità. Forse più tardi posso spiegarle...”
“È già la seconda volta che cambi argomento.”
“Non è semplice, padre.”
Sasoo spalanca una porta dall'altro lato del corridoio, controlla rapidamente l'interno.
“Niente neanche qui. Siamo sicuri che quel corvo meccanico funzionasse a dovere?”
Ogotchka digrigna i denti, la voce tuona con violenza.
“Certo che funziona! Lo ha costruito Vrai e abbiamo visto tutti il video!”
Ashburnt sgrana gli occhi, la bocca spalancata.
“Vrai ha costruito un aggeggio così sofisticato?!”
Ogotchka annuisce con fierezza, punta i pugni sulla pancia.
“Non solo! Vrai ha costruito almeno venti corvi e cinquanta marionette per il nostro circo! Quel ragazzo è un genio della meccanica, padre! È come se avesse accesso a conoscenze perdute da secoli!”
Un brivido lungo la schiena, Ashburnt scrolla la testa, riprende la ricerca. Ogotchka nota il cambio di umore, lo osserva con preoccupazione.
“Padre? Tutto a posto?”
“Sì, sì. Solo un leggero mancamento.”
Gli occhiali premuti contro il naso, la determinazione recuperata.
“Continuiamo a cercare, forza!”
**
“Perché mi hai seguito?”
“Non volevo che andassi da solo.”
Ledger schiaccia il cappello sulla testa, tenta di evitare lo sguardo di Eden. La ragazza gli trotterella attorno, saltella tra le piastrelle.
“Guarda che ho capito che sei geloso di Misia! Mi sembrava di avertelo già spiegato che rapporto c'è tra me e lei! Abbiamo solamente fatto...”
Ledger rosso come un peperone, sudore freddo lungo la fronte.
“L... lo so cosa avete fatto! Me lo hai già descritto nei dettagli. Più di una volta.”
“Perché arrossisci? Vorresti che lo facessi anche con te?”
Ledger non risponde, deglutisce a fatica, prosegue tra le deboli luci del corridoio. La sciarpa calata, la mano a pochi centimetri dalla bocca, a mo' di megafono.
“Mikaeeeeel! Siamo qui! Dove ti sei nascosta?”
Eden lo imita, porta entrambe le mani alle labbra.
“Mikiii! Per favore, rispondi! Mikiii!”
Un tonfo sordo, alla loro destra. Una stanza ancora chiusa. Eden sfiora titubante la maniglia, la mano tremante.
“... non entrate...”
Un sussurro spaventato dall'altro lato, una voce flebile, il tono indistinto. Ledger sobbalza, respira profondamente.
“È qui.”
“Non entrate, vi prego!”
Eden dischiude leggermente l'uscio, senza guardare.
“Miki? Sei tu?”
“Io... io non sono più nessuno.”
Ledger stringe Eden con il braccio, le dà la forza di continuare. Pochi centimetri alla volta, la luce filtra all'interno della stanza, illumina il mobilio sparso, le sedie spaccate, il tavolo rovesciato. Una figura minuta seduta tra le rovine, la testa stretta tra le mani, un'aureola intermittente a coronarne il viso. Tutto attorno, un tappeto di frammenti di tessuto, vestiti strappati ridotti in coriandoli.
Eden e Ledger varcano la soglia, le dita si muovono in cerca di un interruttore. Un urlo straziante, la figura si accoccola sul pavimento, nasconde il viso tra le gambe.
“Non guardatemi! Non voglio!”
“M... Miki?”
Ledger accende la luce, i neon prendono vita. Eden scatta all'indietro, un sussulto improvviso.
“Aaaaaaah!”
Ledger sgrana gli occhi, scuote il capo con violenza.
“Mio Dio! Mikael...”
La figura singhiozza, solleva il viso, gli occhi velati di tristezza. I capelli lunghi sbiancati, ciocche di colori diversi sparse senza un ordine preciso – nere, bionde, castane, rosse. Un'iride dorata, l'altra azzurra. La pelle biancastra, solcata da sottili linee nere, tatuaggi simili a crepe sull'intero corpo nudo. Una coda da diavolo, nera e sottile, alla base della schiena. Un'ala angelica, ricoperta di soffici piume candide. Un'ala scheletrica, priva di membrana, formata solo d'ossa e legamenti. La mano destra delicata come un tempo. La mano sinistra brutalmente deformata in un artiglio demoniaco.
“Faccio schifo, non è vero?”
Ledger riprende fiato, tenta di mantenere la calma, di articolare qualche parola.
“Mikael...”
“Mikael non esiste più. Io non sono più nulla.”
La creatura solleva il capo, guarda Eden dritta negli occhi, poi Ledger, socchiude le palpebre.
“Per favore...”
Le gote irrorate da lacrime, gli occhi lucidi, la voce atona e disperata allo stesso tempo.
“... uccidetemi.”
“Stupida!”
Uno schiaffo a mano aperta, lo schiocco al contatto. La creatura perde l'equilibrio, cade a terra, sopraffatta dalla sorpresa. Eden in piedi di fronte a lei, le braccia incrociate, le iridi in fiamme.
“Siamo venuti a cercarti, abbiamo messo a soqquadro la città, finalmente ti troviamo e tutto quello che hai da dirci è... questo?”
“Ma... ma hai visto cosa sono diventata?! Sono un mo...”
Eden si scioglie in un pianto liberatorio, si getta sulla ragazza, la abbraccia con forza.
“Miki, sei viva! Viva! Per noi è solo questo che conta, capisci?”
“E... Eden?”
La creatura muove le braccia a scatti, le chiude titubante attorno alla schiena di Eden. Un timido sorriso si fa largo tra le lacrime, un lumino di speranza acceso nel buio.
“Grazie...”
Ledger solleva nuovamente la sciarpa, nasconde l'espressione del viso.
“Okay, vado ad avvertire gli altri. Voi non muovetevi da lì.”
Un movimento rapido, aldilà della porta, la schiena appoggiata al muro, nella penombra. La mano fruga nella tasca dei pantaloni, ne emerge dopo alcuni secondi. Il pollice preme un tasto su un aggeggio nero, grande come un bottone.
Un bottone munito di antenna.
25.
Interludio con angeli e demoni (II)
“Tra pochi minuti saranno qui. Come sta?”
Eden risponde con un cenno, si alza dal pavimento, raggiunge Ledger.
“È ancora sotto shock, ma si sta riprendendo. Secondo te, cosa le è successo?”
Ledger scrolla la spalla, il palmo sollevato al cielo.
“Probabilmente, Rafael aveva ragione. Lei non è Mikael, ma un insieme di frammenti di creature diverse – un po' come il leviatano. Balmung stabilizzava la sua essenza sul frammento-Mikael, ma quando si è spezzata...”
“Ha perso coesione.”
“Esatto.”
La creatura si mette a sedere sul tavolo ribaltato, incrocia lo sguardo di Ledger, tenta di simulare un briciolo di normalità.
“Sono orribile, vero?”
Eden la squadra dalla testa ai piedi, passa in rassegna tutto il corpo con un'occhiata, si siede accanto a lei.
“Uhm... vediamo un po'...”
L'indice di Eden sfiora le piume dell'ala sinistra con delicatezza, scende fino alla schiena, raggiunge la base ossuta dell'ala destra, risale lungo i tendini. La creatura sussulta in silenzio, si lascia esaminare senza resistere. Eden muove la seconda mano lungo il corpo della ragazza, tocca la pelle di porcellana, le striature nerastre, gli artigli, la coda, spazzola i capelli multicolore, arriva al petto, si ferma di colpo.
“C... come...”
La creatura sospira gravemente, scuote la testa, rassegnata.
“Ho capito, non dirlo. Sono...”
“... come hai fatto a guadagnare una taglia e mezza di seno?!”
La creatura sbatte le palpebre, incredula.
“E... eh?!”
Eden si alza di scatto, crolla in ginocchio, sbatte il pugno per terra.
“Chi se ne frega delle ali, della coda, degli artigli, della pelle! Un angelo con più tette di una succube?! Aaaaah! Non posso accettarlo! Chissà come mi prenderà in giro Misia...”
La creatura abbassa lo sguardo, controlla il seno, lo soppesa con le mani, arrossisce brutalmente.
“H... hai ragione, Eden, m... ma non è colpa mia! Scusami!”
“Scusami un cavolo! E dici pure che sei orribile! Aaaah! Io proprio non le sopporto quelle che si lamentano di un corpo così snello e formoso!”
“Oh...”
Eden strizza l'occhio in direzione di Ledger, senza essere vista dalla ragazza. Ledger annuisce, risponde con un pollice alzato. Un borbottio indistinto, parole attutite dalla sciarpa. Ledger si schiarisce la voce, si inginocchia di fronte alla creatura.
“Non possiamo più chiamarti Mikael, giusto?”
“P... preferirei di no. Dopotutto... io sono solo una frazione di Mikael...”
Le dita artigliate scorrono sull'ala d'osso, con estrema lentezza.
“... mescolata all'essenza di altri demoni e angeli morti da tempo. Ora che Balmung è stata distrutta... riesco a vedere, riesco a sentire le emozioni, i sentimenti, i ricordi di tutte le parti che mi compongono. Però, io non sono nessuno di loro. Io... io sono io, non sono nessun altro.”
Eden salta in piedi, si avvinghia a Ledger, sfoggia un sorriso a trentadue denti.
“Allora dobbiamo darti un nuovo nome!”
“Io la chiamerei Patchwork.”
Il gelo in sala, Eden immobile come uno stoccafisso, i muscoli irrigiditi, lo sguardo omicida. Ledger aggrotta le sopracciglia, deglutisce rumorosamente.
“H... ho detto qualcosa che non va?”
“Patchwork.”
“Sì. Non è male, vero?”
“È come se io iniziassi a chiamarti Storpio.”
“U... uh? A me non sembrava così offensivo...”
Eden abbassa le braccia, chiude le palpebre, un sospiro sconsolato.
“Se mai avremo dei figli, ricordami di decidere i nomi da sola.”
Ledger salta come attraversato da una scarica elettrica, gli occhi ridotti a puntini minuscoli.
“A... avremo?! Avremo chi?!”
Eden porta l'indice alle labbra, la lingua serpentina sibila attraverso l'aria.
“Spero che fosse una domanda retorica.”
“M... ma non credevo che due succubi potessero avere dei...”
“Due succubi?!”
Eden strabuzza gli occhi, spalanca la bocca, la mandibola raggiunge il terreno.
“M... mi stai prendendo in giro, vero?! Non puoi non aver capito a chi...”
Ledger schiaccia il cappello sulla fronte, ruota rapidamente la schiena.
“Ecco, l'ho detto. Ora...”
“Patchwork...”
Un sussurro leggero alle loro spalle, la creatura si accoccola tra le ali asimmetriche, ripete la parola molte volte, con intonazioni diverse.
“... cos'è un patchwork?”
Ledger riordina i pensieri, recupera l'usuale freddezza.
“Un insieme di pezze di forma e colore diversi cucite assieme.”
“... come me.”
La creatura solleva il viso, sorride, fissa Ledger con gratitudine.
“Mi piace!”
Eden urla a squarciagola, una nota acuta ad altissimo volume.
“Eeeeeeeh?! No, proprio no!”
“P... perché?”
Eden si china di fronte alla ragazza, punta l'indice in mezzo ai suoi occhi.
“Non puoi chiamarti come una cosa! Può andare ancora ancora come nome provvisorio, ma... oh, al momento non mi viene in mente niente! Forse padre Cross avrà qualche idea migliore...”
Uno scatto improvviso nella mente, qualcosa che non torna.
“A proposito... dove sono gli altri? A quest'ora dovrebbero essere già...”
“Giù!”
Ledger si lancia verso Eden, la getta a terra, copre le due ragazze con il suo corpo. Il soffitto esplode, una pioggia di calcinacci e schegge di metallo, una fitta nuvola di polvere. Ledger rotola sul fianco, salta in piedi, guarda verso l'alto. Un globo azzurro luccicante emerge dalla nube. Assieme ad un'armatura bianca, lucida come uno specchio.
Eden aiuta Patchwork a rialzarsi, la sostiene con le braccia. Sgomento negli occhi, incredulità alla vista dell'intruso. Alla vista dello stemma sullo scudo perlaceo.
“U... una guardia supersonica?”
La lancia puntata verso le ragazze, le luci sul torso si accendono, i motori ruggiscono. Ledger si getta nella mischia, oscura la visuale del robot.
“Mano Fantasma – Artigli dell'Idraaaa!!!”
L'arto spettrale si schianta sullo scudo della guardia, l'impatto la scaglia contro il muro. Ledger afferra la mano di Eden, corre verso la porta.
“Presto! Dobbiamo uscire da qui! Prendi Patchwork e filiamo!”
“C... cosa succede?! Da dove arriva quella guardia?”
La parete esplode di fronte ai tre, una seconda guardia emerge dalla spaccatura.
“Merda...”
Ledger si mette in posizione di guardia, il braccio spirituale pronto all'assalto.
“... Folgore Angelicaaaaaa!!!”
Uno scoppio elettrico, la guardia colta di sorpresa, paralizzata dall'attacco. Ashburnt compare dalla rampa di scale, sferra un pugno contro la testa del robot, trapassa la corazza bianca, spacca il cervello elettronico. Eden agita il braccio, cerca di farsi notare.
“Padre Cross! L'abbiamo trovata! È qui!”
La prima guardia compare alle loro spalle, la lancia sguainata, un urlo metallico ad annunciarne l'arrivo. Ashburnt muove rapidamente le mani, un segno della croce tracciato in aria.
“Rosario divino – focalizzazione!”
Cinquantanove sfere di luce risalgono dal sotterraneo, convergono sul robot, ne frenano l'impeto. Il rimbalzo senza fine, la guardia sballottata da ogni parte, il metallo si incrina, le braccia si staccano, le luci si spengono. Le sfere scompaiono, riassorbite da Ashburnt. Il silenzio regna sovrano.
Eden alza la mano, grida a tutto volume.
“Cosa sta succedendo, padre?! Erano due guardie impazzite?”
Ashburnt indica la creatura, rimane fermo di profilo, nella penombra.
“C... chi è quella?”
“Ehm... per ora si chiama Patchwork. Prima era Mikael, ma... be', è una lunga storia! Forse se ci sediamo tutti assieme e ne parliamo...”
Ashburnt ruota la testa, mostra il lato sinistro del volto. Un rivolo di sangue lungo la fronte, la lente degli occhiali incrinata.
“Non ora, Eden! Sono troppi! Vrai e gli altri sono già usciti fuori dall'edificio, mancavate solo voi! Seguitemi, presto! Non abbiamo molto tempo!”
“Bene.”
Ledger solleva Patchwork con il braccio etereo, la stringe con il braccio normale, corre verso le scale. Eden annuisce, lo segue rapidamente. Ashburnt chiude la coda, controlla di non essere seguito. Ledger scende al secondo piano, scosta le ali della creatura, rivolge l'attenzione al prete.
“Quante ne ha già distrutte, padre?”
“Cinque.”
“Cinque?!”
“Sono più fragili di quelle di Qambura, ma sono troppe. Per ogni robot che distruggo, ne compaiono altri due!”
Un boato di fronte a loro, due robot attraversano il soffitto, puntano le lance verso le prede. Ashburnt unisce le mani, le alza al cielo, divarica le gambe.
“Rosario divino, secondo mistero – Fiamme di Sodomaaaaa!”
Le lingue di fuoco avvolgono le guardie, le inceneriscono all'istante, prima che riescano a sollevare lo scudo. Ledger balza sull'ultima rampa di scale, Eden lo segue alla massima velocità. Uno spiraglio di luce in lontananza, la porta dell'edificio. Ashburnt salta giù dalla balconata, atterra di fronte ai tre. La mano fende l'aria, si carica di energia sacra.
“Rosario divino, primo mistero – Folgore Angelicaaaa!”
Una scarica a forma di croce lanciata verso la guardia nascosta, gli ingranaggi si spaccano, pezzi di lamiera in volo. Eden supera i resti, raggiunge il pianterreno, Ledger e Patchwork a pochi metri di distanza.
“Ci siamo quasi!”
Il contatto con l'aria fresca, la luce del Sole attraverso le nubi di fumo acre, la cappa diradata. Eden si piega in avanti, riprende fiato. Ashburnt la strattona con forza, l'invito a proseguire.
“Dobbiamo raggiungere i camion. A piedi non abbiamo speranze.”
Patchwork solleva debolmente la mano, le parole bloccate in gola.
“Padre! G... guardi!”
Ashburnt si volta nella direzione indicata, ringhia come un animale in gabbia. Di fronte a lui, Vrai, Sasoo, Misia, Ogotchka, fermi in mezzo al piazzale.
Circondati da un esercito di guardie supersoniche.
“C... così tante?”
Vrai sposta lo sguardo sulle macchine, le analizza in silenzio con le braccia alzate in segno di resa. Ogotchka e Sasoo stretti l'uno all'altro, terrorizzati, Misia in forma umana, inginocchiata. Ledger posa delicatamente Patchwork a terra, Eden osserva senza fiatare.
Una delle guardie avanza verso Ashburnt, pianta lo scudo per terra.
“Identificazione avvenuta: padre Thornheart Ashburnt. Missione conclusa.”
Ashburnt stringe il pugno, digrigna i denti.
“Posso sapere cosa sta succedendo? Esigo delle spiegazioni!”
“Semplice, padre: la Chiesa ha deciso che lei non è più di alcuna utilità.”
Ashburnt sgrana gli occhi, si volta all'improvviso, incrocia uno sguardo freddo come il ghiaccio. Uno sguardo amico, fino a qualche secondo prima.
“L... Ledger? Cosa...”
Il trasmettitore nella sciarpa, la voce priva di tonalità.
“Qui Mihowck. Situazione sotto controllo. Fate atterrare la Heiligengeist.”
26.
Heiligengeist (I)
Un tempesta di lampi nel cielo, una sagoma così grande da oscurare il Sole, il camuffamento ottico rimosso. Un'aeronave bianca emerge dal nulla, dominando il panorama, il simbolo della Santa Chiesa sul muso, i reattori scintillanti. Un nome sulla fiancata, vicino al ponte di comando: Heiligengeist.
Ashburnt sbigottito, le parole muoiono in gola.
“C... cos'è quella?!”
Ledger risponde senza voltarsi, completamente immobile.
“Il gioiello della flotta della Santa Sede, l'unica nave rimasta intatta dopo l'Ascesa. Un piccolo segreto che il Santo Padre ha deciso di tenere per sé.”
Eden scrolla la testa, corre verso Ledger.
“Ledger! Cosa significa? Come... come fai a...”
Una risposta secca, atona.
“Semplice: ho segnalato la nostra posizione quando siamo partiti da Limularia. Ora, arrendetevi senza opporre resistenza.”
“V... vuoi dire che... che ci hai ingannati fin dall'inizio?”
Ledger scrocchia il collo, preme il cappello sulla testa.
“Mi sembrava di essere stato chiaro: il mio compito era scortarvi fino al Confine. Per il dopo, non ho mai garantito nulla.”
“Bastardo!”
Ashburnt unisce le mani, carica l'energia sacra, le solleva al cielo.
“Che la Vera Croce ti riconosca come nemico! Che le mie fiamme ti inceneriscano! Rosario divino, secondo mistero...”
Un movimento rapido, una pistola estratta da sotto il mantello, il colpo in canna.
“Ci provi soltanto, padre, e premo il grilletto.”
“Dove hai preso quella...”
“L'ho sempre avuta, opportunamente nascosta nella mia valigia. Non ho molti proiettili e forse non è altrettanto efficace, ma di certo è più veloce che pronunciare qualche frase mistica per attivare i suoi poteri.”
Eden stringe i pugni, cade a terra come un pupazzo, gli occhi sgranati, il respiro pesante.
“E... era tutta una finta? Ledger, io... io...”
“Non ho mai avuto alcun interesse per gli abomini come te. Avevo bisogno di ottenere la fiducia di Ashburnt, di mostrarmi... spontaneo, in qualche modo. È stato divertente vedere il tuo affetto crescere per me così tanto. Desolato di aver distrutto i tuoi sogni rosa, demone: non posso innamorarmi di un mostro mangia-vestiti.”
Eden scoppia in un pianto disperato, si accascia a terra in lacrime.
“N... no! No! Noooooo!”
Ashburnt distende il braccio in direzione della ragazza.
“Eden!”
“Perché? Perché? Per te... per te... avevo persino deciso di...”
Una scintilla improvvisa nelle iridi di Ledger, gli occhi coperti dal cappello, la voce monotona.
“Basta. Per me il capitolo è chiuso. Non osare più rivolgerti a me come se ci conoscessimo.”
Patchwork ancora sotto shock, nessun movimento, gli occhi bicromatici fissi nel vuoto, il cuore in frantumi.
“Ledger...?”
Ledger cammina lentamente di fronte al gruppo, senza distogliere lo sguardo da Ashburnt.
“Ora rimarrete calmi fino all'atterraggio della Heiligengeist, okay? Gli ordini erano di catturarvi tutti vivi. Tutti, compresi la feccia del circo. Non vi faremo male... per ora.”
“V... voi... voi non ci farete male?”
Eden si rialza lentamente, una risata nervosa, un ghigno omicida.
“Ah, ah! Ah, ah! Non farmi ridere! Tu mi hai già ucciso, umano! Mi hai già ucciso! Non puoi farmi più male di così!”
Le gambe divaricate, le braccia distese, le mani cariche di energia elettrica.
“Crepa, bastardo! Ultima Tempe...”
Un rumore secco, un click metallico.
Un attimo prima, Eden in piedi, pronta all'assalto. Un attimo dopo, il corpo in volo.
Trafitto da un proiettile.
“Eden!!!”
La pistola cambia bersaglio, si ferma su Ashburnt.
“Il caricatore è pieno, padre. Non mi costringa a premere di nuovo il grilletto.”
Una chiazza di sangue vermiglio si espande sul terreno, formando un'intricata ragnatela. Eden ruota sul fianco, tenta di tenere gli occhi aperti, di mantenere il controllo sui sensi. Immagini confuse, i ricordi di una vita scorrono come fotogrammi impazziti. Una sagoma bizzarra, un uomo con un braccio solo, il dolce sorriso di qualcuno per cui essere importanti. Eden estende il braccio verso la visione, le ultime energie spese nel vano tentativo di raggiungerla.
“L... Ledger...”
Le palpebre si chiudono, vinte dalla fatica, prima che il dito possa sfiorare la figura.
“... ti amo...”
Poi, il buio.
E il silenzio.
**
“Graaaaaah!”
Ashburnt colpisce la parete della cella con forza, il metallo risuona sotto i colpi della mano destra. Un sospiro sconsolato, Vrai disteso sulla branda alle sue spalle, le mani unite dietro la nuca.
“Padre? Le sconsiglio vivamente di continuare così. Si farà solo del male.”
Ashburnt contrae l'avambraccio, stringe il pugno.
“Devo uscire da qui! Devo uccidere quel maledetto traditore!”
“Oh, ottimo piano. E poi? Devo ricordarle dove siamo, quanti siamo e in che condizioni? Sicuro, uccidere Ledger la farebbe sentire meglio... ma non le salverebbe la vita.”
Ashburnt si lascia scivolare a terra, la testa chiusa tra le braccia.
“... hai ragione.”
Vrai abbozza un sorriso, si mette a sedere, estrae qualcosa dalla tasca della felpa.
“Nell'attesa, le andrebbe una partita di scopa? Mi hanno lasciato il mazzo di carte.”
“Non sono dell'umore adatto per giocare.”
“Contento lei. Se cambia idea, mi faccia sapere.”
Ashburnt getta un'occhiata aldilà delle sbarre di plasma incandescente. Altre due celle di fronte alla sua. In una, Sasoo e Ogotchka. Nell'altra, Misia e la bizzarra creatura ribattezzata Patchwork. Gli altri membri del circo stipati nelle celle vicine.
“Non posso ancora crederci. È tutto un incubo, vero? Gli angeli attaccano gli uomini, Mikael non è mai stata Mikael, Ledger mi ha sempre mentito e Eden...”
“Mi dispiace distruggere le sue illusioni, ma il mondo non è un bel posto. Cose del genere capitano. L'ho provato sulla mia pelle.”
Rumore di passi nel corridoio, passi umani. Una figura distinta si avvicina alle sbarre. Lungo abito bianco, copricapo vescovile, un crocefisso dorato cucito sulla veste. Capelli neri ricci, pizzetto, incarnato chiaro, occhi verdi, naso leggermente aquilino. Tre guardie supersoniche attorno all'uomo, armate di lance e scudi. Un gesto elegante della mano, gli anelli col sigillo papale mostrati con civetteria.
“Ben svegliato, padre Ashburnt. Come sta?”
“Uno schifo.”
“Non avevo dubbi.”
Un sorrisetto sadico sul volto del nuovo arrivato, il pizzetto massaggiato con cura.
“Credevo fosse più furbo, padre. Non si è mai chiesto quale fosse la vera natura dei poteri di Ledger? Non ha mai pensato ai Servi della Croce?”
Ashburnt socchiude le labbra, sorride malinconicamente.
“Ah, ora capisco. Mi avete fatto seguire da un assassino, fin dal primo momento.”
“Lei ha sempre agito troppo di testa sua, padre Ashburnt. Avevamo bisogno di un'assicurazione.”
La voce di Vrai rompe il dialogo, si inserisce con maniacale precisione nel discorso.
“Servi della Croce?”
Ashburnt risponde sottovoce, pesando ogni parola.
“Sicari della Chiesa. Li conosco solo di nome.”
L'uomo rivolge i palmi verso l'alto, inarca un sopracciglio.
“Sicari è una parola generica e riduttiva. Diciamo che se gli esorcisti sono l'incudine, loro sono il martello: individui modificati con frammenti vitali demoniaci per garantire loro facoltà sovrannaturali... come, per esempio, un braccio fantasma. Ma forse posso capirla, padre. Lei è abituato ad avere un superpotere, no? Così come i suoi... compagni di viaggio, giusto? L'idea che Ledger fosse – per così dire – anormale non l'ha sfiorata nemmeno per un secondo.”
“O, più semplicemente, mi fidavo di lui.”
“Quello che dicono tutti. Il sacerdote Ilias, lei, quella schifosa succube... sembra che il caro Ledger abbia la tendenza ad attirare le simpatie di chiunque.”
Il prete rimane in silenzio per un istante, chiude gli occhi, batte l'indice sulla fronte.
“Ad ogni modo, non sono qui per questo. Sono venuto a prelevarla, padre Ashburnt.”
“P... prelevarmi?”
“Be', vede... il Santo Padre non ha più fiducia in lei, specie dopo che ha lasciato in vita diversi demoni e si è rifiutato di esorcizzare degli spiriti infestanti. Per fortuna, ci ha pensato padre Rejo.”
“Y... Yanma? Avete mandato anche lui?”
Un cenno del capo in risposta, un sorriso enigmatico sul viso.
“Chissà? Ma ora, lei ha altri problemi, padre. A seguito di una riunione con Sua Santità, abbiamo deciso...”
Una risata malevola, le pupille ridotte a puntini minuscoli.
“... di asportarle la Vera Croce per impiantarla in un individuo più meritevole.”
“Cosa?”
“La sala operatoria è pronta. Ora, se vuole seguirmi...”
Ashburnt stringe il pugno, carica la mano di energia sacra.
“Rosario divino, primo mistero...”
“A-a-ah! Non dimentica nulla, padre?”
Uno schiocco di dita, le guardie supersoniche raggiungono le altre celle, le lance si aprono, una canna di fucile emerge dal corpo bianco.
“Se non viene di sua spontanea volontà, a farne le spese saranno i suoi amici demoni... e quell'abominio con l'aureola che non siamo ancora riusciti a classificare.”
Ashburnt ruggisce, ringhia, si calma, trattiene le lacrime.
“V... va bene, d'accordo... ma, per favore, prima portatemi da Eden! Posso usare la Vera Croce ancora una volta per salvarla! Se devo rinunciare al mio potere, questa è la mia ultima richiesta.”
Un sospiro di sollievo, un altro schiocco di dita, le guardie ritornano in posizione di attesa.
“Temo di non poterla accontentare, padre Ashburnt.”
“Eh?”
“La succube nota come Eden ha cessato le sue funzioni vitali venticinque minuti fa. Abbiamo già trasferito il cadavere all'obitorio.”
Ashburnt sgrana gli occhi, crolla in ginocchio, la bocca spalancata.
“Cosa?!”
“La pallottola le ha tranciato un'arteria. Non dirò che abbiamo tentato di curarla, perché non è vero. L'abbiamo lasciata morire in pace, senza sfiorarla con un dito. È il massimo che potevamo fare per una demone.”
Un grido alle spalle dell'uomo, una figura tremante a pochi centimetri dalle sbarre della sua cella.
“No! Non anche Eden! No!”
“Stai zitta, abominio, altrimenti farò sopprimere anche te.”
Le iridi eterocromatiche fisse sul prete, l'odio viscerale vince la paura.
“Provaci soltanto e...”
La voce di Vrai a spezzare il discorso, un grido acuto, esasperato.
“Basta così, Patchwork! Se non la smetti, a rimetterci sarà padre Ashburnt!”
Il prete inserisce un codice nel pannello della cella, le sbarre di plasma si disattivano.
“Vedo che avete capito perfettamente.”
Una mano tesa, i denti bianchissimi disposti in fila perfetta.
“Forza, Ashburnt... non vorrà far aspettare il Santo Padre, vero?”
27.
Heiligengeist (II)
“Voleva vedermi, padre Zanta?”
Un cenno di assenso dall'altro lato della stanza. Il prete coi capelli neri arriccia il pizzetto con tranquillità, gli occhi verdi sicuri della vittoria.
“Ha fatto uno splendido lavoro, Mihowck. Grazie a lei, abbiamo recuperato la Vera Croce prima che Ashburnt la utilizzasse in modo... improprio.”
Ledger avanza nel corridoio, lo sguardo vaga lungo i volti lisci delle guardie supersoniche. Zanta incrocia le dita delle mani poco sotto il mento, abbozza un sorriso divertito.
“Qualcosa non va, Mihowck? La vedo sorpresa.”
“Non sapevo che la Santa Chiesa fosse ancora in grado di costruire robot a distorsione gravitazionale.”
Una risata rauca, la mano sbattuta sulla scrivania più volte.
“Cosa dice? Certo che non possiamo più produrne! Tutti quelli che vede sono residui del...”
“Risparmi le bugie per qualcun altro. Questi sono nuovi di pacca... e decisamente più fragili di quelli pre-Ascesa. Ashburnt ne ha sfondato uno con un pugno. Inoltre, nessun ufficiale sano di mente dispiegherebbe così tante unità non sostituibili solo per catturare un uomo.”
Un silenzio imbarazzato, padre Zanta corruga la fronte, cerca le parole migliori.
“Va bene, va bene. Sì, possiamo ancora produrne, anche se la notizia non è di pubblico dominio. Non sono lontanamente allo stesso livello di quelle vecchie, ma non sfigurano neanche troppo. Sono sicuro che in vent'anni torneremo alla qualità iniziale.”
Ledger annuisce si accomoda alla scrivania.
“Ashburnt è già stato portato in sala operatoria?”
“L'intervento inizierà a breve. Il dottor Kobase è impaziente di testare i suoi nuovi ferri sul paziente. Ma ora basta con le divagazioni! Veniamo al motivo per cui l'ho convocata...”
Zanta si schiarisce la voce, uno, due colpi di tosse.
“... c'è qualcosa che non va con i soggetti che ci ha consegnato.”
“Qualcosa che non va?”
“La succube, Eden. È morta.”
Ledger preme il cappello sulla fronte, scrolla la spalla.
“Perché dovrebbe interessarmi?”
Zanta scruta il volto impassibile della spia, ne squadra ogni centimetro. Un sospiro di sollievo.
“Okay, bene.”
Ledger ridacchia nascosto dalla sciarpa.
“Mi faccia indovinare... non vi fidavate di me e volevate cogliermi in fallo? Solo perché ho interrotto i collegamenti dopo il passaggio del Confine?”
Zanta socchiude le palpebre.
“Non solo per quello. Sua Santità ha percepito la Spina del Tradimento. La Corona non sbaglia: qualcuno tra le persone entrate su questa nave non è chi dice di essere.”
“Ma io vi ho consegnato Ashburnt, oltre ad un simpatico gelato misto angelo-demone da analizzare. Sono sicuro che il dottor Kobase avrà delle piacevoli sorprese.”
“Va bene, può ritirarsi.”
Ledger incrocia le gambe, l'indice ticchetta sulla tempia.
“Uhm... non ancora. Ho un favore da chiedervi.”
“Che genere di favore?”
“Oh, vorrei soddisfare una pura curiosità intellettuale...”
**
Vrai piazza l'ultima carta per terra con decisione. Un sorriso soddisfatto, l'indice sfiora la figura ritratta.
“Uff... ho finito il solitario. Ora, come potrei passare il tempo?”
Un lamento dall'altro lato del corridoio, Vrai alza la testa, cerca di identificarne la fonte. Un sospiro sconsolato.
“Non è che se piangi puoi cambiare le cose, Patchwork. Siamo tutti nella stessa barca... anzi, aeronave. È già tanto se ci hanno messi in celle vicine per forzare la mano di Ashburnt...”
“Eden...”
Patchwork si accoccola sulla branda, la veste bianca da esperimento indossata sul corpo fragile, le ali richiuse a guscio. Vrai scuote il capo, lascia tintinnare gli orecchini di perla.
“Ormai è humus. Hai sentito il prete folle? È morta.”
“Io la rivoglio indietro.”
“Eh?”
“Eden aveva qualcosa che io ho desiderato a lungo... l'ho invidiata così tanto, l'ho aggredita, l'ho umiliata... ma solo perché volevo la sua attenzione. Me ne rendo conto solo ora... oh, Eden...”
Misia scatta in piedi, i pugni sui fianchi.
“E-ehm... prima ci sono io, sai? Devi prendere il biglietto, cara.”
Patchwork solleva lo sguardo, incontra due iridi ardenti.
“Ma non eravate solo amiche? Comunque, non ha più importanza...”
Un accenno di pianto, le guance inumidite.
“... se n'è andata per sempre.”
Vrai sospira di nuovo, rimette le carte in ordine, ne lascia fuori una. Un lancio preciso, attraverso le sbarre al plasma, fin dentro la cella delle ragazze, l'atterraggio di fronte a Patchwork.
“Uh?”
“Cosa dovremmo fare con...”
“Mi sono stancato di sentirvi lamentare. E questa cella mi sta troppo stretta.”
Otto carte estratte dal mazzo con rapido gesto, la mano oscilla in aria più volte.
“Cartes du Destin! Scala Reale!”
Le carte si trasformano in spade incrociate, si frappongono tra i raggi di plasma, ne deviano il flusso, si dispongono a gabbia, formano uno stretto passaggio. Vrai balza fuori, richiama le lame, le ritrasforma in carte, le ripone nella scatola di cartone. Ogotchka, Sasoo, Misia e Patchwork sussultano in coro, la sorpresa palpabile.
“Ledger è stato stupido a lasciarmi le carte da gioco.”
Uno scatto laterale, il pad di controllo numerico raggiunto in un attimo. Un'occhiata ai numeri, la mano sfiora il tastierino, tocca ogni tasto più volte.
“Okay, ora vi libero. Ogotchka, tu e gli altri demoni del circo rimanete uniti e pronti a scappare. Io e Patchwork andiamo a salvare padre Ashburnt.”
I tasti premuti in sequenza, una serie di ticchettii brevi. Le sbarre di plasma si disattivano, liberando l'ingresso delle celle. Patchwork cammina lentamente, come stordita, la carta stretta in mano.
“M... ma io...”
Vrai le stringe le spalle, sfodera un sorriso convinto.
“Quando ti chiamavi Mikael, sapevi come combattere: ti ho visto quasi incenerire Ramante con i miei occhi. Quella parte di te è ancora lì dentro, devi solo recuperarla!”
Un cenno di assenso, Patchwork respira profondamente, solleva la mano, lascia che la carta si trasformi in una spada, la brandisce più volte per saggiarne il peso.
“Che carta era?”
“La Donna di Spade. Leggera e affilata. Non è potente come il Tre, il Cavallo o il Re, ma è quella più adatta a te. Ora, cosa ne dici di muoverci, prima di essere intercettati? C'è un prete che ha un bisogno tremendo del nostro aiuto!”
**
Zanta scuote il capo più volte, mantiene a stento la calma.
“Assistere all'operazione?! Non se ne parla nemmeno! Il dottor Kobase non ha bisogno di pubblico.”
“Non si fida di me, padre Zanta?”
“No, non è così. È solo che... trattandosi della Vera Croce...”
“Oh, proprio per questo ero interessato. Volevo... vederla.”
Zanta apre un cassetto della scrivania, estrae un telecomando.
“Se è solo questo, non c'è nessun problema. Abbiamo un collegamento diretto con la sala operatoria. Come sa, ci sono telecamere ovunque su questa nave. Dobbiamo solo... ecco, premere un pulsante.”
Uno schermo emerge dalla parete, si accende all'istante, mostra uno spaccato della stanza. Ashburnt sdraiato su un letto bianco, coperto da un telo dello stesso colore. Sedato. Un medico sulla quarantina compare dal lato sinistro. Capelli neri corti, cuffia sopra la testa, mascherina bianca, camice, occhiali da vista rotondi, occhi piccoli scuri. L'uomo solleva il pollice in segno di assenso. Gli altoparlanti gracchiano, luna voce acuta emerge dalle casse.
“Ah, padre Zanta! Giusto in tempo! Stavamo per iniziare la vivise... ehm, l'espianto della Reliquia!”
Ledger corruga la fronte, osserva l'immagine per qualche istante.
“Uh, c'è anche il contatto radio?”
“Sì. Uso questo schermo per mettermi in contatto con il resto della nave. È molto comodo.”
Il dottor Kobase unisce le mani inguantate, scrocchia le dita.
“Col vostro permesso, inizierei! C'è molto, molto lavoro da fare.”
“Okay, può...”
Uno squillo dell'interfono. Zanta afferra la cornetta, preme il tasto di risposta.
“Un attimo solo. Pronto? Sì, sono io. Eh? Come sarebbe a dire scappati?! No, non è necessario. Sigillate i gate e gli ascensori di quel settore e inviate una decina di guardie. Tenetemi aggiornato!”
Un pugno contro la scrivania, i denti digrignati. Ledger inarca un sopracciglio, gocce di sudore freddo sulla fronte.
“Q... qualche problema?”
“Sembra che uno dei prigionieri sia in grado di trasformare le carte da gioco in spade... e abbia usato la sua abilità per evadere! Com'è possibile? Perché non gli hanno sequestrato il mazzo?”
“Agh... era questa la sua abilità, allora?! Non l'ho mai visto combattere, ero svenuto quando...”
“Non preoccuparti, Ledger. Non usciranno mai da quel settore. Ora concentriamoci sullo spettacolo, okay? Kobase, può procedere!”
Il medico sgrana gli occhi, una debole protesta priva di convinzione.
“M... ma gli evasi?”
“Non c'è bisogno di rimandare l'operazione per un paio di teste calde. La sala medica è a tre livelli di distanza da loro. Non riusciranno mai a raggiungerla.”
Ledger si accomoda sullo schienale, accavalla le gambe, dirige lo sguardo allo schermo.
“La sua sicurezza è encomiabile, padre...”
Zanta incrocia le mani, poggia i gomiti sul tavolo.
“Devo essere sicuro, Ledger. In caso di fallimento...”
Zanta lascia scorrere la mano sull'abito talare, si ferma all'altezza del cuore. Ledger annuisce.
“Capisco, non si preoccupi.”
Uno sguardo distratto allo schermo.
“In cosa consiste esattamente l'operazione, dottor Kobase?”
Il medico alza un bisturi, fa l'occhiolino alla telecamera.
“Oh, è presto detto! La mano destra del soggetto verrà microincisa per rimuovere il chiodo dall'indice. In caso di complicazioni, procederemo direttamente all'espianto e... ehm, al trasferimento del cadavere al vicino obitorio.”
“Interessante...”
Ledger preme la sciarpa contro le labbra, le parole quasi sussurrate.
“... mi piace.”
Gli assistenti di Kobase spengono le luci, accendono le lampade sul tavolo operatorio.
“Bene, bene! È ora di...”
Un rombo assordante, la parete della stanza esplode in una marea di frammenti. Gli strumenti del dottore sparsi sul pavimento, gli assistenti schiantati contro il muro. Caos, urla, la telecamera traballa, l'immagine perde consistenza. Zanta rimane allibito, stringe i braccioli della poltrona, le labbra deformate in una smorfia.
“M... ma... cosa...”
Ledger corruga la fronte, contrae i muscoli della mano, si alza di scatto.
“Non è possibile!”
La nube di polvere si dissolve con estrema lentezza, di fronte allo sguardo spaventato di Kobase. Una figura emerge dal foro nella parete, cammina scalza all'interno della sala operatoria, passi sicuri, senza timore. Le mani circondate da fulmini, gli occhi di brace, i capelli oscillano, levitano per l'elettricità statica. Zanta spalanca la bocca, non riesce a distogliere lo sguardo dallo schermo.
“N... no! È assurdo!”
“Ma guarda chi si rivede...”
Ledger sorride sotto la sciarpa, urla verso il televisore.
“Ciao, Eden! Già di ritorno dal mondo dei morti?”
28.
Heiligengeist (III)
“Hai sentito?!”
“Cosa?”
Patchwork si ferma per un istante, tende l'orecchio, posa il palmo sul muro.
“Ho percepito chiaramente un'esplosione. Le vibrazioni si sono propagate per tutta la nave...”
Vrai scuote il capo, strabuzza gli occhi.
“No, non mi sono accorto di nulla.”
“Proveniva da almeno tre livelli di distanza. Ne sono sicura.”
Una sirena d'allarme rompe il silenzio, riecheggia nel corridoio. Luci rosse lampeggianti, i portelli di sicurezza si chiudono di scatto, sigillano l'area. Quattro guardie supersoniche emergono dalle entrate laterali, prima che le sbarre di metallo impediscano il passaggio. Patchwork sobbalza per la sorpresa, si aggrappa al braccio di Vrai.
“Ci hanno chiuso dentro! Cosa facciamo ora?!”
“Semplice...”
Vrai estrae due carte, ne impugna una per mano, le trasforma in spade, le incrocia di fronte al viso.
“... improvvisiamo!”
**
Eden spalanca le palpebre, si guarda attorno con calma. La lingua saetta attraverso le labbra, i capelli ricomposti con noncuranza. Un'occhiata distratta alla cappa bianca che ha sostituito i suoi abiti, ai cumuli di polvere tutto attorno, agli infermieri in preda al panico. Il lettino in mezzo alla stanza attira la sua attenzione, Ashburnt sdraiato, privo di sensi.
“Padre Cross...”
Uno scatto d'ira, le unghie scarlatte si allungano minacciosamente.
“Liberatelo subito, se non volete che vi ammazzi!”
Il dottor Kobase si alza da terra, solleva il capo, sistema la mascherina.
“T... temo che ci sia stato un fraintendimento, signorina. Ashburnt deve essere sottoposto ad un intervento chirurgico salva-vita. S... se non lo portiamo a termine, potrebbe morire tra atroci sofferenze e...”
“Oh, certo. Come ho fatto a non pensarci prima?”
Eden apre la mano, l'elettricità si accumula sulla punta delle dita. Un ringhio furioso, il balzo in aria, un ampio gesto del braccio.
“Scoppio Sinfonico!”
Le sfere di luce esplodono al contatto col pavimento, gli strumenti saltano in aria, gli infermieri scappano alla rinfusa. Kobase si getta a terra, le mani dietro la nuca, gli occhi fuori dalle orbite.
“Viaaaaah!!! Presto!!!”
Gli assistenti non se lo fanno ripetere due volte, sciamano attraverso la porta, corrono in maniera scomposta. Kobase striscia sul pavimento, i muscoli scossi da tremiti, la fronte imperlata di sudore.
Eden lo ignora platealmente, raggiunge il lettino, strappa le cinghie, libera Ashburnt. Un'occhiata rapida al volto, l'anestesia già entrata in circolo. Un sospiro grave.
“Uffa. Temo che dovrò portarlo fuori a spalletta...”
Eden solleva il corpo di Ashburnt, lo carica sulla schiena, le mani a sostenere il carico. Kobase alza lo sguardo, cerca la telecamera, il braccio mosso a scatti, a indicare la ragazza.
“L... lo sta portando via! Fate qualcosa! Mandate qualcuno! A... altrimenti...”
Eden sospira indispettita, posa Ashburnt per un secondo.
“Un attimo solo, padre.”
Il medico punta i palmi per terra, si rialza, una scintilla di follia, i pugni chiusi in una posizione di guardia improvvisata.
“Non riuscirete mai a uscire vivi da qui! Vi fermerò i...”
Un calcio al basso ventre, alla massima velocità.
“... oooooh!!!”
Kobase in lacrime, piegato a metà, le mani strette attorno al punto di impatto. Eden torna indietro con calma, carica di nuovo Ashburnt sulla schiena, si dirige verso l'uscita, tra le urla del medico. La voce stridula, gli occhi rossi, le labbra deformate in una smorfia.
“M... maledetta! Maledettaaaaaah!!!”
Eden abbozza un sorriso, varca con decisione la soglia.
“Okay, padre! Ce l'abbiamo fa...”
Un sibilo nell'aria, una lama scura lanciata come un boomerang. Eden scarta di lato, tiene saldamente Ashburnt, la lama si conficca nel muro, a pochi centimetri dalla sua spalla. Un crepitio continuo, l'arma si stacca dalla parete, vola nel corridoio, ritorna al proprietario. Una figura scura tra i neon accecanti, le luci traballano, si accendono e spengono a ritmo casuale. Eden consolida la posizione, cerca di scorgere i dettagli.
Mantello nero lungo fino al pavimento, abiti neri, stivali neri. Un fazzoletto nero a coprire la parte inferiore del volto, capelli neri lunghi, fedora nero. Un simbolo stampato sul dorso del guanto. Il simbolo della Santa Sede. Una voce roca, cupa, ad accogliere i fuggitivi.
“Interessante. Zanta non era così paranoico, dopotutto.”
Due coltelli estratti da sotto il mantello, un lancio preciso. Eden lascia cadere Ashburnt, balza di lato, punta la mano per terra, carica il ginocchio. Le lame rotanti mancano il bersaglio, ritornano roteando fino alla figura, si fermano nelle sue mani. Eden spolvera l'abito, si rialza senza fretta. L'indice battuto sulle labbra, la lingua fa capolino più volte.
“Un Servo della Croce, eh? Proprio non vi fidavate di Ashburnt...”
“Risparmia il fiato, sgualdrina...”
Otto coltelli estratti dal mantello, quattro per mano.
“... ti servirà tutto per sopravvivere!”
**
Vrai si esibisce in una capriola, evita l'impatto con la lancia, sfrutta il rimbalzo, punta i piedi sul muro, si dà la spinta in avanti. Una danza di lame impatta sullo scudo perlaceo, clangori e scintille ad ogni colpo. Patchwork resta sulla difensiva, tenta di arginare l'impeto del robot. La spada pare i colpi di lancia, le ali a rallentare i movimenti. Vrai grida in direzione della ragazza, la voce supera il frastuono della sirena.
“Non puoi richiamarle come hai sempre fatto?! Non c'è abbastanza spazio qui!”
“N... non riesco a farle sparire! Non sono ancora abituata al mio nuovo corpo!”
Una guardia scatta in avanti, la lancia diretta allo stomaco di Patchwork. Vrai salta all'indietro, devia il movimento con un calcio, incrocia le spade, blocca l'impeto.
“Vedi di farlo in fretta, allora, altrimenti siamo morti! Non posso combattere per tutti e due!”
Le altre tre guardie ruotano attorno al duo, cercano la posizione migliore per colpire. Patchwork le osserva impotente, l'ansia ottenebra i sensi, la vista offuscata dalla paura. Vrai digrigna i denti, estrae altre due carte, le lancia in aria.
“Cartes du Destin! Doppia Coppia!”
Le spade ruotano come boomerang, seguono un'ampia traiettoria, puntano su uno dei robot. I due ai lati piantano gli scudi per terra, intercettano le lame prima che possano colpire. Le spade rimbalzano, perdono la mira, si conficcano nel pavimento. La guardia al centro attiva i booster, un bang supersonico.
“Vraiiii!!!”
Una capriola in ritardo, la lancia manca il ragazzo per pochi centimetri, la spalla della macchina lo colpisce con violenza. Vrai sgrana gli occhi, sputa saliva, si schianta contro il muro, lascia cadere le carte. Patchwork stringe le mani attorno all'impugnatura della spada, salta sul robot, tenta di prenderlo alle spalle. Gli scudi delle due guardie laterali bloccano l'assalto, la respingono con violenza. Patchwork spinta a terra, la nuca rimbalza sul pavimento.
“Ugh...”
Vrai riprende conoscienza, scuote il capo, raccoglie il mazzo. Due guardie su di lui, due su Patchwork. Le lance puntate al cuore e alla testa, le luci azzurre come freddo controcanto ai lampeggianti rossastri. Sudore freddo lungo la fronte, la voce ridotta ad un sussurro.
“Uh... se dovessi scommettere, direi che abbiamo perso.”
“No!”
Parchwork singhiozza, stringe la spada al petto.
“È finita, vero? Scusa, Vrai! Scusa! Non servo più a nulla, non...”
“Smettila!”
Le dita della ragazza sfiorano il metallo dell'elsa, un lampo nella mente, un ricordo annebbiato.
“Oh?”
La lama si accende per un istante, il rosso vivo di una lingua di fuoco. Solo un istante. Patchwork trattiene il fiato, abbraccia tremante il metallo freddo, ne percepisce il tepore.
“B... Balmung?!”
Uno dei robot tira Vrai per il colletto della felpa, l'altro estrae un paio di manette. Gli altri due mimano i movimenti su Patchwork, afferrano l'arma, tirano con forza.
“No! Lasciatemi... stare...”
La mano demoniaca si avvinghia all'impugnatura, non molla la presa. Un'aura scintillante si espande dal corpo multiforme, lo avvolge in un bagliore di fiamma. Vrai osserva stupito, la bocca spalancata. La mano destra di Patchwork rafforza il controllo, i denti digrignati, l'aureola si incendia.
“Ho... ho ancora tutto dentro. È questo quello che hai detto prima, vero?”
Il secondo robot si allontana, i due su Vrai si voltano all'improvviso. La spada si illumina, come attraversata da un torrente di magma. La mano meccanica brucia al contatto, si scioglie, pezzi di plastica fusa.
“È il momento di vedere se è veramente così!”
Il robot scatta all'indietro, si ripara dietro lo scudo. Patchwork chiude gli occhi, muove la spada in un cerchio perfetto. Una scia ardente segue la punta della lama, forma un infinito scintillante. L'urlo raggiunge il cielo, sovrasta le sirene, un terremoto divino.
“Balmung ammazzadraghi, io invoco il tuo potere! Infinity Slaaaaaash!”
Un flash accecante, le luci oscurate, la sirena ammutolita. La spada colpisce il pavimento con violenza, una ragnatela di crepe nel punto di impatto.
Ma non accade nient'altro.
Le guardie sono ancora attive.
Illese.
**
Zanta osserva inquieto il televisore, il disastro nella sala operatoria, l'obitorio sventrato. Le dita tamburellano nervosamente sulla scrivania, le unghie dell'altra mano masticate nervosamente.
“C... come è possibile, Ledger? La succube era morta! Morta! I medici ne hanno constatato il decesso!”
Il certificato strappato dalla scrivania, la lettura rapida del contenuto.
“Vedi? È scritto qui! Arteria recisa, emorragia interna, pulsazioni zero! Come può essere lì?!”
Ledger scuote il capo, massaggia il mento sotto la sciarpa.
“Non ne ho la minima idea. Forse, le demoni come lei sono in grado di rigenerarsi.”
“N... non posso escluderlo.”
Zanta si alza dalla scrivania, passi nervosi verso l'uscita.
“Per fortuna, Azaleth era di guardia. Quella bastarda non riuscirà a portarci via Ashburnt!”
Ledger ruota sulla sedia, posa il gomito sulla scrivania, gioca con una ciocca di capelli.
“Mettiamo che ci riesca... e uniamo al cocktail l'evasione dei prigionieri. Cosa succederebbe?”
Il pugno chiuso, le dita serrate, i denti stridono uno contro l'altro.
“Se la notizia giungesse al Santo Padre...”
“Oh? Non è qui, sulla Heiligengeist?”
Zanta si volta di scatto, il sopracciglio inarcato, il respiro pesante.
“No, p... perché dovrebbe? Cosa ti fa pensare che...”
“Il fatto che lei abbia una spina della Corona piantata nel cuore, padre Zanta?”
Il prete spalanca la bocca, gli occhi fuori dalle orbite.
“C... come...”
Ledger sistema il cappello con assoluta tranquillità, gli occhi castani attraversati da un luccichio sinistro.
“Primo: il gesto con cui si è sfiorato il petto quando ha affermato di dover a tutti i costi credere nel successo dell'operazione. Secondo: per contrastare una reliquia c'è bisogno di un'altra reliquia.”
Zanta rimane in silenzio, afferra la maniglia della porta.
“Eh, eh. Sei sveglio, Mihowck. Ora capisco perché Ilias ti ha voluto a tutti i costi indietro, dopo l'addestramento su questa nave. Adesso, muoviamoci! Se non raggiungiamo in fretta la sala di controllo...”
“Aspetti solo un secondo.”
Un lungo sospiro, Ledger abbassa la sciarpa.
“Quindi, il Santo Padre si trova veramente sulla Heiligengeist, giusto?”
Zanta corruga la fronte, scuote il capo senza comprendere.
“Sì, ma...”
“Oh, bene...”
Un sorriso malizioso, le palpebre socchiuse, il dorso della mano a sorreggere la guancia.
“... allora il mio piccolo azzardo ha funzionato.”
29.
Heiligengeist (IV)
Eden esamina il nuovo arrivato, ne esamina il viso seminascosto, gli occhi di pece celati dall'ombra del fedora, i movimenti lenti e studiati. L'uomo fa altrettanto, lo sguardo attento, focalizzato sui dettagli.
“Se ti arrendi subito, potrei anche decidere di risparmiarti.”
Eden sbatte le palpebre, un'espressione da cucciolo impaurito disegnata sul viso angelico.
“Saresti così crudele da alzare le mani contro una povera ragazza indifesa e spaventata?”
Uno scatto del polso, le otto lame lanciate all'unisono. Eden si getta a terra, rotola sul pavimento, punta i piedi, si esibisce in una capriola perfetta. I coltelli si conficcano nella parete, uno dopo l'altro, si staccano subito dopo, tornano al proprietario roteando in aria. Eden recupera la posizione eretta, la lingua saetta tra le labbra.
“Oh, a quanto pare sì.”
“Tu non sei una ragazza. Sei una succube trapiantata in un corpo umano artificiale. Non posso provare pietà per uno scherzo della natura come te.”
Eden piega la testa di lato, l'indice tamburella sulla guancia.
“Neanche se ti facessi vedere le tette?”
“E... eh?”
L'uomo arretra di un passo, entrambi i sopraccigli inarcati. Eden socchiude gli occhi, incrocia le braccia.
“No? Che strano... credevo che agli uomini piacesse...”
Una risatina divertita, le dita accarezzano la chioma bionda.
“Uff... fa così caldo qui! Quasi quasi, potrei togliermi qualcosa...”
La spallina della vestaglia abbassata con noncuranza, centimetri di pelle scoperta. Un urlo stridulo, le mani agitate in aria.
“F... fermati! Non farlo! Altrimenti...”
“... altrimenti perderai il controllo dei tuoi coltelli, Reban Azaleth?”
Azaleth stringe le dita attorno alle lame, il respiro ritmato, gli stivali calcano il terreno con forza.
“C... come fai a conoscere il mio nome?”
Eden continua a parlare canticchiando, lasciando oscillare il capo come un pendolo.
“Io so tutto di te! Eh, eh, eh!”
Azaleth lancia un coltello, traiettoria parabolica verso la ragazza. Eden china il busto in avanti, evita agevolmente l'attacco.
“Per esempio, so che durante il tuo addestramento avevi una cotta per Ciel, un'altra Serva della Croce che – guarda caso – si trova qui, sulla Heiligengeist!”
“Chi... chi te lo ha detto?!”
“Detto? Oh, proprio nessuno. L'ho imparato... ehm, a modo mio.”
“Ora basta!”
Il mantello aperto, mostrato all'avversaria. Decine di coltelli appesi all'interno, di ogni foggia e dimensione.
“Lame del Cacciatore – Pioggia d'Acciaio!”
I coltelli si staccano dal tessuto, si sollevano in aria, puntano su Eden. La ragazza divarica le gambe, apre le braccia, scariche scintillanti attorno alle mani.
“Scroscio di Lampi!”
Eden unisce le mani, genera un flusso di elettricità convogliato in un raggio, i coltelli deflessi uno dopo l'altro. Fulmini secondari, le lame deviate, decine di bersagli colpiti nello stesso istante. Azaleth rotea il polso con maestria, guida gli attacchi come un direttore d'orchestra. Eden respinge ogni assalto, mantiene il flusso costante, non arretra di un centimetro. Azaleth estrae altri coltelli, l'aria dominata dalle armi del nemico.
“Finirò prima io i coltelli o tu le energie?”
Eden aumenta l'intensità del flusso, la fronte sudata, i denti stretti in una morsa. Un rivolo di sangue scende dalla narice, la palpebra sinistra semichiusa. Il tintinnio metallico delle armi, il rimbalzo, il ritorno alla fonte, il nuovo attacco. Azaleth sogghigna, rincara la dose, aumenta la velocità.
“Con entrambe le mani impegnate, non potrai mai contrattaccare! E se interrompi l'attacco, diventi un groviera! Ti sei scavata la fossa da sola!”
“Oh...”
Eden forza un sorriso, le iridi brillano di luce propria.
“... c'è sempre una terza possibilità.”
**
Heiligengeist, prigione centrale.
Patchwork crolla in ginocchio, perde la presa sull'impugnatura, lascia cadere la spada.
“P... perché? Perché non ha funzionato?”
Un pugno sferrato contro il pavimento, gli occhi tremanti, la mano demoniaca attraversata da spasmi.
“Balmung... io credevo che... che fossi ancora con me...”
“Patchwork!”
Vrai salta in piedi, tende la mano verso la ragazza. Le guardie si animano, restringono i suoi movimenti, gli impediscono di avvicinarsi. Il tempo immobile per un lungo istante, visione in negativo. Il battito di un cuore, le immagini scorrono attraverso gli occhi di Vrai, si propagano fino al cervello. Frammenti di informazione, tutto ciò che è nascosto alla vista. Un'ombra bianca attorno al corpo di Patchwork, indefinita.
“U... uh?”
Il tempo torna a scorrere, Vrai porta la mano alla fronte, fitte di dolore alla testa.
“G... gaaak... no! Patchwork!”
Patchwork solleva lo sguardo, incrocia quello di Vrai.
“Mi dispiace, Vrai. Sono inutile. Forse avevi ragione tu...”
“Certo che sei inutile! Lo siete entrambi! Che tentativo di fuga patetico!”
Una delle porte a lato si apre, lascia entrare una figura slanciata. Una ragazza, capelli rosa lunghi, occhi azzurri, tatuaggio a forma di stella sulla guancia sinistra, poncho giallo lungo fino all'ombelico, jeans neri a vita bassa, un lecca lecca stretto tra le labbra, guanti a mezze dita. Col simbolo della Santa Sede.
“Insomma, sono bastate quattro guardie per fermarvi! Quattro. Stupide. Guardie. Supersoniche.”
Le spalle scrollate, i palmi rivolti al soffitto.
“Devo dire che mi aspettavo di meglio.”
Vrai porta entrambe le mani alla fronte, rivoli di sudore lungo la pelle, gli occhi fuori dalle orbite, la voce meccanica, priva di tonalità.
“C... Ciel Kalandra. Serva della Croce al servizio diretto del Santo Padre. Pericolosità elevata...”
Un urlo di dolore, le palpebre chiuse, le dita fuori controllo.
“Gaaak! No! No! Non ora! Non può succedere... proprio questo!”
Ciel lo osserva con disinteresse, il bastoncino del lecca lecca mosso dalle labbra.
“Oh, conosci il mio nome, saltimbanco? Ne sono lusingata. Ora, però, toglimi una curiosità...”
L'indice puntato verso Patchwork, un sorriso malevolo.
“... che cos'è quel rifiuto?”
Patchwork alza lo sguardo, spalanca la bocca.
“R... rifiuto?”
“Scarto. Immondizia. Abominio. Scegli il tuo sinonimo preferito. Ne ho altri.”
Patchwork si alza, impugna la spada, le mani tremanti.
“Io non sono...”
“Catena Alchemica – Frusta di Roviii!”
Un movimento orizzontale del braccio, una scudisciata attraverso l'aria. Patchwork vola contro la parete, schiantata dall'impatto. Una frusta spinata comparsa dal nulla, emersa dal palmo destro di Ciel. Un urlo agghiacciante, Vrai porta le testa tra le mani.
“P... patchwork!”
“Ah, è così che si chiama?”
Ciel volteggia su se stessa, la frusta si contorce attorno al corpo in una spirale danzante.
“Un nome appropriato, per uno schifo del genere!”
**
Heiligengeist, ufficio di Zanta.
“Smettila di scherzare, Ledger. Dobbiamo fare in fretta o...”
Zanta preme la maniglia della porta una, due volte, senza alcun effetto.
“E... eh? Cosa...”
“Qualche problema?”
“La porta è bloccata! Non riesco a far scattare la serratura!”
Un cenno del capo, in direzione della scrivania.
“Alza il telefono e chiama la sala di controllo. Forse hanno attivato la chiusura di sicurezza per sbaglio...”
Ledger si avvicina al ricevitore, lo prende in mano, tira con forza. Il cavo si strappa, la cornetta separata dall'apparecchio. Zanta sgrana gli occhi, spalanca la bocca.
“Ehi, fermo! Che diavolo...”
“Mano Fantasma – Mitra Spettrale!”
Ledger ruota il busto, mira alle telecamere, le abbatte una dopo l'altra. Un tonfo metallico, i resti del sistema di sorveglianza in frantumi. Ledger tira un sospiro di sollievo, si siede sul tavolo.
“Uff. Credevo che sarebbe stato più difficile.”
“Ledger?! Esigo una spiegazione!”
“Oh, semplice. Io non ho mai tradito padre Ashburnt... anche se lui non ne è ancora al corrente.”
“Eh?!”
Un luccichio nell'iride, Ledger scrolla la spalla con noncuranza.
“È stato difficile mettere assieme un piano decente, ma non potevo arrendermi al primo ostacolo. Devo dire che vi siete mossi in modo estremamente prevedibile... ma non posso biasimarvi: Eden ha recitato alla grande.”
“Voi due... eravate d'accordo?!”
Zanta stringe il pugno, corruga la fronte.
“No, non ha senso! Tu hai una Spina nel cuore, proprio come me, come tutti i Servi della Croce!”
“Certo! Una Spina minore automatica, attivata da alcuni concetti chiave. Se avessi rivelato dettagli sul vostro inseguimento, sul vostro piano, sulla Heiligengeist o sulle vere intenzioni del Santo Padre, sarei morto. Vero, non avrei mai potuto parlare con nessuno della vostra presenza senza rimetterci la pelle, ma, vede...”
La sciarpa abbassata, un sorriso divertito, gli occhi luccicanti.
“... esistono altri modi per comunicare con una succube.”
Un'occhiata allo schermo del televisore, le immagini del duello di Eden scorrono a scatti, il confronto tra i coltelli di Azaleth e il flusso di elettricità.
“Ora, se ne stia buono e calmo e si goda lo spettacolo. Da qui non può uscire, senza il mio aiuto.”
Zanta approfitta dell'istante, estrae una pistola, la impugna con entrambe le mani, carica il colpo in canna. Ledger preme il cappello sul capo, uno sbuffo irritato.
“D'accordo, se la mettiamo così...”
Il grilletto azionato, lo scoppio della polvere da sparo. Ledger scarta di lato prima che il colpo parta, rotola sul pavimento, si rialza di scatto.
Nello schermo, Eden si lecca le labbra, le ripulisce dal sangue dell'epistassi, le pupille ristrette, i canini snudati, il ginocchio leggermente piegato, la fatica mascherata a stento. Azaleth continua l'attacco, mira ad Ashburnt, cambia la direzione dei proiettili, non lascia tempo per riposare.
Eden deflette ogni colpo, abbozza un sorriso, annuisce.
“Preparati ad una bella sorpresa...”
Ledger punta il braccio verso Zanta, carica la spalla sinistra.
“Mano Fantasma...”
Eden pronuncia le stesse parole, un'esplosione di energia violacea le avvolge la schiena, una figura eterea emerge dal lato sinistro, prende forma, si compatta. Azaleth sgrana gli occhi, perde la concentrazione per un attimo.
Zanta preme l'indice sul grilletto una seconda volta, senza quasi prendere la mira. Ledger evita il proiettile, balza sulla preda, il braccio spettrale consolidato.
“... Artigli dell'Idraaaaaa!”
Le voci di Ledger ed Eden all'unisono, si fondono in un coro perfettamente sincronizzato. La pistola di Zanta vola in aria, il corpo scagliato contro la porta, i cardini divelti, una nuvola di polvere e calcinacci.
I coltelli di Azaleth rimbalzano, perdono il controllo, mentre gli artigli del terzo braccio squarciano il petto, lo lanciano contro il muro a velocità folle. L'impatto con la parete, la perdita dei sensi. Il cacciatore si accascia al suolo con gli occhi ancora aperti.
Zanta riverso a terra, le unghie stridono contro il pavimento, i muscoli si rifiutano di collaborare.
Ledger alza lo sguardo verso lo schermo, solleva il cappello, copre il viso con la sciarpa, la voce diretta ai microfoni.
“Ben fatto! Ora, cerca di rianimare il bello addormentato. Dovrà essere in forma, se vogliamo avere qualche possibilità di successo.”
Eden solleva il pollice, si asciuga il sangue dal naso con un movimento rapido.
“Ho visto alcuni stimolanti in sala operatoria. Non dovrebbero esserci problemi.”
“Oh, okay! E... Eden?”
“Sì?”
“Mi dispiace averti dovuto insultare in quel modo... anche se si trattava solo di una recita.”
Eden risponde con un sorriso silenzioso, diretto verso la telecamera.
Un sorriso che vale più di mille parole.
30.
Heiligengeist (V)
Heiligengeist, prigione centrale.
Ciel volteggia rapidamente, la frusta brandita con maestria. Colpi violenti contro Patchwork, sferrati ad ogni parte del corpo.
“Stai giù, rifiuto!”
Patchwork si rialza, le ali agitate, la parte scheletrica vibra, oscilla a ritmo casuale.
“Rifiuto...”
“Un pupazzo formato da pezzi di scarto!”
Un altra scudisciata, la frusta si avvolge attorno al collo di Patchwork, le spine feriscono la pelle, lasciano una scia rossa al passaggio.
“A... aaaah! S... smettila, ti prego! F... fa male!”
Vrai cade per terra, le pupille ridotte a puntini, le immagini scorrono nella mente, formano una sequenza inevitabile.
“No.”
Ciel consolida la presa, le spire si restringono, bloccano il respiro.
“Come dici, scusa? Non credo di aver capito, rottame!”
“A... aiuto... Vrai... Vrai...”
“No!”
Vrai alza lo sguardo, distende il braccio, urla a squarciagola.
“F... fermati, Kalandra! Fermati prima che sia troppo tardi!”
Gli occhi ruotano nelle orbite, uno sguardo annoiato verso Vrai.
“Troppo tardi per cosa? Per il rifiuto? Ma per lei è già troppo tardi. Non sarebbe neanche dovuta nascere. Sto solo... ecco, effettuando un aborto, capisci? Un po' in ritardo, ma è il risultato che conta, no?”
“No! Non capisci! Tu non sai cosa stai per scatenare! Fermati, ti supplico, altrimenti...”
La voce grave, la saliva ingoiata, il terrore puro nelle iridi.
“... moriremo tutti!”
**
Heiligengeist, ufficio di Zanta.
Uno sforzo immane, i pugni premuti contro il pavimento, le ginocchia tentano di stabilizzare il corpo. Zanta si rialza a fatica, cerca automaticamente la pistola. Un dolore lancinante alla mano, il tacco dello stivale di Ledger sul dorso.
“Fermo dove sei.”
“Uaaaaah!”
Zanta ruota il capo, pulisce un rivolo di sangue, fissa Ledger con occhi di fuoco.
“C... come hai fatto, maledetto? Come hai...”
“Se vuoi te lo riassumo brevemente. Sapevo che avevate perso il contatto dopo il confine: il raggio del leviatano ha mandato in tilt il mio comunicatore, quindi non potevate più sapere dove mi trovavo. Il protocollo prevedeva il decollo immediato della Heiligengeist per il recupero della Vera Croce, in questo caso. La questione non era se sareste riusciti a trovarci, ma quando: conoscevate il punto di accesso e le poche città vicine al confine. Era logico pensare che sareste arrivati a noi. Io ho solo fatto in modo che succedesse nel momento più favorevole.”
Un sospiro seccato, gli occhi rivolti al soffitto.
“Certo, l'interferenza di Rafael e il disastro con Patchwork non erano previsti e mi hanno fatto temere per l'esito del piano. Pazienza, ha funzionato lo stesso. Un po' di fortuna non guasta.”
“L... la succube... era morta...”
“Uno sparo a salve con una capsula di colorante rosso e un potente sedativo che ha annullato le funzioni vitali per qualche minuto. Ero certo che i medici della nave non avrebbero perso tempo con una demone in fin di vita, specie con un intervento molto più importante da preparare. Mi sono permesso di falsificare il certificato di morte... così, ho potuto chiedere a Kobase di trasferire il cadavere direttamente all'obitorio, perché Eden era già stata dichiarata deceduta prima di salire sulla Heiligengeist. Per dare un minimo di veridicità alla storia, ho vestito Eden con la cappa da paziente e ho liberato ancora un po' di colorante nel punto dell'impatto. Poi, le ho inserito un comunicatore portatile nell'orecchio.”
“A... aspetta! Quindi... quando mi hai chiesto di assistere all'operazione...”
“Bingo! Dove si trova l'obitorio? A fianco alla sala operatoria! Eden era già sveglia, quando Ashburnt è stato portato lì. Ovviamente, non poteva sapere quando intervenire. Aveva bisogno di un segnale... una parola d'ordine, diciamo.”
Zanta sgrana gli occhi, digrigna i denti.
“Ora... ora capisco tutto. Avevi un comunicatore... nascosto nella sciarpa?”
“Mi piace, padre Zanta. È più furbo di quanto non sembri, complimenti!”
“Anche l'evasione era programmata?!”
Ledger sistema la tesa del cappello, un respiro profondo.
“Il piano non era perfetto. La probabilità che qualcosa andasse storto era molto elevata... e avevo bisogno di un diversivo. Lasciare le carte a Vrai mi è sembrata una buona idea. Non sapevo cosa sarebbe successo, ma conoscendolo non avrebbe perso l'occasione di usarle per evadere, creando un po' di sano caos sulla nave.”
Ledger alza il tacco, si dirige lentamente verso il corridoio.
“Ora, se permette, ho questioni più importanti di cui occuparmi.”
“B... bastardo! Sua Santità ti...”
“Oh, giusto. Ora che ci penso...”
Un sorriso malevolo, le palpebre semichiuse.
“Lei ha fallito, padre Zanta. Completamente. Ha perso il controllo della nave, Ashburnt è libero, Eden è viva... e io vi ho tradito, senza che lei potesse fare nulla per impedirmelo.”
Zanta si alza in ginocchio, unisce le mani in preghiera.
“N... no! Non è vero! Ho ancora... ancora una... gaaaaak!”
Il busto inarcato, i muscoli rigidi, le pupille ristrette. Schizzi di sangue caldo, l'abito talare lordato da fluidi scarlatti. Una spina a trafiggere il cuore, da lato a lato, emersa dal nulla. Zanta si piega in modo innaturale, si accascia sul pavimento, privo di vita. Ledger abbassa il cappello, distoglie lo sguardo dalla scena.
“Il Santo Padre era in ascolto, eh?”
Un tocco sul proprio cuore, le dita ispezionano il petto.
“Peccato che la mia si sia disattivata dopo aver consegnato Ashburnt alle guardie. Sua Santità non è poi così furba, uh?”
Un sospiro di sollievo, il passo spedito.
“Okay, lasciamo perdere. Meglio non far aspettare Eden.”
**
“Uff! Finalmente!”
Eden allaccia le stringhe della scarpa, sistema le spalline del top con cura.
“Ne avevo abbastanza di quella cappa da malato! Per fortuna non hanno buttato i nostri vestiti... vero, padre Cross?”
Ashburnt annuisce in silenzio, massaggia la fronte con l'indice.
“... un attimo, Eden. Mi sono svegliato solo due minuti fa. Con una siringa piantata nella spalla. Circondato da detriti. E la prima cosa che ho visto è stata un uomo nudo in fuga scomposta.”
Eden ridacchia divertita, la lingua saetta tra le labbra.
“Il camice del dottor Kobase non era così buono. Purtroppo, Azaleth è scappato prima che potessi assaggiare il suo mantello.”
Ashburnt vacilla, si aggrappa alla ragazza, il peso sorretto a fatica.
“Non... mi avevi detto che...”
Eden arrossisce, distoglie lo sguardo.
“Lo so cosa ho detto, ma non ho saputo resistere. Avevo troppa fame.”
Ashburnt si trascina nel corridoio, il giaccone striscia sul pavimento.
“Dove stiamo andando?”
“Dobbiamo recuperare Ledger.”
“Ledger?!”
Eden annuisce, le iridi brillano di eccitazione.
“Sì! Il suo piano ha funzionato alla meraviglia!”
Ashburnt preme gli occhiali sul naso, la voce trema ad ogni sillaba.
“Voi due... eravate d'accordo?”
“Sono stata brava, vero? Tutto grazie a Misia! È stata lei a insegnarmi a recitare così bene in una delle nostre... ehm... sessioni di allenamento!”
“M... Misia?”
Eden accarezza i capelli, lo sguardo sognante.
“Oh, padre! Non ha idea di quanto siano morbide le sue te...”
“N... non voglio saperlo! Io sono un prete! UN PRETE! N... non puoi tentarmi così! E... e poi... non mi interessano i dettagli! È... è contro natura, ecco!”
Eden si ferma in mezzo al corridoio, massaggia il mento.
“Quindi, preferisce che le racconti come Ledger mi ha... ehm... istruito sul piano?”
Ashburnt rosso come un peperone, la bocca spalancata, gli occhi sgranati.
“Tu e Ledger avete...”
“Sì, uffa! Cosa c'è di male? Mica siamo bambini, padre! E poi, me lo sarò anche un po' meritato, dopo lo scherzetto del leviatano?”
Ashburnt scuote il capo, lascia la presa, salda la posizione.
“I... i miei valori... i miei insegnamenti... tutto in fumo! Aaaah! Come posso salvare il mondo, se il peccato è arrivato così vicino a me?! Almeno, Mikael...”
Eden alza gli occhi al soffitto, l'indice battuto più volte sulla guancia.
“... ehm... albergo a Zenma, pigiama a pinguini?”
“Anche lei?!”
“Shì!”
“Noooooooooo!!!”
Ashburnt congelato, apre, chiude le mani con rapidi scatti, cerca di riprendersi dal trauma.
“Sembra che manchi solo io alla tua lista.”
L'indice di Eden sfiora la giacca, scende lungo le pieghe, la lingua fa capolino tra le labbra.
“Oh, ma a questo si rimedia facilmente, padre!”
“N... non mi toccare!!! Con te farò i conti dopo!”
Eden saltella sul posto, unisce le mani.
“Giusto! Ora deve occuparsi di un pesce più grosso!”
“Di chi stai parlando?”
“Non è ovvio, padre?”
Una voce dall'altro lato del corridoio, rumore di passi in avvicinamento. Una figura emerge dalle ombre, cammina con decisione. Mantello svolazzante, cappellaccio strappato, sciarpa a coprire il volto, occhi marroni penetranti. Eden agita il braccio, fischia in direzione del nuovo arrivato.
“Ledger! Stavo per dirglielo io!”
Ledger si ferma, un colpo di tosse per schiarirsi la voce.
“Sono contento che si sia ripreso, pa...”
“Aaaah! Il fornicatore traditore!”
Ledger inarca il sopracciglio, guarda Ashburnt di sbieco.
“Fo... forni-che?!”
Un secondo di imbarazzo, l'usuale compostezza recuperata.
“Oh, capisco. Deduco che Eden le ha raccontato... ehm... il metodo poco ortodosso con cui le ho trasmesso informazioni. Avremo tempo dopo per parlarne, okay? Ora è il momento di incontrarlo.”
Ashburnt incrocia le braccia, le iridi in fiamme, il volto paonazzo.
“Incontrare... chi?”
Ledger preme il cappello sulla fronte, abbozza un sorriso malinconico.
“Il burattinaio che ha mosso i fili della vicenda sin dall'inizio...”
L'avambraccio saetta in aria, l'indice puntato verso il termine del corridoio.
“...Il Santo Padre, Lisandro II.”
Luci rosse lampeggianti, sirene d'allarme. Una voce metallica diffonde il suo messaggio, si impone sul coro fragoroso.
“Attenzione! Sicurezza compromessa! Evacuazione del settore quattordici in corso! Per favore, mantenete la calma. Ripeto, sicurezza compromessa...”
Le porte laterali spalancate, un fiume di guardie supersoniche si riversa nel corridoio, gli occhi luccicano dello stesso colore delle lampade, le lance puntate verso i tre.
Ledger sbuffa rumorosamente, un'occhiata verso padre Ashburnt.
“Che seccatura. Sembra che Sua Santità non abbia alcuna intenzione di concederci udienza.”
Ashburnt unisce l'indice e il medio, le palpebre chiuse.
“Oh, lo farà, Ledger...”
Le mani giunte, puntate al cielo, le gambe divaricate, l'aura divampa, le iridi in fiamme.
“... con o contro la sua volontà!”
**
La frusta di rovi esplode in una miriade di schegge luccicanti, Ciel sbattuta a terra per il contraccolpo. Patchwork in piedi, il respiro pesante, un alone nero attorno al corpo. La mano demoniaca si apre, gli artigli estesi, i denti digrignati.
“... ti odio.”
Ciel si rimette in piedi, arretra di alcuni passi.
“C... come...”
L'ala d'osso estesa, l'ala angelica divorata da vampe di pece. I capelli oscillano in aria, le pupille ridotte a puntini microscopici.
“Ti odioooo!”
Crepe sui muri, sul pavimento, gli schermi saltano in aria, le lampade ridotte in frantumi, un vortice scuro ricopre il corpo di Patchwork. Vrai alza la voce, grida a squarciagola.
“Kalandra! Scappa, prima che...”
Un movimento fulmineo, l'aria squarciata dall'onda d'urto. Le gambe di Ciel amputate poco sopra il ginocchio, il corpo fluttua per qualche istante, prima di cedere alla gravità. Un ruggito disperato attraversa la sala, una zampa titanica percuote il pavimento. Un muso animalesco emerge dal turbine, gli occhi di due colori diversi. Una creatura mastodontica, nera come la pece.
Una creatura che fino a poco prima era chiamata Patchwork.
31.
Il Santo Padre (I)
Ciel urla a squarciagola, gli occhi sgranati, i pantaloni inzuppati di sangue, ossa e muscoli a vista. Le dita si aprono, lasciano cadere la frusta, tentano di frenare il flusso rossastro. Panico, dolore, le palpebre spalancate, le pupille quasi invisibili. Patchwork sogghigna compiaciuta, conficca gli artigli nel pavimento. Un ringhio bestiale, le pareti del corridoio vibrano all'unisono. Le guardie armano le lance, mirano alla testa, attivano i propulsori.
Una coda da scorpione emerge dal turbine nero, una scudisciata repentina, i robot colpiti in pieno petto. Lo stridio del metallo stracciato, ingranaggi e pezzi di lamiera in volo.
Vrai si getta a terra, la testa stretta tra le mani.
“No! Patchwork, fermati! Fermati!”
La creatura non ascolta, si avvicina a passi lenti al corpo inerme della sua aguzzina. Ciel ruota sulla schiena, si trascina lungo il corridoio, in lacrime. Una scia vermiglia dai moncherini, fuoriesce impietosa come un torrente in piena. Patchwork si lecca le labbra deformi, i denti digrignati in un macabro sorriso. La coda si solleva in un arco perfetto, la lama risplende alla luci dei neon.
Vrai scatta in piedi, estrae quattro carte, ne prende due per mano.
“Scusa, ma non ho altra scelta! Cartes du Destin! Doppia Coppia!”
Quattro spade lanciate come boomerang, le zampe posteriori come bersaglio. Un clangore assordante, il metallo rimbalza sulle squame nere, ricade senza forza sul pavimento.
“Cosa?!”
Gocce di sudore freddo, Vrai si morde la lingua, la mente elabora alla massima velocità. Il mazzo passato in rassegna, il Joker spunta beffardo, la figura stampata prodotta in un occhiolino di complicità. Vrai preme il bordo della carta, la ricaccia dentro la scatola.
“No, non posso... non posso!”
“Aaaaaah!”
Ciel porta le mani di fronte al volto, la voce stridula.
“T... ti prego! No! Non uccidermi!”
Patchwork gira attorno alla preda come uno squalo, gli occhi fissi sul corpo menomato, la soddisfazione malcelata. Una voce sgraziata emessa dalle fauci, la pietà completamente assente.
“Oh, non lo farò. Non subito, almeno...”
La lama caudale guizza fulminea sulla schiena della preda, il poncho strappato, solchi profondi sulla pelle.
“Prima voglio divertirmi un po'!”
Vrai ingoia un grumo di saliva, gli occhi fissi sulla creatura, sulla sua vittima.
“Patchwork, che diavolo stai combinando?! Non eri un angelo, maledizione?!”
I pugni serrati, la decisione presa al volo, tutte le possibilità pesate, un lungo sospiro. Un'unica scelta.
“Okay, io me la batto. Cartes du Destin! A raccolta!”
Le carte si sollevano dal pavimento, volano come uccelli ammaestrati, ritornano indietro, riprendono posto nel mazzo. Ma non tutte. Una spada giace ancora tra i resti delle guardie.
“La Donna di Spade...?! Perché non...”
Vrai non ha il tempo di pensare, solo di sentire. L'esplosione, la paratia affettata. Il sibilo dell'aria, il coltello acuminato, il graffio sulla pelle nera. Poi l'urlo. Un urlo disperato.
“Cieeeeeel!!!”
**
Un tonfo sordo, una nuvola di polvere, la porta sfondata con un calcio. Sagome scure emergono dal fumo denso, pezzi di guardie robotiche sparsi sul pavimento. Broccati vermigli appesi alle pareti, oli su tela di enorme pregio, candelabri placcati d'oro, una croce di platino a dominare la stanza. Un un trono finemente decorato al centro.
Ashburnt avanza lungo il corridoio, ripulisce il giaccone dalla polvere, gli occhiali sistemati con un gesto deciso.
“Complimenti per lo sfarzo, Santo Padre. Poteva caricare a bordo l'intera basilica di San Pietro, già che c'era.”
Un ghigno sarcastico in risposta, la mano inguantata scivola tra i capelli biondo cenere, sfila sul volto perfetto, fresco come quello di un adolescente. La voce suadente, uno sguardo di sfida.
“Ah, l'invidia! Uno dei peccati più riprovevoli. Il mio preferito, dopo la vanità.”
Eden bloccata sull'uscio, Ledger stringe nervosamente il cappello, copre il viso in fretta e furia con la sciarpa.
“Ci siamo.”
Eden strattona il mantello, l'indice mosso ritmicamente in direzione del trono.
“Come?! Non può essere lui. È... è schifosamente giovane!”
“Grazie per il complimento, mia cara...”
Un sorriso beffardo, le iridi color dell'oro, il corpo fasciato in un elegante saio bianco con fregi scintillanti. La tiara issata sul capo, le mani giunte sotto al mento.
“... ma dubito di poter ricambiare. Non vado pazzo per le succubi, specie per quelle che si fingono morte. Avete idea di quale danno ha causato la vostra bravata? Anche tu, Ledger... che delusione-one-one! Mi aspettavo un comportamento più leale!”
Le spalle scrollate con noncuranza, gli occhi chiusi, un cenno eloquente della testa.
“Ma, dopotutto, chi sono io per giudicare?”
Un'aura violacea, fiamme eteree attorno al corpo, le dita accarezzano la croce di platino. Ashburnt sbatte il piede per terra, stringe il pugno, digrigna i denti.
“Esigo una spiegazione, Wigerov!”
“No, no, no, Ashburnt! Per te, per voi è Lisandro II!”
“Wigerov! Siamo stati compagni di addestramento! Io, te, Yanma...”
“Wigerov Alyxiander non esiste più. Non qui, almeno.”
Un sospiro seccato, i palmi rivolti al cielo.
“Sai com'è, tengo parecchio al mio nome da pontefice. Sceglierlo non è stato così... semplice.”
Le pareti attraversate da un fremito, sussulti improvvisi, i quadri oscillano senza essere toccati. Ledger arretra di un passo, Eden assume posizione di guardia.
“... come non è stato semplice ripulire la corte papale dai parassiti, dagli sfruttatori, dai biechi politicanti! Gente senza spina dorsale, priva del fuoco della passione, così lontana dalla nostra sacra missione primaria!”
La croce riluce degli stessi bagliori viola, la mano afferra saldamente la struttura metallica.
“Chi credi che fosse interessato veramente ad uccidere il Maligno, Ashburnt? I vescovi? I cardinali? I rifiuti schifosi che godono della paura altrui? La verità, Ashburnt, la verità è che... a nessuno importa! Finché esiste un Maligno, la Chiesa ha il potere assoluto! Grandi sacerdoti come il giovane Ilias o il vero Liacono Argento sono merce rara. Gente come te, come Rejo...”
Uno schiocco di dita, le mura esplodono. Spine nere come il carbone, la porta sigillata, l'intera stanza trasformata in un roveto. Ledger e Eden si portano al centro, evitano le punte per un soffio. Ashburnt scuote la testa, lo sguardo ruotato a destra, a sinistra, la ricerca di una via di fuga.
“... mi fa vomitare, Ashburnt. Sempre a rincorrere i vostri interessi privati come cagnolini scodinzolanti, mascherandoli da ideali altissimi solo per sentirvi più in alto di tutti! Ah, sempre a proposito di cagne... come sta Magdalen, Ashy? L'hai finalmente consumata la prima notte di nozze?”
Vampe scarlatte circondano Ashburnt, un incendio nelle iridi, l'indice e il medio uniti, le pupille dilatate.
“Ora. Mi hai fatto. Incazzare.”
“Oh, bene...”
Un ghigno soddisfatto, entrambe le mani serrate. La croce di platino sradicata, brandita come una mazza. Ashburnt rotola a terra, evita il colpo per un soffio. Alyxiander ridacchia divertito, le pupille ridotte a puntini microscopici.
“Non aspettavo altro!”
Uno schiocco di dita, i rovi si animano, si moltiplicano, circondano Ledger, bloccano Eden, li trascinano al soffitto.
“Waaaaah!”
“Aiutoooooo!”
Ashburnt spalanca la bocca grida qualcosa di incomprensibile. Due rovi si separano dal resto del groviglio, puntano al cuore dei due ragazzi. Alyxiander solleva la mano, le dita pronte a schioccare.
“Rendiamo le cose un po' più interessanti. Cosa ne dici se li passo da una parte all'altra come piccioni allo spiedo?”
“I... il santo padre non farebbe mai una cosa del genere! Uccidere condanna all'inferno! Neanche le indulgenze potrebbero...”
“Awwww. Ashy, Ashy. Credevo fossi più intelligente. A chi interessa il paradiso...”
La croce sollevata in orizzontale, una ginocchiata brutale, il platino spaccato a metà.
“... se non esiste più un Dio?”
**
Heiligengeist, prigione centrale.
Una tempesta di metallo lucente, lame acuminate a rotazione rapida. Una sinfonia tintinnante, il corpo di Patchwork sfregiato a ripetizione, senza alcun effetto. Ciel sgrana gli occhi, distende la mano, uno scintillio di speranza.
“R... Reban!”
Mantello nero, cappello nero, sangue incrostato sull'abito scuro, quattro squarci aperti sull'armatura. Quattro lame per mano, il furore nello sguardo, il bavaglio calato sulla bocca. Azaleth lancia le armi, le controlla con precisione millimetrica. L'acciaio rimbalza sulla pelle di pece, Patchwork ignora completamente il nuovo arrivato.
“Bastarda! Lasciala in pace! Lame del Cacciatore – Pioggia d'Acciaio!!!”
Nuovi coltelli estratti dal mantello, un lancio dopo l'altro, in traiettorie spiraliformi. La coda di scorpione si solleva, intercetta gli attacchi, li deflette contro le pareti con estrema facilità. Dieci, venti, cento coltelli piantati sul soffitto, nel pavimento, nei muri, senza interruzione.
Patchwork ringhia infastidita, migliaia di punture di zanzara sulla scorza impenetrabile. Un urlo rauco, l'attenzione rivolta verso l'aggressore.
“Tu conosci Ciel?”
Un cenno in risposta, in silenzio. Patchwork si lecca le labbra, i denti acuminati ripuliti dalla lingua bitorzoluta.
“Beneeee! Ucciderti davanti a lei sarà il colpo di grazia! Ah, quanta dolce disperazione! Non vedo l'ora di...”
Azaleth allarga le braccia, estende le dita.
“Lame del Cacciatore...”
I coltelli tintinnano, le pareti scosse da fremiti, emergono centimetro dopo centimetro.
“... Vergine di Ferro!!!”
Azaleth unisce le mani, spalanca le palpebre. Tutti i coltelli si separano all'unisono, convergono da ogni direzione verso la testa del mostro.
“Aaaaaaaah!”
Le lame rimbalzano sulla pelle, tagliano le labbra, feriscono le guance, le gengive, la lingua. Patchwork si protegge con le mani mostruose, la coda agitata con violenza, nel vano tentativo di deflettere i colpi.
Un coltello più veloce attraversa la guardia, centra in pieno l'occhio destro. Un urlo terrorizzato, la creatura piange lacrime scure, tenta di estrarre l'arma dall'orbita. Azaleth approfitta del momento, scatta in avanti, raggiunge Ciel, la prende tra le braccia, corre verso l'altro capo del corridoio, lascia il mondo alle spalle. Vrai segue l'esempio, corre a più non posso, il mazzo riposto nella tasca.
Ma la Donna di Spade è ancora a terra, avvolta dalle fiamme.
Le fiamme di una fenice.
32.
Il Santo Padre (II)
Le spire si attorcigliano, attraversano la stanza a velocità folle. Ashburnt si getta a terra, schiva, rotola sul pavimento. Le dita unite, il fuoco divampa nelle iridi.
“Wigerov! Smettila subito con queste idiozie, ti sei fuso il cervello?!”
Alyxiander sogghigna, solleva i frammenti della croce, gli occhi socchiusi.
“No, no, no, Ashy! È... è esattamente il contrario. Ora ci vedo, capito? Prima ero cieco, ostinatamente convinto che la nostra missione ultima fosse salvaguardare l'avvento del Regno dei Cieli.”
I muscoli contratti, i denti digrignati.
“Solo... una bella... favola!”
Uno scatto di reni, il sostegno di platino lanciato come un giavellotto. Ashburnt spalanca le palpebre, la voce come un rombo di tuono.
“Rosario divino, primo mistero – Folgore Angelicaaaaa!”
Un lampo squarcia le tenebre, l'esplosione, schegge di metallo in volo. Alyxiander sorride, le pupille ristrette.
“Una favola, capito? Dio... Dio è morto da duecento anni! Da duecento anni!”
Un movimento rapido del braccio, ciò che resta della croce scagliato come un boomerang. Ashburnt immobile, gli occhiali premuti contro la fronte.
“Rosario divino, accelerazione – Separazione dei Grani!”
Cinquantanove sfere di luce emergono dal corpo del prete, ruotano ad alta velocità. La croce rimbalza una, due, tre volte, sempre più rapida. Alyxiander la segue a fatica con lo sguardo, il capo ruotato a destra, a sinistra con crescente agitazione.
“Rosario divino – ricomposizione!”
Le sfere svaniscono all'improvviso, la croce fende l'aria, circondata da un'aura rovente. Alyxiander tende il braccio, un muro di spine emerge dal pavimento, si pone a sua protezione. Una pioggia di scintille, l'impatto di una sega elettrica su una lastra d'acciaio. La croce si conficca nella barriera, estirpa il primo strato, frantuma il secondo, attraversa imperterrita il terzo.
“Ashbuuuurnt!”
Alyxiander distende le dita, il volto deformato in una smorfia bestiale. Altre spine rinforzano il muro, mietute dal boomerang di platino. Una goccia di sudore lungo la fronte, i lunghi capelli ondeggiano per l'onda d'urto. La croce fa a pezzi la barriera, avanza un centimetro alla volta, sempre più vicina al suo bersaglio. Alyxiander deglutisce rumorosamente, schiuma dalla bocca, l'aura viola avvolge completamente il suo corpo, tutte le energie dirottate verso la difesa. Uno schiocco secco, la croce si spezza, scoppia in una miriade di frantumi, a pochi millimetri dal viso. Alyxiander cade all'indietro, protegge gli occhi dalle schegge acuminate, si rialza. La stola usata per ripulire le labbra dalla saliva.
“... splendido. Splendido, Ashy. Davvero. Ah, ah! Ah, ah, ah!”
Alyxiander allarga le braccia, le spire si ritorcono al suo comando, avvolgono il trono alle sue spalle. Ashburnt fende l'aria con la mano, i rovi attorno a Ledger e Eden bruciati dall'energia sacra, il tonfo sordo dei corpi caduti a terra.
“Cosa sarebbe splendido, Wigerov? La tua palese instabilità mentale?”
“Hai... hai avuto fortuna. Ti hanno assegnato la Vera Croce, Ashy. La Vera Croce, ti rendi conto? Non questa... inutile Corona di Spine. La corona del finto re. Appropriato, non trovi? Con questa puoi rimanere in contatto con Dio, dicevano. Poco importa se per indossarla devi rinunciare ai tuoi pensieri, giusto? È... è la tradizione dei pontefici, no? M... ma Dio è morto! Era tutto un trucco, un trucco, capito?”
“Wigerov, smettila! Cos'è questa storia? Dio non è...”
“Io leggo il pensiero di tutto il creato, ricevo le loro suppliche, i loro stupidi desideri! E posso punirli, oh sì! Posso punirli se li ho marchiati con la Corona! Ma non ho più nulla! Non posso più concentrarmi su me stesso. Non c'è più un me stesso!”
Alyxiander incrocia le braccia sopra la testa, il capo riluce di bagliori purpurei. La corona cinge la fronte, si manifesta sotto forma di energia pura, spine tutto attorno alla tiara.
“Diadema del Dolore, primo mistero – Cento Flagelli!”
Luccichii, bagliori nella stanza, fili sottili come nylon. Le coppe d'oro tagliate a metà senza sforzo, i candelabri menomati.
“Ma che dia...”
Ashburnt non fa in tempo a terminare la frase, il corpo martoriato da decine di colpi in sequenza. Frustate invisibili al petto, alle braccia, sul volto. Tagli, squarci sulla pelle, la montatura degli occhiali spezzata a metà, le mani al viso.
“Aaaaah! Aaaaah!”
“Fa male, vero? Pensa al Figlio! Lui ha subito tutto questo per l'amore del Padre...”
Una lacrima lungo la guancia, lo sguardo al cielo.
“... e cosa ha fatto il Padre per lui? Lo ha abbandonato. C... ci ha abbandonato! Siamo tutti orfani, Ashburnt! Tutti. Orfani. Papà non tornerà a casa... ma c'è una soluzione, sai?”
Le spire si attorcigliano attorno al polso destro di Ashburnt, avvolgono l'indice.
“Diventare. Il nuovo. Padre.”
Una fiammata scarlatta, i rovi carbonizzati.
“Basta.”
Ashburnt serra il pugno, incurante del sangue, del dolore.
“Dio è morto, dici. Qualcuno deve sostituirlo, dici. E quel qualcuno sei tu, dici.”
Alyxiander arretra di alcuni passi, congiunge le mani in preghiera.
“N... non mi credi? È la verità! Dio si è spento! La Chiesa... la Chiesa non ha più alcun senso e...”
Ashburnt lo ignora platealmente, un cenno della mano diretto ai suoi compagni.
“Ledger, Eden! Raggiungete la cabina di pilotaggio della nave e fatela atterrare, con qualsiasi mezzo.”
Ledger scuote il capo, distende il braccio.
“M... ma... padre...”
“Fate come vi ho detto, senza discutere! Forza!”
Eden annuisce, afferra il polso di Ledger, lo strattona con decisione. Ledger la segue controvoglia, uno scambio di sguardi con Ashburnt, fiducia reciproca risaldata. Un muro di spine emerge dalle pareti, Eden urla per lo spavento, Ledger paralizzato dal terrore. Fiamme vermiglie in risposta, le punte ridotte in cenere in un battito di ciglio. Eden riprende il controllo, attraversa la soglia, percorre il corridoio di corsa, trascinandosi dietro Ledger. Alyxiander corruga la fronte, alza la voce.
“N... non ignorarmi, Ashburnt! Io sono il Santo Padre! Io sono il tuo superiore! Come osi distogliere l'attenzione da...”
“Oh, giusto. Quasi dimenticavo.”
Ashburnt fissa Alyxiander negli occhi, lo sguardo glaciale.
“Wigerov Alyxiander o, se preferisci, Santo Padre Lisandro II...”
Un sorriso sprezzante, l'aura divampa, il sangue coagula all'istante, i capelli sospesi in aria.
“... io ti ho visto e giudicato colpevole di Superbia. Essendoti macchiato di uno dei peccati capitali, sei ora considerato nemico della Vera Croce e, come tale...”
L'indice e il medio uniti portati di fronte al volto, gli occhi spalancati, la voce come un rombo di tuono.
“... TI ESORCIZZO!”
**
Heiligengeist, prigione centrale.
Vrai ammira la lama infuocata, tentenna per un istante, interrompe la sua fuga. Linee di informazione raggiungono la mente, creano una rete di connessioni. Immagini rapide stampate sulla retina, una sequenza di eventi senza capo né coda, collegati solo dalla protagonista.
Patchwork.
La vera Patchwork, l'angelo rappezzato, non il mostro sanguinario, la bestia omicida.
“N... non posso lasciarla così. È questo che vuoi dirmi?”
La creatura di pece ruggisce, latra per il dolore, un artiglio piantato nel pavimento, l'altro a coprire l'occhio ferito da Azaleth. Le ali membranose graffiano i muri, sangue verdastro cola dagli squarci aperti sulla pelle scura.
“Maledetti! Maledetti tutti! Vi odio! Vi odioooo!”
La lama caudale attraversa la stanza, fende il pavimento. Vrai si scansa con una capriola, ritorna in piedi, preme sul pavimento, si lancia verso la spada, ne afferra l'elsa.
“Tu non sei più la mia Donna di Spade, vero?”
Un lampo biancastro, la sagoma di un'altra arma sovrapposta al metallo lucido. Un'arma vermiglia, con fregi dorati, rune incise sulla guardia, sul manico. Vrai sobbalza, si irrigidisce.
“... tu sei...”
Un ringhio acuto, la coda sferzata a pochi centimetri dalla testa del ragazzo.
“Vrai! Vraaai! Bastardo! Tu mi hai illuso! Mi hai illuso! Avevo ancora tutto dentro, secondo te! Ma allora perché? Perché non è successo nulla?! Io ti ammazzo! Ti ammazzoooo!”
L'artiglio cala dall'alto, tutta la forza concentrata in uno sforzo inumano. Vrai risponde d'istinto, solleva la spada, intercetta l'assalto. Scintille sfavillanti, la lama oscilla tra due forme diverse. Vrai punta i piedi, regge l'assalto, serra i denti, stringe l'elsa. Lingue di fuoco scarlatto divampano al contatto, si disperdono in tutto il corridoio, lambiscono la crosta nerastra. Patchwork arretra, barcolla, mentre il fuoco divampa, incendia l'arma intera. Vrai apre la mano di scatto, lascia la presa.
“Ahio! Scotta!”
La spada rimane sospesa a mezz'aria, avvolta in un fuoco inestinguibile. La sagoma di un drago emerge dalla punta, si attorciglia attorno alla lama. Un volto abbozzato dalle vampe, uno sguardo severo dimenticato da secoli. Il drago esplode in una pioggia di scintille, un bagliore improvviso, gli strali si ricompattano in una fenice scintillante. Patchwork osserva ammirata, la voce ridotta ad un sibilo.
“S... Sigfrido?!”
La fenice si alza in volo, rotea due volte su se stessa, si lancia verso il mostro nero, lo abbraccia tra le vampe rossastre. Una carta bruciacchiata volteggia lentamente in aria, scende a terra ondeggiando. La Donna di Spade atterra dolcemente sul palmo di Vrai, mentre il fuoco circonda Patchwork, la stringe tra le sue spire. Un calore sconosciuto si fa largo attraverso la pelle di catrame, raggiunge il cuore, l'essenza divisa, incolla i frammenti. Un intreccio di pensieri, ricordi dimenticati, immagini fugaci nella mente.
“N... no! Smettila! Perché continui ad aiutarmi? Perché continui a tornare da me? Perché?”
Un guscio luminoso attorno alla bestia, un dolce tepore attraverso tutto il corpo. Un lampo accecante, Vrai cade a terra, spinto dall'onda d'urto, rialza il capo, focalizza la scena. Una colonna di fumo acre lì dov'era il mostro, sempre meno fitto, sempre più leggero. Un cratere nel pavimento, una figura in ginocchio, nuda, il corpo segnato da cicatrici. Un'ala scheletrica, un'ala d'angelo, completamente distese. Una mano delicata, un artiglio deforme. Occhi stanchi, di due colori diversi, a fissare ciò che riposa sui suoi palmi. Una spada vermiglia, appena forgiata.
“B... Balmung...”
Patchwork abbraccia l'arma, la stringe al petto, si scioglie in lacrime.
“... sapevo... che non mi avevi lasciata...”
La stanchezza prende il sopravvento, le palpebre si chiudono, la ragazza barcolla. La spada svanisce in un mare di luce accecante, si riversa all'interno del corpo, al centro del petto. Patchwork perde i sensi, crolla a terra.
“... ora so di nuovo... chi sono...”
Le ali si ritraggono, rientrano nelle scapole, la coda sottile si adagia mollemente tra le gambe, le mani incrociate di fronte al seno. E un sorriso pacifico dipinto sul volto, tra i capelli di mille colori diversi.
Vrai si trascina fino al solco, si toglie la felpa, la lascia cadere su Patchwork, si sdraia accanto a lei, chiude le palpebre. Un sospiro di sollievo.
“Tutto questo casino per tornare ad essere un pupazzo rattoppato? E io che mi aspettavo chissà che miracolo...”
Una risatina divertita, la mano accarezza le guance della ragazza.
“... ma non importa. Bentornata, Patchwork. Stavi già iniziando a mancarmi.”
33.
Il Santo Padre (III)
“Diadema del Dolore, primo mistero – Cento Flagelliiii!”
L'aria tagliata da decine di corde invisibili, mobili e suppellettili in pezzi, gli arazzi strappati. Ashburnt fa il segno della croce, unisce le mani. Le sfere di luce si chiudono attorno a lui, deflettono le frustate. Le braccia alzate al cielo, le gambe divaricate.
“Rosario divino, secondo mistero – Fiamme di Sodoma!”
Un'ondata di calore scaturita dalle mani unite, il pavimento brucia, le pareti in fiamme. Alyxiander distende la mano destra, un muro di spine eretto a comando, l'energia dissipata.
“Uno scontro tra due reliquie. Interessante, Ashy! D... davvero interessante! Magari riuscirà a distrarmi un po'. Così, posso concentrarmi su di me... almeno per qualche minuto!”
Le braccia conserte, una sottile aura viola sfavilla attorno al corpo.
“S... sai? In questo momento, una bambina sta chiedendo a Dio perché la sua famiglia è scomparsa all'improvviso. U... un condannato a morte si sta domandando se esiste un aldilà. Un uomo... sta chiedendo la forza per dichiararsi alla donna che ama...”
Alyxiander chiude gli occhi, abbozza un sorriso.
“E mille... mille altri! N... no, che dico? Milioni! Milioni di preghiere ogni secondo! M... ma non quando attacchi, Ashburnt, no! La Vera Croce crea interferenze... ah, che sollievo! Che godimento! Io esisto ancora, Ashy! Voglio quella Croce ad ogni costo! Forse, in questo modo...”
Ashburnt serra il pugno, lo carica di energia sacra.
“Come se me ne importasse qualcosa! Rosario divino, primo mistero – Folgore angelicaaaaa!”
“Non impari mai, eh? Diadema del Dolore, secondo mistero...”
Il lampo investe il Santo Padre, si disperde, dissipato in un attimo, resta in sospensione attorno a lui. Alyxiander apre la guardia, spalanca gli occhi, entrambe le braccia distese, le dita ben separate.
“... per il Santo Graaal!”
La folgore angelica si ricompatta di fronte all'uomo, esplode in un bagliore accecante, si riversa contro Ashburnt.
“Gggggh...”
Ashburnt protegge il viso, vola contro il muro per la violenza dell'impatto. Alyxiander sistema la tiara sul capo, spazzola i capelli con un gesto elegante.
“A... ancora, Ashburnt! Ancora! Ora ne sono sicuro! Quando avrò la Vera Croce, smetterò di ricevere tutte queste patetiche suppliche! I due poteri si completeranno, sarò libero, Ashy! Libero di diventare il nuovo Padre Onnipotente!”
Ashburnt si rialza, respiri affannati, scottature superficiali ovunque.
“Smettila con questa storia! Non esiste che Dio sia morto!”
Alyxiander incrocia nuovamente le braccia. Un passo in avanti, un altro passo. Un lento incedere verso il rivale, mentre i capelli ondeggiano, gli occhi dorati scintillano.
“Sì? Allora come spieghi le sparizioni a Limularia? Gli angeli impazziti? Il decadimento di questo mondo? È una prova, secondo te? Solo una stupida prova? Apri gli occhi, Ashy.”
“Sta' zitto!”
Ashburnt carica il pugno, un diretto al volto alla massima velocità.
“Per il Santo Graal.”
Alyxiander spalanca le braccia, Ashburnt rimbalza contro uno schermo invisibile, la faccia deformata, sangue dal naso, una smorfia di dolore. L'energia scorre nelle dita, massaggia il viso, cura le ferite.
“Ugh...”
Un ghigno spontaneo, i denti in linea perfetta.
“Sei più stupido di quanto ricordassi, Ashy. Eliminarti sarà un gioco da ragazzi!”
I palmo elevato al soffitto, l'aura viola sfavilla, l'altra mano a tenere il gomito, il busto leggermente inarcato.
“Diadema del Dolore, mistero supremo...”
L'indice sfiora la fronte di Ashburnt, una fiammata purpurea scaturita dalla punta.
“... Giudizio Divino!”
**
Heiligengeist, corridoio centrale.
Ledger e Eden corrono tra gli allarmi, il suono irritante delle sirene ad accompagnare la fuga. Ledger abbassa la sciarpa, urla per sovrastare il rumore.
“Prima di raggiungere la cabina di pilotaggio, dobbiamo disattivare il sistema d'allarme. Il primo obiettivo è sabotare la sala di controllo.”
“Sai dov'è?”
“Sono stato addestrato su questa nave. So come trovarla.”
Una guardia supersonica emerge da un gate laterale. Ledger rotola a terra, si porta alle spalle del robot.
“Mano Spettrale – Lancia Perforante!”
Il nucleo di alimentazione strappato brutalmente, il robot crolla a terra come una marionetta senza fili. Eden ridacchia divertita, accelera per raggiungerlo.
“Bel trucco, devo segnarmelo. A proposito, grazie ancora per la... ehm, lezione.”
“È stato divertente.”
Il gate di fronte ai due inizia a chiudersi, due guardie fanno capolino alle loro spalle. Eden punta i piedi, salta all'indietro, una capriola in aria.
“Scoppio Sinfonico!”
Una pioggia elettrica colpisce i robot sul collo, stacca loro la testa. Ledger carica la spalla sinistra, si dirige verso il cancello.
“... Artigli dell'Idra!”
La paratia si piega prima di concludere la sua corsa, rimane incastrata nei binari a scorrimento. I robot accecati alzano gli scudi, attivano i sensori secondari. Eden divarica le gambe, allarga le braccia, unisce le mani di scatto.
“Ultima Tempesta!”
Le guardie saltano in aria in un mare di frammenti metallici bruciacchiati. Ledger scivola sotto la porta sospesa, raggiunge l'altro lato. L'ingresso della sala di controllo emerge tra le luci del corridoio.
“È qui!”
Muggiti artificiali, ronzii incessanti, il frastuono dei propulsori. Eden deglutisce, si aggrappa al braccio di Ledger.
“Arrivano altre guardie. Se continua così...”
Due, tre, quattro figure biancastre fanno capolino dalle entrate laterali. Altre due scardinano il gate difettoso. Ledger si appiattisce alla parete, gli occhi inquadrano ogni singolo bersaglio.
“Non appena il primo robot solleva la lancia, buttati a terra e dammi fuoco di copertura.”
“Eh?”
“Fidati di me.”
Un cenno di assenso, gocce di sudore freddo lungo la fronte.
“D'accordo.”
Quattro automi in retroguardia piantano gli scudi per terra, bloccano la via d'uscita. Le altre due alzano il braccio, preparano l'arma. I propulsori accelerano, le turbine ruggiscono. La pupilla di Ledger si dilata e contrae, il cervello si sintonizza sulla frequenza, segue il ritmo del motore. Eden si lancia sul pavimento, rotola sul fianco, unisce le mani.
“Ora!”
“Scroscio di Lampi!”
Una moltitudine di fulmini ferisce i muri, sfiora le corazze lucide, confonde la retroguardia, impedisce lo scatto del primo automa. Ledger salta un attimo prima della partenza del secondo, estende il braccio fantasma, afferra la testa della guardia, ne devia il percorso. Il bang supersonico, la turbina si accende all'improvviso. E la guardia si schianta contro la porta della sala di controllo.
“Sì!”
Il portello salta in aria, la guardia atterra rovinosamente tra i computer e gli operatori. Panico generale, grida, urla. Ledger raggiunge l'interno, afferra Eden, la trascina con sé. Le altre guardie si fermano sulla soglia, non proseguono, rimangono immobili. L'automa già all'interno si spegne, la lancia inerte, lo scudo lasciato cadere per terra. Ledger sogghigna, solleva la sciarpa di fronte al viso.
“Proprio come ricordavo. Le guardie non possono entrare dentro la sala di controllo, altrimenti c'è il rischio che danneggino per errore qualche apparato vitale per la nave. Giusto, ragazzi?”
Gli operatori osservano sbigottiti, alcuni alzano le mani in segno di resa, un altro preme furiosamente i tasti di un computer. Un dardo elettrico, le dita attraversate da scosse, spasmi e contorsioni. Eden soffia sulla punta dell'indice, mimando una pistola.
“Risposta sbagliata, piccolo.”
Il caposezione deglutisce rumorosamente.
“P... per carità, non uccideteci! Stiamo solo... facendo il nostro lavoro!”
Ledger si siede sul corpo immobile del robot, gli occhi fissi sull'ometto stempiato.
“Oh, anche noi, non preoccupatevi. Mi stavo solo chiedendo se non potreste gentilmente disattivare questi droni. Sono particolarmente fastidiosi.”
“M... ma così, l'intero sistema di sicurezza...”
“Precisamente. Su, avanti. Disattivalo.”
Un ringhio schifato, il caposezione sputa per terra.
“Il Santo Padre non te la farà passare liscia, traditore.”
“Il Santo Padre ha altro di cui preoccuparsi, ora. Forza, disattiva gli allarmi... altrimenti potrei accidentalmente farti saltare la testa. Mi sono spiegato?”
**
La testa di Ashburnt rimbalza all'indietro, la stanza trema, attraversata da scosse, il mondo attorno a lui svanisce, lo inghiottisce in un turbine di tenebra.
“E... eh? Cosa sta...”
Un coro di voci scomposte, multiforme. Preghiere, richieste, domande, frasi intrise di emozioni contrastanti, di panico, di dolore. Un concerto macabro, ripetuto, senza fine.
“T... tutte queste voci...”
Ashburnt crolla in ginocchio, la testa chiusa tra le mani, le orecchie tappate.
“Aaaaaah! Falli smettere! Non... non riesco nemmeno a pensare!”
Un'eco lontana, sdoppiata, un sibilo gelido.
“Q... quindi, riesci a sentirle... anche tu?”
Le parole rimbombano, sovrastano il caos.
“Ora comprendi da cosa sto cercando di fuggire, Ashy? Ora capisci perché voglio la Vera Croce?”
Una risata sadica nell'ombra.
“Ma se credi che sia finita qui, ti sbagli! È solo l'inizio!”
Un tremore in sottofondo, lo spazio inizia a scintillare. La voce di Alyxiander irrompe con violenza, parole cariche d'odio e rancore.
“Primo Comandamento! Io sono il tuo unico Dio, non avrai altro Dio al di fuori di me!”
Ashburnt precipita nell'abisso, gli occhi sgranati, le immagini della sua vita scorrono davanti ai suoi occhi. Tutte le volte in cui ha rinnegato la fede per denaro o altri privilegi, prima di indossare l'abito talare.
“No! No! Bastaaaa!”
“Secondo Comandamento! Non nominare il nome di Dio invano!”
La caduta continua, le bestemmie, gli insulti verso il creatore, gli sgarbi. Ashburnt costretto a guardare, costretto a ricordare.
“Ricordati di santificare le feste! Onora il padre e la madre!”
Frammenti di vita, il padre alcolista, il terrore puro.
“Non uccidere!”
Lo spettro di Ilias, il viso triste del Gran Sacerdote. Ashburnt in lacrime, il cuore stretto in una morsa.
“Smettila! Smettilaaaa!”
“Non commettere atti impuri! Non rubare! Non dire falsa testimonianza!”
Altre immagini fugaci, represse nei cassetti della memoria.
“Non desiderare la donna d'altri!”
Un flash, le rovine di una chiesa. Un demone. L'altare lordato dal sangue. Cadaveri, i testimoni di nozze uccisi. E una ragazza dai capelli celesti, gli occhi rossi come il fuoco. Magdalen.
“L... la donna... d'altri?!”
Ashburnt serra i pugni, le lacrime evaporano, la collera risale attraverso le vene, le arterie pompano, il battito a mille, le pupille assottigliate, i denti digrignati.
“Intervento divino, terzo miracolo – Specchio della Verità!”
Il mondo invisibile deflagra, implode dall'interno. Alyxiander perde l'equilibrio, scivola, cade di schiena. Ashburnt di nuovo in piedi, l'aura dorata divampa, i capelli ondeggiano verso l'alto, frammenti del pavimento sollevati a mezz'aria, disgregati in polvere.
E gli occhi pervasi dall'istinto omicida.
“Hai toccato il tasto sbagliato, Wigerov.”
34.
Il Santo Padre (IV)
Eden saltella per il corridoio, il ponte centrale completamente deserto. Ledger segue a poca distanza, osserva con circospezione.
“Quando pensi che si risveglieranno?”
“Non prima di un paio d'ore. Li ho cotti a puntino con i miei fulmini. Avranno una leggera emicrania, ma nulla di serio.”
Un brontolio sordo frantuma il silenzio, Eden porta le mani allo stomaco, le gote rosse per l'imbarazzo.
“Scusa... ho consumato molte energie, e...”
Ledger sghignazza, alza lo sguardo al soffitto.
“È già successo qualche minuto fa nella sala di controllo... ma lì era pieno di succulente uniformi della Santa Sede, impreziosite di preziosi broccati. Una vera leccornia, eh? Mi sono chiesto perché non ne hai approfittato.”
“Oh, beh... è semplice, credo. Volevo dirtelo prima, ma... ma non ne ho avuto l'occasione.”
Eden solleva il capo, incrocia gli occhi di Ledger.
“Voglio... voglio diventare più umana. Voglio smettere di mangiare vestiti. Così... così non dovrai più vergognarti di me...”
Ledger sbuffa indispettito, scuote il capo con noncuranza.
“Scusa, perché dovresti farlo per me? E poi non è neanche necessario! Vedi...”
“Perché ti amo?”
Ledger agita la mano, la frase filtrata dall'orecchio prima raggiungere il cervello.
“Un attimo, lasciami finire.”
Ledger trae un lungo respiro, tenta di mettere insieme un discorso sensato.
“C'è chi è vegetariano, chi è carnivoro, chi mangia solo lecca lecca alla trippa di manzo e salamoia... tu ti nutri di tessuti – cotone, lana, lino. Dimmi perché dovrebbe essere un problema, per me. Sei tu che dovresti vergognarti di accompagnarti con uno storpio sfregiato, uno scherzo della natura e un prete irascibile!”
Eden si massaggia i capelli, socchiude le palpebre.
“Uffa, se la metti così, mandi tutti i miei propositi in tilt.”
Ledger si sfila il cappello, lo preme sulla zazzera di Eden.
“Non ti chiederei mai di cambiare, Eden! Tu sei così di natura. Che senso avrebbe...”
Un lampo improvviso, il cervello rielabora le frasi ignorate in precedenza, con qualche secondo di ritardo.
“E... ehi, un momento. Puoi ripetere... quello che hai detto prima?”
“Sui miei propositi?”
“No, prima ancora.”
“Che ti amo?”
“Sì, esatto. Quella era una riga che avevamo concordato per la recita, giusto? Sei stata un'attrice fenomenale, ma adesso possiamo anche...”
Eden si esibisce in una linguaccia, strizza l'occhio.
“Ma io non stavo recitando. Mi piaci sul serio, Ledger! E vorrei avere tanti bambini con te...”
Un bacio sulle labbra, la mano scivola lungo la spallina del top, la scosta leggermente facendola ricadere lungo l'omero.
“... anche adesso.”
Ledger scarta all'indietro, impallidisce, tossicchia, gratta la fronte con fare distratto.
“Prima... prima il dovere, d'accordo? Facciamo atterrare questo affare.”
Eden si ricompone, mugugna delusa.
“D'accordo, d'accordo. Però, rispondimi sinceramente... tu mi ami, Ledger?”
Ledger strabuzza gli occhi, afferra Eden, si getta su di lei.
“A terra!”
Un coltello trafigge l'aria, passa a pochi centimetri dalla testa della ragazza, si conficca nel muro.
“Cosa...”
Altre lame in rapida successione. Eden le riconosce, salta in avanti, alza la mano.
“Scoppio Sinfonico!”
Una miriade di esplosioni scintillanti, le lame deviate verso il pavimento e il soffitto. Una figura zoppicante emerge dalla cabina di pilotaggio, trascinando il corpo senza vita di un operatore.
“Ciao, Ledger.”
“Reban?!”
Azaleth annuisce, respira a fatica. Gli squarci sul petto ancora aperti, il sangue scorre copioso sulla divisa scura.
“S... siete qui per dirottare la nave, vero? M... me lo aspettavo. Dopo l'evasione, le esplosioni, il caos, le guardie disattivate... doveva essere questo il vostro obiettivo. Ne ero... ugh... certo. Ma... ma non ci riuscirete. Ho ucciso tutti i piloti dopo aver fatto inserire il sistema di autoguida. La Heiligengeist non atterrerà finché non avrà raggiunto la destinazione prefissata dal Santo Padre in persona...”
Un rantolo di dolore, il mantello aperto, le lame impugnate.
“... la Piana della Solitudine, l'ultimo approdo sicuro prima della Rocca del Maligno.”
**
Ashburnt spazzola il soprabito, senza distogliere lo sguardo dal nemico. Alyxiander osserva esterrefatto, stropiccia gli occhi più volte.
“C... come? Come sei sfuggito al mio giudizio?”
“Non dovevi mostrarmi quelle immagini.”
Le dita unite, mosse con eleganza. Ashburnt spalanca le palpebre, porta l'indice di fronte al naso. Alyxiander incrocia le braccia, riacquista posizione eretta.
“Attaccami, allora! Forza, sto aspettando!”
“Non ancora.”
“Eh?”
“Credi che non abbia capito come funziona il tuo contrattacco, Wigerov? Se ti colpisco quando hai le braccia incrociate, la mia tecnica si ritorce contro di me... ma tenere attivo un potere simile richiede energia. Molta energia. Devo solo attendere che ti scarichi per bene.”
“Non ce ne sarà bisogno!”
Alyxiander divarica le gambe, le braccia distese ai lati del corpo.
“Diadema del Dolore, terzo mistero – Prigione di Spine!”
Le pareti della stanza si sfaldano, innumerevoli punte acuminate emergono da ogni lato. Ashburnt rotola per terra, schiva, salta di spina in spina, senza distogliere lo sguardo dal bersaglio. Le sfere di luce del rosario si materializzano attorno al suo corpo, lo seguono a ruota, lo circondano come una barriere protettiva, deflettono, spezzano. Un sorriso ironico.
“Tutto qui, Wigerov?”
Alyxiander grida a squarciagola, evoca altre punte, l'intero locale trafitto, nemmeno un centimetro risparmiato.
“Io... io avrò la Vera Croce! Devo averla! Devo! Non voglio più... ascoltare quelle voci! È troppo! Troppo! Non... non perderò contro di te!”
“Ma tu hai già perso, Wigerov.”
Ashburnt afferra una moneta, la lancia contro una sfera. Il rimbalzo si moltiplica, l'energia aumenta.
“Hai perso quando mi hai mostrato il tuo tormento, quando mi hai visto piegarmi alle voci... nonostante la Vera Croce. E sei scivolato nella disperazione.”
Ashburnt corre in cerchio, scivola sulle spire nerastre, si avvicina come uno squalo alla preda.
“Zitto, idiota! Smettila! Smettilaaaaaah!”
Alyxiander intensifica l'assalto, raddoppia il ritmo di emersione.
La moneta continua a rimbalzare, ormai invisibile all'occhio umano, una scia incandescente a formare disegni intricati nell'aria.
“Hai capito, vero, Wigerov? La Vera Croce non è sufficiente ad arginare la Corona. Forse è un palliativo, ma nulla di più. Ti sei già arreso... anche se ancora non ne sei consapevole.”
“Non dire stronzate! Io... la Vera Croce...”
“È finita, Wigerov. Possa la tua anima ritrovare la pace nell'aldilà! Che tutti i tuoi peccati possano essere perdonati!”
“Ashburnt! Cosa...”
Un rapido segno della croce, il dito puntato verso il suo avversario.
“Rosario divino – ricomposizione!”
Alyxiander incrocia le braccia, svuota i polmoni.
“Diadema del Dolore, secondo mistero – Per il Santo...”
Le ultime sfere svaniscono, la scia di plasma diretta ad un unico bersaglio.
“... Graal...”
Le parole muoiono in gola, la moneta trapassa il petto a velocità supersonica, l'aria si incendia, la veste talare brucia al contatto, il cuore scoppia. Alyxiander barcolla, gli occhi sgranati, la bocca immortalata in una smorfia sorpresa. Le maniche della veste scivolano lungo gli avambracci, mostrano i polsi, i segni di decine, centinaia di cicatrici, di decine centinaia di tentativi falliti di porre fine al dolore. L'aura viola si affievolisce, sprizza scintille, schiocchi, lumini. Alyxiander cade all'indietro, la ferita richiusa dal calore. Le spine si frammentano, ridotte in cenere, pezzo dopo pezzo. La tiara rotola per terra, scopre la fronte, i capelli dorati riversati sul viso.
Ashburnt ferma la caduta del corpo, lo sorregge con le sue braccia.
“A... Ashy... oh, Ashy...”
Un debole spasmo, la mano sollevata a fatica, le labbra contratte in qualcosa di simile ad un sorriso.
“... non le sento più...”
L'ultimo respiro, le palpebre calano, una lacrima scende lungo la guancia.
“... grazie.”
Ashburnt annuisce, posa delicatamente Alyxiander sul pavimento con mani tremanti, gli occhi leggermente velati.
“Di... di nulla, Wigerov. Sogni d'oro.”
Un passo in direzione dell'uscita, le spalle voltate ai resti del trono.
“M... meglio raggiungere Ledger...”
Un ronzio di fondo, un tremito diffuso. Poi, una voce.
Aspetta, Ashburnt. Portami con te.
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Heiligengeist, ponte principale.
Azaleth sgrana gli occhi, incespica, cade in ginocchio. Uno spasmo, la mano non raggiunge i coltelli, non ne trova l'impugnatura. Gli occhi fissi su Eden. Occhi carichi d'odio.
“È tutta colpa tua, stronza! S... se non fosse stato per te, Ciel non avrebbe combattuto da sola contro quel mostro!”
Un colpo di tosse, il tentativo estremo di riacquistare posizione eretta.
“Sono... sono riuscito a portarla in infermeria. Le sue ferite sono gravi, forse non ce la farà. Ma non è importante, è contenta di morire per il Santo Padre... come lo sono io, Ledger. Pronto a tutto per difendere la Fede. A differenza di te.”
Una voce gracchiante dagli altoparlanti, uno scossone attraverso tutta la struttura.
“> Sistemi di atterraggio attivati. Arrivo previsto in dieci minuti.”
Azaleth ridacchia, afferra un coltello con la mano destra.
“Non avete più speranze di cambiare destinazione.”
Eden aggrotta le sopracciglia, massaggia i capelli.
“E perché dovremmo? A noi va benissimo così. Anzi, ci ha risparmiato la fatica di raggiungere la Rocca via terra.”
Azaleth strabuzza gli occhi, digrigna i denti, punta il coltello alla gola della ragazza.
“C... cosa?! No! Devo... devo disattivarlo! Non posso permettervi di...”
“Un momento, Reban.”
Ledger si frappone tra i due, fissa il cacciatore senza battere ciglio.
“Ciel è ancora viva, giusto? Siamo ancora in tempo per salvarla.”
Azaleth abbassa l'arma, il respiro rallenta.
“Impossibile! Solo il Santo Padre può...”
“No, non è vero. Padre Ashburnt ha gli stessi poteri. In questo momento, quei due stanno... ehm, discutendo piuttosto animatamente. Chiunque vinca, tu e Ciel sarete curati. Solo se ci attacchi, hai tutto da perdere.”
“N... non posso! Farmi aiutare da un traditore...”
“Cos'è più importante, per te? Ciel o i tuoi stupidi principi morali?”
Reban rimane in silenzio per un lungo istante.
“Hai vinto, Ledger. Ma se è solo un altro sporco trucco, questa volta la pagherai cara.”
**
Heiligengeist, sala del trono.
Le rovine pervase da una voce, una voce sottile, proveniente da tutte le direzioni e nessuna allo stesso tempo.
Vuoi veramente lasciarmi qui?
Un bagliore purpureo, una sfera violacea si separa dal cadavere di Alyxiander, volteggia a mezz'aria. Ashburnt osserva allibito, in stato di contemplazione.
“... la Corona di Spine...”
Il globo scintilla per un lungo istante, come a rispondere alle sue parole. Punte emergono dalla sfera, mentre l'involucro si intreccia, formando motivi complicati.
Diventa il mio nuovo portatore.
“Non sapevo che la Corona avesse volontà propria. Credevo che solo la Sindone...”
Non più. Io mi sono evoluta. Io ho il potere che cerchi. Il potere di recuperare Magdalen. Io posso permetterti di leggere nella mente. Potrai rispondere alla tua domanda, Ashburnt. Potrai scoprire perché ti ha abbandonato.
Ashburnt irrigidito, le parole faticano a trovare consistenza.
“... davvero?”
La Corona levita fino a lui, si porta a pochi centimetri dal suo viso.
Indossami e ti mostrerò un nuovo modo di osservare il mondo. Ora che Dio è morto, c'è bisogno di qualcuno che prenda le redini dell'universo. Tu puoi diventarlo, Ashburnt. Indossami e tutto ti sarà chiaro.
“Per ridurmi come Wigerov? No, grazie.”
Aspetta! Tu sei più forte di Alyxiander. Tu puoi avermi e controllarmi! Io...
Le dita unite, l'aura dorata sfavilla.
“Una reliquia basta e avanza, non saprei che farmene di un'altra. Ma, se proprio insisti, ne prenderò un pezzetto.”
Eh?! Non vorrai veramente...
“Rosario divino, primo mistero...”
No! Fermo! Noooo!
“… Folgore Angelica!”
Uno strale di luce accecante, il globo fluttuante investito in pieno dal colpo. Gli intrecci ridotti in polvere, le spine si spezzano, la sfera dissipata. Un cerchietto abbrustolito rimbalza sul pavimento, tra mille lumicini purpurei. Ashburnt si china sui rimasugli, protende l'indice destro verso i resti.
“Assorbirò un po' della tua essenza. Mi sarà decisamente utile contro il Maligno.”
Una scintilla al contatto, filamenti luminosi riversati nel dito, l'oro si tinge di porpora per un attimo, prima di ritornare al consueto colore. Ashburnt crolla in ginocchio, i muscoli attraversati da una scarica elettrica, i denti digrignati.
“U... ugh...”
Le immagini dello scontro, del tormento di Alyxiander. Le domande, le risposte, la verità.
“No, non posso...”
Un brivido freddo lungo la schiena. La certezza di non aver afferrato un concetto chiave.
“No! Devo... devo andare avanti. Dio non è morto. La Corona stava solo cercando di confondermi. Se credessi alle sue parole...”
Il pugno puntato sul pavimento, il capo scosso con forza, la determinazione recuperata.
“... non cambierebbe nulla. Perché io sono padre Thornheart Ashburnt. E ho giurato che avrei sconfitto il Maligno. Con qualsiasi mezzo.”
Un ghigno sarcastico, il pugno serrato con forza.
“Tutto il resto non ha alcuna importanza.”