Cross! - Atto Primo (2016)

"Cross!" è IL racconto, IL romanzo che più si avvicina ad una light novel shonen. Sono passati duecento anni dall'ascesa del Maligno, che ha preso il controllo della Terra dopo essere uscito dall'Inferno con le sue armate. Due secoli dopo, un prete armato del Chiodo della Vera Croce, intraprende una crociata solitaria, un pellegrinaggio verso il territorio del Maligno, col fine ultimo di esorcizzare qualunque demone incontri sulla sua strada. "Cross!" è semplicamente fuori di testa e lo adoro per questo. Atto Primo e Atto Secondo sono completi, sfortunatamente, Atto Terzo non ha mai visto la luce del Sole ed è stato lasciato incompiuto. Ad ogni modo, i primi due Atti possono essere letti come storie complete, con un inizio ed una fine. Spero che le avventure di Padre Thornheart Ashburnt e dei suoi improbabili alleati possano strapparvi qualche risata, come è successo a me mentre le scrivevo.
1.
Lande desolate (I)
“Accidenti, devo essermi perso...”
Una cartina spiegata, alcune X rosse piazzate con precisione sulla carta giallastra, nomi di città, di regioni.
“Eppure ero così sicuro che quel cartello fosse errato...”
La carta geografica ruotata a destra, a sinistra, nella costante ricerca di un punto di riferimento.
Un sospiro sconsolato.
“Pazienza. Non mi resta che chiedere in giro.”
Un uomo, alto, un giaccone nero chiuso sino al mento da cerniere e bottoni, fedora dello stesso colore, una ventiquattr'ore posata per terra, occhiali da vista. La polvere appiccicata, le scarpe lucide minate dalla sabbia granulosa. Cactus, piante rinsecchite ad ogni angolo, dune basse, ghiaino, tracce di asfalto.
Un rimbombo echeggiante, la vibrazione dell'aria, l'uomo osserva i dintorni con poco interesse.
E i dintorni osservano lui.
Onde di pressione circolari, il terreno sollevato ritmicamente, l'effetto di un sasso lanciato in un lago. Una mano artigliata emerge dal suolo, una distorsione dimensionale. Alla mano segue il braccio, la spalla, la testa, il torso, un'altra spalla – dallo stesso lato – un altro braccio, altre due spalle – stavolta sì, dall'altro lato – le gambe, i piedi. Pelle d'ebano, viso allungato, denti da squalo disposti su tre file, occhi laterali scarlatti. Corna da ariete. Artigli da nove pollici.
Un cucciolo.
Una scintilla di Sole sugli occhiali a specchio, la cartina ripiegata a fatica, riposta in tasca, il braccio destro agitato in segno di saluto.
“Ah! Per l'appunto! Capitate a fagiolo!”
Uno scatto, due scatti, le serrature aperte, un libricino estratto rapidamente dalla valigia, il titolo in caratteri dorati, vergati con stile. L'indice sull'indice, a cercare la sezione corretta.
L'uomo si schiarisce la voce, gli occhi fissi sulla pagina stampata. Lettura meccanica, priva di enfasi.
“Mi sono perduto e necessito di direzioni. Può l'infinita bontà vostra coadiuvare questo sperduto pellegrino?”
Una lingua triforcuta in risposta, emerge dalle labbra di pece, si estende fino al basso addome. Un ruggito infernale, le fauci spalancate.
“Questo non è un paese per uomini. Torna indietro, sarà meglio per te.”
Parole pronunciate con un tono gracchiante, sdoppiato, fastidioso all'udito.
Un tono che non ha nulla di amichevole.
L'uomo non si perde d'animo, la montatura premuta sul setto nasale, il libro sfogliato a velocità folle. Le frasi arcane dell'incantesimo di locazione pronunciate ad altissima voce, un megafono esplosivo ad effetto.
“Sul serio, signor mio? Ossequi, innanzitutto. Comprendo il vostro sgomento, ma non era mia intenzione recarle disturbo...”
L'ultimo passaggio della formula, il più delicato, gli occhi brillano di determinazione.
Il dito ad indicare il Sole, le fiamme divampano nell'anima.
“Può indicarmi il centro d'accoglienza turisti più vicino?”
Il cucciolo punta gli zoccoli, le quattro braccia aperte a raggiera.
“Questo è l'ultimo avvertimento. Lascia queste terre o diverrai il mio pranzo!”
Onde concentriche, la rena smossa alle spalle dell'uomo, mani tetradattili emerse dal caos.
“Il nostro pranzo.”
Tre cuccioli.
A triangolo.
L'uomo al centro.
Il capo ruota a destra, a sinistra, cerca un appiglio, un punto d'approdo. Le vene in rilievo, il libretto richiuso, riposto assieme alla cartina.
“Devo dedurre che la mia presenza non è gradita?”
“Al contrario. Cosa ne dice di fermarsi per un pasto veloce? Non le ruberemo molto tempo.”
I demoni caricano, si gettano sull'uomo, gli artigli estesi, i denti letali.
“GWAAAARGH!”
Uno schianto tremendo, le teste nere collidono con violenza, un groviglio di membra aculeate.
Il primo scrolla il capo, si massaggia la fronte, le corna arrotolate.
“Ma dove...”
Un'ombra su di loro, una sagoma controluce.
Il giaccone come aliante, esteso, a prolungare un salto sproporzionato. Un paio di occhiali da vista in volo. I capelli biondi svelati dalla tesa sollevata, un abito bianco emerge dal tessuto di tenebra.
E un collarino scuro, interrotto davanti alla gola da un cartoncino candido.
“Uwoooo!”
I cuccioli scattano, si spostano rapidi dall'area di atterraggio. Un pugno fende il suolo, in caduta, la valigetta piroetta in aria per il contraccolpo, il cappello turbina in aria.
Ira compressa nelle iridi verdi, sul punto di esplodere.
“Al diavolo gli incantesimi! E io che ho mi sono fidato di quello storpio bastardo!”
Il braccio proteso verso il cielo, gli occhiali scagliati verso il Sole, il cappello lasciato al vento, l'abito bianco a farla da padrone.
Sgomento negli occhi delle creature.
“Chi... chi sei?”
L'uomo solleva il capo, le inquadra una alla volta. Fiamme acide attorno alle pupille, fulgore divino.
“No. Chi siete voi, semmai! Presentatevi! Non si chiede il nome ad uno sconosciuto prima di aver esposto il proprio!”
Il primo cucciolo arretra, gli altri lo emulano, guadagnano la massima distanza possibile. Parole masticate, biascicate, sputate.
“Noi... noi non abbiamo nome!”
“E sia. Allora vi rivelerò il mio.”
L'indice e il medio a mo' di pistola, eretti verso l'infinita volta celeste. Strali siderali confluiscono sulla punta, avvolgono le unghie pallide. Stelle filanti, fuochi fatui, lo splendore degli angeli.
“Io sono padre Thornheart Ashburnt, portatore della Vera Croce...”
Le nuvole roteano, imbizzarrite, un raggio di pura energia dall'indice sino allo spazio aperto.
“... e, come tale...”
Uno scatto del braccio, una croce tracciata in aria con rapidità inumana.
“... VI ESORCIZZO!”
La croce colmata da bagliori divini, si allarga, si espande, si propaga.
“GWOOOOOOO!”
I cuccioli dilaniati, uno dopo l'altro, la carne arsa, le membra straziate.
E, di loro, non resta che cenere.
L'uomo in posa plateale, le mani nelle tasche, smuove i mucchietti polverosi con un calcio, in attesa di una reazione.
“Andati. Tutti e tre.”
Gli occhiali atterrano sul naso, il cappello segue a ruota, rimbalzando sulla zazzera bionda. Il braccio sinistro esteso, afferra la valigia al volo. Il giaccone ricomposto con calma, l'abito spazzolato.
“Peccato, dovrò trovare qualcun altro che mi indichi la via. Dunque, se il Sole sorge a nord...”
2.
Lande desolate (II)
I cuccioli sono estremamente seccanti. E hanno la memoria corta.
Di solito, prima di castigarli, mi diverto un po' con loro, evito i loro futili tentativi di trasformarmi in una succulenta bistecca al sangue. Poi li brucio, li rimando al loro padrone e creatore.
Il mio nemico, la mia nemesi.
Il Maligno.
Nei secoli, ha assunto nomi e sembianze diverse, ha agito nelle tenebre, nell'ombra, tramando e corrompendo l'animo umano. Poi, quasi due secoli anni fa, la svolta.
La sua emersione dagli inferi, l'attacco su larga scala, il comunicato al mondo.
La Guerra per il Paradiso Negato.
Ora il Maligno ha un volto e un'identità univoca.
E presto saprò dove si nasconde.
**
Desolaciòn, alcune ore prima.
Un minuscolo borgo immerso nel nulla
Sessantadue abitanti.
Sedici cavalli.
Centoventidue buoi.
L'insegna marca l'ingresso, i primi passi nella città bruciata dal Sole. Poche persone, sdraiate ai bordi della strada, larghi sombreri ad allietare la siesta. Rivoli di sudore lungo la fronte, la giacca nera crivellata dall'arsura cocente.
Una figura avanza, incurante del caldo. Un mantellaccio strappato a celare il braccio mancante, cappellaccio rattoppato a tesa larga, sciarpa leggera a coprire bocca e naso di un viso segnato da decine di cicatrici, la mano destra monca del mignolo. Ciuffi di capelli castani ribelli a completare il quadro.
“Padre Ashburnt?”
L'uomo annuisce, un cenno del capo.
“Sono io.”
Un inchino ossequioso.
“Il gran sacerdote mi ha pregato di venirle incontro e sottoporle i suoi migliori omaggi. Il mio nome è Ledger Mihowck. Sono una spia al servizio di Sua Magnificenza...”
Un colpo di vento, il manto vibra scoprendo l'assenza dell'arto.
“... o quello che ne rimane.”
Una ventiquattr'ore posata per terra, con diligenza.
“Cosa c'è lì dentro?”
“Tutto ciò che posso darle per aiutarla nella sua impresa.”
Uno scatto, la valigia aperta.
“Una mappa per raggiungere Qambura, una borraccia d'acqua santa, un rosario di scorta e – soprattutto – questo.”
Un libricino spiegazzato, il titolo illeggibile. Delusione palpabile sotto gli occhiali da Sole.
“Sarebbe?”
“Il frasario per il vacanziere. Un antico testo sopravvissuto all'Ascesa. Contiene decine di incantesimi e magie che permettono di ottenere informazioni in modo discreto e preciso. Basta scorrere l'indice, trovare il contesto corretto e scegliere il sottocapitolo. Efficacia garantita.”
L'indice e il medio premuti contro la montatura, la testa piegata in avanti.
“Senti, Ledger... io non mi fido delle magie. La Santa Chiesa non ne ha mai approvato l'uso... e poi, non funzionano mai quando servono – anzi, non funzionano proprio. Inoltre, corre voce che il gran sacerdote abbia in animo di opporsi alle decisioni di Sua Santità. Come posso riporre in voi la mia fiducia?”
Una risata nervosa sotto la sciarpa.
“Cito testualmente il regolamento delle spie.”
La voce schiarita, uno, due colpi di tosse.
“Qualora venga fornita informazione falsa o tendenziosa, il fruitore della notizia sarà autorizzato a mozzare alla spia un arto a sua scelta.”
Gli occhi di Ashburnt sulla spalla assente, l'imbarazzo nello sguardo di Ledger.
“L'hai provato sulla tua pelle, a quanto vedo.”
“Motivo in più per fidarsi di me, non trova?”
**
La gamba sinistra, sì! Non appena mi ritrovo Legdrum di fronte gli taglio la gamba sinistra. A momenti, non venivo ammazzato da quei cuccioli per colpa del suo libro infallibile! Ma non è il momento di occuparsi di quel bastardo! Devo raggiungere la mia meta in fretta, prima che cali il Sole.
Di notte, queste lande divengono particolarmente mal frequentate.
**
Il tramonto dietro le montagne, ombre lunghe, stagliate lungo la sabbia. Qambura ancora distante. Molto distante. L'intera giornata passata a camminare nella direzione sbagliata. Ashburnt sfila gli occhiali, li ripone all'interno della giacca.
“Le ultime parole famose.”
Uno sguardo alla cartina, prima che l'ultimo rivolo di luce naturale lasci la Terra per le successive dodici ore.
“Eppure, Qambura dovrebbe essere a sud di Desolaciòn. E il Sole tramonta a sud, no?”
“Cosa odono le mie povere orecchie!”
Un brivido gelido lungo la schiena, parole sdoppiate, demoniache.
Alle spalle.
Un sorriso spavaldo, il discorso prosegue senza un interlocutore.
“Alla sua scomparsa oltre l'orizzonte, il Sole ruota attorno alla Terra piatta, riemergendo dal nord la mattina successiva. Non è forse così?”
“OHIMÈ!!! Qual infamia sono costretto ad udire!”
L'ombra allungata dei sassi appuntiti, un incrocio tra le tenebre cupe. Sul punto più scuro, una figura umanoide. Quattro braccia, come i cuccioli, muso allungato, quattro occhi verdi a forma di saetta. Due bocche sovrapposte. Un lungo bastone impugnato, una lanterna smeraldina sulla punta intarsiata, il corpo avvolto da un lungo mantello.
“M... ma la Terra è sferica! E ruota attorno al Sole... che sorge ad est, non a nord! Dico, non le hanno insegnato nulla a scuola?!”
Ashburnt non si volta, gli rivolge la schiena.
“Demone e pure ignorante! Se davvero la Terra è rotonda...”
Rotazione rapida del busto, l'indice puntato con fare accusatorio.
“... come fanno le persone dall'altra parte a non cadere nel vuoto?!”
Lo sguardo scioccato del demone, le bocche spalancate in un vano tentativo di emettere suoni.
“E... eh?!
Il mostro scuote il capo, una, due, tre volte.
“No, no!”
Lacrime di sincero dolore a rigare le guance, lacrime di sangue. Un mezzo mancamento, entrambe le mani secondarie a coprire la faccia.
“Se il capo scoprisse quali sono i risultati della Sua opera di acculturazione del genere umano, darebbe il responsabile in pasto alle mosche...”
Un lampo d'orgoglio, lo scettro attraversato da bagliori smeraldini, i denti serrati.
“Io... io... non posso permettere che una mela marcia rovini oltre due secoli di sacrifici!”
Le braccia spalancate, le ombre oscillano, un vortice di sabbia arida.
“Ti cancellerò dal creato, maledetto! Non vanificherai il mio lavoro con la tua ignoranza!”
Ashburnt impassibile, gli occhi ridotti a fessure. L'indice e il medio uniti, puntati verso il mostro, un alone di luce ultraterrena a circondare la mano.
“Vedremo chi sotterrerà chi.”
3.
Lande desolate (III)
Lo scettro caricato di energia, un lampo a squarciare il cielo. Ashburnt si lancia a terra, rotola nella polvere, si rialza, solleva il braccio destro.
“Pentiti o svanisci, demone!”
Segni rapidissimi tracciati in aria, il bagliore di mille tempeste.
“Rosario divino, primo mistero...”
Una scintilla negli occhi, pupille ridotte a punti invisibili.
“... Folgore Angelica!”
Una croce di energia sacra squarcia il cielo, trafigge la sabbia a velocità folle. Il demone scarta di lato, il mantello squarciato dal calore.
“Uuhnnnn...”
Lo sguardo diretto all'avversario, massima concentrazione, i denti di entrambe le bocche serrati.
“Tu... tu non sei un essere umano comune...”
Ashburnt salta in avanti, il braccio piegato di fronte al collo, le dita sfavillanti.
“Te ne sei accorto troppo tardi! Gyaaaaaaah!”
La mano fende l'aria di taglio, un'onda violenta scagliata verso il mostro.
Il demone non fa in tempo a spostarsi, si prepara all'impatto.
E le braccia sinistre esplodono in una nuvola di sangue verdastro.
“Aaaaaaargh! Bastardo!”
Fiumi di fluidi corporei, un'unica possibilità di salvarsi. Lo scettro roteato con maestria, un lampo a trafiggere i propri moncherini, a cauterizzare le ferite.
Un urlo di dolore trattenuto a stento, il respiro affannoso.
“Che... che tipo di energia è? Non è elettricità, non è calore... non ho mai visto nulla del genere...”
Ashburnt congiunge le mani, si inginocchia, china il capo.
Il demone punta il bastone, osserva per un istante, senza capire.
All'improvviso, una voce roboante, il silenzio squarciato, gli occhi di Ashburnt inondati di fiamme.
“Questo pianeta esiste da sei miliardi di anni. Ruota attorno al Sole – da cui dista circa centocinquanta milioni di chilometri – in approssimativamente trecentosessantacinque giorni, ad una velocità orbitale media di ventinove virgola otto chilometri al secondo...”
“... cosa...”
“... l'uomo lo popola da circa diecimila anni, in armonia con il Creato e con se stesso...”
Spire intrecciate attorno al corpo, aura incandescente.
“... proprio perché nessuno, nessuno lo ha mai costretto ad agire secondo canoni che non fossero dettati da esso stesso!”
Orrore negli occhi del demone, entrambe le bocche spalancate.
“... prima... prima stavi bluffando perché volevi farmi uscire allo scoperto?!”
Ashburnt si alza di scatto, le gambe divaricate, le mani ancora giunte, puntate al cielo, bagliori dorati attorno a tutto il corpo.
“Voi demoni avete unilateralmente deciso che l'uomo è stupido, perciò l'avete relegato a semplice animale da compagnia! Io non posso tollerarlo! Per questo...”
Turbini di polvere, le stelle obliterate.
“... VI ESORCIZZERÒ TUTTI QUANTI!”
Le braccia scattano in avanti, estese di fronte al viso.
“Rosario divino, secondo mistero... Fiamme di Sodoma!!!!!”
Un fascio esplosivo abbagliante, la notte trasformata in giorno. Il demone investito dagli strali, la figura scura si sfalda, cancellata dall'esistenza.
Solo un paio di gambe bruciacchiate rimaste come monito.
Ashburnt scioglie la presa, un sospiro di sollievo.
“... andato.”
Solleva la valigetta da terra, il cappello calato sul viso.
Un passo, un altro passo, fino a raggiungere i poveri resti del suo avversario. Un'occhiataccia di sbieco allo scheletro vetrificato.
“Io vi odio tutti, demoni. Orribili, ingombranti, rozzi, sporchi ammassi di scaglie. Come potrebbe una donna perdere la testa per voi?”
Ashburnt apre la valigia, estrae la cartina, la apre alla meno peggio.
“Questa deviazione mi è costata parecchio tempo, ma ormai dovrei essere nelle vicinanze di Halajaribo.”
Un ghigno soddisfatto sul viso, la consapevolezza di essere più furbo.
“Il grande sacerdote mi aspetta di sicuro a Qambura. Come se non sapessi che ha intenzione di eliminarmi! I suoi rapporti con Sua Santità si sono molto deteriorati negli ultimi tempi. Se cadessi nelle sue grinfie, il Santo Padre sarebbe facilmente ricattabile...”
La cartina ripiegata, lo sguardo diretto alla città di fronte.
“... ma io sono più intelligente di lui. Mi sono diretto esattamente dall'altro lato della carta geografica. Alla faccia di quello spaventapasseri!”
Ashburnt si lascia il deserto alle spalle, diretto verso il cancello di ingresso.
“Chissà come sono le locande, qui. La mia schiena non vede l'ora di scoprirlo.”
Passi decisi verso la strada principale, il cartello col nome del posto superato senza troppi pensieri, nemmeno un'occhiata veloce.
Padre Ashburnt non ne ha bisogno, sa di essere arrivato ad Halajaribo.
Peccato che sopra ci sia scritto Qambura.
4.
Caos a Qambura (I)
“Allora, padre Ashburnt? La sistemazione è di suo gradimento?”
Un uomo imponente, veste bianca lunga impreziosita da fregi dorati, un soprabito rosso ad incorniciare un volto nascosto nell'ombra.
Ashburnt spalanca gli occhi, i polsi legati ad una croce di metallo, le caviglie bloccate da pesanti catene di acciaio. Un lampo d'ira, le iridi verdi fiammeggianti.
“Grande sacerdote Ilias...”
Uno scatto di reni, le braccia contratte con sforzo inumano.
“... cosa significa questo?!”
Ilias massaggia il mento con cura, il copricapo di metallo lucido scintilla alla luce delle lampade.
“Quanta energia sprecata inutilmente, Ashburnt! Le conviene smetterla di agitarsi e accettare di buon grado la sua condizione di ospite d'onore. Dico, non le basta aver mandato all'ospedale metà del comitato d'accoglienza?”
“Intende quelle sedici guardie armate che mi stavano aspettando all'ingresso di Qambura?”
“Precisamente.”
“Mi fa schifo, gran sacerdote. Un uomo come lei... alleato del Maligno!”
Ilias scrolla le spalle con calma, i palmi sollevati verso l'alto.
“Questione di punti di vista.”
Un ghigno appena accennato, i lunghi capelli grigiastri oscillano lungo la schiena.
“Ora, se non le dispiace, ho degli ospiti da intrattenere. Prenda confidenza con la sua nuova accomodazione, la prego. Vedrà che dopo le prime dieci notti in bianco, imparerà cosa significa veramente la disperazione.”
**
Frittata.
Sono caduto nella trappola di quel bastardo.
Eppure, non riesco a capire... ero sicuro di aver preso la strada per Halajaribo. Come ho fatto a raggiungere Qambura? La mappa era piuttosto chiara, non avrei potuto sbagliarmi neppure se avessi voluto. L'unica spiegazione possibile è che qualcuno abbia manomesso la cartina.
Ma chi?
Ehi, aspetta...
Ma sì, è logico! Come ho fatto a non pensarci prima?
Quello spaventapasseri macilento! Lector-o-come-si-chiama! È stato lui a consegnarmela!
Altro che codice delle spie! Se lo rivedo, lo concio per le feste e lo vendo a tranci al mercato!
Okay, Thornheart, calmati un attimo.
La situazione non è così disperata. Sei solo legato. Appeso come un pendolo. Su un pozzo senza fondo. Anzi no, un fondo ce l'ha, ma è pieno di spine.
Beh, potrebbe andare peggio.
Potrei essere circondato da cuccioli.
Un brontolio sordo distrae i miei sensi. Il mio stomaco, forse. È da troppo tempo che sono a digiuno. Un gorgoglio continuo, ripetuto.
Devo avere veramente fame.
Ascolto in silenzio, con gli occhi chiusi. Rimbombi, toni cupi, ringhi...
Ringhi?
No, non può essere il mio corpo. Ne sono certo!
Allora...
“Ehi, hai visto? Il gran sacerdote ci ha preparato uno spuntino!”
“Uuuuuh! È ancora vivo! Dai, facciamo in fretta prima che arrivino gli altri!”
Oh, no.
Quanto detesto avere ragione.
**
“Mi ha fatto chiamare, Sua Eccellenza?”
Ilias seduto su una poltrona di velluto, la chioma vaporosa sparsa sul tessuto scuro. Un cenno d'invito.
“Siediti, Ledger.”
La spia prende posto alla scrivania di mogano massiccio, il gomito appoggiato con nonchalance sul bordo del tavolo. Il volto coperto dalla sciarpa fin sotto il naso, il cappellaccio strappato calato sulla fronte. Il gran sacerdote lo osserva con un misto di ribrezzo e rispetto, lo sguardo indugia sul viso sfigurato da decine di cicatrici, sul braccio mancante.
“Padre Ashburnt è stato catturato alcune ore fa. Come avevi previsto, si è diretto verso Halajaribo...”
Ilias incrocia le dita ingioiellate, le pupille a fissare un punto indefinito nel cielo.
“... anche se non ho capito come sia sopravvissuto ai demoni. Quell'uomo è dotato di una forza... singolare. Nessuno attraversa il deserto da solo e disarmato, tantomeno un prete.”
“Girano voci sul suo conto.”
“Che voci?”
“Dicerie, per lo più. Qualcuno sostiene che abbia un chiodo della Vera Croce nell'indice destro.”
Una risata soffocata sul nascere, le iridi rosse attraversate da una scintilla di gioia crudele.
“Che assurdità! Un chiodo della Vera Croce! Ma dico, Ledger, lo hai visto? Sembra tutto tranne che un uomo di fede! No è solo propaganda. Tu che ne pensi?”
Ledger solleva le gambe, posa gli stivali sulla scrivania.
“Non mi interessa. Voglio solo la mia ricompensa, così posso partire per Haschero. L'ultimo treno lascia la città tra un paio d'ore.”
“Mi sembra giusto.”
Un cassetto della scrivania aperto, Ilias ne estrae un lettore ottico, inserisce la sua carta di credito.
“Prego.”
Ledger afferra la sua tessera di plastica, la inserisce nello stesso apparecchio. Luce rossa, un paio di secondi, le cifre del codice digitate. Luce verde, trasferimento effettuato.
Un sorriso compiaciuto sotto la sciarpa.
“Perfetto, grazie mille. Qualora avesse ancora bisogno, sa come contattarmi.”
Ledger rotea sulla sedia, pianta nuovamente i piedi per terra. Ilias sprofonda nella poltrona, gli occhi rivolti al soffitto.
“A quest'ora quell'imbecille sarà già morto. Il mio socio sarà contento.”
La bocca deformata in un ghigno malefico, i denti a graffiare le labbra sottili.
“Forse così potremo rinegoziare gli accordi...”
Ledger raggiunge la porta, un'occhiata di sbieco, da sotto il cappello. La voce ridotta ad un sussurro.
“Arrivederci, Sua Eccellenza. Vorrei dirle che è stato un piacere, ma non riesco a raccontare bugie così grosse.”
5.
Caos a Qambura (II)
Ripulisco il saio dal sangue dei cuccioli, spolvero il soprabito. I miei occhiali sono ancora intatti, per fortuna. Pensavo che le catene avrebbero resistito qualche secondo di più. Non tanti, eh, giusto uno o due. Invece no, si sono spezzate subito. Il gran sacerdote ha risparmiato sulle materie prime, evidentemente. Ora devo trovare il modo di lasciare questo posto, prima che arrivino le guardie. Le ho viste solo di sfuggita, ma non sembrano molto affabili. Specie, con quell'armatura bianca integrale, e le spine, e i corpi longilinei. Forse non sono neppure esseri umani.
Ingoio un grumo di saliva.
Preferisco non scoprirlo.
**
“Accesso non consentito.”
La guardia abbassa l'alabarda, le membra sottili ad impedire l'ingresso. Ledger afferra il cappello con tre dita, lo solleva leggermente.
“Volevo solo incontrare il prigioniero.”
“Livello di autorizzazione non sufficiente.”
“Ci dev'essere un'errore. Guardi, le mostro il mio pass...”
Un lampo azzurro, scariche elettriche ramificate.
“Mano Fantasma – Artigli dell'Idra!”
Un braccio sinistro di pura energia, tre tagli nell'aria immobile. Gli artigli scompaiono, i segni no, restano impressi nell'armatura candida.
La guardia paralizzata, un istante di sorpresa.
Prima di esplodere in mille pezzi.
**
Come volevasi dimostrare, l'uscita è sorvegliata. Una guardia automatica, armata di lancia e scudo. Se fosse un demone, l'avrei già caricato a testa bassa. Ma è la prima volta che affronto uno di questi cosi. Meglio andarci coi piedi di piombo.
Gli occhi luminosi si posano su di me, mi scandagliano da capo a piedi.
“Identificarsi, prego.”
Voce artificiale, come mi aspettavo. Un robot, di quelli che nessuno è più in grado di produrre. Se lo distruggo, sarà un danno notevole per il caro gran sacerdote.
Come se me ne importasse qualcosa.
“Sono padre Thornheart Ashburnt, inviato della Santa Sede a sconfiggere il Maligno. Lasciami passare o sarà peggio per te!”
“Direttiva non riconosciuta.”
La guardia abbassa la lancia, lo scudo alzato in difesa.
“Modalità eliminazione attiva.”
Non gli lascerò il tempo di avvicinarsi. Unisco le mani, alzo le braccia al cielo. Un'aura dorata circonda il mio corpo, le iridi bruciano come vampe d'inferno.
“Rosario divino, secondo mistero...”
Abbasso le braccia di scatto, sento la potenza sgorgare dal mio corpo.
“Fiamme di Sodoma!”
Un raggio distruttivo scaturisce dalle mani giunte, illumina la cripta a giorno. Un'esplosione fragorosa, una densa nube nera si spande dal punto dell'impatto, visibilità a zero.
Sorrido per un attimo, certo della vittoria.
Un attimo solo, prima di vedere la lancia emergere dal fumo.
Perfettamente intatta.
**
La guardia abbassa lo scudo annerito, esegue una scansione dei danni, controlla l'integrità strutturale. Ottantasette per cento, danni interni non quantificabili.
Il mirino aggancia Ashburnt, la lancia puntata. La schiena si apre, i reattori snudati. Un rombo di tuono, le turbine a reazione accese, bagliori giallastri alle sue spalle.
Un bang supersonico, uno scatto a velocità folle.
Ashburnt scarta di lato, fa appello a tutte le sue forze. Ma non è sufficiente.
La lancia lo trafigge all'addome, lo passa da parte a parte, ricoprendosi di sangue, lo schianta contro la parete.
Un ringhio inumano, Ashburnt afferra l'asta con entrambe le mani, la spezza a metà. La guardia arretra, alza lo scudo, apre la mano destra. Una nuova lancia materializzata, uguale alla prima. Ashburnt estrae il moncherino dal suo corpo, un ringhio di dolore.
“Maledetto ammasso di rondelle...”
Un colpo di tosse, tracce ematiche lungo i lati della bocca.
“... merda...”
Ashburnt getta a terra i resti dell'arma, l'indice e il medio uniti.
“Intervento divino, primo miracolo – Guarigione degli Infermi.”
Una scintilla verdognola, il corpo riparato, le ferite rimarginate. La guardia analizza, osserva, prepara la nuova carica.
“Attacco inefficace. Nuovo bersaglio individuato.”
I reattori muggiscono, pronti all'assalto, la lancia spianata. Un sorriso disteso sul volto di Ashburnt.
“Se credi che stia fermo ad aspettart...”
Il metallo trafigge l'omero destro, l'arma si spacca, Ashburnt rotea in aria per il contraccolpo, crolla rovinosamente a terra. La guardia estrae una nuova lancia, la punta alla testa.
“Bersaglio inquadrato. Esecuzione in corso.”
Uno scatto di reni, Ashburnt colpisce il ginocchio del robot con un calcio. La guardia incespica, perde la mira. Un altro calcio, diretto al tronco. L'avversario distanziato di un metro, i movimenti scoordinati.
“Cos'è, da vicino non riesci a colpirmi? Non puoi usare i tuoi bei reattori da questa distanza?”
La guardia mulina la lancia, lo scudo a difesa. Ashburnt evita agilmente i colpi, lo sguardo fisso sul nemico. Il braccio destro mosso a fatica, indice e medio uniti a mo' di pistola.
“Rosario divino, primo mistero – Folgore Angelica!”
Un lampo elettrico a massima potenza, scintille a squarciare l'aria. Lo scudo si alza appena in tempo, assorbe completamente l'impeto. Il robot illeso.
Ashburnt si alza in piedi, osserva sbigottito.
“Da non credere. Quello scudo è davvero resistente, eh?”
Uno strappo deciso, la lancia estratta dall'omero, gettata a terra con disprezzo. Un ghigno soddisfatto si disegna sul viso.
“Nessun muro è eterno, nessuna difesa è per sempre. Persino le torri della possente Gerico sono crollate al suono delle trombe, al cospetto dell'Arca dell'Alleanza...”
Ashburnt unisce le mani in preghiera, un'aura scarlatta a cingerne il corpo.
“... ed è con quella potenza che ti distruggerò!”
I pugni alzati al cielo, vortici d'aria attorno alle braccia, la polvere si solleva dal pavimento, danza in turbini improvvisati.
“Rosario divino...”
Il robot si accovaccia, tutte le difese attive, la lancia pronta ad essere scagliata. Ashburnt abbassa le braccia, separa le mani, l'aura concentrata sulle nocche della destra.
“... secondo mistero...”
Il pugno si infrange sullo scudo, pressione infinita, un bang supersonico, l'aura divampa. La guardia immobile, le direttive saltate, programmi impazziti. Una crepa. Un'altra crepa. Il metallo si contorce, si sfalda, il pugno attraversa la barriera, si apre, il palmo di fronte al volto attonito del robot.
“... Fiamme di Sodoma!!!!!”
Un raggio di energia pura investe in pieno l'automa, lo circonda, lo avvolge completamente. Il cervello registra i dati, li invia alla centrale, chiama disperatamente aiuto.
Ma è troppo tardi.
Un'esplosione tremenda, centinaia di frammenti carbonizzati scagliati in ogni direzione, la lancia fusa dal calore immenso.
E un'espressione di trionfo sul volto di Ashburnt.
6.
Caos a Qambura (III)
“Sua Eccellenza! Il prigioniero...”
“Lo so.”
Ilias si alza dalla poltrone, il corpo granitico, lo sguardo deciso.
“Ashburnt si è liberato.”
Il soldato agita le mani, gocce di sudore lungo la fronte.
“Abbiamo già richiamato tutte le guardie, ma la cripta è in fiamme! Non sappiamo esattamente cosa sia successo, gli ultimi rapporti...”
“Taci!”
Un segno tracciato in aria con la mano, un tasto premuto col piede. La parete si spalanca, rivela un vano nascosto.
“Me ne occuperò personalmente.”
“M... ma Sua Eccellenza! È troppo rischioso! Cosa succederebbe se...”
“Hai letto il dispaccio? Ashburnt ha distrutto una guardia automatica, senza nemmeno prenderla di sorpresa. Lei sa meglio di me quanto siano resistenti i loro scudi. Nessun'arma portatile potrebbe scalfirli, figuriamoci distruggerli!”
Una scintilla dorata alla luce delle lampade, la risoluzione negli occhi vermigli.
“No, qualunque sia il potere di Ashburnt, nessuno può fare la differenza.”
Le mani cinte attorno al metallo massiccio, ai fregi intarsiati nella corazza.
“Nessuno tranne me.”
**
Ashburnt massaggia il mento, inquadra il volto martoriato dell'uomo. Un volto ben noto.
“Ripetimelo. Che cosa ci fai qui, Lectrum?”
“Ledger.”
“Come vuoi, basta che rispondi.”
“Non ci crederà mai, dopo i nostri trascorsi... ma ero venuto a salvarla.”
Una rapida occhiata alle rovine della cripta, alla fiamme rabbiose. Un sospiro grave.
“Direi che se l'è cavata egregiamente da solo, padre.”
Ashburnt medica la ferita al braccio, la guarigione quasi istantanea.
“Quindi, dovrei fidarmi di te?”
Un cenno del capo in risposta.
“Sono un agente doppio al servizio di Sua Santità. Il mio compito era di spedirvi il più lontano possibile da Qambura, senza attirare sguardi indiscreti. La cartina manomessa serviva esattamente a questo...”
I palmi sollevati, le spalle scrollate con noncuranza.
“... ma non avrei mai immaginato che potesse dirigersi verso un'altra città.”
“Sono sospettoso per natura, mi dispiace. Se avessi seguito la mappa, a quest'ora sarei già arrivato ad Halajaribo da un pezzo.”
Ledger cala il cappello sugli occhi, le iridi azzurre in perenne movimento.
“Okay, ora dobbiamo muoverci. Se troviamo altre guardie come quella, siamo spacciati. Ora sanno che stiamo scappando.”
Ashburnt unisce l'indice e il medio.
“E qual è il problema? Una volta che impari come distruggerne una, diventa una passeggiata!”
**
L'immenso salone d'ingresso, colonne di marmo alte fino al soffitto, un tappeto rosso lungo il pavimento. Mura bianche, ricoperte di fregi ed affreschi. Intarsi e bassorilievi da ogni lato, monumentali visi di pietra ad osservare muti il procedere degli eventi. Armi, parti metalliche, frammenti di plastica fusa, sparsi all'interno della stanza. Robot di basso livello dilaniati dalla furia dei fuggitivi, prima ancora di potersi difendere.
“Vedo l'uscita! Il portone è aperto!”
Ledger scatta in avanti, il mantello svolazza alle sue spalle, scoprendo l'arto mutilato. Ashburnt a poca distanza, gli occhiali riposti nella giacca, lenti a contatto da battaglia indossate prima della partenza.
La soglia, la sensazione di libertà. Il piede di Ledger attraversa il limite, esce dalla dimora principesca. Ashburnt lo segue a ruota, guadagna l'ingresso. Un battito di ciglia, gli occhi chiusi per un secondo, un secondo infinito. Quando li riapre, inorridisce.
“Ma che diavolo...”
Il capo ruota a destra, a sinistra, in alto. Di nuovo all'inizio della sala, tra le colonne di marmo ciclopiche. La porta in fondo alla stanza. Lontana come prima.
Ledger scrolla la testa, gli occhi sgranati.
“Non è possibile! Sono sicuro di essere uscito!”
“A... anche io.”
“Riproviamo. Non può essere stata un allucinazione!”
In corsa, di nuovo, verso la porta. L'ultimo passo, il giardino esterno, il vento sulla pelle. E il ritorno all'inizio. Da capo. Ledger porta la mano alla fronte, lo sguardo basso.
“Non ha senso.”
Ashburnt rimane immobile, gli ingranaggi della mente in moto.
“Siamo intrappolati da un potere in grado di distorcere lo spazio. L'ultima risorsa del gran sacerdote.”
“Ultima?”
Clangore metallico, un'ombra imponente all'altro capo del salone.
“Non farmi ridere, Ashburnt. Semmai, la prima e più semplice. Se credi che quello sia il mio trucco migliore, mi sottovaluti.”
“Ilias!”
Le iridi rosse accese, un'espressione di sfida.
“Proprio io.”
Bagliori dorati, la corazza risplende alla luce del Sole, le braccia spalancate come ad accogliere gli avversari. Ledger aguzza la vista, analizza il nemico. Un sussulto.
“Quell'armatura...”
Ilias incrocia le braccia, i lunghi capelli bianchi sparsi sugli spallacci.
“Ledger... e dire che mi fidavo di te! Un cagnolino di Sua Santità...”
Uno sputo schifato, gli occhi di brace accesi.
“Avanti, fatevi sotto. Se volete lasciare questo palazzo, intendo.”
Ashburnt unisce le dita, focalizza l'attenzione.
“Non dovrei usare i miei poteri su un essere umano... ma dato che ti sei schierato apertamente contro Sua Santità, non mi lasci altra scelta. Rosario divino, primo mistero...”
Una scintilla abbagliante sull'indice, il braccio proiettato in avanti.
“... Folgore Angelica!”
7.
Caos a Qambura (IV)
La scarica sferza il pavimento, attraversa lo spazio tra i contendenti. Un flash nero, Ilias scompare, il fulmine trafigge una colonna. Calcinacci in volo, polvere bianca, un foro di venti centimetri. Ledger si volta freneticamente, tenta di ripristinare il contato visivo.
“Dov'è?!”
“Cucù!”
Ilias riappare all'improvviso, di fronte allo sguardo attonito di Ledger. Un pugno nello stomaco, il guanto dorato affonda nella carne, l'impatto terrificante. Un'onda d'urto solca l'aria, mentre il corpo si incurva. Poi, Ledger parte con violenza, scagliato contro la colonna. Rimbalza contro il marmo, si schianta contro la colonna di fronte, rimbalza di nuovo. Un flipper letale, l'impatto con le scanalature, cinque, sei, dieci volte, prima di perdere momento. Ledger rotola a terra, la faccia contro le piastrelle, il cappello volato via.
“Ledger!”
“Ce n'è anche per te, non preoccuparti.”
Ashburnt non fa in tempo a sorprendersi, non fa in tempo a dire altro. Ilias gli si teletrasporta dietro, senza essere visto.
“Sorpresa!”
Un montante sotto il mento, la testa di Ashburnt sollevata, il corpo segue poco dopo, si sfracella sul soffitto affrescato, buca la volta. Ilias incrocia le braccia, il capo scosso con calma.
“E tu vorresti sconfiggere il Maligno? Non hai nemmeno la forza per resistere ad un attacco della mia...”
Un colpo violento alla schiena, Ilias barcolla per un istante, capelli bianchi tagliati di netto. Crolla in ginocchio, si rialza, riprende l'equilibrio. Una pioggia di ciocche candide come neve primaverile.
“Eh?”
Ilias ruota su se stesso, in posizione di guardia, i pugni serrati. Ledger in piedi, di fronte a lui, un braccio di pura energia dove dovrebbe esserci il nulla.
“Non sei l'unico ad usare effetti speciali.”
Ledger estende la mano destra, il palmo puntato al bersaglio.
“Mano Fantasma – Artigli dell'Idraaaaa!!!!”
Lame spettrali dall'alto, le dita gigantesche calano come le unghie di un falco. Ilias salta all'indietro, porta le braccia di fronte al viso. Le colonne al suo fianco si spezzano a metà, il pavimento attraversato da solchi profondi. I bracciali dell'armatura vibrano, il metallo scheggiato dall'impatto.
I piedi toccano il terreno, strisciano per uno, due metri, prima di fermarsi, di assorbire il colpo per intero.
“Bastardo!”
Ilias scompare, si teletrasporta dietro una delle colonne ancora intere.
“Nascondersi non serve a niente! Mano Fantasma – Mitra Spettraleeeee!!!!”
La mano di energia si apre a ventaglio, le dita separate, sparate a ripetizione. Proiettili elettrificati a fendere l'aria, esplosioni, fori nel marmo pregiato, i bassorilievi crivellati. Ilias appare e scompare, alla velocità della luce, un sorriso beffardo sul viso.
“Tutto qui?”
“Yaaaaaah!”
Ledger aggiusta la mira, aumenta il volume di fuoco. Gli affreschi disintegrati dalla percussione, calcinacci e polvere, nubi biancastre ad inquinare l'atmosfera. Ilias scompare ancora una volta, l'espressione immutata. Ledger ferma l'assalto, concentra i sensi, la mano in attesa di un segnale.
“So che sei qui... avanti...”
Una perturbazione, la nuvola dissipata da un movimento rapido.
“Ti vedo!”
Ledger punta il bersaglio, la mano si ingrandisce, raddoppia le dimensioni.
“Mano Fantasma – Artigli de...”
Una ginocchiata nello stomaco tronca la frase a metà. Ilias appare in tutta la sua potenza, un colpo secco, senza fronzoli.
“Divertente, non trovi? Tu e quell'altro stupido...”
Ilias lo afferra per la nuca, schianta la fronte della vittima sull'altro ginocchio.
“... perdete un sacco di tempo a chiamare i vostri attacchi...”
Ledger barcolla, il naso sanguinante. Ilias sfodera il sinistro, lo schianta in piena faccia.
“... rimanendo esposti al nemico per un paio di secondi...”
Ledger sbalzato all'indietro, cade sul pavimento, batte la schiena per terra. Ilias lo raggiunge con un salto, una capriola in aria, il piede a cercare l'addome.
“... mentre gli rivelate come state per colpirlo.”
Ilias atterra con tutto il suo peso, comprime il diaframma di Ledger. Un singulto disperato, gli occhi sgranati per il dolore. Ilias rimbalza sul suo corpo, cade in piedi con estrema eleganza, a pochi centimetri dal volto della sua vittima.
“Non è per niente efficace, Ledger. Guarda me. Con questa armatura, basata sulla tecnologia perduta delle guardie, posso muovermi alla velocità del suono e pestarvi senza ritegno, prima ancora che abbiate pronunciato i vostri mantra per intero.”
Ilias spalanca le braccia, alza lo sguardo, un ghigno inquietante.
“Sì, è tutto merito di questa corazza. Un'armatura dorata, degna del grande sacerdote in persona! Un reattore ad energia pressoché illimitata, rapidità assoluta e muscolatura potenziata! Non avevate nessuna chance di sconfiggermi!”
Ilias si inginocchia, il pugno alzato sopra la testa di Ledger.
“È il momento dei titoli di coda. Il premio miglior cervello spappolato non protagonista va a...”
Una luce eterea dal buco nel soffitto, un alone angelico si diffonde nella stanza. Ilias solleva il capo, torna in posizione di guardia.
“L'altro imbecille...”
I bracciali si caricano, aura vermiglia bruciante. Gli stivali si sollevano da terra, i reattori illuminati. Ilias carica il motore principale, i razzi secondari si accendono all'unisono.
“Gran sacerdote Ilias...”
Voce irata, le fiamme nelle iridi verdi. Padre Ashburnt scende in picchiata dalla spaccatura, affonda gli stivali nel pavimento, spezzando le piastrelle. L'indice e il medio uniti, scariche di elettricità statica attorno al corpo intero.
“... ti ho osservato e ti ho giudicato colpevole. Pertanto, smetterò di trattenermi.”
“Che paura...”
Il boost al massimo della potenza, Ilias si stacca da terra, parte a velocità folle.
“... sto tremando!”
8.
Caos a Qambura (V)
Ilias aggancia il bersaglio, libera il destro, un diretto alla gola. Il metallo trapassa il viso di Ashburnt, lo attraversa da parte a parte, senza incontrare resistenza. Ilias strabuzza gli occhi, la bocca contratta in una smorfia di sorpresa.
“E... eh?! Dove...”
“Rosario divino – accelerazione!”
Ilias punta i piedi sul muro, ruota su se stesso, incontra lo sguardo di Ashburnt. Ma per lui è troppo tardi.
“Separazione dei Grani!”
Decine di sfere di luce irradiate dal corpo, circondano il nemico come una prigione, gli si dispongono attorno, ruotano come impazzite.
“Co... cosa...”
“L'hai detto anche tu, Ilias. Hai la forza, hai la velocità. Ma se non hai campo visivo, non puoi direzionare la tua armatura senza rischiare di ucciderti!”
Ilias ruota freneticamente il capo, non trova una via d'uscita.
“Dannazione!”
“Ora che sei intrappolato...”
Le mani giunte, dirette al cielo.
“... ti darà il colpo di grazia!”
Ilias ricarica i booster, stringe i denti, prepara lo scatto.
“Rosario divino, secondo mistero...”
Ora o mai più!
Ilias attiva i propulsori, un bang supersonico. L'impatto con le sfere, l'esplosione, lo spallaccio destro salta in aria, Ilias perde l'assetto, rotea su se stesso, riprende il controllo, corregge la rotta.
“... Fiamme di Sodoma!!!!”
Un vortice scarlatto lo investe in pieno, al momento della massima accelerazione. È troppo tardi per frenare. Ilias viene avvolto dall'energia sacra, continua a spingere, a cercare il nemico.
Lo stivale sinistro si spegne, si spezza, la corazza centrale si fonde. Ilias protende il pugno in avanti, mentre i capelli prendono fuoco.
“Non... è... finitaaaaa!”
Una meteora incendiata emerge dal caos, si avventa su Ashburnt, un diretto sulla guancia destra, un gancio sulla sinistra, ginocchiata, calcio, montante, diretto, gancio, calcio, gomitata sullo zigomo, diretto nello stomaco. Ashburnt si piega a metà, scagliato contro la parete, sulla riproduzione della Creazione di Adamo.
Ilias atterra, rimbalza, scuote la testa per spegnere l'incendio.
“Hyaaaaaah!”
Un indicatore sul polso, cinque minuti alla fusione del reattore, la temperatura critica, i booster esausti.
“No, devo...”
“Mano Fantasma...”
Un istante di panico, il volto ruotato di scatto.
“... Lancia Perforante!”
Il dito spettrale si allunga, si solidifica, trapassa il corpo esanime di Ilias, all'altezza dello sterno.
“Gaaaak!”
Ilias si accascia in ginocchio, le iridi vuote, entrambe le mani a coprire il foro, a tentare di fermare il sangue. Ledger si avvicina con andatura incerta, il mantello lordato di polvere bianca. Ashburnt riemerge dai calcinacci, si massaggia il viso contuso, i lividi, i graffi.
“Mi... sono saltate le lenti a contatto... che... dolore!”
Ledger lo afferra per il cappotto, indica il corpo agonizzante di fronte a loro.
“Mai quanto quello che prova lui ora.”
Ashburnt stropiccia gli occhi, tenta di mettere a fuoco. E capisce che non c'è più nulla da fare.
“Già. Forse dovrei finirlo...”
Un singulto, tosse, sputi. Ilias trema, solleva il viso in uno sforzo immane.
“A... Ashburnt! È... è facile predicare contro... contro il Maligno, dalla Santa Sede! S... siete mai venuti qui? A... a trenta chilometri dal suo... territorio?! Sapete... cosa significa... vivere sotto costante minaccia dei demoni... avendo solo una manciata di guardie... che non possono essere sostituite?”
Il tono di voce acuto, un grido disperato.
“Cosa... cosa dovevo fare per proteggere i miei cittadini?! Cosa?! N... nessuno può sconfiggere il Maligno! M... ma quelle... quegli innocenti non devono pagare... per la nostra debolezza...”
Un lungo sospiro, le mani completamente rosse.
“N... non avevo scelta, Ashburnt. Ho... dovuto firmare un trattato... piegarmi alla sua potenza... per il loro bene...”
Ilias crolla su un fianco, gli occhi si spengono lentamente, perdono colore.
“P... per favore... proteggi questa gente, Ashburnt... compi il miracolo! Fai quello... che io non sono stato in grado di...”
Un ultimo colpo di tosse, un ultimo respiro.
Ashburnt serra le palpebre, alza le dita al cielo. Una croce lucente tracciata a mezz'aria, come a rendere omaggio al defunto.
Ilias si spegne per sempre, tra le macerie del suo palazzo.
Ma un timer sul polso funziona ancora.
E segna centoventi secondi.
9.
Caos a Qambura (VI)
“Ora cosa facciamo, padre? Ci dirigiamo verso il territorio del Maligno?”
Ashburnt annuisce in silenzio, contemplando il corpo dello sconfitto.
“L'idea è quella.”
Ledger tampona il naso con il cotone, tenta di arrestare la perdita ematica.
“D'accordo. Potremmo prendere il treno per El Vahio e poi noleggiare un auto...”
“Esistono ancora automobili?”
Ledger cammina verso l'uscita, senza nemmeno voltarsi.
“Sono tutti relitti pre-ascesa. A El Vahio ne hanno una dozzina. Però hanno buoni meccanici. Se una si rompe, riescono a ripararla... più o meno.”
I due attraversano la porta, diretti verso il giardino esterno. Un passo, un altro passo oltre la soglia.
Salvo ritrovarsi all'inizio della sala.
“Eh?!”
Ashburnt strabuzza gli occhi, controlla la stanza con fare sospetto.
“La distorsione è ancora attiva?!”
“M... ma Ilias è morto!”
“Forse è generata dall'armatura.”
Ashburnt raggiunge il cadavere, si china su di lui, lo ruota di schiena.
“Vedi? Sembra ancora funzionante. Se la disattiviamo...”
Un lampo di panico negli occhi di Ledger, agitazione a mille.
“Padre... sa quello che fa, vero? Manomettere una sorgente di energia così potente senza averne la conoscenza...”
“Dobbiamo uscire da qui, non abbiamo alternative.”
Un'occhiata distratta al polsino destro, all'indicatore luminoso. Al messaggio impresso sullo schermo.
“Ehm... Ledger? Cosa significa pericolo: raffreddamento guasto – fusione reattore in ottanta secondi?”
Il volto di Ledger diventa blu, poi verde, poi rosso, attraversa tutti i colori dello spettro.
“Cosa?!”
Ledger afferra il braccio del defunto, legge le righe. Panico infinito negli occhi.
“No, no!!!!”
“Cosa significa? Che vuol dire?!”
“Che stiamo per saltare in aria! Via di qui!”
Ashburnt trascinato a forza, prima ancora che possa comprendere la situazione. Corsa sfrenata verso l'uscita, verso il giardino all'esterno. Un salto oltre l'ingresso, entrambe le gambe oltre l'ostacolo.
E di nuovo all'inizio, dall'altro lato del salone.
“Siamo in trappola!”
“Dobbiamo trovare un'altra uscita!”
Ashburnt si guarda attorno, in cerca di un appiglio.
“Non ci sono finestre. La porta per tornare indietro è sepolta dalle macerie...”
Un ghigno suicida, l'idea vincente.
“Dobbiamo aprirne una nuova.”
“E come?! La mia Mano Fantasma non è così potente da abbattere un muro! E le sue fiamme – con il dovuto rispetto – possono solo bruciarlo, non sfondarlo!”
Sessanta secondi.
Ashburnt chiude gli occhi, pensieri rapidi nella mente, un guizzo improvviso di creatività.
“Ho avuto un'idea. È folle, ma è l'unica che può funzionare.”
Uno schiocco di dita.
“Vale la pena provare.”
Ashburnt unisce indice e medio, li alza al cielo.
Quaranta secondi.
“Rosario divino – accelerazione! Separazione dei Grani!!!!”
Cinquantanove sfere di luce emergono dal corpo, levitano in aria, si dispongono di fronte al muro in ordine casuale.
“Eh? Cosa...”
“Lancia un proiettile contro una delle sfere, Ledger. Ora!”
Un cenno di silenzioso assenso, la disperazione si fa palpabile.
“Mano Fantasma – Mitra Spettraleeee!!!!”
Una salva di proiettili di energia, contro la nube di bersagli immobili. Uno dei proiettili colpisce un globo, rimbalza all'indietro, colpisce un secondo globo, poi il terzo, come pilotato da volontà propria. Sempre più veloce. Sempre più veloce.
“Ogni volta che un globo viene colpito, svanisce e lancia l'oggetto verso quello successivo. Scomparendo, trasferisce la sua energia al proiettile, che quindi aumenta la propria velocità...”
Trenta secondi.
Il proiettile colpisce il ventesimo grano, solo il ventunesimo a separarlo dalla parete.
“... e ora...”
Ashburnt corre verso il muro, Ledger preso alla sprovvista, ritorna in sé, lo segue a ruota.
“Rosario divino – ricomposizione!”
I globi svaniscono all'istante, uno scoppiettio di luce. Il proiettile spettrale non trova opposizione. Solo mattoni.
Ancora per poco.
Venti secondi.
Un schianto fragoroso, l'intonaco attraversato come burro, il muro salta in aria con un rombo di tuono. Ashburnt si getta attraverso il nuovo varco, Ledger salta alle sue spalle, allunga il braccio di energia, lo estende alla massima lunghezza.
Dieci secondi.
Il braccio si pianta nel terriccio del giardino. Ledger afferra Ashburnt, richiama il braccio, effetto fionda, il duo scagliato in aria a mo' di catapulta.
Cinque secondi.
Ashburnt si volta all'indietro, un ultimo sguardo al palazzo del gran sacerdote, all'erba tagliata di fresco, alla collezione artistica di opere finto-classiche. Al giaciglio di Ilias.
Poi, l'implosione.
Il buco nero, la dimensione oscura della distorsione spaziale, il collasso del palazzo, i muri, le colonne risucchiate dal nucleo. Un secondo dopo, le rovine collassano, frantumandosi in un mare di polvere bianca.
Ledger guadagna il terreno, usa la mano come protezione. Ashburnt atterra su di lui, rimbalza sulla schiena, colpisce il suolo di faccia.
“Waaaaah! Perché?! Cosa ho fatto di male per meritarmi anche questo?”
Ledger afferra il cappellaccio malandato, lo libera dalla polvere, lo indossa di nuovo con calma innaturale. Di fronte a loro, solo deserto. Alle spalle, i confini della città.
“Ci metteranno un po' a sistemare questo caos, ma presto o tardi scopriranno che Ilias è morto. Dobbiamo lasciare immediatamente Qambura.”
Ashburnt massaggia il naso, si mette a sedere su una roccia piatta.
“Avranno già fermato i treni. Dobbiamo trovare un'alternativa. Che non sia andare a piedi, possibilmente. Ho camminato già abbastanza in questo stramaledetto deserto.”
“Da qui a El Vahio sono quasi cinquanta chilometri, quasi tutti in piano. Una o due giornate di cammino, a seconda delle condizioni della strada.”
“Con tanto di branchi di cuccioli urlanti? No, grazie.”
Ledger ruota il capo, osserva l'orizzonte in silenzio. Un punto scuro a poca distanza. Un edificio.
“La vede anche lei, padre? Quella struttura là in fondo?”
“Forse. Cosa può essere?”
Ledger aguzza la vista, l'iride si contrae, il telescopio incorporato ingrandisce l'immagine.
“Un'area di servizio.”
“Una... cosa?”
“Mai guidato un'automobile?”
“Un paio di volte.”
“Quando finisce la benzina, devi riempire il serbatoio. Le stazioni servono esattamente a quello.”
Ledger abbassa la sciarpa, lascia che il vento sfiori il suo volto.
“Se siamo fortunati, magari troviamo anche un veicolo abbandonato.”
“Altrimenti?”
Ledger si produce in una risatina ironica, il palmo sollevato verso l'alto, la spalla scrollata con nonchalance.
“Cosa ne dice se mettiamo a ferro e fuoco Qambura, andiamo alla stazione ferroviaria, facciamo saltare in aria un po' di roba e minacciamo un capotreno di uccidere anche lui se non ci porta fino ad El Vahio? Certo, ci sarebbero un po' tanti danni collaterali, ma...”
“Ottima idea, quando iniziamo?”
Ashburnt ruota su se stesso, il passo deciso verso la città. Le iridi fiammeggianti, ricolme di determinazione.
“E... ehi! Non avrà intenzione di farlo davvero?! E... era solo uno scherzo! Padre Ashburnt, aspetti, aspetti la pregooooooo!!!!!”
10.
Treno per El Vahio (I)
Il treno in corsa, il gemito delle rotaie percosse dalle ruote di metallo arrugginito. Due operai seduti nel vagone, la schiena appoggiata ai sedili malandati. Uno dei due è pelato, l'altro indossa una coppola.
“Non credevo che i treni circolassero ancora, dopo l'esplosione del grande tempio.”
“Neanche io. È stata una bella sorpresa. Non vedevo l'ora di lasciare Qambura.”
Un cenno della mano, piuttosto eloquente.
“E poi, siamo in buona compagnia.”
Una ragazza seduta di fronte, la gambe incrociate, capelli biondi lunghi fino alla base della schiena, ciocche azzurre a far capolino qua e là. Un top rattoppato verde palude, pantaloni neri strappati. Occhi chiusi, capo inclinato, le braccia mollemente adagiate sullo schienale.
“Ehi, pupa! Sei di Qambura? Non ti avevo mai vista in città!”
Un sussurro in risposta, senza quasi muovere le labbra.
“... ho fame.”
Il pelato scuote la testa, un ghigno disegnato sul volto.
“Avresti dovuto mangiare prima, cocca. Questo è un diretto per El Vahio, prima di un'ora non troverai niente da mettere sotto i denti.”
La ragazza spalanca gli occhi, un bagliore vibrante nelle iridi rosa.
“... ah, sì?”
La lingua biforcuta scorre sulle labbra sottili, una goccia di saliva scende lungo il mento.
“... be', meno male che ho trovato voi due, allora!”
**
“Quanto hai detto che ci vorrà?”
“Una o due ore. Dipende da quanto sono dissestati i binari. E da quanta paura ha il macchinista.”
Ledger osserva annoiato il soffitto, il cappellaccio posato sul sedile a fianco. Ashburnt seduto di fronte a lui, una rivista di moda sfogliata con fare distratto.
“Che risposta acida, Ledger. Guarda il lato positivo: non abbiamo dovuto uccidere nessuno! È bastato dar fuoco ad uno dei magazzini per convincerlo a partire!”
“Preferisco non pronunciarmi in merito.”
Uno sguardo annoiato al corridoio, nessun altro passeggero nello stesso vagone. Due file di posti vuoti, le porte scorrevoli arrugginite. Un sospiro sconsolato.
“Sarà un viaggio estremamente monotono.”
Rumori di passi, la porta spalancata con foga, due figure nerborute in fuga disordinata.
“A... aiutooooo!!!!”
“Capotrenooooo!!!! C'è un mostroooooo!!!!!”
L'altra porta si apre di scatto, le due figure scompaiono attraverso il varco, dirette verso la motrice. Un improvviso silenzio, il fruscio del vento attraverso i finestrini.
Ledger sgrana gli occhi. Ashburnt immobile, come pietrificato.
“Padre Ashburnt?”
“Dimmi.”
“Non ha visto quello che ho visto io, vero?”
“No, Ledger. Non ho visto due uomini completamente nudi correre come fulmini di fronte a noi.”
Ledger scuote il capo, gli occhi rivolti verso il portello di ingresso. Ashburnt chiude la rivista, inforca gli occhiali.
“Non ci sono dubbi...”
La luce delle lampade si riflette sulle lenti, un ghigno compiaciuto si fa largo sul viso.
“... questa è opera di una succube.”
**
Ledger spalanca la porta, entra nel vagone. Un solo occupante nel campo visivo, una ragazza bionda inginocchiata sul pavimento, rivolta verso l'altro lato del corridoio. Umana, senza ombra di dubbio.
“Non è qui.”
Ashburnt segue a ruota, la rivista arrotolata sotto il braccio. Esamina la figura della giovane, china su qualcosa. Ciuffi azzurri, abiti da quattro soldi, sporchi e consunti, scarpe da ginnastica sdrucite. Ahburnt si fa avanti, schiarisce la voce.
“Aehm... mi scusi, signorina. Ha mica visto passare due uomini, qualche secondo fa?”
La ragazza si volta di scatto, una punta di sorpresa nelle iridi rosa. Il braccio destro spiegato, l'indice a puntare verso la testa del treno.
“Uh? Shì, shono an'ati di là!”
“Okay, gra...”
Ashburnt indietreggia con un balzo.
“... zie?!”
La ragazza lo osserva con un misto di stupore e incomprensione. Ingoia il boccone, deglutisce.
“Ho detto qualcosa che non va?”
I resti di una salopette da lavoro tra le braccia, il tessuto stretto tra i denti, strappato con violenza. Un colpo di tosse, due, le labbra spalancate, un bottone sputato sul pavimento.
“Cavoli! Per poco non ci rimango secca...”
Ashburnt alza le dita al cielo, l'indice e il medio uniti. Un ringhio inumano a deformare la mandibola.
“Una demone travestita da essere umano?!”
La ragazza aggrotta la fronte, lascia cadere i vestiti rubati, si alza in piedi.
“Lei chi...”
“Rosario divino, primo mistero...”
Un movimento rapido del braccio destro, una croce tracciata in aria.
“... Folgore Angelica!”
Il lampo di luce proiettato nel corridoio, verso la ragazza. Il viso scioccato, un balzo rapido dietro al sedile, il rivestimento di una poltroncina prende fuoco, si carbonizza. Così come il resto del suo pasto. Un urlo disperato, la mano tesa in avanti, verso il cumulo di cenere.
“N... no! Nooooo!”
Ashburnt punta il piede per terra, i pugni chiusi, in posizione di guardia.
“Una creatura che spoglia e seduce gli uomini per natura... che schifo!”
“Ehi, ho un nome io! Mi chiamo Eden! E quello era il mio pranzo!!!!”
Aura di fiamma attorno a tutto il corpo, gli occhi verdi attraversati da scintille vermiglie.
“Io sono padre Thornheart Ashburnt, lo Sterminatore di Demoni! Soccombi al potere della Vera Croce!”
Le mani unite, alzate al cielo, le gambe divaricate.
“Rosario divino, secondo mistero...”
Un grido alle sue spalle, la voce acuta di Ledger.
“Padre! Così distruggerà tutto il treno! E dovremo andare a piedi fino ad El Vahio!”
Le braccia abbassate di colpo, le fiamme estinte.
“Hai ragione. Dovrò cambiare ta...”
“Scoppio Sinfonico!!!”
Eden in piedi, il braccio sinistro teso, la mano aperta. Cinque piccole sfere luminose, emesse dalle dita. Poi, le esplosioni, come fuochi d'artificio.
“Gwaaaaaah!”
“Padre Ashburnt!”
Una densa nuvola di fumo, puzza di bruciato. Una sagoma emerge dalla nebbia, l'occhio sinistro chiuso, respiri profondi a bocca aperta. Gli occhiali stretti tra le dita, roteano come una bacchetta da majorette, si infilano nella tasca della giacca.
“Un attacco a tradimento...”
Un sorriso, un ghigno, un'espressione sanguinaria.
“Beeeene! Non amo picchiare le donne, quindi fammi un favore...”
Le braccia spalancate, le pupille ridotte a filamenti sottili.
“... rivelami la tua essenza, mostro! Intervento divino, terzo miracolo – Specchio della Verità!!!!!”
Un'aura dorata circonda il corpo, si espande a tutto il vagone, avvolge ogni essere vivente nel raggio di cento metri.
Eden incrocia le braccia davanti al volto, come accecata. Per un istante, il bagliore sfavillante rende impossibile distinguere i dettagli, le forme, le sagome. Poi, il nulla. La luce si spegne, così come si è accesa.
Padre Ashburnt scuote il capo, fissa il nemico con aria di sufficienza.
“Finalmente, ti vedrò per come sei veramente, brutto de...”
Uno scatto della mano, il viso contratto in una smorfia sorpresa.
“... mone?!”
Eden ancora in piedi, di fronte a lui.
Uguale e identica a prima.
“M... ma...”
“Taci!”
Eden digrigna i denti, iridi brucianti di rabbia.
“Erano due giorni che non mangiavo. Due. Giorni! Finalmente incontro due snack invitanti... e cosa succede? Un prete folle me li vaporizza davanti agli occhi...”
La lingua biforcuta lambisce le labbra, la voce estatica.
“... ma il suo giaccone non sembra così male – anzi!”
Le unghie acuminate si allungano, lo smalto rosso dell'indice a marcare il cambiamento.
“Cosa ne dice se l'assaggio un po', padre?”
11.
Treno per El Vahio (II)
Eden si lancia in avanti, i denti aguzzi, gli artigli snudati. Ledger scarta all'indietro, salta dietro i divanetti. Ashburnt si esibisce in una capriola laterale, evita l'assalto, ritorna in piedi, l'indice e il medio uniti. Lo sguardo si perde tra le pieghe dei vestiti strappati, sul corpo troppo perfetto della ragazza, annega negli occhi di brace.
“Che... che cosa sei?! Non puoi essere una succube...”
“Sta' zitto!”
L'indice puntato verso il bersaglio, una scarica elettrica ad alta tensione sgorga dalla punta dell'unghia. I sedili prendono fuoco, imbottitura sparpagliata sul pavimento, odore di plastica bruciata.
“Io sono una succube...”
Un movimento della mano sinistra, cinque sfere di luce lanciate contro i due.
“... anche se il tuo maledetto potere dice il contrario!”
Ledger preme il cappello sul capo, si abbassa di scatto, evita le esplosioni, piega le gambe, salta in avanti.
“Mano Fantasma – Artigli dell'Idraaaaa!”
Il braccio invisibile squarcia l'aria, il pavimento, le pareti. Eden sgrana gli occhi per la sorpresa, cerca di scansarsi. Invano.
Una delle cinque onde la colpisce in pieno, trafigge il fianco sinistro, squarcia il tessuto del top. Uno schizzo di sangue, un taglio attraverso l'ombelico. Un grido di dolore, Eden atterra sulla schiena, rotola, si rialza.
“V... volevi uccidermi?!”
Ledger solleva la sciarpa sul volto, cala la tesa sugli occhi. Un luccichio smeraldino, nel buio, tra le cicatrici.
“Sì, l'idea era proprio quella.”
Uno colpo di reni, la spalla monca scatta con grazia.
“Mano Fantasma – Danse Macabre!!!!”
La mano di energia fende l'aria una, due, tre volte, di seguito. Eden schiva, arretra, gli occhi a tentare di seguire i movimenti del nemico.
“Non potrai sfuggirmi in eterno!”
“Ne sei sicuro?”
Eden comprime le gambe, rilascia la spinta. Gli artigli spettrali squarciano il metallo, il tappeto su cui era appoggiata fino a qualche istante prima. Un balzo felino, la ragazza in volo, lo sguardo puntato su Ledger. Scariche elettriche attorno alle cuspidi scarlatte, le braccia spalancate come per raccogliere energia.
“Evita questo, spaventapasseri! Scoppio Sinfo...”
“... primo mistero – Folgore Angelica!!!!”
Una croce scintillante la investe in pieno, prima che possa completare la frase. L'impeto frenato, bloccato, invertito. Eden perde la posizione, si schianta contro la parete, il finestrino va in frantumi. I capelli bruciacchiati, una scossa vigorosa del capo, le dita a spostare le ciocche dalla fronte.
“B... bastardo!!! Non è leale! Ora ti...”
Ashburnt immobile, lo sguardo vitreo. Ledger paralizzato, le gote avvampate.
“Ma... cosa...?!”
Gli occhi spalancati, la sensazione che le sia sfuggito qualcosa. Qualcosa di tremendamente imbarazzante. Il capo abbassato, a controllare il suo corpo. E a trovare solo polvere e cenere, al posto del cotone.
“Aaaaaah!!! I... i miei vestiti!!!!”
Eden si chiude a riccio, braccia, gambe e capelli a coprire le nudità nel migliore dei modi, il volto paonazzo.
“B... brutto pervertito...”
“... sei ancora viva?”
Ashburnt rompe il silenzio, una goccia di sudore lungo la fronte, l'agitazione domata con estrema difficoltà.
“No, non è possibile, c'è qualcosa che non va.”
“U... uh?”
“Se tu fossi stata una demone, la mia folgore avrebbe incenerito anche te! Non puoi essere una succube!”
Eden si stringe ancora più in se stessa.
“Ma io sono... ero una succube...”
Ledger ignora l'imbarazzo, si sfila il mantello, copre il corpo della ragazza. L'assenza del braccio si mostra in tutta la sua crudeltà, così come le decine di cicatrici sulla pelle chiara. Eden sorride debolmente, le gote ancora arrossate.
“... grazie.”
Ashburnt chiude gli occhi, uno sbuffo sommesso.
“Non posso darle il colpo di grazia, così. Andrei contro tutte le regole della Chiesa.”
Ledger sistema il cappello, i ciuffi castani sparsi sul capo.
“Non ce ne sarà bisogno, padre. È in nostro potere, se tenta qualche scherzo la finisco io.”
Una scarica attorno alla spalla a rimarcare il concetto.
Eden ingoia un grumo di saliva, avvolta nel tessuto scuro. La lunga chioma bionda ricade sulle toppe nere in motivi disordinati.
“... okay, va bene. Cosa volete sapere?”
Ashburnt si schiarisce la voce, tentando di guardare il meno possibile.
“Le uniche creature al mondo che sopravvivono divorando abiti e tessuti sono le tarme e le succubi. Visto che non sei un insetto, resta solo la seconda possibilità... ma ci sono due cose che non tornano. Primo: sei ancora intera, nonostante il mio attacco. Secondo: le succubi sono orrende a vedersi. Assomigliano molto ai cuccioli – hanno due bocche, muso allungato, corna, occhi a saetta, ali membranose e una quarta di seno...”
Un colpetto di tosse per fermarsi a riflettere, un attimo di pausa.
“... ma anche se ti ho ordinato di mostrarmi la tua vera forma, non ho visto né zanne, né pelle di catrame, né squame...”
Un'occhiata fugace lungo il corpo della giovane.
“... e – a occhio e croce – neppure la quarta di seno. Terza scarsa o seconda abbondante?”
Ledger scrolla la testa, le pupille ridotte a puntini minuscoli.
“P... padre! Come...”
“Conosci il tuo nemico, Ledger. Ho studiato per anni come riconoscere una succube e come quantificare le sue caratteristiche fisiche, in seminario. Solo teoria, intendiamoci.”
“C... capisco.”
Ledger si allontana di qualche passo, senza perdere il bersaglio di vista.
“M... ma come fa ad esserne sicuro?! La sua Folgore brucia solamente i demoni?”
Ashburnt estrae gli occhiali dalla tasca, li preme sul naso con aria da intellettuale.
“Il potere conferitomi dalla Vera Croce, di norma, non può essere utilizzato per uccidere esseri umani. Posso bruciare, distruggere, fare a pezzi qualunque cosa, ma la mia Folgore Angelica non arreca danno fisico ad alcun essere vivente non demoniaco... se non in condizioni estremamente particolari.”
Ashburnt si siede per terra, le gambe incrociate, gli occhi fissi sulla ragazza.
“Quindi... cosa ne dici di raccontarmi la tua storia?”
“... è complicato.”
“Ho tempo.”
Un sospiro rassegnato, una nota di malinconia nella voce.
“D'accordo, cercherò di essere breve.”
12.
Treno per El Vahio (III)
Eden prende un profondo respiro, solleva lo sguardo fino ad incontrare gli occhi di padre Ashburnt.
“Io ero una succube, fino ad un paio di anni fa. Una splendida, meravigliosa succube. Passavo il mio tempo tra un amante e l'altro, cambiando forma di volta in volta, senza preoccuparmi del domani. Ero felice, sapete? Poi, ho commesso un errore. Uno stupido errore. Per punirmi, quel bastardo di Booth mi ha trasformata in un'umana, senza modificare il mio metabolismo, e ha modificato le mie preferenze... in fatto di compagnie.”
Ledger sgrana gli occhi, l'orrore si impadronisce del suo volto.”
“Bell Z. Booth?! Il braccio destro del Maligno?!”
Un cenno del capo in risposta.
“Proprio lui.”
Ashburnt scuote il capo, le sopracciglia aggrottate.
“Cos'hai combinato di così grave da inimicarti uno dei Demoni Maggiori?”
“Sono... sono andata a letto con una delle sue concubine...”
Silenzio imbarazzato, Ledger e Ashburnt si scambiano un'occhiata furtiva. Un fischio ammirato, Ledger sogghigna nascosto dalla sciarpa.
“Vendicativo, il tipo. Geloso del suo harem?”
Eden agita le braccia, scrolla la testa con forza.
“Eh? No, no! Non sono stata punita per quello! Booth se l'è presa solo quando...”
Un grumo di saliva ingoiato, gli indici a toccarsi poco sotto il mento.
“... be', solo quando ho tentato di giustificarmi dicendogli che ho scambiato la sua favorita per un uomo.”
Il brusio di fondo a dominare la scena. Lo sferragliare del vagone, il sibilo del vento. I due uomini immobili, incapaci di comprendere. Ashburnt balbetta qualcosa di incomprensibile, il viso contratto in una smorfia priva di espressione.
“Cioè, fammi capire... ti sei appartata con quello che credevi fosse un uomo, salvo poi scoprire che era una delle amanti del tuo capo?!”
“P... precisamente.”
“E lui non l'ha presa bene.”
“No, direi proprio di no.”
Ashburnt si alza dal pavimento, ripulisce il giaccone dalla polvere.
“Tu non sei una demone, adesso. Non potrei ucciderti nemmeno se volessi. La Croce me lo impedirebbe.”
Un cenno della mano in direzione di Ledger.
“Torniamo nel nostro vagone. Mancano solamente venti minuti ad El Vahio e dobbiamo ancora ricontrollare i permessi e gli incartamenti...”
“Non potreste rimanere ancora un po' con me? Mi sento... così indifesa...”
Eden lascia scivolare il mantello, le curve del corpo accentuate dalla posa. Ledger si stropiccia le palpebre, rimane a bocca aperta. Ashburnt si fa il segno della croce, nasconde a malapena il disagio.
“N... non provocarmi così! Sono un prete, capisci?! Un prete! Non posso desiderare... non devo cedere alla tentazione!”
Ledger agita il braccio, gli occhi luccicanti.
“Io no! Io no! Non ho mai preso i voti!!!!”
Un pugno secco sulla testa, il cappello appiattito, Ledger spiaccicato a terra, un bernoccolo pulsante tra i capelli castani. Ashburnt digrigna i denti, i muscoli tremano per la rabbia.
“Nessuno te lo ha chiesto, imbecille!”
Le iridi verdi si posano sulla ragazza, sul tessuto stracciato che dovrebbe celarne la figura.
“Non puoi andare in giro conciata così. Visto che è anche colpa mia, ti pago un completo nuovo quando arriviamo ad El Vahio, poi le nostre strade si dividono, okay?! Abbiamo già abbastanza guai!”
Eden risistema il mantellaccio, si copre alla meno peggio. Un sorriso – un sorriso sincero – sul viso angelico.
“Grazie mille, padre Cross!”
**
“E... era un mostro!!! Ve lo assicuro, dovete crederci!!!”
“No, perché ci portate via?! Fermiiiii!”
Ledger scende dalle scalette, osserva sbigottito la scena. Quattro agenti di polizia attorno a due uomini nudi in manette. E un macchinista scioccato.
Un ufficiale poco distante dal capotreno, una discussione animata. Ledger si avvicina al duo, la curiosità impossibile da trattenere.
“Mi scusi, cosa hanno fatto quei due? Perché li avete arrestati?”
L'ufficiale di El Vahio si volta verso il nuovo arrivato, lo accoglie con un grugnito.
“Atti osceni in luogo pubblico, tentata violenza sessuale su macchinista e vandalismo. Oltretutto, non avevano neanche il biglietto.”
“Eh? Può essere più preciso?!”
“Si sono messi a correre per i vagoni completamente nudi, terrorizzando i passeggeri. Hanno fatto irruzione nella cabina di pilotaggio e hanno continuato a chiedere al manovratore di fermare il treno. Ma si prepari, perché la loro giustificazione è pura follia! Dicono di essere stati spogliati da una ragazza che voleva i loro vestiti come pranzo. Abbiamo ispezionato il vagone da cui sono partiti e abbiamo trovato un caos indescrivibile! Sedili bruciati, tagli nel pavimento, cenere ovunque! Un festino droga e sesso andato male, ecco quello che penso.”
Eden e Ashburnt scendono dal treno. Un gorgoglio cupo, lo stomaco vuoto. Eden afferra un lembo del mantello, lo porta alla bocca. Ledger inclina il capo, continua a parlare con l'agente.
“Ah. Quindi non crede alla loro storia? Alla donna-tarma?”
“Certo, come no? Una donna che mangia i vestiti?! Andiamo, non ci crederei neanche se la vedessi!”
Uno strappo sonoro alle loro spalle, Eden mastica di gusto il cotone scuro.
L'ufficiale si sporge di lato, perplesso. Ledger sgrana gli occhi, uno scatto di reni, il corpo frapposto tra il poliziotto ed Eden.
Troppo tardi.
“Ma... ma...”
L'agente paralizzato, la bocca tremante, l'indice puntato verso la ragazza. Ledger prende un respiro profondo, cala il cappello sul viso, il circuito cerebrale per le menzogne attivato al volo.
“Cosa succede, agente?”
“N... non ha visto anche lei?”
Ledger si volta con estrema naturalezza, senza un briciolo d'ansia.
“Che cosa?”
“Quella ragazza... stava masticando il mantello...”
“Uhm... no. Non mi sono accorto di nulla. Aspetti, chiedo al mio compagno di viaggio.”
Un cenno del capo verso padre Ashburnt, uno scambio di sguardi.
“Ehi, padre! Quest'uomo dice di aver visto Eden mangiare un pezzo di mantello qualche secondo fa. Non è divertente?”
Ashburnt simula una risata, gocce di sudore freddo lungo la fronte.
“Ah, ah! M... ma come le viene in mente una cosa simile?! Me... me ne sarei accorto se lo avesse fatto davvero!”
Ledger si rivolge nuovamente all'ufficiale, la serenità fatta a persona.
“No, neanche lui ha visto niente. Probabilmente, è rimasto suggestionato dal racconto di quei balordi.”
L'uomo annuisce poco convinto, incapace di reagire.
“G... già, lo credo anch'io.”
Ledger si produce in un inchino.
“Be', grazie mille delle informazioni. Arrivederci, agente. Non vada troppo per il sottile con quei due piantagrane. Un paio di giorni di cella dovrebbero essere sufficienti a farli rinsavire.”
Ledger si allontana con passo deciso, raggiunge Eden ed Ashburnt, un sospiro di sollievo mascherato da sbadiglio.
“Andata. Se l'è bevuta.”
Ashburnt aggrotta le sopracciglia, osserva i poliziotti trascinare via gli operai. Un sussulto di rabbia interiore, il braccio disteso ad indicare la scena.
“Perché l'hai difesa? Dico, stanno arrestando due innocenti al suo posto!”
“Glielo spiega lei all'agente che siamo stati noi due a mettere a ferro e fuoco il treno, padre? No, perché io non ho voglia passare una settimana dietro le sbarre. Non possiamo neanche provare che Eden è una demone! Se non si mette a masticare t-shirt di fronte agli inquirenti, è indistinguibile da un essere umano!”
Eden si sfiora le labbra con l'indice, un sorrisetto malizioso stampato sul viso.
“Senza dimenticare che potrei anche dire di essere stata molestata sessualmente da voi due. Ho giusto un bel taglio lungo il fianco da mostrare...”
Ashburnt diventa paonazzo, la mano stampata sulla propria faccia.
“Mio Dio, perché mi hai abbandonato? Cosa ho fatto di male per meritarmi anche questo?”
Un sospiro pesante, misto ad un grugnito.
“D'accordo, va bene. Ora entriamo nel primo maledetto negozio di abbigliamento, scegli qualcosa di decente da indossare, pago il conto e poi ci lasci in pace, okay?! Così possiamo andare finalmente a noleggiare un'auto...”
Lo sguardo verso l'orizzonte, verso il Sole del tramonto.
“… e raggiungere al più presto Tabara.”
13.
Interludio con deserto (I)
Nuvole di polvere sollevate dagli pneumatici, il rombo del motore nel deserto. Il Sole a mezz'asta, la Luna ancora pallida ma già presente. Ashburnt osserva il panorama dal finestrino, un velo di esasperazione sul viso.
“Ledger?”
“Sì, padre?”
“Puoi ricordarmi come siamo finiti in questa situazione?”
Ledger si volta all'indietro, dal posto del passeggero verso i sedili posteriori. Le spalle scosse con noncuranza, rassegnazione mista a divertimento.
“Non è colpa mia, padre. Con un braccio solo, non posso guidare. E lei...”
“Questo l'ho capito, grazie. Quello che non mi è chiaro è...”
Una mano alzata al posto di guida, una voce femminile ad interrompere la catena di pensieri.
“Qualcosa non va, padre Cross?”
Capelli biondi con ciocche azzurre, iridi rosa, t-shirt bianca con le maniche strappate, guanti da pilota, jeans nuovi, appena comprati. E un sorriso a trentadue riflesso nello specchio retrovisore. Ashburnt rotea gli occhi.
“Ecco, esattamente questo...”
La schiena sprofonda nell'imbottitura, il palmo della mano premuto sulla sua stessa fronte.
“... non avevamo detto ognuno per la sua strada?”
**
El Vahio, un'ora prima.
L'insegna dell'autonoleggio, un uomo tarchiato dietro al bancone, capelli radi, incarnato scuro, baffi neri arrotolati a spirale. Ledger si avvicina, posa il gomito sul tavolo, la bocca coperta dalla sciarpa come al solito.
“Buonasera. Avete auto disponibili?”
“Per andare dove?”
“Tabara, al limite del territorio della Chiesa. Avete qualche filiale là?”
Un grugnito ambiguo in risposta. Ledger lo prende come un sì.
“Bene, posso vedere il parco veicoli? Ho bisogno di una macchina con il cambio automatico.”
Sorpresa, incredulità, un sopracciglio inarcato.
“Cambio... automatico? Sta scherzando, spero! È già tanto se siamo riusciti a rimettere in sesto alcuni catorci, ma la roba elettronica... be', diciamo che siamo ancora indietro di una decina d'anni.”
Un sospiro rassegnato, Ledger scuote il capo, l'indice puntato verso il braccio mancante.
“Lo vede questo? Mi spiega come posso guidare con un cambio manuale?”
“Non sono affari miei. Io noleggio auto e basta. È il cliente che deve adattarsi.”
Ledger ruota su se stesso, cerca Ashburnt con lo sguardo.
“Padre, lei sa guidare?”
“Io? Ho provato un paio di volte. Dovrei esserne in grado.”
“Meglio che niente.”
Il gestore annuisce con un cenno del capo.
“Venite con me.”
Una porta scalcinata verso il cortile interno, sei, sette veicoli parcheggiati. Alcuni in buono stato. Altri no. Ledger dà un'occhiata veloce, esamina rapidamente il parco mezzi.
“Una jeep sarebbe l'ideale.”
Il venditore attraversa il piazzale, batte la mano su uno pneumatico largo e spesso.
“Questa è la cosa che ci si avvicina di più.”
“Una dune buggy?!”
Il venditore accarezza la carrozzeria nera.
“Precisamente. Recuperata nel deserto tra Desolaciòn e Halajaribo, tre anni fa. Il mezzo ideale per attraversare il mare di sabbia. Sospensioni come nuove, gomme in ottimo stato, fari, tettuccio, quattro posti.”
Ashburnt osserva con curiosità l'automobile, prende posto al sedile del guidatore
“Me le ricordavo diverse.”
Uno sguardo al cruscotto, alle leve, ai pedali.
“Cos'è tutta questa roba?! L'ultima auto che ho guidato aveva un solo pedale.”
“U... uno solo?”
“Sì! Era più piccola, senza tetto e aveva una lunga asta proprio dietro i sedili, ecco circa qui.”
Ledger spalanca la mano, fa cenno di fermarsi, le gote arrossate, sudore freddo.
“Un attimo, padre. C'era mica una bandiera, in cima all'asta?”
“Ora che mi ci fai pensare, sì.”
“E – magari – attorno alla carrozzeria c'era un anello di gomma.”
“Proprio così.”
“E... l'ha mica guidata su una pista di metallo, assieme ad altre vetture quasi identiche?”
Ashburnt stringe le mani attorno al volante, un brivido freddo lungo la schiena.
“C... come fai a sapere anche questo?”
Ledger si spiaccica il palmo sul viso, lo lascia scendere verso la bocca, mentre gli occhi puntano al cielo, persi nel vuoto.
“Era un autoscontro, padre. Un'attrazione da luna park!”
“E questo cosa significa?”
Il venditore incrocia le braccia, la bocca ripiegata in un arco minaccioso.
“Che non potete prendere una macchina. Nessuno di voi due sa guidare.”
Ledger incrocia lo sguardo dell'uomo, agita il braccio con foga.
“M... ma noi dobbiamo assolutamente raggiungere Tabara! C'è qualche pilota in città che...”
“Tutti i miei assistenti sono fuori. Dovreste aspettare almeno due giorni.”
“Due giorni?! No, è fuori discussione! Dobbiamo trovare qualcuno che sappia guidare questo affare...”
“Posso farlo io!”
Una voce femminile alle loro spalle. Ashburnt sgrana gli occhi, la bocca spalancata fin quasi a raggiungere il terriccio.
“T... tu?!”
Figura snella, ben proporzionata. Capelli lunghi, lingua biforcuta. I vestiti nuovi già assaggiati, strappi e tagli assortiti su maglia e pantaloni. La mano destra esibita in una V di vittoria. E un sorrisetto di trionfo sul viso.
“Proprio io!”
**
“Non avevamo scelta, padre. Era l'unica persona che poteva aiutarci.”
“Sì, certo...”
Ashburnt sobbalza sul sedile, un dosso preso a troppa velocità. Insulti masticati, trattenuti a stento. Eden se ne accorge, addolcisce l'andatura.
“Scusi, padre! Non ho mai guidato questo modello, prima d'oggi! Però non è difficile, risponde bene.”
Ledger resta stravaccato sul sedile, la nuca sul poggiatesta, si gode la traversata. Ruota leggermente il capo, ammira la sicurezza della guidatrice.
“Ehi, Eden... dove hai imparato? Non credevo che anche le succubi andassero a scuola guida.”
Eden fischietta con civetteria, crea un alone di mistero.
“Noi succubi abbiamo un modo molto particolare di acquisire nuove abilità. Libri e pratica sono solamente perdite di tempo: tutto quello di cui abbiamo bisogno è avere un... ehm... certo tipo di contatto fisico con un essere umano che la possieda già. Una decina di minuti di riscaldamento, si entra nel vivo e poi – BANG! – è come se la conoscessimo da sempre.”
Ashburnt sgrana gli occhi, la mano stretta attorno al rosario.
“U... un certo tipo di contatto fisico?”
“Non sia ingenuo, padre! Sa certamente a cosa mi riferisco. E funziona anche con le donne, glielo garantisco!”
“Preferisco non sapere.”
“Contento lei. Ad ogni modo, uno dei miei... ehm... insegnanti è un pilota professionista di rally. Ho imparato un paio di trucchetti niente male. Quasi quasi...”
“Eh? No, fer...”
Il rombo del motore sovrasta la voce di Ashburnt. Eden ingrana la marcia, preme sull'acceleratore. L'auto attraversa le dune, in derapata tra i cactus rinsecchiti e le matasse di polvere. Lo sterzo manovrato con precisione, ripidi pendii superati con un balzo.
Ashburnt unisce le mani, gonfia le guance, il capo chino, la ricerca di un sacchetto per il vomito.
“Qualche problema, padre Cross?”
“P... perché continui a chiamarmi così? Il mio nome è Thornheart Ashburnt, non Cross!”
“Troppo lungo, ho la memoria corta. Credo che Cross renda molto di più.”
Una scintilla nello specchietto, il Sole oscurato per un istante. Eden sposta lo sguardo, controlla a destra, a sinistra. Sagome controluce, disposte in formazione.
“Uh, oh.”
Ledger porta la testa fuori dal finestrino, tenta di stabilire un contatto visivo. Panico sul viso, terrore puro.
“No! N... no!”
Ashburnt si aggrappa ai sedili frontali, spinge il busto in avanti.
“Cosa succede, Ledger? Cosa hai visto?”
Eden stringe il volante con decisione, serra le palpebre.
“Reggetevi forte...”
Un lungo respiro, gli occhi spalancati, il piede pestato sull'acceleratore.
“Abbiamo compagnia.”
14.
Interludio con deserto (II)
Tre sagome scure controluce, scheletriche. Mucchi di ossa in volo, il becco allungato, occhi di brace, il cuore esposto. Ali prive di pelle o membrane, una lunga coda a più falangi. Nessun muscolo, nessun altro organo.
Ledger si rifugia nel sedile, la mano piantata sul petto, a tentare di frenare il battito incessante.
“Schelaironi! Quelli sono schelaironi!”
Eden ingrana la marcia, il buggy derapa sulla sabbia battuta, rocce e sassi evitati per un soffio. Ledger in preda alla confusione, il volto ruotato senza direzione.
“Non qui! Non di nuovo! No, no!”
“Calmati, Ledger! Cosa...”
“Non capisce, padre?! Quelli sono...”
Uno schiaffo sulla guancia, a piena mano. Ashburnt trae un respiro profondo, massaggia le dita dopo aver colpito il compagno.
“... schelaironi. L'ho capito, Ledger. Lo abbiamo capito. Ora, cosa ne dici di ripartire da capo? Perché hai così tanta paura di quegli uccellacci?”
Uno stridio acuto, il rumore delle unghie sulla lavagna. Una delle creature scende di quota, spalanca il becco, prende la mira. Un getto verdastro lanciato dalle viscere, liquido sparso come pioggia per alcuni metri. Eden sterza bruscamente, il buggy su due ruote, lontano dallo spruzzo. Un cactus colpito dalla sostanza sconosciuta, ricoperto completamente dall'umore oleastro. Uno sfrigolio sinistro, bolle, gorgoglii per un paio di secondi. Poi, il silenzio.
E della pianta non rimane nulla.
Ashburnt apre la bocca, la lingua incollata sul palato, una goccia di sudore freddo lungo la fronte.
“L... lo ha corroso?!”
“S... sì.”
Ledger chiude le palpebre, abbassa la sciarpa, respira a pieni polmoni.
“Quel liquido è tremendo, padre. L'ho visto sciogliere muri di cemento armato, fino ad intaccare i tondini! E... e ne ho provato l'effetto...”
La mano tenta di afferrare qualcosa sotto la spalla sinistra, senza trovare resistenza.
“... sulla mia pelle.”
Una curva stretta, le gomme ululano, Ashburnt schiantato contro la paratia laterale.
“Aaaaah!”
“Reggetevi! Sto tentando di seminarli, ma quei cosi non mollano!”
Ledger si aggrappa al cruscotto, scuote il capo con forza.
”C'è qualcosa di strano.”
“Eh?!”
“Sono solo tre.”
Due schelaironi scendono in picchiata, getti corrosivi sparati ad altissima velocità. La macchina di traverso, la pioggia letale evitata con maestria. Ashburnt afferra la maniglia sotto al tettuccio, tenta di agganciare la cintura di sicurezza, lo stomaco ribaltato, squassato dalle manovre di Eden. Un grugnito, la voce lamentosa.
“Solo?! Vorresti che ce ne fossero altri?!”
“Di solito, si muovono in stormi di dieci o venti!”
“Forse questi non lo sanno!”
Vomiti acidi lanciati a ripetizione, una mitragliatrice a tre stadi. Eden ringhia come una bestia ferita, le mani doloranti.
“Non posso schivarli all'infinito!”
Uno schelairone si stacca dal gruppo, si affianca alla macchina, osserva l'interno. Occhi di brace, corpo di sole ossa. Ashburnt incontra il vuoto delle orbite, un vuoto infinito, impossibile da ignorare. Poi, l'urlo allucinante, il becco spalancato.
“Padre Ashburnt!”
Ashburnt chiude le palpebre, stringe i denti, prega, la vita di fronte agli occhi come un film di scarsa qualità.
Poi, l'esplosione.
“Eeeeh?”
Lo schelairone salta in aria, ossa sparse per decine di metri. Gli altri due rallentano, invertono la direzione, tentano di allontanarsi.
Troppo tardi.
Due siluri a reazione, scie di fumo grigio nel cielo. La deflagrazione, le vampe incendiarie. Polvere bianca e frammenti bruciacchiati dove fino a poco prima volavano le creature.
Eden si stropiccia gli occhi, ferma la macchina, tira il freno a mano. Gli pneumatici stridono, scivolano sul terreno accidentato, si bloccano, il motore spento. Eden lascia la presa, massaggia i palmi, distende le dita. Uno sguardo stupito ai resti degli schelaironi, nessuna spiegazione plausibile.
“Okay, cosa è stato?”
Ledger apre la portiera, sgancia la cintura di sicurezza, scende dalla vettura. Il respiro tornato normale, i ricordi spazzati via. Il cappellaccio sistemato con cura, la sciarpa a coprire la bocca e il naso. Una rapida occhiata ai dintorni. Un'espressione di sorpresa disegnata tra le cicatrici.
“Loro.”
Un drappello di guardie robotiche, uguali a quelle del palazzo di Ilias. Dietro di loro, un piccolo edificio di cemento. E un uomo vestito dei paramenti sacerdotali.
“Benvenuto a Tabara, padre Ashburnt! La stavamo aspettando con ansia!”
**
Eden si china sul cofano della vettura, sfiora i fari con affetto materno.
“Fai la brava, mi raccomando!”
Un'ultima carezza alla carrozzeria della dune buggy, prima di riconsegnarla all'autonoleggio. Ledger paga il conto, la carta di credito passata nel lettore. Uno sguardo distratto alla ragazza, agli occhi lucidi con cui fissa l'automobile. Eden riprende posizione eretta, ruota il capo ancora una volta, come per dare l'estremo saluto.
“Te la sei cavata bene, là fuori. Spero di poterti guidare di nuovo, prima o poi!”
“È solo una macchina, Eden. Solo una macchina”
“Una macchina che ci ha salvato la vita. Non dimenticarlo!”
“Come potrei?”
Ledger lascia il bancone, raggiunge la ragazza. Eden siede su un muretto basso, gli occhi rivolti alla pallida Luna.
“Per quanto ne avrà padre Cross?”
“Dipende da quanto è loquace il sacerdote locale.”
“Cosa ne dici se ci facciamo un giro per Tabara, tanto che aspettiamo? Ho visto un paio di negozi con vestiti davvero appetitosi!!!”
Ledger inarca un sopracciglio.
“N... non vorrai assaggiarli di fronte al commesso o nel camerino, vero?”
“Ovvio! Come faccio a sapere se sono di mio gusto, altrimenti?!”
Un lungo sospiro sconsolato.
“Eden, gli esseri umani non si nutrono di tessuti. Se ti vedessero fare una cosa del genere...”
“Va bene, va bene! Allora compro a scatola chiusa, ma paghi tu, okay?”
“C... cosa...”
Eden lo afferra per il braccio, lo trascina con forza.
“Affare fatto? Perfetto!!!!”
Un gorgoglio dallo stomaco, il ruggito di una bestia primordiale. Ledger sobbalza, il terrore puro nelle iridi.
“C... cosa è stato?!”
Rossore sulle gote di Eden, un sorriso imbarazzato.
“Ehm... ho giusto un certo languorino...”
Ledger alza gli occhi al cielo, alle stelle appena visibili nel crepuscolo. Per un istante, scorge una figura in volo, lenta, aggraziata, una figura triste dalle sembianze ben note: il suo portafoglio. Il capo scrollato con forza, la rassegnazione stampata sul volto.
“D'accordo, ma cerca di restare sull'economico, eh? Niente lana merino o velluto, altrimenti scappo senza saldare il conto e ti lascio lì.”
Eden stringe le mani, saltella tutta eccitata, le iridi luccicanti, quasi commosse.
“Grazie! Grazie! Giuro che farò la brava!”
Ledger cala il cappello sul viso, tenta di trovare una logica dietro gli ultimi avvenimenti. Invano.
“Comunque... puoi spiegarmi perché non ci hai ancora lasciato (in pace)? Credevo che avessimo deciso di dividerci, una volta arrivati a Tabara.”
Eden abbozza un sorriso, un velo di imbarazzo.
“Ah... ehm... non te l'ho detto? Ho deciso di venire con voi, ovunque siate diretti!”
“... venire con noi...”
Un istante per rendersi conto del significato della frase. Delle conseguenze.
“Eeeeeeh?! Sei completamente impazzita?! Padre Ashburnt non te le permetterà mai!!!”
Eden preme l'indice sulla sciarpa, dove dovrebbe essere la bocca di Ledger. Un occhiolino malizioso, la punta della lingua emerge dalle labbra.
“Non ho bisogno del suo permesso. E poi, pensaci bene: sono brava a combattere, so guidare una macchina, conosco palmo a palmo i territori oltre il confine. Avermi con voi sarebbe estremamente vantaggioso.”
“E tu cosa ci guadagneresti?”
“Ho un conto in sospeso con Booth, no?”
Ledger china il capo, le dita massaggiano nervosamente il mento.
“Non posso decidere da solo. Quando torna padre Ashburnt, ne discutiamo tutti insieme.”
Eden gli dà una pacca sulla spalla, un sorriso a trentadue denti.
“Ora è tempo di shopping! Forza, seguimi!!!”
Uno strattone al braccio, Ledger perde l'equilibrio, cade a terra. Eden inizia a correre a velocità smodata, lo trascina con sé, lasciandolo rimbalzare sull'asfalto.
“E... eeeeden!!!”
“Ho faaaaameeeee!!!!”
“A... aspetta! Così... mi... fai... maleeeeeee!!!!!”
Una ragazza osserva il duo, dal marciapiede opposto. Felpa grigia larga con cappuccio, jeans blu, scarpe da ginnastica rosse. Capelli neri ad incorniciare un viso sottile, iridi dorate.
Colpi di tosse concitati, insofferenza sprizzata da tutti i pori.
“Umani...”
Ruota su se stessa, riprende a camminare per la sua strada.
“... non impareranno mai.”
Un bagliore intenso, i lampioni spenti per un istante.
E candide ali piumate comparse dal nulla.
15.
Incontri inattesi a Tabara (I)
Un ufficio sfarzoso, ricolmo di quadri e opere d'arte. Scrivania in radica, sedie con rivestimento in velluto. Le finestre aperte, luci artificiali a rischiarare il locale. Il sacerdote prende posto al tavolo, un cenno della mano in direzione del suo ospite.
“Si accomodi, padre. Immagino che sarà stanco.”
Ashburnt lo squadra per un istante. Un uomo alto, asciutto, fasciato in una veste uguale a quella che indossava Ilias. Capelli castani lisci, naso allungato, lineamenti affilati, occhi talmente stretti da sembrare perennemente chiusi.
“Non troppo, sua eccellenza. O devo chiamarla gran sacerdote?”
Un sospiro di falsa commiserazione.
“La morte di Ilias è stata uno shock. Essendo il primo in linea di successione nella catena di comando, è stato naturale per me prendere il suo posto.”
La mani inanellata mosse di fronte al viso con un ampio gesto.
“Gran sacerdote Argento. Come suona?”
“Falso come una banconota da tre crediti.”
Argento si irrigidisce, la bocca spalancata per la sorpresa.
“C... come ha detto, scusi?”
“Oh, niente, non ci faccia caso. Qualche volta non sono capace di controllare il mio sarcasmo.”
Un colpo di tosse imbarazzato, Argento riprende l'usuale contegno.
“Un tipo diretto, eh? Bene, tralasciamo i convenevoli. Mi dica...”
Le dita tamburellano nervosamente sul legno, entrambe le sopracciglia inarcate.
“... qual è il motivo della sua presenza qui, a Tabara? Pensavo si stesse dirigendo verso il territorio del Maligno. Quando ho ricevuto la chiamata dai gestori dell'autonoleggio, non riuscivo a credere alle mie orecchie. Non avrebbe avuto più senso tagliare dritto da Qambura o El Vahio? Avrebbe risparmiato un sacco di tempo...”
“Dipende da qual è lo scopo del viaggio.”
Argento lascia la scrivania, le braccia incrociate dietro la schiena.
“Se il suo obiettivo è sconfiggere il Nemico, le darò tutto il sostegno possibile. Se invece la sua impresa ha – come dire – secondi fini... non so quanto sarò disposto a collaborare.”
“Pazienza, farò a modo mio allora. Grazie di niente, sacerdote.”
Argento alza la voce, il tono roboante.
“Quanta insolenza! Se non fosse stato per me, lei sarebbe morto, padre! Dico, come le è saltato in mente di lasciare El Vahio senza prima avvisarmi? Se non avessi avuto i miei canali di informazione, chi l'avrebbe salvata dall'attacco degli schelaironi? Esigo di sapere perché è qui, ora!”
Un istante di silenzio, Ashburnt unisce le mani, il capo chinato in avanti.
“D'accordo, sacerdote Argento. Come vuole lei...”
Ashburnt solleva il mento, le iridi verdi infiammate a cercare gli occhi del gran sacerdote.
“... le sbatterò in faccia tutta la verità!”
La sedia abbandonata di scatto, il braccio piegato, l'indice a picchiettare sulla tempia destra.
“Da quando si è insediato a capo di questa circoscrizione, il numero di attacchi di demoni è aumentato in modo significativo. Non solo: nonostante lei abbia a disposizione quasi più guardie di quelle dislocate a Qambura, i suoi sottoposti non hanno catturato nemmeno un cucciolo negli ultimi tre mesi. Senza contare le sparizioni di quasi tutte le persone a lei vicine, proprio in prossimità della sua investitura. Un po' strano non trova?”
Argento ruota il capo, nervosismo palpabile nella voce.
“... dove vuole arrivare?! Non starà accusando me, il gran sacerdote, di essermi alleato con...”
“No, per niente.”
Ashburnt serra le palpebre, alza la mano al cielo.
“Io non sto accusando Liacono Argento, gran sacerdote di Tabara...”
Il braccio teso in avanti, l'indice puntato, la schiena inarcata.
“... ma il demone che ne ha preso il posto!”
Argento indietreggia fino alla finestra, il volto scosso, i denti digrignati.
“Non... credo di capire...”
Ashburnt unisce l'indice e il medio, una scarica di luce circonda le dita, oscura le lampade artificiali.
“Perché non mi stringe la mano, gran sacerdote? Se è un essere umano, non dovrebbe avere nulla da temere, no?”
“Cosa le fa pensare che io sia...”
“Mi stringa la mano ORA! È l'unico modo che ha per smentire i miei sospetti!”
Argento porta il palmo alla fronte, crolla in ginocchio, una risata incontenibile, rauca.
“Ah, ah! Ah, ah, ah, ah!”
Una smorfia indecifrabile, la bocca deformata in un lungo arco.
“Bene, bene, padre Ashburnt... le voci sul suo conto erano fondate, dopotutto. Merita un premio...”
Le palpebre aperte di scatto, un vuoto scintillante al posto degli occhi.
“Ha vinto un viaggio di sola andata per l'aldilà! Non è contento?!
**
“Quanto costa quel berretto?”
“Sono venticinque crediti.”
La ragazza estrae il portafoglio dalla tasca della felpa, una rapida occhiata al contante residuo.
“Uff... peccato. Non ho abbastanza soldi con me. Siete aperti anche domani?”
Il negoziante si produce in un inchino rispettoso, i pochi capelli bianchi a coronare una testa lucida come una palla da biliardo.
“Per tutta la settimana e anche di più! Il Mercato della Luna Crescente è una tradizione, qui a Tabara! Dura fino alla seconda notte di Luna piena!”
“Oh, benissimo! Allora torno domani sera e...”
Caos infernale, una bancarella fatta a pezzi. Schegge di legno come aghi, persone in volo. Urla disperate, la folla terrorizzata.
“Cosa...”
“Demoni!!!”
Il vecchio si nasconde sotto il bancone, le mani strette dietro la nuca.
“Siamo spacciati! Siamo spacciati!”
Quattro cuccioli avanzano tra la gente, le braccia mulinate a destra e a manca, artigli fatti per squarciare, per uccidere.
“Dove sono le guardie? Perché spariscono sempre quando c'è bisogno di loro?!”
La ragazza rimane immobile, le scarpe da ginnastica ben piantate per terra, il cappuccio della felpa a coprire la folta chioma scura, le iridi dorate scintillanti. Il vuoto attorno a lei, la strada deserta. Di fronte, le creature.
“Salve.”
I cuccioli si guardano per un attimo, espressioni di sorpresa. Uno di loro allunga la mano, indica la giovane.
“Hai fegato, ragazza. Cosa ne dici se ti apriamo a metà per papparcelo?”
Quattro braccia chiuse a scatto, gli artigli a fendere l'aria. Solo l'aria. La ragazza a pochi metri di distanza, nella stessa posizione di prima.
“Siamo veloci, eh? Meglio così!”
Il primo cucciolo si stacca dal gruppo, i pugni battuti uno contro l'altro.
“Ho un debole per i fast food!!!”
“Demoni...”
La bocca contratta, le palpebre semichiuse. Parole sputate a fatica, per vincere lo schifo.
“... perché dovete sempre rovinarmi le vacanze?!”
Le gambe divaricate le mani alzate al cielo. Un lampo, scintille di luce sacra a squarciare la notte.
Il primo cucciolo ammutolisce, la bocca spalancata, il secondo cucciolo porta le mani davanti agli occhi.
“Eeeeh?!”
La ragazza scrolla la testa, si libera del cappuccio. Un aureola luccicante avvolge il capo, il chiarore di una seconda Luna.
“È giunta l'ora... ”
La danza elegante del corpo, ampia rotazioni delle braccia, le mani si riuniscono di fronte al viso.
“... di porre fine alla vostra esistenza!”
Un gesto teatrale, le scintille seguono il movimento dell'indice, una scia di stelle lasciata al passaggio.
“Per proteggere il mondo dalla devastazione...”
Un moto circolare, una curva disegnata in aria con maestria.
“... declamare le virtù della verità e dell'amore...”
Le luci si incrociano di fronte allo sterno, continuano in una spirale elegante.
“... che, eterno, muove il Sole e le altre stelle...”
Il simbolo dell'infinito, completo, pulsante come un cuore.
“... io ti evoco, lama divina! Vieni a me, Balmuuuuuung!!!!”
L'infinito si dissolve in un mare di fiamme. Un spada emerge dalle vampe di fuoco, la lama rossa come il sangue, l'impugnatura dorata. La ragazza l'afferra con la mano destra, la punta diretta al cielo, in posa plateale.
Uno dei demoni stringe i denti, i muscoli scossi da tremiti.
“Chi... chi sei? Che cosa... significa tutto questo?!”
La ragazza abbassa lo sguardo, inquadra i demoni uno alla volta.
“Che modi! Nessuno vi ha insegnato l'educazione? Dovreste essere voi a presentarvi...”
Balmung avvolta da strali scarlatti, gli arabeschi sull'acciaio in mutamento continuo.
“... ma visto che sicuramente non avete un nome, farò un'eccezione all'etichetta!”
I cuccioli arretrano preoccupati, uno dei quattro scuote il capo, terrorizzato.
“P... perché ho un'orribile sensazione di dejà-vu?!”
La ragazza unisce le mani attorno all'elsa, un'aura candida attorno a tutto il corpo.
“Io sono la domanda a cui nessuno può rispondere! La bellissima guerriera dei cieli, venuta fin qui per punirvi in nome del Signore!”
Ali magnifiche, sbocciate dal nulla, bianche come la neve. Una pioggia di piume a coronare la figura minuta, donandole un che di maestoso.
“Io sono Mikael, il primo arcangelo! Arrendetevi subito o preparatevi a combattere!”
Il primo cucciolo si lecca le labbra, avanza come se nulla fosse.
“Un arcangelo, eh?”
Un cenno di intesa, tre cuccioli scattano in avanti, gli artigli sguainati, le zanne snudate.
“Vediamo che sapore hai!!!”
“Balmung ammazzadraghi, io invoco il tuo potere...”
Un segno tracciato in aria con la punta della spada, la lama avvolta da una colonna di luce.
“Infinity Slaaaaash!!!!!”
Un lampo a squarciare il cielo, una vampata di calore carbonizzante. I cuccioli si sciolgono prima ancora di poter gridare, una poltiglia di cenere informe sparpagliata per centinaia di metri.
Mikael abbassa l'arma, un sospiro rassegnato.
“Quel berretto mi piaceva troppo. Magari, se sistemo un po' la zona, domani riaprono il mercatino...”
Un rombo sordo in risposta, una mano titanica schiantata a pochi centimetri dal suo corpo. Mikael scarta di lato, Balmung impugnata con entrambe le mani.
“C... cosa?”
Due fari rossi nelle tenebre, una sagoma indistinta, colossale. La voce gracchiante di una creatura sconosciuta.
“Guarda, guarda... ho fatto bene a mandare quei cuccioli in avanscoperta...”
Mikael alza la guardia, punta i piedi, si prepara ad affrontare il demone.
Un demone talmente grande da oscurare la Luna.
16.
Incontri inattesi a Tabara (II)
Una pioggia di spine, la morte dall'alto. Ashburnt si getta sotto la scrivania, avverte il gemito del legno trafitto a tradimento.
“Perché si nasconde, padre? Non avrà paura di me?”
Argento allarga le braccia, i palmi rivolti al soffitto. La voce sdoppiata, la bocca sostituita da una schiera di denti acuminati. Il corpo ancora umanoide, la pelle annerita. Un nugolo di spine a ricrescita rapida sbocciato sulla schiena. Le mani scattano all'improvviso, afferrano il mobile da entrambi i lati, lo sradicano dal pavimento, lo sollevano fin sopra la testa.
“Bubu... settete!”
Ashburnt salta fuori di scatto, un calcio sferrato in piena faccia al mostro. Argento esita per un istante, perde la presa, la scrivania gli precipita addosso, si frantuma in mille pezzi. Ashburnt ruota su se stesso, un colpo al ginocchio del demone, uno alla caviglia. Argento impatta al suolo, si regge sul gomito sinistro. Ashburnt unisce l'indice e il medio, scariche di energia sacra, la mano sollevata al cielo.
“Per i peccati che hai commesso, per il male che hai causato...”
Una croce tracciata rapidamente in aria, un lampo di luce divina.
“... TI ESORCIZZO!”
Argento si piega di lato, punta le mani a terra, si spinge all'indietro, guadagna distanza. La croce gli sfiora l'orecchio destro, si infrange sul muro, carbonizza l'intonaco in uno scoppio di fiamme.
“Waaaaaah! Bruciaaaaa!”
La cartilagine prende fuoco, consuma parte del padiglione auricolare. Un rivolo di sangue verde lungo la pelle rinsecchita.
Ashburnt piega le gambe, prende la spinta, salta in alto, fin quasi a sfiorare il lampadario.
“Rosario divino, primo mistero – Folgore Angelica!”
Argento ringhia come una bestia ferita, scarta di lato, evita il fulmine di qualche centimetro, cade malamente sulla schiena. Ashburnt atterra con un balzo, divarica le gambe, unisce le mani, alza le braccia.
“Rosario divino, secondo mistero...”
“No!”
Argento rotola sul pavimento, i quattro arti piegati, puntati a terra, il manto di spine mostrato all'avversario.
“Tempesta di Spine!”
Gli aculei sparati a velocità supersonica, una pioggia di punte acuminate. Ashburnt sgrana gli occhi, tenta di schivare l'assalto con uno scatto. Due, tre, quattro spine si conficcano nella carne, trafiggono il braccio sinistro, il fianco, la coscia. Gli abiti macchiati di rosso vermiglio, gocce di sangue colano sulle piastrelle.
“Aaaagh!”
Ashburnt si piega in ginocchio, tenta di arrestare l'emorragia, di estrarre le spine. Argento ritorna in posizione eretta, si avvicina a passi lenti, un ghigno malefico stampato sul viso.
“Il grande padre Ashburnt, lo sterminatore di demoni. L'uomo che porta un chiodo della Vera Croce nell'indice della mano destra...”
Gli artigli afferrano il braccio destro, lo tirano con forza, sollevando tutto il corpo come se fosse una bambola di pezza.
“... una reliquia capace di cancellare un demone dall'esistenza con un solo tocco...”
Argento alza l'altro braccio, le dita come lame di rasoio.
“... ma cosa succederebbe se ti tagliassi la mano? Saresti ancora in grado di usarla?”
“R... rosario divino – accelerazione! Separazione dei Grani!!!!”
Una esplosione di luce attorno all'uomo, le cinquantanove sfere scagliate tutto attorno. Argento viene respinto, lanciato contro la parete. Il demone sfonda il cartongesso, si schianta contro il pavimento della stanza a fianco.
“Gyaaaaah!”
“I... intervento divino, primo miracolo – Guarigione degli Infermi!”
Ashburnt si alza a fatica, le dita sfiorano le spine, le disintegrano al contatto, le ferite si rimarginano, il corpo nuovamente vigoroso. Le sfere di luce ruotano attorno a lui in modo casuale, percorrendo orbite circolari. Argento si inginocchia, il fiato corto, la bocca aperta per recuperare ossigeno.
“Non... non può finire così... ti avevo in pugno, Ashburnt!”
Un ringhio bestiale, gli occhi pulsano ad altissima frequenza.
“Come hai fatto a scoprirmi? Ti sono bastati quegli stupidi sospetti?!”
“Gli schelaironi.”
“Eh?”
Ashburnt unisce l'indice e il medio, un'aura dorata avvolge l'intero corpo.
“Quegli uccellacci non si muovono mai in stormi così piccoli, né si avvicinano a veicoli in movimento. Normalmente, si comportano come avvoltoi... a meno che qualcuno non li controlli.”
Argento spalanca la bocca, contrae i muscoli delle dita.
“C... come? Non ha senso! Io... ti ho salvato da quei mostri! D... devi risparmiarmi!”
“Già, un ottimo piano.”
Un movimento verticale della mano, una scia luminosa tracciata in aria.
“Se gli schelaironi ci avessero ucciso, ti saresti liberato di me senza far saltare la tua copertura...”
Uno scatto repentino in orizzontale.
“... in caso contrario, avresti potuto guadagnarti la mia fiducia salvandomi dal loro attacco...”
La croce completa, di fronte al viso di padre Ashburnt.
“... per eliminarmi con comodo, al riparo da sguardi indiscreti, dopo aver allontanato i miei compagni di viaggio!”
Un gesto rapido, le dita proiettate verso l'alto.
“Ora! Rosario divino, primo mistero!!!! Folgore Angelicaaaaaaaa!!!!!”
Argento sgrana gli occhi, si lancia a destra, un colpo di reni. La croce sfavillante investe in pieno il braccio sinistro, lo incenerisce, una nuvola di polvere e cenere, sangue verdastro sparso sull'intonaco, sui quadri, sulle colonne di marmo.
“Gyaaaaaah!”
Argento atterra su tre arti, pianta gli artigli nel pavimento. La schiena si ricopre di aculei, i denti digrignati in una smorfia di dolore. Un rivolo scuro lungo le labbra, gli occhi pulsano a ritmo incostante.
“Catena di Spine!”
Gli aculei partono a razzo, convergono verso un punto comune, si uniscono in un'unica catena nera, un arpione diretto al nemico. Ashburnt trafitto alla spalla sinistra, scagliato contro il muro. La punta si incastra nella parete, Ashburnt perde il respiro per un istante, subisce il contraccolpo. Nuovi aculei si generano sulla schiena del demone, pronti al lancio.
“Muori, bastardo! Tempesta di Spineeeee!!!!”
I proiettili infernali esplodono, una nube nera letale.
“Rosario divino – accelerazione! Separazione dei Grani!”
Ashburnt grida con tutto il fiato rimastogli in gola. Le sfere di luce ruotano attorno al suo corpo a velocità folle, uno scudo di energia impenetrabile. I primi aculei si frantumano, vengono deviati, si conficcano nel soffitto.
“Aaaaaaaaaah!!!!!! Muoriiii!!!!!”
Altre spine scagliate con furia, produzione continua, senza tregua. Ashburnt alza la mano libera, un gesto rabbioso, deciso.
“Ora!”
Le sfere si muovono all'unisono, circondano Argento da ogni lato, intercettano i proiettili.
“U... uh?! N...”
Gli aculei si infrangono contro le sfere, rimbalzano indietro, colpiscono le altre sfere, sempre più veloci, sempre più veloci.
“No! Non vorrai...”
Una delle sfere si posiziona di fronte al demone, scintilla nel buio. Gli arpioni riflessi convergono, tutti puntati verso l'ultimo bersaglio. Argento interrompe la salva, si copre il volto con la mano restante, i denti stretti.
“AAAAAAAGH!”
Le spine attraversano la carne nerastra, squarciano gli organi interni, si fanno strada attraverso le ossa, spruzzi viscosi da ogni piaga. Argento crolla in ginocchio, la bocca spalancata, il braccio lasciato cadere a peso morto. Un ultimo barlume di luce negli occhi, il volto ruotato a fatica, il tentativo di inquadrare il nemico. Ashburnt strappa l'arpione dalla spalla, rimargina le ferite, si avvicina lentamente al corpo martoriato.
“È finita.”
“F... finita? Non... non farmi ridere! T... tu... bastardo... un uomo solo... non puoi niente... niente, capito? A... anche se mi uccidi... il Maligno non sarà fermato... e... e...”
Ashburnt divarica le gambe, i pugni uniti, sollevati al cielo.
“Rosario divino, secondo mistero...”
Le braccia abbassate di scatto, la voce potente come un rombo di tuono.
“... Fiamme di Sodomaaaaaaa!”
17.
Incontri inattesi a Tabara (III)
La mano gigante impatta sulla strada, un tremito a scuotere l'asfalto. Mikael osserva i movimenti della creatura, senza scomporsi.
“Sarai anche un arcangelo, ma non puoi sconfiggermi! La mia pelle è così spessa che nemmeno le lance supersoniche delle guardie riescono a trafiggerla!”
Il mostro si alza sulle quattro gambe, le due braccia titaniche allargate alla massima estensione. Le corna ramificate innestate nel cranio allungato, incarnato nero come il carbone.
“Non sembri per nulla spaventata... bene, sarà ancora più divertente!”
“Un goliath, eh?”
Un ghigno malefico, zanne da trenta centimetri incrociate tra labbra deformi.
“No!”
Il demone carica il pugno, sferra un colpo tremendo. L'asfalto crepato, pezzi di marciapiede sparsi in un raggio di cento metri.
“Io sono il goliath! Gli altri sono solamente esseri inferiori!”
L'artiglio scatta, tenta di afferrare l'angelo. Mikael balza in aria, una capriola all'indietro, atterra sulla punta dei piedi. Il goliath piega le gambe, si spinge in avanti, proietta l'altro pugno. Un cancello di ferro battuto spazzato via, schegge di metallo ritorto in volo.
“Torna qui, codarda!!!!”
Una serie infinita di artigliate, una più rapida dell'altra. Mikael in posizione di guardia, Balmung distesa a parare ogni singolo colpo. Un battito d'ali, l'angelo si riporta a distanza. La lama si infiamma, un'aura luccicante attorno alla spada sacra. Mikael porta la gamba destra indietro, impugna l'arma con entrambe le mani.
“Come vuo...”
Un'esplosione in lontananza, una colonna di fumo a raggiungere la volta celeste. Il goliath si distrae per un attimo, Mikael ruota il capo, confusa.
“... il palazzo del sacerdote?”
Balmung si spegne, l'attenzione attirata dall'incendio. Il mostro si lecca le labbra, sfodera gli artigli.
“Sei miaaaaaaa!”
Mikael distende il braccio sinistro, il palmo aperto.
“Non ho tempo, adesso.”
L'impeto frenato, il demone si blocca. Confusione evidente, il capo scosso più volte.
“Non... hai... tempo?”
“Torna a giocare coi cuccioli. Ho una faccenda molto più importante da sbrigare.”
Una risata crudele, il goliath estende la lingua.
“Più importante del mio invito a cena?”
“Sì.”
Mikael gli rivolge la schiena, si incammina verso il palazzo.
“Ehi! Do...”
Un lampo ardente a trafiggere le tenebre, Balmung brandita con un movimento rapido del polso.
“... ve...”
Il busto del goliath tranciato a metà, di netto. La parte superiore del corpo scivola lungo il taglio, Mikael osserva lo sguardo sorpreso della bestia, la sofferenza negli occhi di brace. Uno schiocco di dita, un secondo squarcio.
E il goliath prende fuoco, mentre il corpo si sfalda in decine di frammenti informi.
**
“Speriamo di essere ancora in tempo!”
Ledger corre a perdifiato, il mantellaccio sollevato dal vento, il cappello premuto sul capo. Eden segue a ruota, la fronte imperlata di sudore.
“Padre Cross...”
L'esplosione, l'ala del palazzo in fiamme, il cielo notturno tinto di rosso vivo.
Ledger rallenta il passo, tenta di ricostruire la posizione.
“Siamo vicini! Al prossimo incrocio, giriamo a destra e ci siamo!”
“Cosa può essere successo?”
“...”
Un tremito nell'anima, il senso di colpa ricacciato nel profondo. Ledger si ferma, chiude gli occhi. Eden frena bruscamente per evitarlo, perde l'equilibrio, capitombola a terra, una facciata sull'asfalto. La ragazza si mette rapidamente a sedere, le mani a massaggiare il viso arrossato, il naso sanguinante. Un fazzoletto a tamponare le narici, i graffi sulla pelle delicata.
“Ahiooooo, che male!!!! Cosa ti prende, stupido?!”
“Ilias sospettava che padre Argento fosse un demone... ma non aveva prove. È per questo che ho deciso di guidarvi fino a Tabara, prima di raggiungere il Confine.”
“U... un demone travestito da prete?!”
Ledger annuisce con un cenno del capo, gli occhi diretti alla nube di fumo acre.
“Padre Ashburnt ne era al corrente. Ha accettato di incontrare Liacono Argento da solo, nonostante tutto. Se fosse morto per colpa mia...”
Eden salta in piedi, afferra il braccio di Ledger.
“Amen! Se è morto, è morto. Si chiama passato, Ledger! Nulla che tu possa cambiare! Ma se è ancora vivo, allora dobbiamo sbrigarci!!!”
Uno strappo deciso, Ledger si sbilancia in avanti, Eden lo trascina come un sacco di patate, lo lascia rimbalzare sull'asfalto.
“Waaaaaaah! Ti... ho... già... detto... che... ti... odio?!”
“Risparmia il fiato e cerca di stare al passo!”
**
I resti della scrivania controllati con estrema cura, in cerca di documenti, indicazioni. Invano.
Ashburnt sistema con calma una sedia imbottita, sprofonda nello schienale.
“Un uomo solo non può nulla contro il Maligno...”
Gli occhi cercano l'indice della mano destra, lo esaminano con cura.
“E se quel bastardo avesse ragione?”
Un sospiro sconsolato, la sensazione di aver scoperchiato un vaso di Pandora. Ashburnt chiude le palpebre, respira lentamente.
“Non devo dubitare. Se sono stato scelto, ci deve essere un motivo. Il Signore non avrebbe mai sacrificato uno dei suoi agnelli senza uno scopo preciso. Sì, devo avere fede. Devo avere fede nelle mie capacità e...”
Le dita unite a mo' di pistola, sollevate di fronte al viso stanco.
“... in questo.”
Rumore di passi, alle sue spalle. Passi leggeri, di un essere umano. Ashburnt serra le labbra, si prepara a sorprendere il nuovo arrivato, tutti i muscoli pronti al balzo.
“Dov'è il sacerdote Argento?”
Una voce femminile, quasi priva di inflessione. Nessuna curiosità o apprensione nel tono. Ashburnt si alza dalla poltrona, ruota su se stesso per osservare la visitatrice.
“Non c'è nessun sacerdote, qui. Solo un demone che ne aveva assunto le fattezze.”
“Ah, davvero? E lei chi sarebbe?”
Ashburnt inarca un sopracciglio, analizza nei dettagli la sconosciuta. Corporatura minuta ma non esile, lunghi capelli neri, iridi dorate, lineamenti affilati, incarnato chiaro. Scarpe da ginnastica rosse, jeans blu scuro, felpa grigia di due taglie più grande, corredata da un cappuccio dello stesso colore.
“Il mio nome è Thornheart Ashburnt. Sono un prete della Santa Chiesa, in missione per conto di Dio. E tu, invece?”
Un ampio gesto del braccio, la ragazza scosta il cappuccio, rivelando l'aureola scintillante. Ali piumate materializzate di colpo dietro la schiena, attraverso due strappi nella felpa.
“Mi chiamo Mikael. Sono un arcangelo in congedo perpetuo.”
La mandibola di Ashburnt raggiunge il pavimento, gli occhi fuori dalle orbite.
“U... un angelo?! Un angelo vero?!?!”
Si inginocchia, si prostra due, tre volte in rapida successione.
“Messaggero del Signore! Mi inchino al tuo cospetto e alla tua...”
Lo sguardo platealmente puntato sul busto, sul seno nascosto dalle curve del tessuto grigio.
“... ehm... alla tua generosità! Ma e... ehi! Un momento!!! Tu...”
Mikael arrossisce per un istante impercettibile.
Prima di sferrargli un calcio nei denti.
“Pervertito.”
Ashburnt rotola, rimbalza sulla schiena, atterra di faccia.
“A... ahio! Afpetta! Non 'ole'o offen'er'i...”
L'uomo recupera la posizione eretta, la mano destra a coprire le gengive sanguinanti. Un rapido tocco dell'indice, il dolore scompare all'improvviso.
“... ero solo stupito, tutto qui!”
“Stupito da cosa?!”
“I... il tuo nome! Mikael... Mikael è l'angelo che ha sconfitto il Maligno durante la Guerra nei Cieli e lo ha esiliato all'Inferno...”
Mikael socchiude le palpebre, abbozza un sorriso soddisfatto.
“Sì, esatto.”
Ashburnt unisce le mani in preghiera, si inginocchia al cospetto della ragazza.
“Oh, creatura divina! Perché ti hanno chiamato come lui? Sei una sua parente? Sua figlia, forse? Puoi mettermi in contatto con il grande condottiero del Signore? Posso averne l'autografo?! Ti prego!!!”
“L... lui?!”
Una venuzza in rilievo sulla fronte, il viso contratto in una smorfia crucciata, il pugno chiuso con rabbia. E un altro calcio nei denti.
Ashburnt schiantato contro l'intonaco, la testa attraversa il muro, sconfina nell'altra stanza. I palmi spingono contro la parete, il capo liberato dal foro.
“C... cosa ho detto di male?!”
Mikael alza le braccia al cielo, scintille attorno alle mani. Balmung emerge dalle fiamme, la lama puntata al mento di Ashburnt.
“Io sono l'unica Mikael! L'unica! E non c'è nessun lui! Io sono sempre stata una donna, capito?! Una donna! Cos'è, solo gli uomini possono impugnare una spada e sconfiggere demoni e draghi?! Io proprio non capisco!”
“F... ferma! C'è stato un malinteso!!! I pittori, l'iconografia...”
La punta di Balmung scintilla, si accende di rosso intenso.
“Già, infatti! Non ti sei mai chiesto perché i pittori medievali morivano così giovani, specialmente dopo avermi ritratto come un maschio?”
Ashburnt ingoia un grumo di saliva, alza le mani a difesa del volto.
“P... per carità! Ne vengo da uno scontro all'ultimo sangue con un demone, non... non possiamo sederci ad un tavolo e discutere con calma?”
Mikael solleva la spada, la impugna con entrambe le mani.
“Non prima di avermi provato che sei veramente chi dici di essere!”
18.
Incontri inattesi a Tabara (IV)
“Che disastro...”
Ledger scuote il capo con tristezza, lo sguardo perso tra le macerie del palazzo sacerdotale. Colonne abbattute, pareti incenerite, mobili e quadri ridotti in cenere.
“Guarda come sono ridotte quelle ten...”
Il rumore di un morso alle sue spalle, Ledger si gira di scatto.
“... de.”
Eden ingoia il boccone, deglutisce a fatica.
“Bleah, sanno di carta bruciata! Che... schifo!!!”
“Ti... ti sembra il momento di mangiare?!”
Gli occhi di Eden luccicano, la tenerezza fatta a persona, dolcezza zuccherosa nella voce.
“Shì! Sembravano così invitanti...”
Ledger si irrigidisce, un attimo di esitazione.
“Non farlo mai più.”
“Peeerché?”
“I... io...”
“Eeeeeehi!!!!”
Un urlo inumano, una sagoma in corsa folle, a velocità incredibile. Ledger ed Eden si voltano, riconoscono la figura. Eden unisce le mani, saltella tutta contenta.
“Padre Cross, sei vivo!”
Ledger alza il pugno in segno di vittoria.
“Un miracolo! È un vero miraco...”
Ashburnt li supera, senza nemmeno fermarsi. Le pupille dilatate per la paura, il battito a mille.
“... lo?!”
“Scappate, imbecilli!”
“Padre?”
Eden balza all'inseguimento, Ledger reagisce con un istante di ritardo.
“C... cosa succede? Perché tutta questa fretta?!”
“Corri di più e fai meno domande!!! Altrimenti, ci uccide!!!”
“C... chi, padre Cross?”
“Mikaeeeeel!!!”
Una vampa fiammante tra le rovine, Balmung emerge dalle tenebre, le ali piumate riflettono i bagliori tutto attorno. Ledger si blocca all'improvviso, i muscoli tremanti.
“M... Mikael?! L'angelo che ha sconfitto il Maligno?! Il guerriero più potente dell'esercito celeste?”
Eden rallenta, unisce i pugni, le iridi attraversate da lampi di eccitazione.
“Quel figaccione da paura che ogni succube avrebbe voluto... ehm... conoscere?! È qui?!”
Ashburnt frena l'impeto, si volta verso il duo, estende il braccio.
“N... no! Le cose non sono come sembrano! L... lui non è un lui! E se provate a chiamarlo lui...!”
“... vi ammazzo.”
Mikael emerge dal palazzo, un'aura scarlatta attorno a tutto il corpo, l'ira sul punto di esplodere.
Eden spalanca la bocca, Ledger strabuzza gli occhi.
“U... una ragazza?”
“... a quanto pare...”
Mikael pianta la spada nel terreno, fissa i due sconosciuti, li incenerisce con lo sguardo.
“E voi... chi sareste?”
Ledger agita nervosamente le mani, una finta serenità ostentata con altrettanto falsa sicurezza.
“Oh, proprio nessuno! Stavamo passando di qui per caso, vero Eden?”
“... questa sarebbe Mikael?”
“E... Eden?!”
Eden si fa avanti, cammina fino a Mikael, la osserva dall'alto in basso. Dieci centimetri di differenza in statura, un incrocio di sguardi.
“Che... che cosa vuoi da me? Chi sei... tu?”
“Oooh!!! Quanto sei tenera!!!!”
Eden abbraccia Mikael all'improvviso, la stringe con forza, le accarezza i capelli, le piume delicate. Il volto dell'angelo paonazzo, il tentativo di liberarsi dalla presa.
“E... ehi! Lasciami! Lasciami subito!!!!”
“Un angioletto così minuto e carino! E io che mi aspettavo un omaccione nerboruto e crudele!”
Ledger stropiccia le palpebre alternatamente, scuote il capo incredulo. Ashburnt congelato, l'oscillazione del sopracciglio come unico segno di vita.
Mikael stende il braccio destro, lo agita in modo convulso.
“A... aiutatemi! Toglietemela di dosso, vi scongiuro! Fate qualcosaaaaaa!!!!”
**
I quattro seduti ad un tavolo in un area pic-nic poco fuori dal centro, circondata da querce secolari. Gli ultimi avvenimenti ancora vividi nella mente dei presenti. L'intervento di Ashburnt, Eden separata a forza dall'angelo, la fuga disordinata dal palazzo, prima dell'arrivo delle guardie.
Atmosfera opprimente, gli sguardi indagatori. Mikael senza ali e spada, il cappuccio tirato su per celare l'aureola. Un colpo di tosse, Ashburnt prende la parola.
“Iniziamo da capo con le presentazioni, okay? Allora... io sono padre Thornheart Ashburnt. Sono stato incaricato dalla Santa Sede di sconfiggere il Maligno.”
Ledger si toglie il cappello, abbozza un inchino.
“Il mio nome è Ledger Mihowck. Sono una spia al servizio della Santa Sede. Il mio compito è aiutare padre Ashburnt a raggiungere le Terre Desolate. Tutto intero, possibilmente.”
Mikael annuisce, incrocia le braccia.
“Io sono l'arcangelo Mikael, colei che ha cacciato il Maligno dal Paradiso. Grazie ai meriti acquisiti sul campo, sono stata congedata a tempo indeterminato. Mi trovavo qui a Tabara in vacanza, ma sono stata coinvolta nell'attacco di un goliath... e nell'esplosione del palazzo sacerdotale. Dove ho trovato voi.”
L'indice proiettato verso la quarta persona, un tremito nella voce.
“E... chi sarebbe quella lì, invece?”
Eden mastica una gomma, una bolla violacea scoppia a qualche centimetro dalle labbra. Eden ripulisce la bocca con un fazzoletto, allunga la mano in segno di amicizia.
“Piacere! Mi chiamo Eden! Sono una ex-succube e ho deciso di accompagnare padre Cross e lo spaventapasseri ovunque vadano!”
“Una... una succube?!?!”
“Be', più o meno... diciamo che è complicato! Adesso sono un essere umano... credo!”
Gli occhi di Mikael ridotti a puntini, la bocca spalancata, un goccione di sudore freddo sulla fronte.
“Un prete. Uno storpio. E una succube.”
Una risata fragorosa, il controllo emozionale andato a farsi benedire.
“E... e voi volete fermare il Maligno? Sul serio, ragazzi! Erano secoli che non mi divertivo così tanto! Cosa vi fa pensare di avere anche solo una minima possibilità di riuscita?!”
Ashburnt si alza in piedi, estende l'indice della mano destra.
“Io non sono un prete qualunque. Nel mio indice è conficcato un chiodo della Vera Croce. Io posso usare il suo potere per cancellare i demoni dall'esistenza. Neppure il Maligno potrà opporsi!”
Mikael cade sulla schiena, i crampi allo stomaco per l'ilarità.
“BUM! Questa è ancora più bella! U... un chiodo della Vera Croce!”
“È la verità, che tu ci creda o no.”
Eden annuisce con cenno del capo.
“L'ho provato sulla mia pelle.”
Ledger preme il cappello sulla testa.
“Ho assistito ai suoi poteri. Non è un bluff.”
Mikael si ricompone, incontra gli sguardi seri del trio, la determinazione insita negli occhi di ognuno di loro. Una sensazione opprimente allo stomaco, sentimenti contrastanti.
“Va bene. Provami che stai dicendo la verità.”
Mikael lascia il posto a sedere, alza le mani al cielo, raccoglie le scintille, traccia un infinito all'altezza dello sterno.
“Io ti evoco, lama divina! Vieni a me, Balmung!!!”
La spada emerge dalle fiamme, il metallo rosso scintilla alla luce della Luna. Mikael la impugna con entrambe le mani, un rapido fendente a tagliare l'aria. Ashburnt salta sul posto, il terrore puro stampato sul viso.
“C... cosa vuoi fare?”
“Balmung può tagliare qualunque cosa. Acciaio, legno, cemento. Nulla può resistere alla sua furia...”
Le mani consolidano la presa, sollevano l'arma sopra la testa.
“... nulla, eccetto le reliquie intrise di energia sacra!”
Ashburnt annuisce, respira lentamente.
“Credo di capire dove vuoi arrivare.”
Mikael si esibisce in un sorriso di sfida, punta i piedi, prende posizione.
“Se riesci a respingere questo colpo usando solamente il tuo indice, ti seguirò nella tua folle crociata. Altrimenti, vi ucciderò tutti quanti!”
Ledger alza la mano per chiedere parola. Mikael rotea gli occhi.
“Sì?”
“Ehm... perché tutti quanti e non solo Ashburnt? Voglio dire, io ed Eden cosa c'entriamo?!”
Eden agita il capo in segno di assenso. Mikael risponde con un grugnito.
“Tu e quella schifosa pervertita che mi stava accarezzando come un pupazzo di peluche a grandezza naturale, intendi?”
“Sì, proprio le... ehm... no, no! Volevo dire... io! Io cosa c'entro?!”
“Eeeeh?!”
Eden libera il sinistro, colpisce in pieno la guancia di Ledger. La testa rimbalza come un punching-ball, torna al suo posto oscillando come una molla.
“A... ahio!”
Mikael stringe gli occhi, dirige uno sguardo omicida alla coppia.
“Tu sei sicuramente coinvolto in tutto questo! Un prete della Santa Chiesa non prenderebbe mai, mai una succube sotto la sua ala protettrice, per quanto bella e dotata.”
Ledger scuote il capo, l'indice puntato verso il petto di Eden.
“D... dotata?! M... ma se è anche sotto la media! Dovrebbe avere una quarta!”
“Bastardo!!!”
Un montante sotto il mento, Ledger volteggia in aria per un istante, crolla al suolo.
Mikael porta gli occhi al cielo, ritorna a concentrarsi su Ashburnt.
“Sei pronto? Se non riuscirai a parare il mio attacco, ti taglierò in due.”
Ashburnt unisce l'indice e il medio, un'aura dorata a circondare la mano.
“Quando vuoi.”
Mikael sorride, piega le gambe, la presa salda attorno all'impugnatura. Vampe vermiglie attorno a tutto il corpo, un luccichio omicida nell'iride.
“Balmung ammazzadraghi, io invoco il tuo potere...”
Il balzo in aria, la lama avvolta da una colonna di luce.
“Infinity Slaaaaash!!!!!”
L'impatto terrificante, Ashburnt affonda nell'asfalto, un cratere attorno a lui, il giaccone oscilla come all'interno di una tempesta.
“Aaaaaaaah!”
Mikael spinge con tutta la forza delle sue braccia, fin quasi a sentir dolore. Il cappuccio scivola via, i capelli sollevati, l'aureola luccicante. Le ali emergono dalla schiena, aperte con magnificenza.
“Gyaaaaaah!”
Ashburnt stringe i denti, la mano trema, il braccio attraversato da scosse violente. Le fiamme divampano negli occhi smeraldini, il furore prende possesso del suo corpo. Uno sforzo immane, la spada arretra di qualche millimetro.
“E... eh?”
Mikael stupita, incapace di accettare la realtà. Un istante di incertezza. Un istante fatale.
Balmung rimbalza sull'indice, tutta l'energia dell'impatto trasmessa all'assalitrice. Mikael viene scagliata a tutta velocità, attraversa il cielo, si infrange contro il tronco di una quercia, lo attraversa come se fosse di burro. Un secondo schianto, l'albero resiste allo scontro, una pioggia di ghiande e foglie a raggiungere il suolo.
Ashburnt corre in direzione del boschetto, la sensazione di aver leggermente esagerato.
“M... Mikael?!”
La sagoma dell'angelo impressa nel legno, braccia e gambe aperte, gli occhi spalancati, i capelli in disordine. Un sorriso ebete stampato sul viso.
“Eh, eh! Eh... eh!”
“Ehm... tutto a posto?”
“Q... quando partiamo, padre?”
19.
Inferno al Motel Paradiso (I)
“Quale sarà la prossima tappa, Ledger?”
Ashburnt sbadiglia vistosamente, tenta di rimanere lucido. Una mappa aperta sul tavolo dell'area pic-nic, una serie di croci sulle città già attraversate. Ledger si accosta ad Ashburnt, esamina tutte le possibilità.
“Allora... abbiamo solo due possibilità per attraversare agevolmente il confine.”
Il dito scorre lungo la cartina, marcando un percorso con decisione.
“La prima è tornare ad El Vahio e dirigersi a est per quindici chilometri. La seconda è proseguire verso Zenma e tagliare a nordest per dieci chilometri.”
Eden osserva la conformazione geografica, le dita scivolano sulla carta spiegazzata.
“Il confine si estende per parecchie miglia. Perché solo due strade?”
“Perché sono sono le uniche con una città controllata dalla Chiesa a poca distanza. Così, avremo la possibilità di comprare tutto quello di cui abbiamo bisogno prima di sconfinare.”
Ashburnt scuote la testa, l'indice a sfiorare una delle croci. La vista sdoppiata, offuscata dalla stanchezza. L'adrenalina defluita, il corpo pronto a collassare.
“Io... tornerei ad El Vahio. Ci... ci siamo già stati e sappiamo che il sacerdote locale è dalla nostra parte...”
Mikael si intromette nella conversazione, poggia i gomiti sul tavolo.
“Se permette, padre, io preferirei Zenma.”
“Per quale... yaaaaaawn... motivo?”
“In quattro, non abbiamo alcuna speranza di sconfiggere il Maligno. Lei ha bisogno di un esercito.”
“D'accordo, e quindi?”
Un lungo sospiro, le iridi dorate fissano il volto dell'uomo.
“Non ci crederà mai, ma a Zenma ci sono parecchi angeli. Sono in congedo come me, ma posso convincerli ad unirsi a noi.”
Ledger annuisce, uno schiocco di dita a rimarcare il concetto.
“Ottima idea! Possiamo raggiungere Zenma in un quattro o cinque ore, se iniziamo a camminare adesso! Là potremo riposarci e...”
Uno sbadiglio tremendo, Ashburnt crolla sul tavolo. Ledger lo afferra per le braccia, scuote il corpo con forza.
“Ehi!”
“Uh? Eh?”
“Padre? Si svegli, padre! Non è il momento di...”
Un lampo nella mente, la sensazione orribile di essersi dimenticato qualcosa.
“Ehm... padre, da quanti giorni non dorme?”
Ashburnt si stiracchia, un'espressione sconfortata sul viso.
“Due, direi. E preferirei non dover passare anche la terza notte in bianco.”
“Allora abbiamo un problema. Non possiamo fermarci qui a Tabara: dopo la morte di Argento, le guardie staranno indagando a tutto spiano. Visto che il sacerdote aveva un appuntamento con lei...”
“Non so quanto potrò reggere ancora, Ledger...”
“... m... ma non possiamo neanche noleggiare un auto a quest'ora e raggiungere Zenma! E anche se potessimo farlo, nelle sue condizioni non sarebbe saggio allontanarsi così tanto da un centro abitato!”
La faccia di Ashburnt colpisce il tavolo, come per confermare i timori. Rumoracci nasali, il ritmo incostante del russare.
“... andato. Dovremo portarlo a spalla...”
Eden osserva la mappa, indica un punto in mezzo al nulla.
“C'è un motel, qui vicino. Sono dieci minuti di auto.”
Mikael rotea gli occhi, incrocia le braccia.
“Come fai ad esserne così sicura?”
“Ci sono già stata.”
“Non voglio sapere perché o con chi.”
“C... calmatevi!”
Ledger interrompe il battibecco tra le ragazze, distende padre Ashburnt sulla panca.
“Anche se fosse vero, abbiamo un problema più grande...”
“Quale?”
“Noi non abbiamo un'auto.”
Eden sogghigna divertita, un portachiavi tintinnante estratto dalla tasca dei pantaloni.
“Ne sei proprio sicuro?”
**
“Non posso crederci!”
Mikael si sdraia sul sedile della dune buggy, Ashburnt in stato comatoso seduto a fianco a lei. Gli occhi chiusi, la bocca spalancata, un filo di bava lungo le labbra.
“Credere a cosa?”
Ledger si volta dal sedile del passeggero, tenta di comprendere il malcontento.
“Abbiamo rubato un'automobile!”
Eden sospira contrariata, le mani strette attorno al volante.
“L'abbiamo solo presa in prestito... a tempo indeterminato.”
“Come facevi ad avere una copia delle chiavi?!”
“Me la sono fatta fare ad un negozio, prima di restituirle al gestore del noleggio. Questa buggy mi piaceva troppo!”
Ledger osserva il panorama notturno, il deserto rischiarato dalla Luna. All'improvviso, una sagoma scura in lontananza. Un edificio di alcuni piani, piuttosto male in arnese. Eden sorride, indica trionfante l'insegna.
“Che vi dicevo? Eccoci arrivati!”
Mikael lancia un'occhiata poco entusiasta, un grugnito mascherato da sbadiglio.
“Non sembra molto frequentato. Non credo sarà un problema avere quattro camere separate.”
“Peccato...”
Ledger si volta verso Eden, la fissa per un istante.
“Hai detto qualcosa?”
Eden deglutisce rumorosamente, scala la marcia.
“N... no, niente! Stavo solo pensando ad alta voce! Ora, lasciami parcheggiare, così andiamo alla reception e scarichiamo il bello addormentato!”
La dune buggy sorpassa una pompa di carburante, entra in un cortile asfaltato, linee bianche tremolanti tracciate qua e là per delimitare le aree di sosta. Una rotazione lenta del volante, il freno a mano tirato, il motore spento. Ledger scende dal veicolo, apre la portiera posteriore, carica Ashburnt sulla schiena con l'aiuto di Mikael.
“Non vuole proprio saperne di svegliarsi, eh?”
“Le prigioni di Qambura non erano molto comode...”
Eden chiude la macchina, raggiunge gli altri due.
“Serve una mano, Ledger?”
“Dovrei ridere?”
Le guance arrossiscono, Eden scuote il capo più volte.
“N... no! Non volevo... non ci avevo pensato!!! Te lo giuro!”
Occhioni lucidi, le mani giunte di fronte al petto, labbra tremolanti strette in un arco malinconico.
“Mi perdoni? Ti prego! Ti prego!!!”
Ledger sospira, chiude le palpebre, prosegue per la sua strada.
“La smetti di comportarti come una bambina in cerca di attenzione?”
“E... eh?”
Ledger non la degna di uno sguardo, si dirige lentamente verso la reception. Eden distende il braccio, cerca di trattenerlo.
“A... aspetta! Cosa vuoi dire?”
“Non pensi mai a quello che fai. Sei sempre con la testa tra le nuvole. Ogni volta che combini qualche guaio, chiedi perdono senza nemmeno cercare di capire cosa hai sbagliato. E fai i capricci se un uomo che hai conosciuto meno di ventiquattro ore prima non ti compra una abitino di pizzo come dessert.”
“Uffa! Ma costava così poco...”
“Ecco, appunto.”
Eden si zittisce, rimane in silenzio, rivolge lo sguardo al suolo. Mikael sogghigna, supera Ledger, raggiunge il portone. Una rapida occhiata all'insegna.
“Motel... Paradiso?!”
Uno sputo disgustato, le iridi ricolme di insofferenza.
“Forza, entriamo! Prima ci abituiamo all'orrore di questa topaia, meglio è.”
La maniglia premuta con decisione, la serratura scatta. Le due porte si spalancano, aprendosi su un corridoio illuminato da decine di lampade a incandescenza. Un bancone di mogano in fondo alla stanza, un omino canuto alla reception. Mikael avanza a passi lunghi, raggiunge la scrivania.
“Buonasera. Avete camere libere?”
Il vecchio massaggia il pizzetto, un sorriso sdentato sulla pelle raggrinzita.
“Oh, quante ne vuole, signorina! Siamo in bassa stagione, a parte voi qui attorno non c'è anima... viva.”
“Bene, allora prendiamo quattro stanze. C'è il bagno?”
“Bagno e locale docce sono in comune. Nella stanza c'è solo un letto e un armadio.”
“Cosa?!”
Uno sguardo di rimprovero a Eden, carico di risentimento. La ragazza scrolla le spalle, sbuffa indispettita.
“Era l'unico posto disponibile, non è colpa mia!”
Mikael sospira, mantiene la calma.
“D'accordo, le prendiamo lo stesso. Ci fermiamo per una notte.”
Il vecchio estrae un registro malandato dal cassetto, porge una penna alla ragazza.
“I vostri nomi, per favore.”
Ledger posa Ashburnt in un angolo della stanza, fruga nella tasca, mostra un documento.
“Questo dovrebbe essere sufficiente.”
Il vecchio stringe gli occhi, esamina il foglio con cura.
“Il sigillo della Santa Sede... e la firma del gran sacerdote Ilias...”
Un cenno di assenso, l'uomo mette il foglio nel registro, chiude il librone impolverato.
“Benissimo, ecco le vostre chiavi...”
La mano rinsecchita fruga dentro la credenza, ne estrae quattro campane di ottone, una chiave pesante agganciata ad ognuna di loro.
Ledger ne prende due, carica nuovamente Ashburnt in spalla, inizia a salire le scale. Eden e Mikael lo seguono a poca distanza, senza dire una parola.
Il vecchio osserva gli avventori di sbieco, strofina le mani ossute.
“Buona notte e sogni d'oro, signori! Vi garantisco che nessuno spirito maligno e vendicativo verrà a disturbare il vostro meritato riposo!”
20.
Inferno al Motel Paradiso (II)
Le undici di sera.
La Luna si mostra trionfale tra le nuvole, rischiara la strada, il serpente di asfalto che taglia a metà il deserto senza fine. Ledger osserva in silenzio il paesaggio dall'interno della stanza.
I soliti abiti, mantello e cappellaccio lasciati nell'armadio, il volto scoperto. I capelli castani scivolano sul viso in ciuffi disordinati, nascondendo in parte le cicatrici. La mano afferra il cuscino, lo sistema alla meno peggio senza troppa convinzione.
Un rumore sordo, ripetuto, il gemito del legno percosso. Ledger ruota il capo verso la porta, emette un grugnito scocciato.
“Sì? Chi è?”
Una voce femminile in risposta.
“Sono Eden! Posso entrare?”
“Dipende. Sei presentabile?”
“In che senso?!”
“Sei vestita?”
“Certo, per chi mi hai preso?!”
“Per una succube?”
“Ex-succube.”
“Dai, è aperto. Entra pure.”
La maniglia si abbassa, la porta dischiusa con un cigolio acuto. Eden fa capolino nella stanza, si guarda attorno per un attimo.
“Uffa! Perché tu hai una bella vista sul deserto... e io una sui cassonetti di rifiuti?”
“Puro caso.”
La ragazza chiude la porta, si muove a fatica nello spazio angusto, raggiunge il letto.
“Mi fai un po' di spazio?”
Ledger raccoglie le gambe, si mette a sedere. Eden si accomoda al suo fianco, lo sguardo basso, le mani giunte. Nessuna parola, nessun contatto visivo. Ledger scuote la testa, rompe l'imbarazzo.
“Perché sei venuta qui, adesso?”
“Avevo bisogno di parlarti.”
“Di cosa?”
“Di me.”
“Di te?”
Eden si volta di scatto, gli occhi arrossati, la voce tremante.
“Perché mi hai sgridato, là fuori?”
“Uh?”
“Mi hai detto di smetterla di comportarmi come una bambina!”
Ledger annuisce, arriccia un ciuffo di capelli con la punta dell'indice.
“Esatto.”
“Ma... ma perché? Cosa c'è di male?”
“Quanti anni hai?”
“C... circa centosettantaquattro, di cui quasi due come umana. Sono nata dopo l'Ascesa, sai? Non ho mai visto il mondo prima che...”
“Dall'esterno, te ne darei venti, venticinque al massimo. Sei stata trasformata direttamente in una ragazza adulta?”
“Sì. Il mio aspetto non è cambiato molto dal momento del mio esilio... ma non riesco ad abituarmi! Ogni santo mese ho un... ehm... problema che da demone non avevo! Davvero, come fanno le donne a resistere? Io non vi capisco!”
Le mani agitate nervosamente, come a sottolineare il concetto.
“Poi le ho viste, quando rimangono incinte! La pancia si gonfia, si deforma, diventa pesantissima! Le doglie, le contrazioni, il parto! Mi hanno descritto il dolore, le lacrime! E tutto per dare alla luce cosa? Un orribile marmocchietto da crescere per almeno altri diciott'anni prima che smetta di darti preoccupazioni! No, è troppo difficile...”
Una lacrima cristallina scivola lungo la guancia, segue il profilo dello zigomo.
“... non riuscirò mai a diventare come voi. Non riuscirò mai... ad essere accettata.”
“Accettata?”
“Ledger... quelle pestifere larve petulanti... i bambini. Dicono quello che pensano senza riflettere troppo, corrono, saltano, fanno gli occhioni dolci e i capricci. Si comportano esattamente come me... ma loro sono amati da tutti! Io no! Perché? Cosa ho di diverso? Cosa sto sbagliando?”
Ledger porta la mano alla fronte, chiude le palpebre, raccoglie i pensieri.
“Loro sono bambini, Eden. Tu sei un'adulta. O, almeno, lo sembri. Un adulto che si comporta come un bambino non è tenero. È... irritante.”
“Per quale motivo?”
“Non c'è un motivo particolare... e forse non è nemmeno giusto. Ma è così. E non possiamo fare nulla per cambiarlo.”
Eden si chiude a riccio, le gambe strette tra le braccia, gli occhi lucidi.
“Quando... quando sono stata cacciata da Booth, mi sono trovata in un mondo impossibile da comprendere. Da sola. Senza alcun punto di riferimento. Sapevo di essere diversa, me ne sono accorta quando ho provato a mangiare una felpa in un negozio...”
“Come hanno reagito i commessi?”
“Non bene. Sono dovuta scappare a gambe levate.”
Un lungo sospiro, le palpebre stropicciate per fermare il pianto.
“Quando tu e padre Ashburnt mi avete accompagnata in quel negozio a El Vahio, dopo avermi salvato dalla polizia... è stato il momento più felice della mia nuova vita! Sul serio! Parlavate con me, non avevate paura, per voi era la cosa più naturale del mondo camminare insieme ad una demone! È stato bellissimo! È per questo che vi ho seguiti, che ho deciso di unirmi a voi. Booth non c'entra niente, non so nemmeno se tornerò mai più quella che ero una volta. Ma con voi... mi sento bene. E... e...”
Un ultimo sforzo per trattenere le lacrime.
“Come faccio ad... essere amata, Ledger? Sono stanca di stare da sola! Non ce la faccio piùùùùùù! BWAAAAAAAH!!!”
Uno sforzo inutile. Eden stringe le braccia attorno al collo di Ledger, una fontana a getto continuo.
“Vi prego, non mi abbandonate! Non mi lasciate qui! Senza di voi... senza di voi io...”
“E... Eden...”
Ledger boccheggia, il volto paonazzo, insufficienza respiratoria, il braccio agitato con foga.
“... mi... stai... strozzando... Eden... ai... aiuto! Non respiro! E... Eden!”
Eden alleggerisce la presa, torna a sedersi, asciuga gli occhi con un fazzoletto.
“Scusa...”
Ledger inspira profondamente, la pelle riacquista l'usuale colorito, la mano sullo sterno ad accompagnare il movimento dei polmoni. Eden lo fissa negli occhi, osserva il volto martoriato dalle cicatrici.
“Non ti avevo mai visto senza sciarpa e cappello. Sembri un'altra persona.”
Una carezza leggera sulla guancia, Ledger arrossisce violentemente. Eden risponde con un sorriso malizioso, l'indice sfiora le labbra sottili.
“Ci siamo solo noi due, qui. Ashburnt sta ronfando alla grossa, Mikael è dall'altra parte del motel...”
Ledger ingoia la saliva, i muscoli irrigiditi.
“I... io... non...”
“AAAAAAAAAAAH”
Un grido squarcia la notte, una voce spaventata, acuta oltre ogni limite. Ledger sobbalza, Eden lo abbraccia di riflesso.
“C... cosa è stato?!”
“Mikael?!”
Eden salta giù dal letto, corre alla porta.
“Presto, dobbiamo u...”
La maniglia premuta una, due volte, la serratura si rifiuta di scattare.
“... scire?”
Ledger raggiunge l'uscio, sposta la ragazza, afferra la maniglia. Uno, due tentativi a vuoto.
“Eh? Ma prima...”
“Non si apre...?!”
Ledger si allontana di un passo, il pugno serrato.
“Spostati, qui si fa a modo mio!”
Eden annuisce, si porta alle sue spalle. Ledger punta i piedi, distende il braccio destro, scariche violacee attorno alla spalla monca.
“Mano Fantasma – Artigli dell'Idraaaaaaa!!!!”
**
Mikael respira a fatica, il battito accelerato, i palmi premuti contro la fronte, sudorazione fredda, gli occhi fuori dalle orbite. Si rannicchia nella doccia, le ali piumate completamente inzuppate, i capelli incollati alla pelle diafana. L'acqua continua a scorrere, il getto diretto al corpo tremante. La mano si muove, poco per volta, si aggrappa al rubinetto, tenta di sorreggere il corpo. Le dita scivolano, perdono la presa, la caduta sulla schiena.
“È inutile! È tutto inutile! Ah, ah, ah!”
Una sagoma scura a pochi metri di distanza. Due braccia, due gambe, pelle di carbone, occhi rossi scintillanti, denti aguzzi, mani e piedi artigliati. Un abito di tela viola, un cappuccio dello stesso materiale, bende strappate. Una mummia di fumo e nebbia, le braccia incrociate in posa trionfale, lo sguardo rivolto alla ragazza inerme.
“Un angelo! Un vero angelo! Questa è la mia notte fortunata!”
La creatura si piega in avanti, osserva meglio la preda.
“Tu non sai quanto ho aspettato questo momento! Il momento della vendetta!”
Le braccia aperte, gli artigli si allungano di dieci centimetri, lame di metallo lucido.
“Allora, angioletto, dimmi... dove preferisci che inizi a squartarti?”
Mikael serra le palpebre, chiude le labbra. La mummia strappa via la tenda della doccia, il piede attraversa il confine.
“Però così non mi dai soddisfazione! Dimmi, angioletto... che cosa ti ha spaventato di più? I miei artigli? I miei occhi spettrali? I miei denti da squalo? O...”
“... l'acqua.”
La creatura si ferma, un sobbalzo improvviso.
“Eh?”
Mikael spalanca gli occhi, le iridi dorate bruciano come fiamme.
“L'acqua era gelida.”
La mummia scatta all'indietro, le mani in posizione di guardia.
“C... cosa?”
Mikael si alza faticosamente in piedi, le ali raccolte dietro la schiena, i capelli scostati con un gesto seccato.
“Non... non crederai che io abbia urlato per colpa tua?”
“M... ma... l'apparizione di uno spirito... mentre la ragazza indifesa fa la doccia... insomma, è un classico! C... come fai a non aver paura di me?!”
Mikael sogghigna, chiude il rubinetto, solleva il palmo verso l'alto.
“Primo: non sono una ragazza normale. Secondo: ...”
Una vampata di calore, braci ardenti attorno alle dita.
“... non sono per niente indifesa.”
La mummia serra i pugni, mantiene la distanza, tenta di non perdere il controllo, movimenti nervosi del capo, il mento traballante.
Balmung emerge dalle lingue di fiamma, Mikael la afferra, la brandisce con sicurezza, la mano destra saldamente agganciata all'impugnatura. L'acqua evapora, nubi biancastre riempono il locale, una nebbia umida si incolla ai muri, alle piastrelle, ai rubinetti, agli specchi. L'aureola risplende dei colori dell'arcobaleno, troneggia tra la fitta foschia.
“Dimmi, spirito...”
Mikael accarezza la lama con l'indice, segue le decorazioni, tracciando eleganti arabeschi. Gli occhi puntano la preda, fissano il nemico, la voce roboante a dominare il silenzio.
“... cosa ne dici di morire veramente, questa volta?”
Extra!
Demoni – guida all'incontro
Cucciolo: demone-bestia dotato di quattro braccia e due gambe. Alto circa due metri, possiede un muso ferino e diverse file di denti. Di solito, caccia in gruppi di tre o quattro individui. La sua pericolosità individuale per un civile disarmato è comunque altamente elevata.
Alfiere: simile al cucciolo, presenta due bocche sovrapposte ed è in grado di utilizzare armi per scagliare colpi elettrici ad alta intensità. In generale, veste un mantello per essere identificato a prima vista. Estremamente intelligenti, gli alfieri sono utilizzati spesso dai demoni maggiori come messaggeri o per scopi diplomatici.
Goliath: un possibile stadio adulto del cucciolo, dotato di immensa forza muscolare e notevole potenza fisica. Due delle quattro braccia si trasformano in gambe ausiliarie, per sorreggere meglio il peso e aumentare la velocità di movimento. Gli esemplari più grandi raggiungono gli otto metri di altezza. Generalmente, tendono a schiacciare le loro prede con le mani enormi, per poi divorarne le interiora. La pelle dei goliath può resistere all'impatto con un colpo di lanciarazzi senza riportare la minima ferita.
Echidna: un demone di medio rango munito di un numero pressoché infinito di aculei a rigenerazione rapida. Possibile stadio adulto del cucciolo, l'echidna si differenzia dal goliath per le dimensioni ridotte e l'accento sulla velocità piuttosto che sulla forza. Inoltre, questa creatura possiede eccellenti capacità di mimetismo: può assumere facilmente la forma di un essere umano per lungo tempo.
Schelairone: abbreviato anche come schelairo, è una creatura rianimata dal cadavere di un avvoltoio. La resurrezione lo ha dotato di ghiandole che producono un acido estremamente corrosivo. Gli schelaironi si muovono solitamente in stormi di almeno dieci individui. Piccoli gruppi sono più rari o inusuali, ma comunque registrati. Esteriormente, assomigliano a scheletri di uccelli di medie dimensioni. Non presentano pelle o piume.
Succube: demone di basso rango, nominalmente di genere femminile. Nonostante il suo aspetto ricordi quello di un cucciolo dotato di ali e di seno, una succube può facilmente apparire simile ad un essere umano, alterando i sensi della vittima tramite il rilascio controllato di ormoni e sostanze chimiche. Le succubi si nutrono di qualunque genere di tessuto e tendono a sedurre esseri umani per utilizzarli come fonte primaria di sostentamento.
Tratto da L'agile dizionario dei demoni e delle creature infernali, Visconti / Maxwell / Capraro. Edizioni della Santa Sede, MMMLXXXII – tutti i diritti riservati.
21.
Inferno al Motel Paradiso (III)
Un fendente laterale, una scia di fiamme. L'intonaco annerisce, polvere nera staccata dalla parete. La mummia atterra malamente, regge la spalla sinistra con la mano, respiri pesanti.
“... dannazione.”
Un altro colpo, Balmung squarcia l'aria in verticale, sconquassa le piastrelle del pavimento. Mikael socchiude le palpebre, le iridi scintillano di luce riflessa, la bocca stretta in una smorfia schifata.
“Hai commesso un errore enorme, demone.”
Gli occhi rossi si accendono, ricolmi d'ira, il pungo chiuso, gli artigli quasi a ferire il palmo.
“D... demone?!”
Le unghie si allungano all'improvviso, venti, trenta centimetri. Un taglio orizzontale, all'altezza del viso. Mikael si abbassa di scatto, l'ala sinistra graffiata di striscio, piume candide spezzate a metà. La creatura estende l'indice, lo punta con rabbia verso l'angelo.
“ Io ho un nome! Ho un nome, capito?!”
Una vampata di calore, Balmung incendia la nebbia, la creatura si lancia in un angolo, evita l'assalto. Mikael impugna l'elsa con entrambe le mani, esce dalla doccia, passo dopo passo, le ali ritratte all'interno della schiena per guadagnare mobilità.
“Voi vermi non avete un nome! Lo avete perso quando vi siete ribellati!”
Una frustata supersonica, il manto viola usato come flagello. Mikael sferzata sull'ombelico, il diaframma contratto, i polmoni svuotati per il contraccolpo. La mummia ruota sul busto, prende velocità, lancia la benda, afferra la caviglia di Mikael, tira con forza.
“Io sono Sophidides! E questo nome... è tutto quello che è rimasto di me! Neppure tu puoi portarmelo via!!!”
Mikael si schianta sul pavimento, rimbalza per terra. Uno scatto di addominali, una capriola, poi di nuovo in posizione di guardia. Una rapida occhiata alla stanza, alle pareti anguste del locale docce, alla fitta foschia vaporizzata dalla spada. Un brivido di paura, preoccupazione evidente.
“... non posso combatterlo qui...”
Sophidides solleva la mano destra, riavvolge le bende, le arrotola fino a formare una lancia. Un ghigno si apre sul volto di tenebra, i denti da squalo perfettamente allineati.
“So a cosa stai pensando, angioletto. I muri ti impediscono di brandire il tuo spadone come vuoi, vero?”
“Ti piacerebbe.”
Mikael punta la spada al pavimento, la lama si accende, bagliori scarlatti intermittenti.
“Balmung ammazzadraghi, io invoco il tuo potere...”
Un colpo dal basso verso l'alto, scintille attorno alla punta dell'arma.
“Rising Phoeniiiiiix!!!”
Un'esplosione fragorosa, il locale immerso nella luce abbagliante. La sagoma di un uccello di fiamme emerge dal caos, il fuoco di mille soli eclissa le lampade artificiali. Sophidides incrocia le braccia di fronte al viso, chiude gli occhi, il corpo martoriato dall'onda d'urto.
“Ngggggghhhhh....”
Gli specchi si incrinano, i rubinetti saltano in aria, tutta l'acqua vaporizzata all'istante, una tetra foschia impregna l'atmosfera. Mikael abbassa l'arma, il bagliore si dirada. Tutto attorno, solo cenere e bruciature. Nessuna traccia del nemico.
Un sospiro di sollievo.
“Lo facevo più tosto. Be', meglio co...”
“M... Mikael!”
“T... tutto a posto?!”
Voci affannate, in apprensione, rumore di passi irregolari. Due figure entrano bruscamente nel locale, respiri profondi, come per recuperare fiato. Eden recupera la posizione, Ledger scuote il capo, inspira due, tre volte di più.
“Abbiamo sentito l'urlo. Cosa è successo?”
Mikael scrolla le spalle con noncuranza.
“L'acqua era davvero troppo fredda. Non me l'aspettavo, così ho urlato per la sorpresa. E... ah, sì... sono stata anche attaccata da un demone. Però ho già sistemato tutto.”
Mikael unisce le mani attorno all'elsa di Balmung. La spada svanisce in un lampo rossastro, una pioggia di scintille a prenderne il posto.
“Ora posso farmi una doccia con calma...”
Gli occhi incrociano il metallo ritorto, la plastica fusa, il bianco delle pareti trasformato in un nero di pece.
“... ehm... o forse no...”
Un sorriso ingenuo, le dita scorrono sui capelli asciutti.
“Mi sa che mi sono fatta prendere un po' troppo la mano! Be', p... pazienza! Mi rifarò a Zenma, là ci sono un sacco di sorgenti termali e...”
Mikael osserva per un attimo i due, scruta i loro volti con curiosità. Ledger distoglie lo sguardo, Eden punta gli occhi al soffitto. Imbarazzo mascherato malamente, in entrambi i casi.
“Ehi, ragazzi, cosa...”
La realizzazione immediata, le gote divampano, le ali materializzate dal nulla, raggomitolate attorno al corpo, pronte a celare ogni centimetro quadro di pelle esposta.
“Eeeeeek!!! S... scusate! Non ci pensavo più... avevo in mente solo il demone! N... non volevo! Ve lo giuro, io...”
Ledger serra le palpebre, porta la mano alla fronte.
“Lascia perdere. È già la seconda volta che mi succede in due giorni. La prima con la signorina qui a fianco.”
Eden sbuffa, incrocia le braccia.
“Non è colpa mia se padre Ashburnt ha dato fuoco ai miei vestiti! E poi, tecnicamente, dovresti ritenerti fortunato! Io e Mikael siamo splendide ragazze nel fiore degli anni, pensa se al posto di noi due...”
“Preferisco di no, grazie.”
Ledger taglia corto, sposta l'attenzione al locale docce. A quello che ne resta.
“Mi sa che questo scherzo ci costerà qualche migliaio di crediti. Nel migliore dei casi.”
Un sospiro sconsolato, la mano massaggia lentamente i capelli.
“Forse è meglio se vado ad avvisare il custode...”
“NO!”
Una lancia viola emerge dal muro, trafigge la spalla di Ledger, lo scaglia contro la parete opposta.
“Ledger!”
La nebbia si condensa, assume forma quasi umana, occhi di brace aperti sul vuoto. Mikael alza la mano, il fuoco si accumula sul palmo.
“Io ti evoco, lama divina! Vieni a me, Ba...”
Una sferzata violenta, il polso bloccato da un laccio.
“... lmung?”
Uno strappo secco, Mikael vola attraverso la stanza, cade rovinosamente a terra.
“Voi... voi non andate da nessuna parte!”
Sophidides compare al centro della stanza, il volto affaticato, le bende annerite. Eden si mette in guardia, chiude il pugno sinistro, apre la mano destra.
“E meno male che l'avevi sistemato, Miki!”
Mikael si rialza dal pavimento, richiama le ali, riprende posizione eretta.
“N... non chiamarmi così!”
Ledger mugugna per il dolore, tenta di rimanere in piedi nonostante la perdita di sangue.
“Questo è uno dei momenti in cui vorrei avere due braccia...”
Sophidides li inquadra, uno alla volta, impugna la lancia, ingoia la saliva.
“Non posso permettervi di lasciare questo piano! Costi quel che costi!”
Eden estende il braccio destro, le dita separate, fulmini globulari materializzati attorno alle unghie.
“Scoppio Sinfonico!”
Cinque proiettili sparati ad alta velocità, tutti diretti verso il demone.
Sophidides ruota rapidamente le bende, intercetta ogni colpo, contiene le esplosioni, arretra di un passo per l'impatto. Ledger evoca l'arto spettrale, corre alle sue spalle.
“Mano Fantasma – Artigli dell'Idraaaa!!!”
Il demone scarta di lato, si appiattisce contro la parete, evita l'attacco per un soffio.
“Ugh...”
Sophidides controlla la situazione, stringe la mano attorno all'arma, digrigna i denti.
“Tre contro uno...”
Il ginocchio sinistro sollevato, il piede destro ruota sul alluce, le bende si allargano, una trottola letale.
“... bene, sarà una lotta equilibrata! Ah, ah, aaaaaah!”
Eden salta all'indietro, la schiena a pochi centimetri dal muro. Mikael alza nuovamente la mano al cielo, richiama il fuoco sacro. Ledger resiste alle fitte, estende il braccio, grida a perdifiato.
“Non adesso, stupida! Così sei un bersaglio fa...!”
“... lama divina! Vieni a me, Balmung!”
Sophidides si materializza di fronte a lei, il vortice di bende letali.
“Ma anche no!”
Uno schizzo rossastro, il taglio netto all'altezza del polso, lo sguardo inorridito di Mikael, l'orrore nelle iridi tremanti. Mikael urla di dolore, crolla in ginocchio in lacrime. Mentre la sua mano destra cade a terra, mozzata.
22.
Inferno al Motel Paradiso (IV)
Mikael sgrana gli occhi, la mano sinistra stretta attorno al moncherino, la mente in panne.
“L... la mia mano! La mia mano! A... aiuto! Aiutooooo!”
Sophidides arresta la rotazione, troneggia su di lei per un istante, osserva beato il risultato del suo attacco.
“Fa male, vero?”
Il demone allarga le braccia, solleva il manto violaceo, mostra il tronco, due squarci enormi proprio sotto le spalle.
“Io l'ho provato sulla mia pelle. Due volte. E sono ancora qui per raccontarlo! Dimmi, angioletto... l'ho meritato un nome, sì o no?”
Mikael non risponde, il respiro aritmico, il battito irregolare, le lacrime scivolano lungo le guance.
Sophidides rotea gli occhi, un fastidio malcelato, uno scatto repentino. Le dita artigliate si stringono attorno al collo di Ledger, prima che possa reagire.
“Cosa stai facendo, storpio? Credi che mi sia dimenticato di te?”
Un urlo inumano, il corpo lanciato verso l'alto. Ledger sfonda il soffitto, rompe un tubo con la schiena, cade di faccia sul pavimento. E lì rimane.
Il demone si china su di lui, lo scruta dall'alto in basso.
“Meno due. Che strano, pensavo che sarebbe stato più difficile...”
Sophidides si volta verso Eden, cammina lentamente, passo dopo passo.
“Sei rimasta solo tu, dunque!”
Il tubo spezzato sparge acqua sul pavimento, pozzanghere enormi formate nell'arco di pochi secondi, una pioggia incessante. Eden non arretra, fissa il nemico negli occhi, apre le braccia in orizzontale, divarica le gambe. Scariche attorno alle mani, le iridi cariche d'odio.
“Quando vuoi.”
Sophidides raccoglie le bende, forma una seconda lancia, la impugna con la sinistra.
“Ti donerò l'eterno riposo, piccola!”
“Mano Fantasma – Costrizione!!!”
“Eh?”
Ledger rotola sul pavimento, l'arto spirituale ghermisce le gambe del demone, le bloccano al suolo, in mezzo all'acqua.
“C... cosa? Non...”
“Ora!”
“Ultima Tempestaaaaaa!!!”
Eden unisce i palmi mentre pronuncia le parole, un enorme fulmine globulare generato al contatto, lanciato con violenza contro il nemico, il contraccolpo brutale. Sophidides viene investito in pieno, un elettroshock ad alta tensione, la bocca spalancata per la sorpresa. L'elettricità si fa strada attraverso il corpo, l'umidità fa il resto. I nervi impazziscono, alto voltaggio, i muscoli percorsi da spasmi.
“Gyaaaaaaah! Gyaaaaaaaaaah!”
Il demone stramazza al suolo, il battito fermo per un lunghissimo secondo. Ledger richiama la mano impalpabile, si rialza a fatica, si trascina fino a Mikael. Le afferra il polso con il braccio dolorante, preme sui vasi sanguigni cercando di arrestare la perdita ematica. L'angelo lo fissa impaurito, completamente incapace di reagire.
“Salvami! Salvami, ti prego...”
“Mano Fantasma – Costrizione!”
L'arto spettrale si arrotola attorno alla pelle recisa, serra violentemente la presa, blocca il flusso di sangue. Mikael chiude le palpebre, serra i denti, abbraccia Ledger, lo stringe con forza, senza dire una parola.
“Calmati, Mikael. Calmati. Ora risolviamo tutto, okay? Chiediamo a padre Ashburnt di guarirti...”
“P... padre Ashburnt... sì, padre Ashburnt... mi sistema. Sistema tutto...”
“N... no...”
Un debole sussurro, una voce sdoppiata alle sue spalle. Ledger ruota il capo verso il demone, un sobbalzo nelle iridi marroni. Sophidides punta le mani al terreno, vince il tremore, lotta contro il proprio corpo, solleva il volto di qualche centimetro.
“N... non posso lasciarvi... andare. Loro... non me lo perdonerebbero... mai!”
“Ultima Tempesta!!!”
Eden libera un altro bolide, Sophidides viene sbalzato via, si schianta contro la parete, i muscoli totalmente fuori controllo. Il corpo scivola fino al pavimento, la faccia annega in una pozzanghera.
Eden abbassa le braccia, raggiunge Ledger, gli posa una mano sulla spalla.
“C... come sta?”
Un colpo di tosse, tosse sanguigna. Eden si ripulisce la bocca, una epistassi in corso dalla narice sinistra. Ledger si volta, la fissa negli occhi.
“Non bene. Ha perso molto sangue.”
Il capo scrollato lentamente, i capelli completamente inzuppati.
“L'unico che può fare qualcosa è Ashburnt. Vallo a svegliare prima che...”
“Sophidides...”
Una voce sottile, eterea. La voce di un bambino. Sophidides contrae gli artigli, un movimento dell'indice. Poi il medio. Poi il pollice. Ledger spalanca la bocca, gli occhi fuori dalle orbite.
“Non è possibile! È ancora vivo?”
“Sophidides, rialzati!”
“Puoi farcela!!!”
Altre due voci si uniscono al coro, voci diverse dalla prima, eco prive di forma. Un sussulto, l'avambraccio destro si muove di scatto, annaspa nel liquido incolore.
“Forza! Ne è rimasta solo una!!!!”
“Puoi farcela, Sophidides!!!”
Sophidides solleva la testa, uno sforzo immane, il volto bruciato dalle scariche, i denti digrignati, un barlume di orgoglio negli occhi di brace.
“C... che ci fate qui?! S... scappate! Non... non pensate a me! Io... io vi ho deluso! Non posso...”
“Ti prego, Sophidides! Solo tu puoi salvarci!”
“Non mollare proprio ora!”
Ledger si guarda attorno, tenta di individuare la provenienza delle voci. Mikael sorride nervosamente, balbetta alcune parole senza ordine logico.
“Li vedi? Li vedi Ledger? Oh, come sono carini...”
Eden ritorna in posizione di guardia, la vista annebbiata dalla fatica.
“... devo finirlo... ora, Ledger.”
Le braccia aperte, le gambe divaricate, il respiro affannato.
“U... ultima...”
“GRAAAAAAAH!”
Sophidides si alza in piedi, sotto lo sguardo esterrefatto di Ledger. I muscoli pulsano, i nervi distrutti. Eppure, non si ferma. Continua a combattere.
Eden ferma l'impeto, osserva con ammirazione il demone, lo sforzo immane, il dolore impresso in ogni cellula del suo corpo. Sophidides alza il braccio, sguaina gli artigli, si lancia zoppicando verso Eden, ogni passo una tortura.
“Io... non posso...”
Le gambe cedono, non sorreggono più il suo peso. Sophidides si accascia al suolo, frena la caduta con le mani, lo sguardo orgogliosamente puntato verso l'alto, verso Eden.
“... dovrete passare... sul mio cadaver...”
Le braci si spengono, il demone perde coscienza. Un tonfo sordo, il cranio impatta con le piastrelle. Eden ansima, assume ancora una volta la posizione di attacco.
“Ora... non hai più scampo...”
“No!”
“Non farlo!”
“Sophidideeees!”
Le voci si fanno più forti, un coro di suppliche, da ogni direzione. Eden rimane in attesa, riprende fiato, le braccia paralizzate dall'incertezza.
“Okay, è tutta un'allucinazione uditiva... vero?”
“No, le sento anch'io... ma non capisco da dove...”
“YAAAAAAAWN!”
Uno sbadiglio da leggenda, una figura in piedi di fronte all'ingresso della stanza. Una figura ben nota. Ledger solleva il pugno, un lumino di speranza acceso negli occhi stanchi.
“P... padre Ashburnt! È il cielo che la manda!”
“No... è il caos! Voi e tutto il maledetto rumore che state facendo!”
Il viso di Eden congelato in un'espressione di incredulità, Ledger brasato.
“Dico, come posso dormire in pace se organizzate un festino sadomaso nel locale docce?”
“Ehm... non è andata esattamente così...”
Ashburnt si massaggia la fronte, tenta di ritrovare il filo.
“Okay, okay. Cosa ne dite di spiegarmi perché il bagno sembra un campo di battaglia, come mai Mikael ha perso una mano...”
Ashburnt estende il braccio, l'indice puntato verso il corpo di Sophidides.
“... e cosa ci fanno tutti quei bambini attorno ad un demone mezzo morto?”
Eden e Ledger si guardano per un istante, si voltano contemporaneamente. Solo il demone. Null'altro.
“Padre Cross... qui non c'è nessun bambino!”
“Eh?! Ma io...”
Ashburnt aguzza la vista, chiude, riapre le palpebre.
“... io ne conto almeno cinque.”
Una debole eco, un coro di singhiozzi e frasi spezzate.
“S... state lontani!”
“N... non vi avvicinate!”
“Sophidides, ti proteggiamo noi!”
Ledger tamburella sull'orecchio, corruga la fronte.
“Le voci! Padre, non posso vederli, ma sento le loro voci!”
Eden si siede per terra, la testa stretta tra i palmi.
“Cosa significa? Non ci capisco più niente...”
“Ehm... se permettete...”
Passi alle loro spalle, lenti, cadenzati. Un omino basso, i pochi capelli bianchi, pizzetto pronunciato, denti storti, la schiena piegata. Il custode del motel, il vecchio della reception.
“... penso di potervi spiegare tutto io.”
Un gesto ampio della mano scheletrica, la foschia sommerge la stanza, si appiccica ai muri, al soffitto, colma ogni centimetro cubo. E, nella nebbia, compaiono sprazzi di figure umane, strette attorno a Sophidides.
“I... bambini! Ora li vedo anch'io!”
“Sono... solo delle immagini?”
Il vecchio scuote il capo, un sospiro grave in risposta.
“No, per niente... ma è una storia lunga e complicata. E siamo tutti stanchi. Cosa ne dite se ne discutiamo con calma tra qualche ora, di fronte ad una tazza di tè?”
23.
Inferno al Motel Paradiso (V)
“Lei non è un normale essere umano. Dico bene, padre?”
Il vecchio porta la tazzina alle labbra, sorseggia un po' di tè. Ashburnt si stiracchia sulla poltrona, inarca la schiena, trattiene a stento uno sbadiglio.
“Cosa glielo fa pensare?”
Il vecchio scrolla le spalle, un sorriso tirato sulla pelle secca.
“Non molti sarebbero in grado di riattaccare una mano mozzata con la sola imposizione delle dita, qualche flash scenografico e una frase da cartone animato.”
Mikael si tasta il polso, lo rotea un paio di volte in aria. La felpa lascia scoperta l'aureola, non la nasconde agli sguardi dei presenti. Eden annuisce con un cenno del capo. Ledger osserva con calma la stanza, cerca di individuare possibili vie di fuga. Un locale ampio, alcune poltrone tarmate disposte in cerchio attorno ad un tavolino. Credenze a pezzi, armadi ammuffiti. Tre porte: due chiuse, una aperta.
Ashburnt solleva i palmi verso l'alto, un'espressione divertita sul viso.
“Okay, inutile farla tanto lunga. Il mio nome è Thornheart Ashburnt e sono stato incaricato dalla Santa Sede di uccidere il Maligno. E, sì, non sono un prete comune. Di solito, quelli come me amministrano l'omelia in chiesa durante la messa. Io, invece, giro per il mondo...”
Un'occhiataccia alla sua sinistra, verso l'ultima poltrona occupata.
“... esorcizzando tutti i demoni che incontro.”
Sophidides incrocia le braccia, il manto viola bruciacchiato a fasciarlo come una mummia.
“Ho sentito parlare di lei, padre. La chiamano lo sterminatore, nel giro. Si dice anche che lei abbia un chiodo della Vera Croce incastonato nell'indice destro. Fino ad oggi, credevo che fosse solo una leggenda.”
Il vecchio posa la tazzina sul tavolo, un'occhiata enigmatica a Sophidides.
“Forse è la persona giusta. Forse, non è un caso se è arrivato qui, in questo sperduto motel di provincia. Dev'esserci un piano divino dietro a tutto questo.”
Un sorriso sprezzante, i denti da squalo organizzati in fila perfetta.
“Non dire stupidaggini, Clevio! Non c'è alcun disegno! Solo una ferocia crudele ed inumana! Come...”
Eden alza la voce, si intromette nella conversazione.
“Cosa ne dite di spiegarci tutto dall'inizio, prima di discutere tra voi? Cos'è veramente questo posto? Chi o cosa sono quei bambini?!”
Sophidides si alza di scatto, rivolge lo sguardo al pavimento.
“Quei bambini sono la ragione per cui io ho cercato di uccidervi. Non dovevate trovarli, non dovevate vederli... non dovevate sopravvivere per poterlo raccontare in giro.”
Clevio abbandona la poltrona, cammina lentamente fino ad una delle porte chiuse.
“Seguitemi, forza. È più facile se ci ascoltano anche loro.”
I quattro si alzano, raggiungono il vecchio, si dispongono a semicerchio di fronte all'uscio. Lo scatto della maniglia, la porta aperta a fatica, un cigolio acuto e lamentoso ad accompagnarla. Clevio attiva un interruttore sulla parete, una lampadario si accende al centro del soffitto.
Ashburnt sgrana gli occhi allibito, Mikael porta la mano alla bocca, trattiene un urlo di sorpresa.
“C... così tanti?!”
“Saranno almeno un trentina...”
Ledger ed Eden si guardano perplessi, non percepiscono nulla. Clevio sorride per un istante impercettibile.
“Voi due non ci riuscite, vero? Neanche io e Sophidides. Ma ho imparato un trucco. Osservate...”
Clevio aziona un secondo interruttore, il sistema antincendio si attiva all'improvviso, una fitta pioggerellina invade la stanza. Un terzo interruttore, la stufa muggisce, si riscalda. Una leggera foschia pervade il locale, si espande rapidamente in tutta la stanza. Clevio rotea la mano in aria, le nubi si stabilizzano, seguono i suoi movimenti. Sagome scure nella nebbiolina, sempre più distinte e dettagliate. Figure minute, spaventate, un timore viscerale celato nei corpicini. Ledger sobbalza sul posto, Eden ammira lo spettacolo, ammutolita. Un coro di voci in risposta, i bambini puntano il dito verso i nuovi arrivati.
“Nonno! Perché li hai portati qui?”
“Sono i cattivoni che hanno attaccato Sophidides!”
“H... ho paura, nonno!”
Clevio sospira gravemente, varca la soglia. Sophidides lo segue a ruota, entra nella stanza, cammina tra le ombre. La mano artigliata cerca di posarsi sulla testa di uno dei piccoli, senza poterla toccare. La voce sdoppiata, aspra, una nota calorosa tra le rozze armoniche demoniache.
“Non vi faranno del male. Sono amici, ora.”
Mikael si massaggia la fronte, serra le palpebre.
“Non ha senso! Non ha alcun senso!”
Ashburnt entra nella sala, si fa largo tra gli sguardi confusi dei bambini.
“Queste sono... sono anime, vero? Spiriti dei defunti...”
Il vecchio annuisce, porta le mani dietro la schiena.
“Credo di sì, padre. Non ho trovato altre spiegazioni.”
Ashburnt ruota su se stesso, osserva i volti di tutte le creature.
“... ma, allora... perché sono ancora qui? Se sono morti, dovrebbero essere stati già smistati! Paradiso o Inferno! Non esistono altre possibilità! Se un'anima vaga per il mondo dopo il decesso, di solito significa che è stata rifiutata da entrambi i Regni. È per questo che gli esorcisti della Chiesa...”
Una pausa, un paio di secondi per trovare le parole adatte.
“... hanno il compito di epurarle e cancellarle dal Creato.”
Un urlo collettivo, il terrore stampato nelle iridi degli spettri. Sophidides chiude i pugni, il manto viola inizia ad oscillare, le bende pronte all'attacco.
“Provi ad alzare un dito contro di loro e la faccio secco!”
Clevio si inserisce tra i due, i palmi a dividere i contendenti.
“Calma, calma! Non credo che voi due vogliate dare spettacolo proprio qui, dico bene?”
Mikael raggiunge il trio, il viso pallido, il respiro pesante.
“No, non ha senso! Queste non sono anime comuni! Questi bambini erano tutti destinati al Paradiso! Lo percepisco chiaramente! Perché si trovano ancora qui? Perché non sono ancora stati portati in Cielo?”
Lo sguardo diretto al vecchio, al demone, la voce instabile.
“Clevio, Sophidides... come li avete trovati? Qual è la vostra storia?”
Sophidides si rilassa, abbandona la posizione di guardia.
“Per farla breve, dopo essere stato quasi smembrato da tre guardie supersoniche, avevo bisogno di cibo per rigenerarmi. Sono entrato in questo postaccio per mangiare Clevio – l'unico essere vivente nell'arco di due chilometri. Io ero debole, lui correva come un pazzo. L'ho inseguito per il motel, ho tentato di squartarlo, ho colpito un tubo in un muro, la foschia ha riempito il corridoio... e, di fronte a noi due, si sono materializzate tutte queste anime perdute. Sul momento, non sapevamo che cosa fare. Io sono un demone, Clevio un vecchio umano senza abilità particolari. Non avevamo niente in comune. E io, di solito, vedo i bambini umani come invitanti antipasti su due gambe... ma la tristezza, il terrore in quei volti...”
Sophidides scrolla la testa, chiude gli occhi per un istante.
“Non so neanche io come spiegarlo, ma ho visto in loro la stessa paura che ho provato quando sono stato cacciato dai Cieli, assieme agli altri demoni. Lo straniamento, la sensazione orribile di non appartenere a questo mondo. Mi sono immedesimato in loro. E loro in me. Ed è finita che io e Clevio abbiamo deciso di proteggerli dalla Chiesa e dai suoi accoliti.”
Sophidides si siede sul pavimento, gli spiriti lo abbracciano, si stringono attorno a lui.
Mikael si avvicina, si siede di fronte al demone.
“Sono stati loro a darti quel nome?”
Un cenno di assenso.
“Mi hanno riportato alla vita. Mi hanno donato una nuova esistenza. Sai, angioletto... dopo la Caduta, siamo stati privati di tutto. Dignità, bellezza, sentimenti. Siamo diventati degli animali, delle bestie prive di scopo. Abbiamo persino dimenticato i nostri nomi... e non avevamo il coraggio di sceglierne un altro.”
I bambini e le bambine si dispongono a semicerchio dietro la sua schiena, i volti raggianti di felicità, la sicurezza dipinta sui visi acerbi. Sophidides ricambia con un mostruoso ghigno dei denti affilati, il suo modo di sorridere.
“Stare assieme a loro mi ha... curato. Ora ho una missione, qualcosa per cui vivere.”
Clevio porta la mano alla tasca, estrae un foglio di carta ripiegato con cura.
“Quando mi avete mostrato questo lasciapassare firmato da Ilias in persona, temevo che foste venuti qui per esorcizzare questi poveri spiriti. È per questo che ho chiesto a Sophidides di spaventarvi a morte. Volevo che lasciaste il motel prima di trovarli.”
“... quindi, il motivo per cui mi ha attaccato nella doccia, costringendomi ad evocare Balmung e radere al suolo il locale...”
Clevio schiocca le dita, un lampo nella mente.
“Ah, già! A questo proposito...”
Un secondo documento estratto dalla tasca del giacchetto, una lista srotolata fino al pavimento. Ledger spalanca la bocca, Eden inizia a sudare freddo, Ashburnt paralizzato, Mikael inarca un sopracciglio. Clevio si schiarisce la voce, un leggero colpo di tosse.
“... tra tubature, intonaco, specchi, rubinetti, piastrelle, infrastrutture, pulizia, sostituzione dell'impianto di riscaldamento, varie ed eventuali... sarebbero centosessantaduemila crediti per le riparazioni. Preferite pagare con carta o in contan...”
Il rumore della porta sbattuta, la corsa sfrenata verso l'uscita, il rombo di un motore in lontananza, lo stridio degli pneumatici.
“... ti?”
Sophidides esce dalla stanza, si precipita alla finestra. In lontananza, il profilo della dune buggy in fuga scomposta, disegnato dal sole nascente. Un sorrisetto divertito.
“Andati. Non credo che torneranno. E sono sicuro che non riveleranno nulla.”
“C... come fai ad esserne certo?”
“Clevio... quel padre Ashburnt ha veramente qualcosa di speciale. Se avesse voluto, ci avrebbe incenerito con un solo movimento delle dita, distruggendo sia noi che i bambini. Ma non lo ha fatto. Ci ha lasciati in pace.”
“Al verde e senza bagni al primo piano.”
“Ma siamo ancora vivi.”
Sophidides appoggia i gomiti sullo stipite della finestra, contempla l'alba
“Sai? Forse avevi ragione tu. Forse c'è davvero un disegno divino, dietro a tutto questo.”
24.
Angeli di Zenma (I)
“B... benvenuto, padre Rejo! A cosa devo la sua visita a sorpresa?”
“Risparmi il fiato e riarrotoli la lingua, sacerdote Vooran.”
Ufficio del sacerdote di Halajaribo, centro di controllo regionale distaccato. Tre uomini nella stanza, due seduti, uno in piedi. Vooran analizza i suoi interlocutori, tenta di leggerne la mimica del corpo, comprendere le loro intenzioni.
Rejo inclina il capo, lascia oscillare i capelli rossi ondulati.
“La notizia della morte di Ilias ha raggiunto la Santa Sede. Devo dirle che non sono molto contenti di quanto accaduto. Specie perché sembra che sia coinvolto... un altro esorcista. Sa a chi mi riferisco?”
Vooran chiude gli occhi, ascolta con calma la voce vellutata, mantiene il controllo.
“Padre Ashburnt.”
“Precisamente.”
Rejo incrocia le mani sotto il mento, stringe gli occhi di zaffiro.
“E sa cos'altro si dice? Che Ashburnt abbia ucciso anche padre Argento a Tabara, dopo aver dirottato un treno e averne dato alle fiamme un intero vagone. Come se non bastasse, l'auto che aveva noleggiato ad El Vahio risulta scomparsa. Non esattamente un comportamento ineccepibile, non trova anche lei?”
Vooran punta i gomiti sul tavolo, stringe i denti.
“Ashburnt è stato incaricato di sconfiggere il Maligno! Mi rifiuto di credere che la Santa Sede abbia sbagliato persona! Se ha agito in quel modo, vuol dire che c'era un motivo!”
“Un motivo?! Quindi... ha fede in lui?”
“Al cento per cento.”
Un sospiro contrariato.
“Molto bene.”
Rejo ruota sulla sedia, incrocia lo sguardo della terza persona.
“Sinisa?”
Un ragazzo vestito di un completo elegante si avvicina a passo svelto. Capelli biondi a caschetto, iridi violacee, occhiali da vista, nessuna traccia di barba. Giacca e pantaloni blu, camicia bianca, cravatta scura. Unghie fucsia, fresche di manicure. Una cartellina nella mano sinistra. Un pennello stretto tra le dita della mano destra.
“Padre Rejo?”
“La stola sacerdotale è molto sfarzosa... ma troppo vuota. Ci pensi tu a ravvivarla un po'?”
“Come desidera.”
Un profondo inchino, prima di mettersi in posa. Il pennello ruota tra le dita come un bastone da majorette, la punta portata di fronte all'occhio destro, il sinistro chiuso, il pollice alzato. Vooran scuote la testa, stringe le mani sulla scrivania.
“Cosa...”
Un cerchio tracciato alla perfezione in aria, una croce disegnata al suo interno, una figura di energia in levitazione. Sinisa alza il pennello al cielo, spalanca entrambe le palpebre.
“Proiezione Ortogonale!”
Il simbolo scintilla, emette una colonna di luce, si trasmette fino al petto di Vooran, si stampa sull'abito da cerimonia.
“E... eh?! No, fermo! Io...”
Il pennello si apre a metà, si trasforma in un compasso, una lama eterea al posto della matita. Sinisa preme gli occhiali contro il naso, chiude gli occhi.
“Compasso dell'Artefice! Disegna ciò che ho tracciato! Oraaaa!”
Un lancio preciso, il compasso si pianta al centro del cerchio, ruota a velocità folle, la lama squarcia senza tagliare la carne.
“AAAAAAAAAAAAH!”
Vooran stramazza sulla sedia, gli occhi fuori dalle orbite, la bocca completamente aperta, nessuna ferita superficiale. Solo un marchio nero all'altezza dello sterno. Il compasso si stacca dal corpo, rotea in aria, torna tra le mani di Sinisa. Rejo si alza dalla sedia, spolvera il giaccone.
“Bene, qui abbiamo finito. Il prossimo sarà Ashburnt.”
Uno schiocco delle dita, Sinisa risponde con un inchino.
“Sinisa, avvisa la Santa Sede che il sacerdote Vooran è sfortunatamente deceduto a causa di un arresto cardiaco. E trova un modo per raggiungere Tabara il prima possibile...”
Il rosario stretto nella mano destra, le unghie quasi conficcate nel legno.
“... non posso permettere che quell'idiota rovini il buon nome della nostra Chiesa!”
**
“Ecco a voi Zenma, dominio autonomo nella provincia di Qambura! L'ultimo porto sicuro prima del Confine.”
Ledger solleva il braccio, si stiracchia con calma.
“Per fortuna, è stato un viaggio tranquillo!”
Ashburnt si trascina fuori dalla vettura, la testa immersa nel sacchetto per il vomito.
“P... parla per te!”
Eden spegne il motore, scende dall'auto, si china sul corpo esanime.
“Qualcosa non va, padre?”
“C... c'era proprio bisogno di prendere quelle curve su due ruote?”
Eden riflette perplessa, la fronte crucciata, gli occhi rivolti al cielo.
“Due? Avrei detto una...”
Ashburnt affonda ancora di più nel sacchetto, lo stomaco contratto. Mikael si avvicina al duo, il cappuccio calato sulla testa.
“Meglio che si riprenda in fretta, padre. Nessuno crederebbe che lei è in possesso di poteri divini, vedendola conciata così. Men che meno, la seguirebbe in un'impresa tanto disperata.”
Ledger annuisce, sistema con cura il cappello.
“Dunque, dove li troviamo i tuoi amichetti?”
“Probabilmente, ai bagni termali.”
Gli occhi di Eden si accendono di eccitazione, i pugni uniti di fronte al cuore.
“H... hai detto bagni termali?”
“Sì, perché?”
Eden saltella sul posto, le gote lievemente arrossite, gioia sprizzata da tutti i pori.
“È un sacco che sogno di provarli, ma non ho mai avuto occasione di farlo!!! Avanti, cosa stiamo aspettando? Andia...”
“Non così in fretta.”
Mikael scrocchia il collo, le mani accomodate nei tasconi della felpa.
“... mo?”
Eden frena l'impeto, atterra malamente, rotola sulla ghiaia. Ledger rotea gli occhi, le porge la mano. La ragazza la afferra senza dire nulla, uno scambio di sguardi fugaci. Un cenno di assenso imbarazzato. Ashburnt guadagna posizione eretta, respira profondamente.
“Non... voglio perdere altro tempo, Mikael. Portami... dagli angeli. Devo parlare con loro.”
Mikael scrolla le spalle, chiude gli occhi.
“Come desidera, padre. Tuttavia, le consiglierei di curare un po' il suo aspetto, prima.”
“Eh? Per... per quale motivo?”
“Se la trovano attraente, magari sono più incentivati ad unirsi a noi.”
“A... attraente?!”
Immagini disturbanti invadono la mente di Ashburnt: uomini alati, muscolosi, dai capelli infinitamente lunghi, truccati con rossetto, con nei finti sulle guance e ciglia lunghe. Occhiatine ammiccanti, voci effeminate.
Ashburnt scuote la testa, le pupille ridotte a puntini minuscoli.
“N... no, ci andiamo adesso, subito! Okay?!”
Mikael abbozza un sorrisetto divertito.
“D'accordo, d'accordo. Ma ricordi che l'avevo avvertita, padre! Non si lamenti con me, dopo.”
Un ampio movimento del braccio, un edificio indicato in lontananza.
“Forza, seguitemi!”
**
“E com'era il concerto ieri?”
“Non so, la musica faceva pena, ma il cantante era veramente figo...”
“Qualcuno ha visto il mio asciugamano?”
“Ehi, Elienel! Alla fine sei andata a quell'appuntamento al buio?”
Le terme gremite, frammenti di discorsi casuali, il brusio di una folla numerosa. Ledger osserva con la bocca spalancata, la mandibola quasi disarticolata per la sorpresa. Quella di Ashburnt raggiunge direttamente il pavimento. Mikael fischietta con aria innocente, un'amichevole pacca sulla spalla del prete.
“Io l'avevo avvertita, padre.”
“N... non potevi essere più specifica?”
“Lei non ha chiesto.”
Angeli. Decine di angeli mollemente accomodati nelle vasche, immersi nell'acqua tiepida, impegnati in conversazioni senza capo né coda.
Ledger ricompatta la mascella, stropiccia le palpebre ad una ad una.
“Tutte... donne?!”
Eden aggrotta delusa le sopracciglia, incrocia le braccia
“Uffa! Di maschi nemmeno l'ombra? Io speravo già di ammirare i pettorali scolpiti di un bel serafino...”
Ashburnt si toglie gli occhiali, pulisce le lenti, li indossa nuovamente.
“Ma... ma allora perché le scritture...”
Mikael sogghigna, cammina di fronte al trio.
“È una storia complicata. Cosa sapete della Caduta?”
Ledger cerca di distogliere lo sguardo dalle piscine, dai corpi perfetti delle ragazze, richiama disperatamente i concetti studiati anni prima.
“D... dunque... prima della creazione della Terra, il primo degli angeli – quello che ora chiamiamo il Maligno – si ribellò al Signore e gli mosse guerra. La battaglia tra i due schieramenti venne decisa dall'eroismo dell'angelo Mikael, che sconfisse il Maligno e lo cacciò dal Paradiso...”
“Fin qui tutto esatto. Quello che non sai è che una parte della storia non viene raccontata nei testi. Prima di me, i miei parigrado Djibriel e Rafael si sono lanciati all'attacco a testa bassa, uno dopo l'altro. Mi avevano lasciato indietro con la scusa che combattere il Maligno era un lavoro da uomini. Puah, che stupidaggine!”
“Come è finita?”
Un'espressione soddisfatta stampata sul viso di Mikael.
“Il Maligno gliele ha suonate di santa ragione, senza che quasi riuscissero a toccarlo. Ha addirittura preso – letteralmente – a calci in culo Djibriel e usato Rafael come arma da lancio. È stato uno spettacolo favoloso! Non ho mai goduto così tanto in vita mia!”
Mikael batte le mani divertita, una danza di vittoria improvvisata sul posto. Le occhiatacce dei tre, il peso degli sguardi imbarazzati. Un colpetto di tosse, il balletto interrotto.
“Per farla breve, ho affrontato il Maligno e l'ho sconfitto di fronte ai due sacchi da allen... ehm... arcangeli in capo. Il nostro esercito era composto per metà da angeli maschi e per metà da angeli femmine, e aveva assistito a tutte le fasi dello scontro. Inutile dire che mentre le mie simili hanno iniziato ad inneggiare il mio nome festanti, gli esponenti dell'altro genere si sono... ehm... nascosti per la vergogna. Al termine della battaglia, il Signore ci ha premiati tutti quanti con una vacanza fino alla fine dei tempi... ed è lì che è avvenuto lo scisma. Djibriel e Rafaiel hanno deciso di lasciare questa dimensione per allenarsi e diventare più forti di me, portando con loro tutti gli angeli maschi – ancora scioccati dalla mia vittoria... mentre noi ragazze abbiamo atteso pazientemente che la Terra fosse creata e che i pasticci del genere umano fossero sufficientemente risolti per goderci le strameritate ferie”
“E... che fine hanno fatto gli angeli maschi?”
Mikael agita il capo con noncuranza, solleva i palmi al cielo.
“E chi li ha più visti?”
Ashburnt e Ledger rimangono in silenzio, punti sul vivo, sguardi nervosi diretti l'uno all'altro. Mikael gli ignora, ruota su se stessa, aguzza la vista.
“Adesso devo solo trovare Cyrael.”
“Cyrael?”
“Il capodivisione degli angeli di Zenma. L'unica che può prendere decisioni per...”
“Tu!”
Un angelo dai capelli grigi lisci, occhi dello stesso colore, un vestito nero con orli di pizzo bianco a fasciare la figura minuta. Mikael sfodera un sorriso a trentadue denti, apre le braccia, le corre incontro.
“Ciao, sorellina! Stavo cercando proprio te! Sei contenta di rivedermi?”
Ledger si avvicina ad Ashburnt, un sussurro nell'orecchio.
“Andiamo bene! Se sono parenti dovrebbe essere semplice convincerle a...”
Uno schiaffo in piena faccia, Mikael ruota su se stessa due volte, atterra sul naso. Ledger strabuzza gli occhi, i muscoli congelati.
“... okay, lasciamo perdere.”
Mikael si mette a sedere, si massaggia la guancia arrossata.
“Ahio... mi hai fatto male!”
“Se stai per chiedermi di nuovo di interrompere le mie vacanze e tornare al lavoro, la risposta è...”
“A... aspetta! Possiamo discuterne con calma? La situazione non è così semplice...”
Cyrael sospira, alza gli occhi al cielo, la mano stampata sulla fronte.
“Sigh, ci risiamo. In che guaio ti sei cacciata questa volta?”
25.
Angeli di Zenma (II)
Una via lastricata, chiusa ai lati da palazzine. Lampade giallastre appese ai muri, contrastano il chiarore lunare, allontanano le tenebre. Mikael cammina lentamente, le ali bene in vista, il cappuccio tirato su. Sguardi sospetti verso gli angoli della strada, verso gli anfratti non illuminati.
Ledger osserva dal tetto di un edificio basso, un rudimentale walkie-talkie stretto tra le dita, un pulsante rosso luccicante al centro del dispositivo. Eden sdraiata prona al suo fianco, un binocolo puntato su Mikael.
La trasmittente gracchia, il canale di comunicazione aperto.
“Qui Ledger. Ancora niente da segnalare. Qualche novità, padre?”
Un secondo di attesa, la voce di Ashburnt distorta dall'emettitore.
“Nulla. Calma piatta.”
Un istante di silenzio.
“Pensa che verrà, padre?”
“Non posso esserne sicuro.”
“Capisco.”
Ledger lascia il pulsante, aguzza la vista, Mikael sempre sotto controllo, lo scintillio delle piume bianche come guida. Un ronzio metallico, il walkie-talkie si rianima.
“Ehi, Ledger... mi sembri teso. Tutto a posto?”
“C'è una cosa che non mi è ancora chiara, padre.”
“Cosa?”
Un lungo sospiro.
“Perché stiamo facendo tutto questo?”
**
Terme di Zenma, qualche ora prima.
Due angeli seduti ad un tavolo, altre tre persone assieme a loro. Uno scontro di sguardi, scintille dagli occhi di Cyrael.
“Allora, sentiamo. Perché dovrei cambiare idea?”
Mikael si schiarisce la voce, punta il gomito destro sul tavolo, il pugno a sostenere la guancia.
“Perché abbiamo un segno.”
La mano sinistra si solleva pigramente, indica uno degli umani.
“Padre Ashburnt è un esorcista della Santa Sede. È stato inviato qui per sconfiggere il Maligno.”
“Tutto qui?”
Cyrael scuote il capo, annoiata.
“Se avessi avuto un credito per ogni esorcista che hanno mandato nell'ultimo secolo, a quest'ora sarei miliardaria.”
“Ma lui è diverso! Padre Ashburnt ha...”
Mikael rallenta l'esposizione, un gesto scenografico ad accompagnare il flusso delle parole.
“... un chiodo della Vera Croce nell'indice della mano destra.”
“... la Vera Croce...”
Cyrael chiude gli occhi, incrocia le braccia.
“Ne sei sicura al cento per cento?”
“Ho provato a tagliargli il dito con Balmung. Mi sono ritrovata piantata all'interno di un tronco d'albero a cento metri di distanza.”
Cyrael abbozza un sorriso.
“Allora forse è la persona giusta.”
Mikael salta sulla sedia, le iridi scintillanti dalla gioia.
“D... davvero?! Allora convincerai le altre a seguirci? Gabriel, Timael, Liliel...”
Gli occhi lucidi, inumiditi, le mani giunte come in preghiera.
“Ti... ti voglio bene, sorellina! Grazi...”
“Non ho detto questo.”
“... eh?!”
Cyrael si alza dal tavolo, osserva i tre umani rimasti in silenzio.
“Ho solo detto che è la persona giusta... per risolvere il nostro problema.”
Ashburnt preme gli occhiali contro il naso, punta lo sguardo verso l'angelo.
“Quale problema?”
Cyrael risponde con un sorriso enigmatico.
“Seguitemi e tutto vi sarà chiaro.”
**
Centro storico di Zenma, notte fonda.
Ashburnt grida nella trasmittente, un ringhio di risposta alla domanda seccata.
“Non lamentarti, Ledger! Almeno tu non stai facendo da esca!”
Ledger grugnisce, cala il cappellaccio sul viso.
“Neppure lei, padre.”
“Ovvio. Altrimenti, non sarebbe uscito allo scoperto.”
“Ne riparliamo dopo.”
Ledger chiude la comunicazione, si appoggia al cornicione, continua a tener d'occhio la strada. Eden punta i binocoli verso la via, lo sguardo fisso su Mikael.
“Dov'è esattamente Ashburnt?”
“Nascosto nei vicoli, pronto ad intervenire in caso di necessità.”
“Mikael non dovrebbe avere bisogno di aiuto...”
“Hai visto quello che è successo al motel, no?”
Un cenno di assenso.
“Hai ragione.”
Eden siede accanto a Ledger, gli prende la mano.
“Scusa per oggi. Mi sono comportata di nuovo come una bambina capricciosa.”
“Almeno te ne sei accorta da sola. È già un miglioramento.”
Eden appoggia la testa sulla spalla del ragazzo, le palpebre socchiuse.
“Dici che quando tutto questo sarà finito, potrò avere una vita... normale?”
Ledger arrossisce, sposta lo sguardo a sinistra, sul braccio mancante che avrebbe voluto usare in quel momento. Un movimento del corpo, una spinta leggera per scollarsi la succube di dosso.
“L... lasciami!”
Eden oscilla per un istante, barcolla, cade di schiena. Ledger scuote il capo con agitazione, la prende per mano, la aiuta a rialzarsi.
“S... scusa! N... non volevo...”
Un ronzio monotono, il walkie-talkie si rianima.
“Ehi, Led! Lo vedi anche tu?!”
Ledger afferra la trasmittente, la porta all'orecchio.
“C... cosa, padre?”
“Guarda verso la fine della via, alle spalle di Mikael!”
Ledger si porta vicino al cornicione, la pupilla si contrae, mette a fuoco.
“E... eh?!”
Eden inforca i binocoli, li punta verso l'anomalia.
“Calmati, Ledger...”
Le mani tremanti, il viso contratto in una smorfia.
“... è arrivato!”
**
Ospedale di Zenma, qualche ora prima.
Ledger tiene il cappello in mano, osserva senza troppo interesse i muri biancastri, le foto appese alle pareti.
“Una creatura che attacca gli angeli?”
Cyrael annuisce, cammina a passo svelto per i corridoi.
“Esatto. Li aggredisce di sorpresa, senza dar loro il tempo di reagire. Finora è comparso solo di notte, in zone periferiche della città. Senza testimoni.”
La porta di una camera, la mano scivola sulla maniglia.
“Nelle ultime due settimane, ha colpito tre volte. Il suo modus operandi è... singolare.”
Mikael supera Ledger, raggiunge Cyrael, si ferma di fronte all'uscio.
“In che senso singolare? Non puoi essere più precisa?”
Lo scatto della serratura, la maniglia abbassata.
“Perché sprecare parole, quando un'immagine può essere mille volte più chiara?”
Cyrael spalanca la porta, fa capolino all'interno.
“Ciao, Liliel, disturbo? Hai visite!”
“Liliel?!”
Cyrael si scansa, lascia spazio, si rintana in un angolino della camera. Mikael si precipita verso l'ingresso, gli occhi sgranati, il battito accelerato.
“Mikael...”
Una ragazza sdraiata prona sul letto, una mascherina dell'ossigeno indossata, le guance rigate dalle lacrime. Capelli bianchi a caschetto, iridi viola, aureola fievole, lineamenti morbidi, irrigiditi dal dolore. Mikael si porta la mano alla bocca trattiene un grido.
“Le... le tue...”
Due moncherini emergono dalla schiena, piume biancastre appiccicate a strutture troncate di netto, bende e fasce di garza a tamponare le zone mutilate, antidolorifici somministrati via ago.
“Le tue ali... le tue bellissime ali...”
Cyrael incrocia le braccia, sospira gravemente.
“Ora lo hai visto con i tuoi occhi, come agisce l'aggressore. Liliel è solo l'ultima della lista. Se continua così, gli angeli lasceranno Zenma in preda al panico. E io non posso permetterlo.”
Ledger preme il cappello sulla testa.
“Sento puzza di fregatura. E penso di aver capito dove vuoi arrivare.”
Uno schiocco di dita, l'indice puntato verso Cyrael.
“Vuoi che ci occupiamo del misterioso assalitore, non è così? In questo modo, potresti saggiare i veri poteri di Ashburnt e liberarti di un problema allo stesso tempo.”
“Sei perspicace, spaventapasseri.”
“Cosa ci guadagniamo?”
Cyrael abbozza un sorriso, le iridi plumbee scintillano alla luce dei neon.
“Liberateci di questa seccatura... e riconsidererò la vostra richiesta di aiuto.”
26.
Angeli di Zenma (III)
Un varco di tenebra, lampi scintillanti nel buio. Una figura imponente, due metri e mezzo di altezza. Pelle nera, due bocche sovrapposte, muso umanoide, corna arrotolate. Tre braccia, due a sinistra, una a destra, mani e piedi artigliati.
E un abito di ali angeliche cucite assieme con filo spinato.
Movimenti silenziosi, nessun suono ad accompagnare i suoi passi. Scivola tra le ombre, evitando la luce, gli aloni delle lampade, si fonde con le pareti, riemerge dall'altro lato della via, per non essere notato. Dieci metri alla preda. Sette metri. Cinque metri. Tre metri.
Un metro.
Le mani artigliate alzate al cielo, le unghie si estendono di dieci centimetri, lame affilate come coltelli.
“Non ci provare!”
Vampe scarlatte, una fiammata illumina la via a giorno. Balmung tirata fuori di scatto, nascosta dalle ali fino ad un attimo prima. Gli artigli si infrangono sulla spada, l'assalitore perde momento, rimbalza all'indietro, mantiene una posizione stabile. Mikael brandisce l'arma con la sola mano destra, le iridi incendiate dall'ira.
Il demone si mette in posizione di guardia, il braccio sinistro in avanti, il primo braccio destro a proteggere il volto, il secondo leggermente rivolto all'indietro. Mikael solleva la lama, il metallo si accende, gli arabeschi brillano sinistramente.
“Brucia tra le fiamme dell'Inferno! Balmung ammazzadraghi, io invoco il tuo potere! Infinity Slaaaaaaaash!”
Un'onda d'urto colossale, la notte trasformata in giorno, un lampo di panico negli occhi della creatura, le ali rubate usate come scudo improvvisato, il raggio celestiale diviso in due, l'arco di distruzione interrotto al suo centro.
Muri anneriti, cenere, polvere, nubi di fumo denso. Il demone illeso, ancora in piedi. La lingua fa capolino tra le labbra di pece, lecca gli angoli della bocca superiore.
“Finalmente, un po' di resistenza! Questa caccia sarà davvero eccitan...”
Mikael scatta a massima velocità, una gomitata al mento dell'avversario. La testa del demone rimbalza all'indietro, i denti trafiggono la sua stessa lingua. Una ginocchiata nello stomaco, un calcio sul collo, l'altra gamba chiude la presa, una forbice attorno alla testa, lo scatto di reni, il demone vola per terra. Mikael si rialza, impugna la spada con entrambe le mani, mena un fendente verso il corpo del nemico. Il demone si fonde col pavimento, si trasforma in un'ombra, si sposta dal luogo dell'impatto. Balmung manca il bersaglio, spacca le piastrelle.
Il demone si ricompatta, riemerge a pochi metri di distanza.
Mikael lo osserva con freddezza, nessuna compassione negli occhi.
“Nessuno ti ha mai detto che parli troppo?”
Una risata isterica, le due bocche aperte all'unisono.
“Questa notte sarà memorabile!”
La mano sinistra accarezza le piume del manto, senza alcun accenno di delicatezza.
“Ero stanco di strappare ali ad angioletti inermi! Con te sarà molto più divertente!”
Mikael solleva Balmung, l'aura scarlatta divampa attorno al corpo, i capelli si sollevano, il cappuccio si abbassa rivelando l'aureola.
“Perché lo fai?”
Il demone scrolla le spalle, la lingua lambisce il manto candido.
“Amo le vostre piume! Sono così morbide, così delicate... aaaah! Potrei passare ore ad accarezzarle! Mi ricordano quelle che avevamo prima della Caduta, prima di diventare... così ripugnanti!”
Un movimento teatrale del braccio sinistro.
“E poi... io sono nato dopo, sono nato già demone... ma perché? Io non ho fatto nulla! Nulla, capito? Sto scontando le colpe dei miei...”
Mikael balza in aria, Balmung sollevata, i denti digrignati. Il demone si scioglie in tenebra, si ricompatta a lato, schiva il fendente letale. Mikael atterra malamente, la spada conficcata nel terreno. Il demone alza il ginocchio, sfodera un calcio laterale, colpisce Mikael al fianco. L'angelo scagliato contro un muretto al lato della strada, l'impatto con i mattoni, una nuvola di polvere oscura la visuale. Il demone incrocia due braccia, il terzo si esibisce in un gesto di sfida.
“Dai, rialzati! Non può essere già finita qui, altrimenti non c'è gusto! Proprio come con quella dell'altra sera...”
Le dita strappano un paio di piume dalle ali cucite, le portano alla bocca inferiore, i denti si chiudono a scatto, le lacerano senza fatica.
“Dovevi sentirla, mentre mi implorava di smetterla, con quei suoi occhioni viola da bambina spaventata! Ah, che piacere inciderle le ali, leccare il sangue che sgorgava dalle sue ferite...”
“Liliel...”
Mikael divampa, uno scatto del polso, la polvere dissipata. Gli occhi stretti, fiammeggianti, le labbra serrate in una smorfia di disgusto.
“Ora mi hai fatto incazzare.”
“Ah, sì? E...”
Volo supersonico, Balmung brandita alla massima velocità, una serie violenta di fendenti, scie di fuoco ustionanti. Il demone percosso ripetutamente, lanciato come una palla da flipper. Un montante diretto con la mano libera, il nemico scagliato in aria. Mikael punta i piedi, abbassa la spada, un vortice di pulviscolo si solleva dal suolo, un ciclone improvvisato.
“Rising...”
Balmung sollevata di scatto, diretta al cielo.
“... Phoeniiiiiix!!!”
Un'esplosione incandescente, il profilo della fenice, le ali spiegate. Un'onda d'urto a trecentosessanta gradi, un cerchio di vampe incendiarie. Il demone unisce le tre braccia, si richiude nel suo manto di ali, tutto il corpo ricoperto dal bianco delle piume. I cancelli di ferro si sciolgono, muri anneriti, lampioni ritorti, il vetro incrinato. Fitte nubi di cenere, chiazze nere a perdita d'occhio. Mikael rilassa i muscoli, ansimante, le braccia si piegano per la fatica, la fronte imperlata di sudore.
Una sagoma candida emerge dal fumo, le piume si scostano, mostrano la pelle di carbone, gli occhi luccicanti, i denti da squalo.
“Bel tentativo, brava! Un applauso!”
Le braccia si liberano del rivestimento, il demone batte le mani casualmente, senza ombra di ritmo. La terza mano sfiora le piume, straziandole con gli artigli.
“Peccato che le vostre ali siano immuni al fuoco sacro! È per evitare che vi facciate male tra di voi?”
Respiri pesanti, Mikael crolla in ginocchio, lo sguardo basso.
“C... Cyrael...”
“Ma bene! Beneeeee! Chiami aiuto? Oh, che piacere sentire il suono della tua voce stridula e lamentosa!”
“... non mentiva... un angelo da solo non può... sconfiggerlo...”
Il demone alza le braccia, estende le unghie, ride sguaiatamente.
“Altre ali per la mia collezione! Ah, ah, ah!”
Mikael solleva il capo, un luccichio nelle iridi dorate.
“... è il suo turno, padre Ashburnt!”
Il demone si blocca per un istante, i muscoli irrigiditi.
“P... padre chi?!”
“Rosario divino, secondo mistero...”
Una rotazione rapida del busto, le bocche spalancate, gli occhi fuori dalle orbite. Una figura in piedi, le gambe divaricate, le mani giunte, sollevate al cielo. Aura sfavillante, un'espressione di sfida sul viso asciutto.
“Fiamme di Sodomaaaaaaaa!!!!!!!!!!”
27.
Angeli di Zenma (IV)
Il demone si chiude nello scudo di ali, il calore dissipato dall'impatto. Un colpo violento, la creatura si schianta contro un muro annerito, calcinacci in volo, una lampada spaccata dallo scontro. Ashburnt abbassa le braccia, gli occhi fissi sull'aberrazione, sul suo abito di piume cucite con ferro e spine.
“È illeso. Le ali hanno assorbito il mio colpo.”
Mikael impugna Balmung, riprende posizione.
“Hanno fatto lo stesso con i miei attacchi. Non riesco a ferirlo!”
Ashburnt preme gli occhiali sul naso, chiude le palpebre.
“L'energia sacra non attraversa le piume d'angelo. Lo sapevi, vero?”
Mikael scrolla le spalle distrattamente.
“Non mi fido della teoria.”
Il demone si stacca dall'intonaco, si massaggia il capo, le altre braccia ad indicare i suoi assalitori.
“D... due contro uno? C... con quella potenza distruttiva?!”
La lingua inumidisce le labbra, un lampo di gioia crudele negli occhi rossastri.
“Ah, ah, ah! Perfetto!”
Le mani si dispongono a triangolo, scariche tra i palmi, una forma scura generata tra i vertici.
“Tetra Triade!”
Un raggio nero come la notte, elettricità statica a spirale. Ashburnt scatta di lato, Mikael batte le ali, si allontana dal suolo. Il lampione alle loro spalle viene centrato dall'attacco, si oscura, si accartoccia, avvizzisce come un fiore, il colore svanisce. Una sagoma informe ne prende il posto, tutta la luce assorbita, nessun riflesso.
Ashburnt allibito, sudore freddo sulla fronte.
“Lo ha... trasformato in un purè d'ombra!”
Eden salta in piedi sul cornicione, lascia cadere il binocolo.
“Ledger! Hai visto?! Quel demone è immune ai loro attacchi! Dobbiamo aiutarli!”
Ledger afferra il polso della ragazza, la tira verso di sé.
“No.”
“Eh? Cosa...”
“Osserva.”
Ledger lascia la presa, indica il tetto vicino. Una figura esile, l'aureola scintillante, i lunghi capelli grigi oscillano al vento. Eden strabuzza gli occhi.
“Cyrael?!”
“È qui per valutare padre Ashburnt. Vuole capire se è veramente la persona giusta.”
Ledger siede sul tetto, si sdraia per terra.
“L'unica cosa sensata che possiamo fare è aspettare e avere fiducia in lui. Sono sicuro che se la caverà.”
Un lungo sospiro, Eden stringe i pugni, digrigna i denti.
“O... okay. Farò come dici... ma se le cose si mettono male, mi precipito là sotto!”
“Vedrai che non ce ne sarà bisogno.”
Un'esplosione splendente, strali di luce sacra. La folgore angelica si scarica sulle piume, senza sortire alcun effetto. Il demone recupera rapidamente l'assetto, riporta le mani in posizione di attacco.
“Tetra Triade!”
Il raggio nero balena nelle tenebre, consuma un recinto di ferro battuto. Mikael rotola di lato, corre verso il demone, salta, affonda un calcio nello stomaco, si getta a terra, uno scatto di addominali, il salto, una ginocchiata nello sterno del nemico. Il demone arretra di alcuni passi, le braccia scomposte. Mikael sfodera Balmung, la lama vibrata all'altezza del collo inerme. Il demone solleva il manto di ali, un gesto di difesa disperata. Il metallo si schianta sulle piume, rimbalza senza ferire. La creatura e Mikael separati dalla violenza dello scontro, il demone striscia i piedi tra le piastrelle, cerca di mantenere posizione eretta.
Mikael si inginocchia, le ali aperte a V dietro la schiena. Ashburnt corre in avanti, si appoggia sull'angelo, salta in alto, le dita avvolte dall'aura lucente.
“Rosario divino, primo mistero – Folgore Angelicaaaaa!”
Il movimento rapido, una croce tracciata in aria. Il demone si chiude a guscio, unisce le braccia dietro al manto, la testa protetta dall'assalto. L'energia deviata, le scariche scivolano attorno al corpo del bersaglio, senza danneggiarlo.
Ashburnt scatta, libera un gancio sinistro, percuote lo stomaco del demone. Il mostro si piega a metà, la testa riemerge dalla protezione. Mikael rotea la spada, un cerchio di fiamme vorticanti come scia, il balzo, il fendente orizzontale.
“Aaaaaaaah!”
Il metallo sferza il collo, attraversa la pelle nera, squarcia i muscoli, i tendini, le ossa. Un'espressione sorpresa sul volto del mostro, entrambe le bocche spalancate, la lingua estroflessa.
“GGGGYOOOO!”
La testa spiccata dal busto, una mezza rotazione in aria, rimbalza sulle piastrelle, rotola, si ferma. Il corpo crolla in ginocchio, la schiena si inarca, in macabro equilibrio. Mikael osserva il terrore stampato negli occhi senza iride, le zanne, la disperazione impressa in ogni singolo muscolo facciale. Balmung riluce di rosso sfavillante, la lama sollevata in verticale, la punta in sospensione, a dieci centimetri dal cranio.
“Addio!”
La spada trafigge il teschio, un'esplosione di fluidi verdastri, le fiamme divampano, ne inceneriscono i resti. Ashburnt incrocia le braccia, si allontana dal corpo decapitato.
“Andato.”
Mikael trattiene Balmung nella mano destra, lancia un'occhiata al manto di ali del mostro.
“Forse se le portiamo con noi, possiamo riattaccarle agli angeli aggrediti. I suoi miracoli...”
“Le vostre piume sono immuni alla mia aura sacra. Non funzionerebbe.”
“Ah...”
Mikael abbassa lo sguardo, un lungo sospiro.
“Quindi, Liliel...”
“Mi dispiace.”
Uno scatto improvviso, il corpo inanimato ritorna in piedi, le mani in posizione di attacco.
“Cosa?”
“Attenta!!!”
Voce sepolcrale, attutita, i vertici del triangolo carichi.
“Tetra Triadeeeee!”
Il raggio nero fende l'aria, trafigge l'ala sinistra di Mikael, un foro scuro di dieci centimetri.
“AAAAAGH!”
L'ombra di pece si espande alle piume vicine, inizia a diffondersi a macchia d'olio.
“Mikael!”
L'angelo digrigna i denti, serra le palpebre, l'aureola scintilla come non mai.
“Non... non si preoccupi, padre...”
La piaga si arresta, si affievolisce, evapora. Nuove piume ricoprono il foro, riparano l'ala ferita.
“Non è... niente.”
Il demone applaude, le tre braccia agitate con impazienza.
“Brava! Brava! E io che pensavo di aver danneggiato il mio trofeo!”
Il manto di ali si spalanca, mostra il torso del demone, il petto di carbone. Ashburnt sgrana gli occhi. “Una... faccia?”
Due occhi gialli scintillanti sui pettorali, una bocca dentata sull'addome, rivoli verdastri lungo tutto il corpo, il collo come una fontana ricolma.
“Avete tagliato la mia seconda testa, il bersaglio per allocchi!”
Le ali si richiudono, celano il volto mostruoso, le penne leggermente scostate per permettere agli occhi di osservare la situazione, il demone assume una posizione di guardia. Le piume ricoprono il completamente il collo tagliato, si estendono lungo le braccia, sulle gambe, non lasciano un centimetro scoperto.
“Non avete più scampo!”
Gli artigli sfoderati, una danza macabra a tempo, Mikael e Ashburnt saltano, scattano, si accucciano per evitare le lame affilate. Ashburnt balza indietro, toglie gli occhiali, li ripone nella tasca della giacca.
“Ora capisco perché gli angeli non lo hanno ancora sconfitto...”
“Le nostre tecniche non hanno effetto.”
Ashburnt abbozza un sorriso.
“Ma forse le sue sì.”
“Eh?”
Le tre mani si riportano in posizione, richiamano le ombre.
“Tetra...”
Ashburnt afferra Balmung, la strappa dalle mani di Mikael, corre verso il mostro alla massima velocità.
“... Triadeeeee!!!”
Un'esplosione oscura, il raggio squarcia la notte.
“Padre Ashburnt!!!!”
Ashburnt solleva la lama, intercetta il raggio oscuro, lo concentra sulla spada. Balmung avviluppata dalle tenebre, il metallo rosso avvizzisce, perde tonalità, si spegne in un nero senza fine.
“Oraaaaa!!!”
Ashburnt si sbilancia, scaglia Balmung contro il nemico, prima che la piaga si trasmetta al suo corpo. Il demone chiude lo scudo, serra le palpebre. La punta della spada incontra le ali, trapassa la barriera, le piume bruciano al contatto con le tenebre. Balmung penetra all'interno, si conficca tra gli occhi e la bocca, tagliando la carne. Le piume marciscono, iniziano a cadere, falle e buchi nella protezione.
“GGGGYOOOO!”
La creatura barcolla, incredula.
“Non... non potete... ferirmi così! Io... io sono...”
Ashburnt e Mikael si scambiano un cenno di intesa, raggiungono il mostro, afferrano l'elsa nello stesso momento, l'energia sacra contrasta le tenebre, le estingue. Lo splendore delle fiamme avvolge Balmung, la libera dall'oscurità.
“Balmung ammazzadraghi, io invoco il tuo potere...”
“Rosario divino, primo mistero...”
Il demone accenna una debole difesa, agita gli artigli, tenta di sfuggire al supplizio. Troppo tardi.
“Infinity Slaaaaash!!!”
“Folgore Angelicaaaaaaaa!!!”
La spada come catalizzatore, i poteri divini si riversano all'interno del corpo della creatura, ne fanno scempio, lo squarciano senza pietà. La notte trasformata in giorno per un lungo istante, fiamme miste a scosse elettriche. Una croce grandiosa compare alle spalle del mostro, mentre le membra si scompongono, disintegrandosi. Un turbine di polvere infuocato, le ali divorate dalle tenebre, un urlo straziante, sdoppiato, disperato.
Poi, il silenzio.
Solamente silenzio e cenere.
Ledger si mette a sedere sul cornicione, abbozza un sorriso divertito.
“Visto? Cosa ti dicevo, Eden? Ci stavamo preoccupando per nulla...”
Eden non ascolta, osserva Cyrael sull'altro palazzo, scorge l'aureola nella notte scura. Le ali candide si dispiegano, il balzo, il volo verso la Luna, tra mille stelle luccicanti.
Eden scuote il capo, torna a concentrarsi su Ledger.
“Dici che padre Cross ha superato il test?”
Ledger toglie il cappello, alza lo sguardo al cielo.
“Sono una spia, non un indovino. Temo che lo sapremo solamente domani.”
Ashburnt si lascia cadere a terra, la schiena sulle piastrelle bruciate, lunghi respiri per riprendere fiato.
“Ce l'abbiamo fatta.”
Mikael abbassa la spada, la lascia scomparire tra le fiamme.
“È andato... davvero?”
“Non ne è rimasto nemmeno un atomo. Non sento più la sua presenza.”
Mikael si sdraia accanto a lui, il battito accelerato, gli occhi chiusi.
“Come ha detto di chiamarsi?”
“Non lo ha detto. Non ne ha avuto il tempo.”
Mikael richiama le ali, la voce assonnata, uno sbadiglio sonoro.
“E... adesso?”
“Adesso, dovremmo trovare un posto dove dormire... possibilmente non infestato, questa volta!”
28.
Angeli di Zenma (V)
“Come sarebbe a dire solo due camere doppie?!”
“Siamo quasi al completo. Con tutto il caos che è successo nella zona ovest della città, molti hanno deciso di passare la notte in albergo, anche se non vivevano nel quartiere colpito.”
Mikael inarca il sopracciglio, le guance divampano di rosso paonazzo.
“C... caos?!”
La ragazza al bancone annuisce, continua a controllare i registri delle presenze.
“Qualche ora fa, hanno mobilitato tutta la sicurezza per una serie di esplosioni e urla nel cuore della notte. Quando i vigili del fuoco sono arrivati sul posto, hanno trovato una scena apocalittica.”
Ashburnt si gratta la tempia con fare distratto, le pupille ridotte a puntini minuscoli.
“A... apocalittica?”
Un cenno di assenso.
“Si parla di più di quattrocentomila crediti di danno. Buona parte dei residenti è stata evacuata per ragioni di sicurezza e così...”
L'indice scorre sui fogli nel raccoglitore, picchietta su due numeri.
“... sono rimaste solamente due camere libere in tutta Zenma. Mi dispiace.”
Eden inclina il capo, le iridi rosa osservano senza comprendere.
“Non capisco... qual è il problema? Siamo solo quattro, no?”
Ledger copre gli occhi col cappello, rimane in disparte.
“Credo che la domanda giusta sia un'altra...”
La voce impostata, artificiale, nasconde un leggero imbarazzo.
“... chi se la sente di dormire con Eden?”
Eden spalanca la bocca, il volto adirato.
“Eeeeh? Perché?”
“Perché io e Mikael abbiamo... ehm... paura che i tuoi istinti prendano il sopravvento. E Ashburnt, in quanto prete, non deve essere preda di tentazioni.”
Mikael annuisce più volte, il ricordo del primo incontro ancora vivido nella memoria. Eden sbuffa come una vaporiera, sospira, si calma, gli occhi inumiditi.
“D'accordo, d'accordo. Se nessuno vuole stare con me, io posso prendere una stanza e voi tre potete stare nell'altra...”
La receptionist interrompe la conversazione
“Sono desolata, ma non credo che sia possibile. Non c'è abbastanza spazio per un terzo letto...”
Ledger rovista nella tasca dei pantaloni, ne tira fuori una moneta.
“Allora, è testa o croce tra me e Mikael.”
Mikael osserva il dischetto di metallo, lo esamina con fare sospetto.
“Non mi fido. Voglio essere io a lanciarla e a scegliere il segno.”
“Sono una spia, non un baro.”
“E qual è la differenza?”
Mikael pesa la moneta, controlla attentamente le due facce.
“Testa, vinco io. Croce, vinci tu. Pronto?”
Il pollice pronto a scattare, l'argento scintilla alla luce delle lampade.
“Via!”
**
Tabara. Motel sull'autostrada.
Due uomini alla reception. Il più giovane suona la campanella con insistenza, le unghie fucsia in bella mostra. Clevio scende le scale a passi lunghi, il secchio e la scopa ancora tra le mani.
“Eccomi, eccomi! Arrivo subito!”
Lo sconosciuto sistema gli occhiali da vista, posa i gomiti sulla scrivania. L'altro uomo getta occhiate schifate tutto attorno.
“Ho visto poche bettole peggiori di questa, Sinisa.”
“Non ci fermeremo a lungo, padre”
“No, infatti.”
Clevio apre il registro polveroso, scruta gli sguardi dei due.
“Padre? Lei è un membro della Chiesa?”
Rejo annuisce, abbozza un sorriso sornione.
“Un esorcista.”
Sinisa si scosta, lascia la scena al suo capo. Rejo raggiunge il bancone, picchietta con l'indice sul legno marcio.
“Sono qui per via delle... voci che circolano su questo posto.”
Clevio si massaggia il mento, la bocca sdentata contratta in una smorfia.
“Voci? Quali voci?”
“Le voci nella mia mente, vecchio. Sento un coro dissonante di spiriti, anime che infestano questo pianeta dopo essere state rifiutate sia dal Paradiso che dall'Inferno. E sa cosa sussurrano?”
Le mani giunte come in preghiera, le iridi blu accese.
“Che un demone ripugnante usa questo postaccio come casa. Per proteggerle.”
Clevio ingoia un grumo di saliva, le mani ossute tremano, le pupille traballano.
“U... un demone?”
Sinisa chiude le palpebre, estrae il pennello.
“Inutile fingere. Padre Rejo può percepire la presenza di qualsiasi creatura stigmatizzata dalla Chiesa nell'arco di un chilometro.”
Un gesto rapido della mano destra, l'arma ruotata come un bastone da majorette.
“Posso occuparmene io?”
Rejo scrolla le spalle con noncuranza.
“Chi sono io per deluderti?”
Sinisa sogghigna, punta il pennello verso il cuore di Clevio.
“Brucia tra le fiamme dell'Inferno, de...”
Una sferzata improvvisa, il tessuto del completo sfregiato, il braccio di Sinisa rimbalza per il colpo.
“... mone?”
Una figura imponente alle loro spalle, bende viola a fasciarne il corpo, occhi di brace.
“No, no, no. Hai sbagliato tutto, pivello.”
Sophidides apre le braccia, sguaina gli artigli.
“IO sono il demone!”
**
“Con quel pigiama sei ancora più tenera, Miki!”
“Stai zitta.”
Mikael sospira nel silenzio della camera, tira su la coperta, nasconde le decorazioni del maglione. Eden la fissa con un'espressione amabile, sdraiata prona sul letto ancora fatto, una maglietta e un paio di slip come vestiario.
“Non avrei mai immaginato che ti piacessero i pinguini! Sono così morbidosi!”
“N... non mi piacciono per niente, infatti! È... è solo che è avevo bisogno di una camicia da notte e... e ho scelto a caso!”
“Sì, sì, certo...”
Mikael si chiude a riccio sotto la trapunta, copre l'aureola con un pesante berretto di lana, pianta le unghie nel materasso.
“N... non farti venire strane idee, Eden! Posso evocare Balmung in un battito di ciglia! N... non sei sonnambula, vero?”
Eden risponde con una risatina ingenua.
“Chi lo sa?”
Mikael spegne la lampada da comò, si barrica dentro al letto.
“Maledetto Ledger... è uscita testa, Mikael. Hai vinto... la possibilità di dormire con Eden! Che peccato, avrei voluto essere al tuo posto! Pazienza, mi rifarò la prossima volta!”
“Tu non hai mai specificato che cosa significava vincere.”
“Quel bastardo è bravo con le parole. Mi ha incastrata.”
Eden si mette a sedere, le gambe incrociate.
“Davvero mi odi così tanto?”
“Una succube e un angelo. Come potremmo andare d'accordo?”
“Be', potremmo provarci...”
“Non credo proprio.”
Eden si alza in piedi, si china sul guscio di coperte a protezione di Mikael.
“Guarda che non sono così cattiva! Sono solo un po'... strana, ecco.”
Mikael si gira nel piumone, scompare totalmente.
“Stammi. Lontana.”
Eden si lascia cadere di nuovo sul suo letto, un lungo sospiro.
“Ho visto con che occhi hai guardato Liliel, oggi all'ospedale. Vi conoscete bene?”
Mikael emerge di qualche centimetro.
“E... eh? N... non so cosa hai visto, ma...”
“Cosa ne dici di raccontarmi tutta la storia? Anche se non sembra, so ascoltare.”
Mikael abbassa lo schermo, scivola fuori dalle coperte.
“Poi mi lasci in pace?”
“Dipende.”
Mikael si mette a sedere, gli occhi tremolanti, stropicciati con forza.
“Non è come pensi. Con Liliel ho solo condiviso qualcosa di importante. Di molto importante. Mi ha aiutata in uno dei momenti più difficili della mia vita.”
Un velo di lacrime appanna la vista, Mikael si lascia andare, stringe le ginocchia al petto.
“Quando... quando l'ho vista ridotta così... attaccata a quelle macchine... io... io...”
Eden abbraccia l'angelo, si siede accanto a lei, le poggia la testa sulla spalla.
“Miki, non fermarti... sfogati adesso, con me. Domani devi essere in forma, altrimenti chi convincerà Cyrael ad aiutare padre Cross? Tu sei l'unica che ha qualche possibilità di farcela...”
Mikael ricambia l'abbraccio, si stringe ad Eden.
“No. Io... io non sono nulla! Cyrael ha ragione ad essere diffidente...”
“Perché?”
Un singhiozzo, un sospiro, la voce controllata a fatica.
“Noi angeli siamo esseri assoluti. Quando prendiamo una decisione, non torniamo mai sui nostri passi, per quanto sbagliata o dannosa sia stata. Siamo stati creati così. E io, duecento anni fa... ho preso la decisione peggiore.”
Mikael chiude gli occhi, asciuga le lacrime con il dorso della mano.
“Ho impedito agli angeli di scendere in guerra contro il Maligno... perché aspettavo un ordine diretto dal Paradiso. Un ordine che non è mai arrivato.”
Le palpebre si spalancano, il battito del cuore accelerato, il fuoco della vergogna nelle iridi.
“L'Ascesa è solo colpa mia, capisci? Ho lasciato che i demoni mettessero a ferro e fuoco il mondo per la mia totale aderenza alle regole! E ora voglio rimediare... ad ogni costo!”
“Ma se gli angeli non possono pentirsi, come...”
“Io sono... cambiata. Non so come sia possibile, ma ho sviluppato un embrione di personalità, negli ultimi due secoli. Ho iniziato persino a mettere in dubbio le mie scelte! Quando ho incontrato padre Ashburnt, io... io...”
Eden la stringe ancora più forte, fino a percepire il calore della sua pelle.
“Padre Cross ha fiducia in te, Miki. Sei il suo eroe, il suo punto di riferimento, l'angelo che ha sconfitto il Maligno! E se l'hai fatto una volta, puoi riuscirci di nuovo! Forza, non puoi abbatterti così!”
Mikael respira profondamente, gli occhi leggermente socchiusi.
“Hai... hai ragione, Eden. Forse... forse ti avevo giudicata male...”
Un sorrisetto malizioso, i capelli neri accarezzati con delicatezza.
“Ssssht. Aspetta ancora un po' prima di dirlo. Potresti avere delle sorprese...”
29.
Interludio: il secondo esorcista
Un rantolo, Sinisa cerca di rialzarsi, le unghie della mano sinistra spezzate, rivoli di sangue lungo la fronte, le lenti degli occhiali venate. Uno sforzo immane, la posizione eretta guadagnata a fatica, il pennello ancora stretto tra le dita.
“Uuuugh...”
Rejo cammina con estrema calma, gli occhi chiusi, il breviario estratto dalla tasca del giaccone.
“Hai fatto un buon lavoro, Sinisa. Lo hai tenuto impegnato quanto basta.”
“Io... io posso sconfiggerlo, padre!”
“Certo, certo...”
Sophidides respira profondamente, i lacci viola lordati di rosso, i muscoli segnati dalla fatica. Un sorriso disteso, la consapevolezza di essere più forte.
“Allora, esorcista... tutto qui quello che sa fare il tuo assistente?”
Rejo inclina il capo, sarcasmo sprizzato da tutti i pori.
“Sei più stanco di quanto tu voglia mostrare, demone. In questo stato, non potrai opporti ancora a lungo.”
Un'aura dorata attorno al corpo, gli avambracci incrociati di fronte allo sterno, le iridi pulsanti. Sophidides legge lo sguardo, digrigna i denti.
“Dannazione...”
Clevio paralizzato in un angolo, le mani strette attorno alla maniglia. Lividi e graffi, il volto segnato dal terrore. Sophidides stringe gli occhi, distende gli artigli, un messaggio sussurrato, la disperazione celata con coraggio.
“Vecchio... prendine quanti puoi e portali via. Non so per quanto potrò resistere ancora.”
“So... Sophidides...”
“Vai! Presto!”
Clevio annuisce, spalanca la porta, corre a perdifiato, sparisce nelle tenebre. Rejo sogghigna, le dita cariche di energia sacra.
“Quindi lo sai già, demone. Sai già che non puoi vincere, sai già che non puoi sconfiggermi. Allora... perché combattere?”
Sophidides si mette in posizione di guardia, le bende ondeggiano nella foschia.
“Perché ho qualcosa da difendere.”
“Umpf. Che risposta scontata e priva di originalità.”
Rejo chiude i pugni, l'energia fluisce attraverso i muscoli, scorre come un fiume in piena.
“Sudario eterno, primo mistero...”
Un nugolo di garze ricopre la pelle dell'esorcista, un serpente di tela, venature rossastre, una figura impressa sul tessuto.
“... Spire della Sindone!”
**
Zenma. Hotel Alexandria, camera settecentoundici.
Due letti separati, due uomini sdraiati sopra le coperte. Nessuna voglia di dormire.
“Mi hai stupito, Ledger.”
“In che senso, padre?”
Ashburnt sistema gli occhiali sul comodino, ruota il capo verso Ledger.
“Credevo che avresti insistito per... ehm... dormire con Eden.”
Ledger sgrana gli occhi, si siede sulla trapunta, colpi di tosse ripetuti.
“P... padre! Come può pensare che io...”
“Guarda che ho visto come flirtate, non sono cieco.”
“Non... non credevo si intendesse di donne, padre!”
“Una donna è il motivo per cui mi sono fatto prete...”
Ashburnt massaggia la fronte con le dita, chiude le palpebre.
“... anche se preferisco non ricordarlo.”
Ledger annuisce in silenzio, uno sguardo fuori dalla finestra.
“Non ne ho idea, padre. L'idea di dormire con lei nella stessa camera mi dava i brividi, anche se non so esattamente perché...”
“Avevi paura che... ehm... approfittasse della situazione contro la tua volontà?”
“Le succubi sono famose per questo.”
“Già, già...”
Ashburnt sbatte le palpebre, raccoglie le idee. Un grugnito per schiarirsi la voce.
“Ehi, Ledger... tu hai mai visto il Maligno?”
“No, padre. Perché?”
“Qualche volta cerco di immaginarmi come potrebbe essere. Nei miei pensieri, è sempre un orribile demone senza un goccio di umanità. Una macchina di morte e disperazione, un mostro da fermare ad ogni costo.”
Un lungo sospiro, Ashburnt affonda la testa nel cuscino.
“Cosa succederebbe, se non fosse davvero così? Avrei ancora il coraggio di esorcizzarlo?”
**
Rejo porta la mano al viso, ripulisce la guancia dal sangue. Una pozza d'acqua per terra, il riflesso di un uomo affaticato, il corpo cosparso di lividi ed escoriazioni. Un moto di stizza, le labbra contratte in una smorfia.
“Feccia schifosa...”
Sophidides respira lentamente, in ginocchio. Il braccio destro ustionato, il braccio sinistro ricoperto di tagli, un occhio chiuso, chiazze rossastre su tutto il corpo. Rejo incrocia le mani, l'aura risplende, vibra alla massima frequenza.
“... non hai più scampo!”
“N... no!”
Sophidides stringe i denti, scatta in avanti, sfodera gli artigli. Rejo evita l'assalto per un pelo, perde la concentrazione, ringhia come un cane bastonato.
“Quante volte devo ancora colpirti? Perché continui a rialzarti?! Perché?”
Sinisa allunga la mano, tenta di attirare l'attenzione.
“P... padre Rejo...”
“Silenzio!”
Le bende si avvinghiano attorno alle braccia, il flusso divino scintilla nella nebbia.
“Ti ho quasi polverizzato, stritolato, disgregato... ma tu sei ancora qui! Non mi lasci scelta, demone! Devo esorcizzarti, una volta per tutte!”
Fruste di tela spettrale squarciano l'aria, percuotono Sophidides da ogni lato, lo lanciano contro le pareti, lo riprendono, lo scagliano in alto, lo afferrano per il collo, lo trascinano contro il pavimento, una, due, tre volte. Sophidides immobile, accasciato al suolo, il battito irregolare.
“È stato più difficile di quanto pensassi...”
Un'eco sottile, un coro dal nulla, decine di voci unite in un triste lamento.
“Sophidides!”
“No, Sophidides!”
“Non ti lasciamo da solo!”
Sinisa si trascina fino al corpo, preme la montatura degli occhiali contro il naso.
“P... padre?! Cosa sono... da dove vengono queste voci?!”
Rejo stringe gli occhi, le pupille ridotte a puntini minuscoli.
“Gli spettri che avevo percepito.”
Un ringhio inumano, Sophidides solleva il capo dal pavimento, si guarda attorno con l'unico occhio sano.
“N... no! Andatevene! Perché... perché non avete seguito Clevio?”
I bambini si dispongono attorno al demone, gli fanno scudo con il corpo.
“Non possiamo lasciarti qui!”
“Hai fatto tanto per noi!”
“Signore, ti prego! Risparmialo! Sophidides non è cattivo!”
Rejo incrocia le braccia, scuote il capo.
“Un demone e delle anime perdute. Che accoppiata vomitevole.”
Il rumore di un motore, una moto di grossa cilindrata, il ruggito dell'acceleratore. Sinisa si volta verso l'ingresso, corre malamente verso la porta del motel. Un chopper in lontananza, colonne di fumo grigio dagli sfiati. Una rapida occhiata all'auto a noleggio.
Alle gomme tagliate.
Sinisa urla come un ossesso, la voce acuta, squillante.
“Il vecchio è fuggito! Ha messo fuori uso la nostra macchina! Dobbiamo...”
Rejo alza la mano, il palmo esteso in un gesto eloquente.
“Ho detto silenzio! Non mi interessa ora!”
I bambini tremano, si abbracciano l'un l'altro, si chiudono attorno a Sophidides, coprono il suo sguardo disperato. Rejo alza la voce, un tuono roboante scuote il palazzo fino alle fondamenta.
“È giunto il momento di purificare il Creato dalla vostra presenza!”
Sophidides richiama le ultime forze, grida a perdifiato.
“A... aspetta! Risparmia i bambini, ti prego! Loro... loro non hanno alcuna colpa!”
Un lampo di compassione nelle iridi bluastre.
“I bambini, già... piccole creaturine spaventate ed innocenti...”
Finta compassione, trasformata in disgusto nell'arco di un istante. Uno sputo per terra,
“... così innocenti da essere state lasciate qui, ad inquinare il mondo con la loro sola presenza!”
Rejo congiunge le mani in preghiera, i capelli oscillano, il giaccone si solleva come mosso dal vento. L'aura divampa, una fiamma dorata accesa attorno alla figura imponente. Bende eteree emerse dalla schiena, a raggiera, i tentacoli di un polpo. Rejo chiude le palpebre, scandisce le sillabe in una litania arcana e monotona.
“Sudario eterno, terzo mistero...”
Gli occhi si spalancano, le spire si riavvolgono, circondano l'esorcista.
“Tomba del Golgota!”
Extra!
Guida alla pronuncia dei nomi
Ehm... salve a tutti. Sono Akhnari, il cacciatore di angeli. Finalmente posso presentarmi come si deve! Nella storia principale sono morto senza nemmeno avere il tempo di pronunciare il mio nome. Non preoccupatevi, ho già inviato una lettera formale di protesta all'autore, chiedendo cortesemente di essere resuscitato, pena l'incendio casuale della sua bicicletta.
Ma torniamo a noi! Sicuramente, vi sarete chiesti almeno una volta come diavolo si pronunciano i nome dei personaggi di Cross! Beh, anche se non ve lo siete chiesto, vi rispondo lo stesso!
Thornheart Ashburnt va pronunciato approssimativamente come Fòrnaart Àshbeernt, seguendo la pronuncia italiana, con quella th/via di mezzo tra f e v che piace tanto agli inglesi.
Ledger Mihowck va letto come Légger Miòoc, con la c dura finale e la prima e chiusa e accentata.
Per Eden credo non ci siano problemi e neppure per Mikael (che per i puristi dell'italiano possiamo scrivere come Mìcael, con la a e la e pronunciate separatamente – niente dittongo latino, eh!).
Per la cronaca, Balmung va letta così come si scrive, con l'accento sulla a.
Ilias si pronuncia come si scrive (accento sulla prima i, mi raccomando!), così come Liacono Argento, Clevio e Vooran.
Sophidides, invece, va letto come Sofìdides, con l'accento sulla prima i.
Per rimanere in tema di demoni, Bell Z. Booth si pronuncia più o meno come come Bell Zi Bùuf (per la th finale vale lo stesso discorso fatto in precedenza!).
Passiamo ora alle mie carissime prede!
Djibriel sembra parecchio brutto da leggere, ma in realtà va semplicemente pronunciato come Gìbriel, con la g dolce di valigia.
Rafael e Liliel si pronunciano esattamente come sono scritti, mentre Cyrael va letto più come Sìrael (niente ai al posto della y, chiaro?). L'accento è sempre sulla prima sillaba per queste graziose, succulente creaturine!
Sto dimenticando qualcuno? Ah, sì! I due personaggi in cerca di autore comparsi dal nulla in questi ultimi cinque capitoli!
Sinisa Kasher è particolarmente infame, visto che l'autore ha deciso – con vari gradi di arbitrarietà – che va pronunciato Sinìza Chèsher, con la z al posto della s e il gruppo ch duro a sostituire la k. Non va molto meglio a padre Yanma Rejo: il primo istinto è leggerlo come Ianma Reho, ma in realtà la pronuncia corretta è Ianma Reio. Qualcuno può spiegarli che avrebbe dovuto sostituire la j con una y per ottenere l'effetto giusto?
E ora, finalmente, è il mio momento! Il mio nome non è difficile da pronunciare, basta... e-ehi! Un momento! Non ho ancora finito! No, non puoi chiudermi l'extra così! È... è per la bicicletta? Giuro che è stato un incidente, io non c'entro nien...
<Le trasmissioni sono state interrotte per un inconveniente tecnico. Ci scusiamo per il disagio.>
30.
Angeli di Zenma (VI)
“Non so se congratularmi con voi o uccidervi.”
Cyrael si sistema i capelli con tranquillità, appoggia i gomiti al tavolino.
“Il demone che stava terrorizzando Zenma è stato distrutto... così come buona parte del quartiere ovest della città. Stiamo parlando di circa cinquecento persone evacuate in fretta e furia, nel cuore della notte.”
Ashburnt scrolla le spalle, tiene gli occhi fissi sull'angelo.
“Non ho badato ai danni collaterali. E sono riuscito dove voi avete fallito.”
“Questo non lo metto in dubbio, ma...”
Mikael irrompe con uno sbadiglio, interrompe il discorso. Occhiaie spesse, la faccia di chi non ha dormito bene.
“Scusate, ho passato una notte un po'... difficile.”
Eden si distende vivacemente sulla sedia, fresca come una rosa.
“Io, invece, ho dormito come un sasso! Era da un secolo che non riposavo così bene!”
Ledger osserva le due ragazze con attenzione, sposta lo sguardo su padre Ashburnt, su Cyrael, tiene sotto controllo la situazione. Un colpetto di tosse, Cyrael sbatte la mano sul tavolo.
“Ehm... possiamo continuare?”
Silenzio nella saletta, i quattro annuiscono quasi all'unisono.
“Ieri, vi ho promesso che se vi foste occupati dell'assalitore, avrei riconsiderato la vostra proposta.”
Mikael emerge dal torpore, un luccichio speranzoso negli occhi.
“Quindi, ci aiuterai? Grazie, sorellina!!! Sapevo che non mi avresti...”
“No.”
“... delusa?”
Cyrael lascia il posto a sedere, volge la schiena ai presenti.
“Gli angeli di Zenma non seguiranno padre Ashburnt nella sua crociata.”
Mikael si alza di scatto, lascia cadere la sedia per terra.
“C... cosa?! Stai scherzando, vero?! Avevi promesso...”
Cyrael digrigna i denti, incrocia lo sguardo della sorella.
“Ho detto solo che avrei rivalutato la vostra richiesta di aiuto, non che l'avrei accettata! Ed è esattamente quello che ho fatto! Ho ripensato a tutto ciò che mi avete mostrato, alle vostre parole, alle tue raccomandazioni! Ma non ho cambiato idea!”
Il braccio steso, l'indice puntato verso Ashburnt.
“Lui non è quello giusto! Non è quello che aspettavamo, altrimenti il Signore ci avrebbe mandato un segno, ci avrebbe ordinato di intervenire!”
“Quindi vuoi rimanere qui, senza fare nulla, mentre il mondo cade a pezzi, solo perché non abbiamo ricevuto una chiamata alle armi ufficiale?!”
“Sbaglio o è lo stesso motivo per cui duecento anni fa mi hai impedito di soccorrere gli umani, Mikael?! Perché se lo dici tu va bene e se lo dico io no?”
Mikael stringe il pugno, i muscoli tremanti.
“Perché ho capito di aver sbagliato! Io ho girato per il mondo, mentre ti godevi la vita qui a Zenma! Ho conosciuto la devastazione, la miseria, ho assistito alla ricostruzione della civiltà! Sono entrata anche nel territorio del Maligno, ho visto cosa c'è dall'altra parte del Confine! Cyrael, mi sono accorta di aver commesso un errore, un errore enorme... e ora voglio rimediare! La comparsa di Ashburnt, il ritorno della Vera Croce... questi sono segnali che stavamo aspettando! Non possiamo ignorarlo!”
“Basta!”
Cyrael sbatte entrambe le mani sul tavolino, l'aureola pulsa ad alta frequenza.
“Ormai ho deciso. Non riuscirai a farmi cambiare idea!”
“È la tua ultima parola?”
“Sì.”
Uno schiaffo secco sulla guancia destra, la testa di Cyrael ruota per la violenza dell'impatto.
“E io che mi fidavo di te...”
Cyrael si massaggia la pelle arrossata, respira profondamente, le pupille ristrette, l'ira pervade il volto, fluisce come un fiume in piena.
“M... Mikael?”
Mikael le dà la schiena, si gira senza considerarla.
“Andiamo, padre. Nessuno ci aiuterà, qui a Zenma. Dovremo fare tutto da soli.”
Ashburnt annuisce gravemente, lascia il posto a sedere.
“Me l'aspettavo, non preoccuparti. Almeno, ci abbiamo provato.”
Ledger ed Eden si alzano subito dopo, abbandonano la stanza senza dire una parola. Cyrael li osserva immobile, una lacrima trattenuta a stento, la voce ridotta ad un sussurro.
“Miki... è una follia. Perché non te ne rendi conto?”
Un respiro profondo, la tensione sciolta. Cyrael arretra lentamente in direzione delle terme, si allontana dall'ingresso, il rumore del silenzio ad accompagnare il suoi passi.
Un silenzio pesante come un macigno.
**
“Hai caricato i bagagli?”
“Sì, ho appena finito...”
Il bagagliaio si apre per la pressione, Ledger vola a terra per il contraccolpo.
“... beh, più o meno.”
Ledger si rialza, pulisce il cappello dalla polvere, lo preme sulla zazzera castana.
“Potete spiegarmi com'è che io e padre Ashburnt abbiamo giusto uno zaino a testa, mentre voi due...”
Eden sbuffa risentita, raggiunge il retro della dune buggy.
“Io ho solamente due borsoni! Uno per i cambi e uno per gli spuntini! Devo tenerli separati, altrimenti non riesco a resistere e...”
“S... solo due? Allora, vuoi dirmi che tutte le altre valigie sono di...”
“Sì? Qualcosa in contrario?”
Mikael compare alle sue spalle, le iridi dorate avvampano furiose. Ledger sgrana gli occhi, agita la mano di fronte al viso.
“N... no! Nulla! Nulla! Va tutto bene! Ho... ho solo bisogno di aiuto per caricarli sull'auto!”
Ledger raggiunge una delle valigie cadute dall'auto, tenta maldestramente di richiuderla. Alcuni vestiti scivolano fuori, si spargono sull'asfalto. Ledger osserva con curiosità, un sorriso divertito nascosto dalla sciarpa.
“Un pigiama con motivo a pinguini?”
Mikael arrossisce, il furore trasformato in imbarazzo.
“E... ehi! Non è educato rovistare nella borsa di una ragazza!”
Eden unisce le mani, fissa Mikael con occhioni sognanti.
“Io trovo che ti stia benissimo! Sei così carina, tutta intabarrata in quel pigiamone! E poi, è anche facile da togliere e ha un ottimo sapore! Certo, non quanto la tua pelle, ma...”
Ledger e Mikael si irrigidiscono, i volti paonazzi, le pupille ridotte a puntini invisibili. Ledger balbetta qualcosa di incomprensibile, la voce tremante.
“... non dirmi che voi due...”
Mikael agita entrambe le braccia con foga, la testa scossa con violenza.
“N... no! A... assolutamente no! Qualunque cosa tu stia pensando, non è così! Non è successo niente, ieri notte!!! Non... non mi sono appartata con una succube nella mia camera di albergo perché mi sentivo triste e avevo bisogno di essere consolata! V... vero, Eden?! Diglielo anche tu che abbiamo ronfato come ghiri!”
Eden si esibisce in un sorriso a trentadue denti.
“Vorrei ben vedere! Dopo tutto il movimento che abbiamo fatto insieme...”
Il volto di Mikael attraversa tutti i colori dell'arcobaleno, fino ad assestarsi su un blu cianotico. Ledger allibito, la mandibola disarticolata, nascosta a malapena dalla sciarpa. Mikael gli stringe il polso con forza, sudore freddo lungo la fronte.
“N... non crederle! Sta dicendo tutto questo solo per farti ingelosire! È... è ovvio che sta puntando a te! Mi sta usando solo per rendersi più interessante!”
Eden sorprende Mikael alle spalle, la abbraccia a tradimento.
“Oh, Miki! Sei così tenera quando provi a dire una bugia!!!”
“No! Ledger! Non è veroooooo!”
Ledger sistema la sciarpa, preme il cappello fino a nascondere gli occhi con la tesa.
“T... torno a caricare la macchina, okay? Non ho mai visto il pigiama con i pinguini e non ho mai assistito a questa conversazione. Altrimenti, la mia sanità mentale rischia di essere seriamente compromessa.”
Ashburnt compare dall'altro lato della strada, una tanica di carburante tenuta con entrambe le mani.
“Abbiamo circa venti litri di benzina qui, più quasi trentacinque nel serbatoio. Per un po' dovrebbe bastare.”
Un'occhiata al bagagliaio strapieno, il sopracciglio inarcato.
“Di chi è tutta questa roba?!”
Ledger risponde con un grugnito, mentre si accomoda sul sedile anteriore.
“Non chieda, padre. È meglio per lei.”
“E dove dovrei mettere questa tanica?!”
“Forse c'è un po' di spazio tra il mio zaino e il borsone di Eden. Se comprime bene...”
Ashburnt si fa strada tra le valigie, libera qualche decimetro quadro, inserisce a forza il contenitore, chiude il portellone posteriore. La fronte madida, un fazzoletto ad asciugare il sudore.
“Finito. Possiamo partire.”
Ashburnt entra nella macchina, si accomoda sul sedile posteriore accanto a Mikael. L'angelo ancora in stato di shock, il volto vermiglio.
“Ehi, cos'hai? Tutto a posto?”
“Affari miei, padre.”
Rumore di passi, una voce dall'esterno.
“Mikael! A... aspetta!”
Mikael si sporge dal lato, guarda verso il retro del veicolo.
“Oh!”
Una ragazza piuttosto alta, i capelli bianchi a caschetto, pelle biancastra, iridi viola. Un paio di pantaloni di tuta larghi, una t-shirt a righe orizzontali, la schiena scoperta.
E due ali mozzate, all'altezza delle scapole.
Mikael nasconde la commozione, scende dall'auto con un salto.
“Liliel! Ti hanno dimessa!”
“Beh, non proprio...”
Un abbraccio fraterno, i due angeli stretti l'uno all'altro.
“Sono scappata dall'ospedale, dovrei essere ancora sotto antidolorifici... ma dovevo salutarti prima della tua partenza!”
“Come stai?”
Liliel trattiene le lacrime, si fa forza.
“Le mie ali... non ricresceranno più. Non posso nemmeno far sparire i moncherini...”
“N... non importa, Liliel! Sei sempre bellissima!”
Liliel stringe con tutte le sue forza, posa la testa sulla spalla di Mikael.
“Cyrael mi ha raccontato tutto. Nessun angelo vi seguirà fino al Confine... e io sarei solo un peso, conciata così. Mi... mi dispiace, Mikael...”
Mikael le accarezza i capelli, evoca le ali, lascia che avvolgano entrambe.
“Puoi aiutarmi lo stesso, sorellina.”
“Come?”
“Lascia Zenma, viaggia per il mondo, guarda con i tuoi occhi quello che è successo attorno a noi... per colpa mia. Se sarai tu a raccontarlo a Cyrael... forse, cambierà idea.”
“Miki, io là fuori, non resisterei nemmeno un giorno! Non ho la tua arma! Io... io non sono forte quanto te!”
“Hai ragione, Lili...”
Mikael apre le braccia, richiama le ali, si allontana di qualche passo, raggiunge la vettura senza distogliere lo sguardo.
“... tu sei più forte.”
“A... aspetta!”
Mikael salta dentro la dune buggy, senza dire altro. Il rombo del motore, l'acceleratore premuto a tavoletta, lo stridore degli pneumatici. Eden ingrana la marcia, l'auto parte a tutta velocità, lasciandosi Zenma alle spalle.
Liliel resta immobile per qualche minuto, osserva la sagoma ormai lontana, la colonna di fumo nero emesso dallo scarico, senza distogliere lo sguardo. Il buggy scompare oltre l'orizzonte, sotto gli strali tiepidi del Sole.
Liliel si asciuga le lacrime, cammina lentamente verso l'ospedale, il dolore alle ali torna a farsi sentire. Un rombo sordo dall'altro capo della strada, una moto di grossa cilindrata. Il clangore metallico del cavalletto, una voce lamentosa.
“Aiuto...”
Liliel si volta di scatto, strabuzza gli occhi.
Un uomo anziano in pessime condizioni, a cavallo di un chopper. Insieme a due bambini. Una folla radunata attorno ai nuovi arrivati. Uomini, donne, angeli, completamente incapaci di agire. Il vecchio smonta dalla moto, fa due passi, crolla a terra. I bimbi gli si stringono attorno, si siedono accanto a lui. Liliel corre verso di loro a perdifiato, si china sull'anziano, controlla le pulsazioni.
“Presto! Chiamate un medico! Quest'uomo sta male e questi bambini...”
Un tremito attraverso tutto il corpo, un sussulto di sorpresa.
“E... eh?! Questi non sono bambini! Sono... sono spiriti!”
31.
Il Confine (I)
Il soffio impetuoso del vento, nubi di polvere a saturare l'aria, la luce del Sole filtra attraverso la cappa giallastra. I fianchi titanici del canyon, montagne altissime da entrambi i lati della gola. Contorni frastagliati, irregolari, come causati da un gigantesco impatto. Ashburnt sistema gli occhiali con calma, li ripulisce con un panno umido. Mikael dispiega la cartina sul cofano del buggy, tiene gli angoli per non farla volare via. L'indice di Ledger scorre sulla mappa, traccia il percorso con sicurezza.
“La strada asfaltata finisce qui. Dovremo procedere con prudenza, da ora in poi.”
Ashburnt appoggia la schiena al fianco dell'automobile, gli occhi puntati al cielo.
“Quanto manca, Led?”
“Non molto. Una volta passata la faglia di Plutone, siamo dentro al territorio del Maligno.”
“Troveremo una dogana o qualcosa del genere?”
“A metà del canyon, dovrebbe esserci un posto armato della Santa Sede...”
Ledger preme il cappello sulla testa, si volta verso la gola.
“... ma le comunicazioni sono cessate qualche anno fa.”
“E nessuno è più andato a controllare?”
“Ilias stava allestendo una spedizione, ma ha ricevuto il veto del Santo Padre. Per lui, era più importante fortificare Qambura che rischiare uomini e mezzi per riconquistare un pezzo di deserto desolato.”
“Uh, uh...”
Ashburnt osserva il canalone, lo sguardo rivolto allo strapiombo.
“Com'è il passaggio ad El Vahio?”
“Molto simile. Uno stretto valico tra due catene montuose.”
“Due percorsi obbligati, eh?”
Ledger annuisce, il dito scorre lungo la mappa, picchietta sulla frontiera.
“Non sarà uno scherzo. Dobbiamo essere pronti a tutto. Anche alla fuga, se necessario.”
Mikael solleva lo sguardo dalla cartina, passa in rassegna i due compagni di viaggio.
“Cosa ne dite di attraversarlo in volo? Io sono abbastanza forte da sollevare almeno un'altra persona. In tre viaggi...”
Ledger scuote il capo, punta l'indice al cielo.
“Ci ho pensato anche io, ma non può funzionare: queste zone sono infestate da stormi di schelaironi. Sarebbe troppo rischioso. Inoltre, non potremmo portarci dietro la macchina.”
Eden incrocia le mani sul volante, un lungo sospiro.
“Quindi non abbiamo altra scelta, giusto? Dobbiamo guidare là dentro?”
Ledger arrotola la carta, si siede all'interno del veicolo.
“Purtroppo sì. Qualche problema?”
Eden abbassa lo sguardo, tensione palpabile in tutto il corpo.
“Quando sono stata cacciata da Booth, sono passata da lì. L'avamposto umano era già stato abbandonato da tempo, quindi non c'era bisogno di una guardia di soglia. Spero che le cose non siano cambiate... in peggio.”
Ledger le posa la mano sulla spalla, piccoli massaggi per cercare di tranquillizzarla.
“Su, non essere così pessimista. Non è necessario che vada sempre tutto nel peggiore dei modi.”
“Hai ragione. Pensiamo positivo!”
Mikael prende posto sull'auto, Ashburnt resta fuori ancora per un attimo, si fa il segno della croce, una preghiera in silenzio, gli occhi chiusi. Eden fa capolino dall'abitacolo, il braccio agitato con foga.
“Padre Cross?”
“Accendi il motore, Eden...”
Le palpebre spalancate, il fuoco dell'ira divampa nelle iridi.
“... sono pronto.”
Ashburnt sale sul veicolo, Eden distende i nervi, agguanta il volante con decisione, gira la chiave. L'auto parte in sgommata, sbuffi di fumo biancastro dagli scarichi, l'acceleratore a tavoletta.
“Yu-uuuuh!”
La dune buggy scivola sulla sabbia, dribbla gli ostacoli tra i cactus e le rocce, si fa strada dentro al canalone. Schelaironi in volo, alti nel cielo, venti, trenta esemplari in formazione, ignorano completamente l'automobile, attratti da prede più grosse. Arbusti rinsecchiti emersi dagli anfratti, pietrisco ai lati della gola, ricordi di frane avvenute secoli prima. Alcuni cuccioli escono dalle tane, attratti dal rumore. Ashburnt si sporge dal lato del veicolo, l'indice e il medio uniti.
“Rosario divino, primo mistero... Folgore Angelicaaaaaa!!!”
Strali scintillanti dalla punta delle dita, i corpi dei demoni come parafulmini. I cuccioli si disintegrano prima ancora di rendersene conto, esplosioni da ogni lato. Eden scala la marcia, prende una cunetta, le sospensioni rimbalzano, l'auto salta come un canguro. Un goliath osserva senza fiatare, si ritrae in una fenditura. Chiazze d'ombra sul terriccio compatto, onde concentriche a frammentare la realtà. Cinque cuccioli si affacciano fuori dalla sabbia, snudano gli artigli.
“Ce ne sono altri!”
“Esorcizzerò anche loro!!!”
L'energia sacra accumulata, scaricata in un rapido movimento della mano. Una croce sfavillante precede la dune buggy, incenerisce tutto ciò che incontra sul suo cammino. I cuccioli bruciano, consumati da fiamme, la croce si dissipa in un mare di scintille, perde intensità, si ferma. L'auto sfreccia attraverso la figura evanescente, atterra su una pista di asfalto crepato. Eden ruota il volante, l'auto si gira di traverso, la curva presa in derapata.
“Fra poco dovremmo arrivare alla frontiera!”
Una macchia scura sulla parete di roccia, un echidna balza fuori dalle tenebre, i lunghi arti piegati per attutire la caduta, furia cieca negli occhi di brace. Eden lancia un'occhiata allo specchietto, il corpo nero occupa la visuale.
“Ne abbiamo uno in coda!”
Mikael si aggrappa al tettuccio, Balmung compare tra fiamme scarlatte, impugnata saldamente nella mano destra.
“Balmung ammazzadraghi, io invoco il tuo potere! Infinity Slaaaaash!”
Un'onda di fuoco diagonale in rapida espansione, l'echidna salta per evitarla, carica gli aculei.
“Folgore Angelicaaa!!!”
Ashburnt genera una croce, la dirige verso il mostro. L'impatto tremendo, metà del corpo carbonizzata, l'urlo di dolore, la caduta. E il calore di Balmung a fondere ciò che resta.
Un edificio in lontananza, un casermone grigio, basso, finestre quadrate. Eden alza il pugno al cielo, un urlo di gioia.
“La dogana!”
Ledger aguzza la vista, la pupilla si restringe, un ronzio acuto dall'occhio.
“È abbandonata. Non c'è nessuno!”
Eden scrolla le spalle, preme a fondo l'acceleratore.
“Non importa. Non avevo alcuna intenzione di fermarmi.”
La sabbia si gonfia, rocce in movimento. Uno spruzzo di terriccio, una lama bianca emerge dal terreno, si inabissa subito dopo. Ledger si stropiccia le palpebre, un istante di panico.
“Cos'era quell'affare?!”
Eden controlla il retrovisore con la coda dell'occhio.
“Quale?”
Ledger ruota il capo a destra, a sinistra, la vista spazia attorno alla vettura senza risultati.
“Niente. Devo essermelo immaginato.”
Mikael distende il braccio, indica una sbarra sollevata.
“Ci siamo, stiamo per attraversare la barriera!”
L'auto supera la caserma, sfiora i muri corrosi dal tempo, senza rallentare. Ledger grida a squarciagola, abbassa la sciarpa per liberare la bocca.
“Ce l'abbiamo fatta! Siamo entrati nel territorio del...”
Uno stridio acuto, a volume altissimo. Un geyser di sabbia esplode all'improvviso di fronte alla macchina, sassi e ghiaia lanciati in aria per centinaia di metri.
“Reggetevi!”
Eden sterza bruscamente, preme a fondo il pedale del freno, arriva quasi al bloccaggio delle ruote, riesce a stabilizzare la vettura. Un'ombra maestosa si staglia sul deserto, oscura il Sole, si eleva dal suolo per cinque, dieci, venti metri. Una sagoma immensa stagliata controluce, bianco perlaceo, una catena di vertebre senza fine, la coda immersa nel terriccio. Testa triangolare bombata, muso smussato, due fessure vuote come occhi. Zanne da squalo, la mandibola inferiore nascosta dal cranio. Sedici paia di costole di lunghezza decrescente, aperte come ali d'angelo, una spina sul dorso di ogni vertebra, perfettamente simmetrica. Tre cuori pulsanti, al centro del petto, un intrico di vene e arterie incastonate nel materiale osseo, la gabbia toracica a loro protezione. Eden strabuzza gli occhi, spalanca la bocca, il battito del cuore accelera all'impazzata.
“No! No!”
Ashburnt si precipita fuori dal veicolo, osserva con un misto di orrore e ammirazione.
“C... che cos'è?!”
“Via di qui, presto! Quello... quello è un leviatano!”
La lama scatta, emerge alle spalle dei quattro, chiudendo ogni via d'uscita.
E un macabro urlo rauco segnala l'inizio della caccia.
32.
Il Confine (II)
“U... un leviatano?”
Eden annuisce, la disperazione prende possesso del suo animo.
“Un'entità che nasce dai resti di demoni uccisi! Quando uno dei miei simili muore, ciò che rimane del suo corpo viene riassorbito dall'Inferno e rimescolato alle tenebre...”
La lama caudale fende l'aria, si pianta a pochi metri di distanza dall'auto. Ashburnt salta all'indietro, protegge il volto con le mani.
“Le spiegazioni a dopo, altrimenti siamo morti!!!”
“Non so se ci sarà un dopo! Padre Cross, il leviatano è...”
Ashburnt non ascolta, divarica le gambe, unisce le mani.
“Rosario divino, secondo mistero...”
I pugni puntati alla testa della creatura, le iridi verdi trasudano disgusto, ira, rabbia repressa sul punto di esplodere.
“... Fiamme di Sodomaaaaaaa!!!”
Un'ondata di calore e vampe scarlatte, la luce del Sole oscurata per un lunghissimo istante. Il leviatano investito in pieno, la figura avvolta completamente dall'energia sacra, una nuvola grigia sollevata dall'onda d'urto.
Silenzio.
Nessun movimento.
Solo il brusio del vento.
Ashburnt abbassa le braccia, respira profondamente, continua a fissare la nube, tenta di scorgere il cadavere del mostro.
“Non ci è voluto così tanto...”
Uno stridio allucinante, le fauci spalancate, i denti mostrati con gioia crudele. Ashburnt sgrana gli occhi, la mandibola disarticolata per la sorpresa.
“N... niente? C... come...”
Eden gli afferra il braccio, lo scuote con violenza.
“Padre, era quello che stavo cercando di dirle! Il leviatano è un concentrato di materiale demoniaco protetto da un involucro di ossidiana e materiale calcareo! Non lo può uccidere dall'esterno!”
“E dall'interno?”
“I suoi succhi gastrici sono simili a quelli degli schelaironi!”
“Maledizione!”
Il leviatano dispiega le costole alari, un globo bluastro prende forma su ogni punta, si ingrandisce, diventa sempre più intenso. Una voce roca, multipla, un coro dissonante di urla inumane.
“Bruciate... perite... morite... i miei... nostri... fuochi fatui... fame... ora! Ora!!!”
Le costole si richiudono a scatto, i globi scagliati a massima velocità, scie azzurrognole a squarciare l'aria. Ledger estende il braccio, scariche lucenti attorno alla spalla monca.
“Mano Fantasma – Mitra Spettrale!”
Ledger scatena la contraerea, decine di proiettili scagliati alla massima velocità. I globi esplodono prima di raggiungere terra, una serie di scoppi cerulei in aria. Il leviatano agita la coda, si tuffa nel terreno, distorce la realtà, scompare tra le pieghe dimensionali.
Ledger arresta il fuoco di sbarramento, si guarda attorno cercando di individuare il nemico. Mikael impugna Balmung con entrambe le mani, evoca le ali, l'aureola risplende come una stella nel cielo notturno. Ashburnt rimane in vigile attesa, tutti i sensi all'erta. Eden chiusa a riccio, dietro la dune buggy, la testa tra le mani.
“Li sento! Sento le loro voci, i loro insulti! M... mi chiamano, padre Cross! A... aiuto!”
“Eden! Non adesso!”
“M... ma padre...”
Un rigonfiamento nell'asfalto, le spine dorsali fendono il terreno, preannunciano l'emersione. Mikael balza in avanti, la spada sollevata.
“Infinity...”
L'impatto con suolo, Balmung conficcata nel terreno arido.
“... Slaaaash!”
Un'onda scarlatta emessa dalla punta della lama, una colonna verticale di fiamme. Il leviatano esce allo scoperto, troppo tardi per evitare il colpo. Il fuoco sacro raggiunge l'ossidiana, brucia la superficie, divampa, si estingue. Una chiazza nerastra sulla vertebra, una ferita poco profonda, nessun danno serio. Il leviatano non devia, continua a stringere il cerchio attorno alle prede. Altri globi azzurri generati dalla punta delle costole, il bombardamento riprende alla massima intensità.
Ledger risponde colpo su colpo, una salva in direzione contraria. Alcuni proiettili sfuggono, si schiantano a poca distanza, aprono crateri nelle pareti di roccia.
“Sono troppi! Da troppe direzioni! Non riesco a fermarli tutti!”
Ashburnt si volta verso Mikael, un grido acuto per attirare l'attenzione.
“Perché non gli ha fatto niente?! Non avevi detto che Balmung può tagliare quasi qualsiasi materiale?”
“Balmung sì, ma non i suoi attacchi a lunga gittata! Devo arrivare al contatto diretto per fargli davvero male... ma non riesco ad avvicinarmi!”
Ashburnt alza lo sguardo verso il leviatano, osserva con raccapriccio la raffica di sfere azzurre. Le spine delle vertebre si erigono a formare un recinto attorno ai quattro, delimitano la zona di caccia.
“Siamo in trappola...”
Ledger scuote il capo, getta un'occhiata rassegnata ad Ashburnt.
“Padre! Lei deve raggiungere il territorio del Maligno, ad ogni costo! Cercherò di distrarlo, ma dovrete proseguire senza di me!”
“Ledger!”
“Ugh!”
Ledger colpito di striscio da una sfera, il cappellaccio trascinato via dall'onda d'urto, i capelli castani oscillano al vento.
“Bastardo! Mitra Spettraleeeee!!!”
Ledger intensifica il fuoco di sbarramento, mira alle costole invece che ai proiettili. Il leviatano sbilanciato dalla raffica di colpi, l'ossidiana leggermente incrinata.
“Voi... sarete il nostro cibo... tu... il prete... l'angelo... la traditrice...”
Le spire si stringono, marcano un cerchio di morte. Gli aculei delle vertebre circondano completamente l'area, si incrociano, impediscono l'uscita. Mikael cammina verso il mostro, si protegge con Balmung, tenta invano di guadagnare metri. Ashburnt si guarda attorno, cerca una via di fuga.
“Dov'è Eden?”
Un movimento dietro all'auto, il corpo tremante di una ragazza. La pioggia di proiettili manca il bersaglio di poco, deviata continuamente da Ledger.
“Eden! Fai qualcosa! Non restare ferma lì, oppure...”
“... le voci, padre! Le voci...”
“Cazzo!”
Ashburnt scatta verso il veicolo, senza perdere di vista il leviatano, i movimenti rapidi della testa, il flusso continuo di fuochi fatui. La lama caudale si anima senza preavviso, un taglio orizzontale verso il prete.
“Padre!”
Mikael brandisce la spada, si frappone tra Ashburnt e la ghigliottina. Una pioggia di scintille all'impatto, il metallo rovente, l'ossidiana crepata.
“Balmung ammazzadraghi... ugh... io invoco il tuo potere...”
Il leviatano preme con forza, la forza di mille demoni concentrata sulla punta, pressione infinita. Mikael sprofonda nel terreno, mantiene la posizione, le ali risplendono, l'aureola al massimo della luminosità.
“Infinity Slaaaash!”
Balmung avvolta dall'aura divina, il metallo vermiglio si anima, la fenice si risveglia. L'ossidiana cede di schianto, si sgretola, la lama attraversa senza fatica l'osso, la pietra, taglia l'essenza nera, i nervi della bestia.
Un urlo rauco di dolore, il coro dissonante degli inferi. Ashburnt salta oltre la coda, corre verso la macchina. Mikael alza la lama, indica il torace del mostro.
“Ora, Ledger! Ora!”
Ledger sfrutta il momento, si inginocchia, la mano destra premuta contro l'asfalto.
“Mano Fantasma – Fucile Spettrale...”
L'arto etereo si trasforma in un cannone, l'indice in un proiettile, medio e anulare ripiegati a mirino. La pupilla si dilata, si contrae a ritmo, il ronzio metallico degli ingranaggi, il bersaglio agganciato.
“... Sharpshooter Inferno!”
Un aculeo supersonico, Ledger sbalzato indietro per la violenza del rinculo. Il leviatano colto di sorpresa, prima che possa reagire. Il proiettile spezza la gabbia toracica, trafigge uno dei cuori laterali, lo spappola brutalmente, fiotti di sangue verdastro colano lungo le ossa. Un lungo ruggito sofferente, le vene e le arterie si intrecciano, i fluidi coagulano, bloccano le perdite.
Ashburnt balza dietro la dune buggy, trova Eden rannicchiata. Il terrore negli occhi, respiro intermittente, le orecchie tappate a forza con le mani.
“Eden! Alzati! Qui sei in pericolo! Se stai ferma troppo a lungo, quel coso...”
“No! No! Non voglio ricordare! No! Lasciatemi in pace! Sono una di voi, capito?! Lasciatemi in pace!!!”
Ashburnt le cinge le spalle, scuote con forza.
“Eden! Sono io, Ashburnt! Ascoltami! Dobbiamo andarcene! Quel coso si sta leccando le ferite, non avremo un'altra possibilità!”
Eden abbassa le mani, le iridi rosa riprendono vita.
“Padre Cross...? Perché... preoccuparsi per me? Io sono una succube...”
Ashburnt tenta di sorridere, la abbraccia con forza.
“E chi se ne frega! Sarai anche una succube molesta, infantile e poco dotata... ma sei la nostra Eden! L'unica tra noi che sa guidare una macchina! Non possiamo andarcene senza di te!”
“Padre... mi stanno chiamando! Tutti i demoni che conoscevo, tutti quelli assimilati da quel leviatano... mi vogliono con loro! Vogliono che mi faccia divorare! Ho paura, padre! Non so per quanto riuscirò a resistere!”
Un globo luminoso esplode a poca distanza, un cratere nell'asfalto. Il tremore di una scossa sismica, Ashburnt si para di fronte ad Eden.
“Digli di andarsene a quel paese! Che se ne cerchino un'altra!”
“Io...”
“Attenzione!”
Mikael salta verso di loro, le spada in diagonale a proteggere il corpo. Due fuochi fatui si schiantano su Balmung, rimbalzano verso i lati della gola, investono in pieno le spine di ossidiana. Il respiro pesante, graffi ed escoriazioni sul viso, la felpa grigia strappata in più punti, la stanchezza palese. Un'occhiata torva verso Eden, compassione ed ira mischiate in un cocktail letale.
“Anch'io sento quelle voci. Le ho sempre sentite. I leviatani sono nati dopo la Guerra dei Cieli, dai resti dei caduti di entrambi gli schieramenti... ma non sono più loro, Eden! Quello che senti è solamente un rimasuglio della loro coscienza, non farti ingannare! Per quel mostro siamo solamente degli invitanti stuzzichini!”
Ledger si sbraccia dal centro del valico, tenta di attirare l'attenzione.
“Smettetela di discutere! Si sta riprendendo, dobbiamo cercare una via di fuga!”
Il leviatano spalanca la bocca, un urlo ancestrale, le costole si richiudono attorno al torace, pompano come un mantice. Un flusso azzurro raggiunge la bocca, si espande, si raggruma. La testa rotea di scatto, i denti si separano, rientrano nel teschio. Ledger strabuzza gli occhi, capisce cosa sta per succedere, estrapola il bersaglio, il trio raccolto attorno all'automobile.
“No!”
Un movimento rapido della spalla, la mano riconfigurata come fucile di precisione.
“Mano Fantasma – Fucile Spettrale...”
I denti stretti, sudore freddo, la testa del leviatano nel mirino.
“... Sharpshooter Inferno!”
Un proiettile ad altissima velocità, un'esplosione appena sotto la mandibola. Il leviatano perde la mira, oscilla per un istante, il controllo dell'energia viene meno. E il raggio parte all'improvviso, diretto verso il centro dell'area.
Diretto verso Ledger.
33.
Il Confine (III)
Ledger agita il braccio etereo, la materia spettrale si chiude a sfera, si estende a formare uno scudo.
“Mano Fantasma – Protezione tota...”
Poi, l'impatto.
Una colonna azzurra fiammante, l'aria squarciata, il Sole oscurato dalla luce accecante. Un boato apocalittico, l'onda d'urto, l'auto rovesciata dalla violenza dell'esplosione. Ashburnt vola a terra, Eden e Mikael sbalzate via, Balmung rotea in aria senza meta, si conficca nella sabbia. Una nube di polvere sollevata dal luogo dell'impatto, esplosioni multiple, le spine vertebrali del leviatano spezzate dal suo stesso attacco. Un geyser di sassi e terriccio espulso con violenza, detriti sparati a dieci, venti metri di altezza. Scosse sismiche, la caserma crolla di schianto, calcinacci e mattoni frantumati nell'arco di secondi. Il leviatano barcolla, l'attacco fuori controllo, troppo potente per due cuori soli. Il secondo cuore esplode in una pioggia ematica, il terzo pompa ad altissima frequenza, cerca di evitare il collasso. Le costole si aprono a ventaglio, senza un ordine preciso, urla inumane di dolore e rabbia.
Ashburnt si rialza con estrema lentezza, i muscoli doloranti, la vista appannata.
“Uuuuugh...”
La mano cerca gli occhiali, vaga goffamente fino a percepire l'asticella di metallo. Mikael si mette in ginocchio, scuote le ali, estrae Balmung con un colpo secco, lo sguardo vacilla, diretto verso il fulcro dell'esplosione.
“L... Ledger?”
Eden scatta in piedi, le voci cancellate dalla mente, la corsa sfrenata.
“Ledger!”
La polvere si dirada, una sagoma scura adagiata sul fondo del cratere. Ashburnt si alza a fatica, inforca gli occhiali, sputa sangue, respira a fatica. Un'occhiata fugace verso il leviatano, la bestia ferita, agonizzante, l'unico cuore rimasto portato al limite estremo. Eden tossisce, attraversa la barriera di sabbia.
“Ledger, rispondi!”
Un corpo immobile, irriconoscibile, quasi completamente carbonizzato. Frammenti di mantello sparsi sulla pelle ustionata, i capelli bruciati, le gambe tranciate di netto.
“... L... Ledger?”
Eden crolla in ginocchio, le lacrime agli occhi, le mani posate sul petto del ragazzo.
“D... dimmi che è uno scherzo... stai... stai solo facendo finta, vero Ledger? Tu... tu non sei morto per salvarmi... tu... tu sei ancora vivo, eh? Ledger? LEDGER?!”
Nessuna risposta, solo il silenzio. Eden trema, scoppia a piangere, si china sul corpo martoriato.
“Non per colpa mia! No, no, no!”
Mikael rimane immobile per un istante, osserva la disperazione, il dolore di Eden. Balbetta qualcosa, stringe l'impugnatura dell'arma.
“I... Il leviatano è debole. Se riesco a colpirlo direttamente, è morto. Padre Ashburnt, ho bisogno del suo aiuto...”
Ashburnt la ignora completamente, corre verso il cratere, verso il corpo del suo compagno di viaggio, afferra il braccio di Eden, lo strattona con forza.
“Eden! Vieni via! Lascialo!”
“No! Ledger! Ledger! Torna da me! Non lasciarmi sola! Ledger!”
“Calmati, idiota!”
Uno schiaffo secco, a piena mano, le ciocche azzurre sparse in aria. Ashburnt scende nel cratere, stringe il polso di Ledger, chiude gli occhi, ascolta per un secondo. Il medio e l'indice uniti, l'energia sacra scorre attraverso il corpo, si concentra nella mano.
“Intervento divino, primo miracolo – Guarigione degli Infermi.”
Una scarica attraverso i muscoli, il rivestimento essiccato si crepa, luce attraverso le fenditure. Un grugnito, la cassa toracica sussulta per un istante. Eden unisce le mani, una flebile speranza.
“L... Ledger!”
Mikael sgrana gli occhi, sopprime i sentimenti, indica il mostro con la punta della spada.
“Padre, non abbiamo tempo, ora! Dobbiamo uccidere il leviatano adesso, altrimenti faremo la sua stessa fine!”
“Occupatene tu, allora! Non posso lasciarlo morire così! Non se ho il potere per salvarlo!”
Mikael digrigna i denti, le pupille puntate al mostro.
“Ci proverò, ma non garantisco nulla...”
Le iridi dorate si appannano, ogni sensazione lasciata da parte, la direttiva modificata, la modalità di battaglia inizializzata. Mikael osserva la bestia con indifferenza, fissa le orbite vuote.
“Bersaglio acquisito.”
Le ali raccolte, sbattute di scatto, la partenza a razzo. Il leviatano ansima, le spire perdono fluidità, ogni movimento dura un secolo, le costole irrigidite. Mikael atterra sulla testa della creatura, pianta Balmung nel teschio, penetra all'interno del guscio. Il leviatano si dimena, scuote il capo con violenza, tutte le forze residue impegnate contro l'angelo. Una rotazione rapida del collo, Mikael perde la presa, viene scaraventata in aria. Balmug incastrata nell'ossidiana, troppo lontana per raggiungerla. Flebili globi azzurri si condensano sulle costole, il leviatano li lancia contro il bersaglio, senza quasi prendere la mira. Mikael evita agilmente i primi due, il terzo, il quarto. Lo sbarramento continua senza sosta, si intensifica a ritmo serrato. Le costole si caricano tutte assieme, sedici sfere lanciate in sincronia, verso un unico bersaglio.
“Aaaaaaah!”
Mikael viene colpita da ogni lato, le ali trafitte dai globi di energia.
Eden solleva il capo, spalanca gli occhi.
“Mikael! Non... non anche lei!”
“Ehi, calma! Io posso curarne solo uno alla volta!”
Ashburnt ripete il mantra, il segno della croce per accumulare energia.
“Intervento divino, primo miracolo – Guarigione degli Infermi.”
Un altro sussulto, un respiro mozzato. La pelle del viso riprende colore, la crosta di cenere si stacca. La mano muove un paio di dita. Ashburnt si asciuga la fronte, si rialza in piedi.
“L'ho stabilizzato... più o meno. Che fine ha fatto il...”
Un ruggito bestiale, l'energia fluisce nuovamente alla bocca, si raggruma, si espande, il cuore pompa al massimo, Balmung ancora piantata nel cranio, il dolore ignorato, l'ultimo atto.
“... leviatano?”
La voce di Ashburnt si spegne nel verso della creatura, un orribile senso di impotenza. Eden lo scosta con una spallata, punta i piedi per terra, allarga le braccia.
“Maledetto bastardo! Crepa!”
Scintille attorno ai palmi, le lacrime evaporate per l'ira.
“Ultima Tempestaaaa!”
Un movimento secco, le mani si uniscono, un fulmine globulare generato al contatto. La bomba elettrica attraversa l'aria, si schianta all'interno della bocca di ossidiana, nel punto di accumulazione dell'energia. Alto voltaggio, scariche trasmesse alle parti organiche, i fuochi fatui estinti, ricacciati in gola. Il cuore della bestia pompa a ritmo serrato, fin quasi a scoppiare. Mikael riprende l'assetto, sbatte le ali, si dà la spinta, atterra sulla testa del mostro, impugna l'elsa di Balmung.
“Balmung ammazzadraghi, io invoco il tuo potere...”
Il leviatano ulula, tenta inutilmente di disarcionarla scuotendo il capo con violenza. Mikael perde la concentrazione, si tiene stretta alla spada. Eden urla a squarciagola in direzione del mostro.
“Non provarci neanche!”
Le braccia spalancate ancora una volta, l'elettricità scorre attraverso le ossa, i muscoli, la pelle.
“Ultima Tempestaaaa!”
Il fulmine globulare esplode all'unione dei palmi, centra la cassa toracica della bestia. Il nodo senoatriale in tilt per un lungo istante, il leviatano percorso da fitte di dolore.
“Noi... noi non possiamo... i nostri cuori... voi... umani... prede...”
Mikael approfitta della situazione, avvolge le ali alle spire d'osso, consolida la posizione. Balmung riluce di bagliori scarlatti, la lama si scalda, il metallo incandescente.
“Balmung, è il momento! Risorgi dalle fiamme, distruggi il leviatano!”
L'aureola brilla più del Sole, le ali risplendono, la spada completamente avvolta dalla luce divina.
“Rising Phoeniiiiiiix!”
Una fiammata tremenda, il calore si riversa all'interno del teschio di ossidiana, corrode i tessuti demoniaci, divora gli organi interni. Il fluido corrosivo evapora, i tendini, le connessioni intervertebrali si sciolgono. Il leviatano spalanca la bocca, vampe vermiglie attraverso gli occhi cavi, le orecchie, ogni fessura del corpo. Getti di lava spruzzati dal terreno, da ogni segmento del corpo. Il cuore si infiamma, le arterie bruciano, si spezzano come rami secchi. Mikael estrae la spada, vola con la fenice, un salto a propulsione dalla testa del mostro.
“No! Dolore! Paura! Perché? Perc...”
Un ultimo istante di lucidità, la voce troncata dalle fitte.
Poi, l'esplosione.
L'ossidiana si spacca dall'interno, annerisce, si polverizza. L'esoscheletro salta in aria, in un inferno di fiamme ultraterrene. Il leviatano si disintegra in una nuvola di cenere e polvere, l'intero corpo atomizzato. Frammenti calcarei cadono come pioggia dal cielo, si conficcano nella sabbia, nell'asfalto, perdono consistenza pochi istanti dopo.
Mikael atterra con eleganza, le ali completamente spiegate, il volto inespressivo, la voce monotona.
“Bersaglio terminato.”
Il capo scosso con violenza, le iridi riprendono colore, il respiro irregolare, la mano preme sulla fronte sudata.
“E... eh? Cosa mi è successo?”
Le ali si ritirano nel corpo, Mikael ruota su se stessa, osserva i poveri resti della creatura.
“...”
Eden le corre incontro, un abbraccio improvviso, imprevisto.
“Sei... sei stata fenomenale, Miki! Lo hai disintegrato! Dovevi vederti lassù, hai mantenuto una freddezza incredibile! Come hai fatto?”
Mikael chiude la testa fra le mani.
“Non... non lo so, Eden. So solo che l'ho ucciso. Per sempre.”
“Presto, venite qui! Tutte e due!”
Ashburnt alza la voce dal centro del cratere, accanto a Ledger. Eden smaltisce l'adrenalina, il battito del cuore impazza, un grumo di saliva in gola, le lacrime riaffiorano.
“Ledger!”
Mikael rimane come tramortita, immobile, mentre Eden si precipita verso la voce, inciampa, torna in piedi, raggiunge i due uomini.
“Come sta? Come sta, padre?”
Un sospiro grave, Ashburnt traccia un segno eloquente in aria. Eden strabuzza gli occhi, si china sul corpo del ragazzo, osserva il lento sollevarsi della cassa toracica.
“Ho ripristinato quello che ho potuto. La pelle, i muscoli, le ossa, gli organi interni... persino i capelli... ma nonostante questo...”
“... padre Cross?”
“Mi dispiace, Eden. Non sopravviverà a lungo.”
34.
Il Confine (IV)
Ashburnt scuote il capo, stringe la mano di Eden. Lo sguardo sconsolato, la sensazione di impotenza.
“Ho fatto tutto quello che ho potuto, ma...”
“N... non la faccia tanto lunga... padre...”
Ledger abbozza un debole sorriso, le iridi castane brillano di commozione. Eden si getta su di lui, lo stringe con forza, un fiume in piena a irrigare il deserto.
“No, Ledger! No! Non tu, ti prego!”
“... ehi, non fare... così! Mi conosci... solo da tre giorni.”
“I tre giorni più belli della mia vita!”
Eden chiude gli occhi, le fronti si sfiorano, le labbra a contatto. Un bacio sincero, l'anima di Ledger a contatto con il vuoto, il nero interiore della demone. Un nero di pece, rischiarato da un bagliore minuscolo, una scintilla nel carbone. Una scintilla di vita.
I corpi si separano, Eden deterge le lacrime alla fonte. Ledger le accarezza la chioma con dolcezza.
“Resta... sempre così, Eden. Non... cambiare mai. La tua spontaneità... non è un difetto. Devi solo... crescere ancora un po'...”
Ledger chiude le palpebre, si lascia cadere nella sabbia, respira piano, senza fretta. Un lento declino verso la fine. Eden distoglie lo sguardo, si stringe tra le braccia, cammina lentamente verso la macchina. Una forma scura a poca distanza, un oggetto ben noto. Il cappellaccio strappato, lanciato lontano da uno dei globi. Eden lo raccoglie, lo stringe al petto, inizia a piangere come una fontana.
“Non ti dimenticherò mai...”
Un gesto istintivo, il copricapo portato alla testa, indossato con lo stesso gesto con cui era solito farlo Ledger. Eden si accovaccia accanto alla macchina, senza dire altro.
Mikael osserva con confusione, incapace di parlare, di consolare. Tenta di scavare tra i suoi sentimenti, di trovare qualche parola amichevole. Ma è solo l'abisso ad attenderla. Un abisso incolmabile.
Ashburnt schiocca le dita, alza gli occhi al cielo, borbotta qualcosa di incomprensibile.
“Dannato bastardo! Hai vinto, va bene?! Hai vinto!”
La mano fruga nel giaccone, estrae un portafoglio di pelle, un paio di banconote grigie, le getta per terra.
“Eccoti i tuoi disgustosi, sporchi, stupidi cinquanta crediti!”
Mikael inarca un sopracciglio, la bocca contratta in una smorfia interrogativa.
“C... cosa significa?”
Ledger salta fuori dal cratere di scatto, si rialza con un balzo atletico, l'indice puntato verso Ashburnt.
“Ah, ah! Cosa le dicevo, padre? Ero sicuro che avrebbe funzionato!”
Ashburnt agita il braccio in direzione di Eden, la mano aperta ad indicare la ragazza.
“Cosa diavolo ci fai tu alle donne?! Perché è stato così facile?”
“Lei ha sottovalutato l'impatto emotivo della morte!”
“Stai sicuro che non lo sottovaluterò più, maledetto baro truffatore!”
“Ehm...”
Eden in piedi alle loro spalle, un ghigno omicida stampato sul viso, le palpebre semichiuse, una venuzza in rilievo sulla fronte.
“Quindi, mi state dicendo che era tutta una farsa?”
Ashburnt ingoia la saliva, Ledger pietrificato. Ashburnt tenta di sorridere, si passa la mano tra i capelli con imbarazzo.
“Ehm... non proprio! Ledger era veramente ridotto male, ci ho messo un bel po' a salvarlo... ma, sai com'è, per tentare di rincuorarlo, ho fatto una piccola scommessa con lui...”
Ledger agita il braccio con forza, la voce ridotta ad un flebile sussurro acuto.
“... ma piccola piccola, eh! N... niente di particolare!”
“Quale... scommessa?”
Ledger distoglie lo sguardo, evita gli occhi di Eden.
“Be', uhm... padre Ashburnt era sicuro che anche in punto di morte non sarei mai riuscito a baciarti... e ha messo sul piatto cinquanta crediti...”
Eden digrigna i denti, le iridi passano dal rosa al rosso di fiamma, i muscoli contratti.
“E... e tu... hai accettato?!”
“E... era solo uno scherzo! Uno scherzo a fin di be...”
Ashburnt e Ledger assaggiano il terreno, le facce stampate a terra, un bernoccolo fumante sulla nuca di entrambi, i pugni di Eden fermi a mezz'aria, il volto paonazzo seminascosto dal cappellaccio strappato.
“Imbecilli!”
Ashburnt si mette in ginocchio, massaggia le gengive sanguinanti.
“A... ahio! Non credevo che te la prendessi così tanto...”
“Bastardo!”
Una ginocchiata sotto il mento, il prete fa una capriola in aria, si schianta nuovamente a terra. Eden afferra Ledger per il braccio, lo tira su con violenza.
“T... ti rendi conto... dello spavento che mi hai fatto prendere?! Perché... perché hai giocato così... con i miei sentimenti?!”
Ledger scuote il capo, frastornato, riarticola la lingua.
“Q... quali sentimenti? Fino a dieci minuti fa, credevo che volessi solamente avere... ehm... un certo tipo di contatto fisico con me!”
Eden si stringe a lui, blocca ogni movimento del suo corpo.
“S... sei l'unica persona a cui importa qualcosa di me, Ledger! Hai provato ad immaginare come sarebbe stato il mio viaggio assieme a quel frignone d'un prete e all'angioletto represso?”
“Ehi! Io non sono...”
Eden lancia un'occhiata gelida, Mikael rigida come uno stoccafisso. Ledger prende tempo, cerca il salvataggio all'ultimo minuto.
“Mi avresti mai baciato se non fossi stato sul punto di morire?”
Eden presa alla sprovvista, l'indice picchietta sulla tempia, balbetta, prende tempo.
“F... forse. Non so, non ne ho idea ora... non... non sono domande da fare ad una ragazza! E poi...”
Eden abbassa lo sguardo, sbircia tra i vestiti ridotti a brandelli.
“... non sarebbe il caso di coprirsi un po' meglio? Dico, per lasciare almeno qualcosa all'immaginazione.”
Ledger avvampa brutalmente, si accuccia nel cratere.
“Aaaaaah! P... padre Ashburnt! Il mio zaino, presto!”
Eden gli posa il cappello in testa, lo preme con forza, stringe Ledger tra le sue braccia.
“N... non farlo mai più, okay?”
“Sono perdonato, per questa volta?”
Eden lo bacia sulla fronte, si allontana con tranquillità.
“Solo se mi offri una cena a basa di lana merino alla prossima città in cui ci fermiamo.”
“L... lana merino?! Ma costa un capitale!”
Un sorrisetto malizioso, l'indice puntato alle banconote sparse per terra.
“Non lamentarti, i soldi ce li hai!”
Ashburnt si rialza dalla sabbia, si massaggia il volto, sana le ferite. Passi strascicati fino alla vettura, un'occhiata alla situazione, all'equilibrio precario su due ruote.
“Qualcuno può darmi una mano a raddrizzare l'auto?”
Mikael raggiunge Ashburnt, preme sul tettuccio con forza assieme a lui. La vettura atterra con un tonfo sordo, gli pneumatici rimbalzano sul terreno, le sospensioni assorbono l'urto. Un controllo sommario allo stato della dune buggy, fari, specchietti, carrozzeria.
“Sembra tutto a posto...”
Ashburnt tira fuori lo zaino dal bagagliaio, lo lancia a Ledger.
“Tieni, Led. Spero che ci sia tutto, dentro.”
Ashburnt si allontana dal veicolo, rivolge lo sguardo al termine della gola, la fine del canalone. Il Sole brilla alto nel cielo, gli strali riflessi dalle pareti del canyon. Nuvole scure in lontananza, cupole nere sparse su una piana infinita. Torri altissime svettano tra boschi rigogliosi, montagne, laghi, strutture metalliche dall'uso misterioso.
“Così, è questo il territorio del Maligno...”
Mikael si affianca ad Ashburnt , incrocia le braccia, inclina il capo.
“È la prima volta che raggiunge questo punto, padre?”
Ashburnt ingoia la saliva, ripone gli occhiali nel giaccone.
“Non pensavo che ce l'avrei mai fatta. Sono partito da Malpaso meno di una settimana fa, da solo, senza una direzione precisa. Ora sono qui, a due passi dalla meta...”
Eden raggiunge i due, lascia oscillare i lunghi capelli biondi.
“E non è più solo, padre Cross.”
Ashburnt scoppia in una risata di tutto cuore.
“Ah, ah, ah! Già! Vediamo se ricordo bene...”
Ashburnt solleva il braccio, inizia a contare sulle dita.
“Un prete con un chiodo della Vera Croce nell'indice della mano destra, una spia con un braccio fantasma, una ex-succube un po' troppo disinibita, un angelo estremamente orgoglioso e vendicativo... ho dimenticato qualcuno?”
Ledger raggiunge il gruppetto, un paio di jeans indossati in fretta a furia assieme ad una canottiera nera, l'onnipresente cappellaccio strappato calato sul viso.
“Ehm... non siamo proprio a due passi dalla meta. La rocca del Maligno è ancora lontana e non so quanto...”
Ashburnt sogghigna, unisce l'indice e il medio, lascia fluire l'energia sacra.
“Sai che ti dico, Ledger? Non mi importa. Proprio per niente.”
Un sorriso di sfida, il braccio disteso verso l'uscita della gola.
“Ora sono sicuro che la raggiungeremo, che ci apriremo una strada in un modo o nell'altro, fino ad addentrarci nei meandri più cupi dell'Inferno terrestre...”
Ashburnt abbraccia i tre compagni di viaggio, le iridi si accendono, ricolme di speranza.
“... e torneremo infine a riveder le stelle.”
Cross! – Atto I
Fine
???
La sala colma di broccati, stendardi vermigli eleganti, il portone colossale a serrarne l'ingresso. Passi nervosi, due uomini in abito talare, la luce filtra dalle finestre di vetro piombato, lo sguardo severo degli angeli ad illuminare il loro percorso.
Una guardia in livrea giallo-blu alla fine del corridoio, la lancia distesa, un cenno di assenso. Una seconda guardia preme un pulsante sul muro, il rumore degli ingranaggi, dei meccanismi che si attivano. Il portone si spalanca, i due preti in attesa. Il più alto si massaggia il pizzetto nero, respira rumorosamente, tocca a più riprese il naso aquilino. Il secondo deglutisce, stringe i pugni, accarezza i pochi capelli grigi, gli occhi marroni vagano senza meta sui fregi del portale.
“Ho un brutto presentimento.”
“Padre Miller, non è il caso di essere nervosi. È una convocazione di routine.”
“Mi piacerebbe essere così ottimista, Arrhenius.”
Le porte spalancate, uno scorcio del salone in bella vista, il trono al centro, una figura ammantata seduta in mezzo, la testa tra le mani. E, tutto attorno, un lago verde scintillante, ricoperto di interiora. Il prete col pizzetto si porta la mano sulla bocca, l'altro urla a squarciagola. Una voce secca dalla penombra, dal trono, la voce del comando.
“Signori miei, p... per favore... entrate, entrate! N...non state sulla soglia!
L'uomo chiamato Arrhenius fa il primo passo, si guarda attorno. Frammenti di membra nere come il carbone, arti strappati, pozze malsane, parti di organi interni. Corpi umani spalmati contro le pareti, le uniformi giallo-blu inzaccherate, martoriate. Nessun superstite al massacro, eccetto uno. Un macello. Padre Miller segue a ruota, lo stomaco contratto, il conato di vomito represso.
Poi, la vedono.
La testa, enorme, spiccata dal busto, attraversata da spine da ogni lato. Due bocche, denti da squalo, priva di occhi, gli aculei di un echidna, la lingua triforcuta. Nessun movimento, nessuna reazione, materia morta. Padre Miller urla in preda al panico.
“Un demone...? Qui, all'interno della santa sede?! Non è... non può...”
Una risatina tirata in risposta, l'uomo sul trono china il capo.
“U... un esemplare notevole. N... non avevo mai incontrato un echidna matura dal vivo.”
Arrhenius si avvicina al seggio, la stola striscia tra il marciume, si sporca di verde, rosso, raccoglie frattaglie.
“Sua Santità!! È ferito?!”
L'uomo al centro del salone scuote il capo.
“L... la ringrazio per la premura, padre Zanta, ma c... come vede so badare a me stesso. Altrimenti... che Santo Padre sarei?”
Il Santo Padre alza il capo, i suoi occhi dorati incrociano lo sguardo dei due preti.
“È stato un vile attentato alla mia persona. U... un demone che indossava pelle umana, il corpo del sacerdote Entelma. Ha evaso tutti i controlli, persino i cani fiutadiavoli e l... la camera con le reliquie dei santi. M... ma se qualcuno si fosse degnato di controllare i registri, a... avrebbe scoperto che il sacerdote Entelma è morto da due giorni.”
Padre Miller strabuzza gli occhi, fa un passo indietro. Un altro. Un altro ancora.
“S... sua Santità!”
“Quel qualcuno sarebbe dovuto essere padre Gioseppe Miller, capo della sicurezza pontificia, l'uomo a cui ho affidato la mia vita.”
L'indice accusatore puntato, un riflesso sugli occhi dorati. Il terrore nelle iridi di Miller.
“Evidentemente, mi sono sbagliato.”
Padre Miller scuote il capo, porta le mani di fronte al volto, la voce stridula, concitata.
“I nostri protocolli non prevedevano demoni in forma umana! Non ne avevamo mai incontrati così lontano dal Confine! Nessuno avrebbe potuto...”
“A duecento anni dall'Ascesa? Non dica fesserie! Per la sua leggerezza, sono morte sei guardie svizzere! Lei è responsabile della perdita di sei vite umane, Miller! E, come tale...”
Il Santo Padre chiude gli occhi, uno schiocco di dita.
“... ha fallito.”
Il torace di padre Miller si inarca, si gonfia per un lungo secondo. Uno spruzzo rosso, una spina trafigge il cuore da lato a lato, apparsa dal nulla. Padre Miller urla, gli occhi ruotano nelle orbite, la colonna vertebrale piegata in modo innaturale.
“GAAAAAAK!”
Padre Miller sputa sangue, le labbra lordate di fluido scarlatto. Il prete crolla in ginocchio, sotto gli occhi di padre Zanta. La voce del Santo Padre echeggia nel salone, un tono di rimprovero malcelato, la mano aperta, il palmo rivolto verso l'alto.
“Lasci che glielo ripeta. Permettendo a quel mostro di attaccare il Suo rappresentante in terra...”
La mano serrata in un pugno, di scatto.
“... lei ha fallito Dio.”
Altre spine compaiono dal nulla, trafiggono il cuore di Miller da ogni lato. Il corpo del prete smette di muoversi, spasmi muscolari come ultimo lascito, rivoli di sangue scuro ad unirsi alle pozze verdastre, il volto contratto in un'ultima smorfia di dolore. Padre Zanta in silenzio, l'orrore nei suoi occhi, la mano stretta sul cuore, il timore di essere il prossimo.
“Padre Zanta?”
“I... io non c'entro niente! Io sono solo il responsabile dei...”
“Lo so, lo so, non l'ho chiamata per punirla, p... padre. Smetta di preoccuparsi, ho bisogno che sia in forma, vivo e vegeto.”
Un sospiro, il Santo Padre batte le mani in una sorta di macabro applauso fuori tempo.
“Ora che ci siamo liberati della spazzatura, veniamo a noi. Il tracciamento di padre Ashburnt si è interrotto a pochi chilometri dal Confine, dopo un'esplosione così potente da essere rilevata persino dai nostri agenti ad El Vahio. Mi addolora dirlo, ma è probabile che Ashburnt sia morto.”
Zanta deglutisce, scuote il capo.
“N... no! Sarebbe il caso peggiore! Se Ashburnt è morto... il Chiodo...”
“Esatto! Dobbiamo recuperare la Vera Croce ad ogni costo! Non possiamo permetterci che cada nelle grinfie del Maligno! Padre Zanta!”
“S... sì, Sua Santità?”
“Prepari la Heiligengeist al decollo!”