Ceramica (2011)

Il mio primo romanzo lungo, 43000 parole. Una premessa semplice: nel futuro, l'umanità ha accesso a robot di bioceramica, completamente indistinguibili da essere umani ma obbligati a servirli. Ma cosa succederebbe se l'uomo stesso fosse la creatura di una razza aliena? Una storia di creature e creatori, molto acerba e con alcune scelte non proprio ben ragionate (il dipartimento di fisica di Genova ancora in piedi nel 2200 così come è oggi? Spirit ed Opportunity ancora attivi dopo due secoli? Sul serio?). A conti fatti, la fatnascienza di Ceramica manca di quel fanta- che dovrebbe dare uno sguardo sul futuro, sembrando più una sorta di presente alternativo. Per la cronaca, la figura di Nikolaj Moss, un CEO egocentrico ossessionato da Marte, non ha alcun collegamento con un magnate Sudafricano degli anni 2000. All'epoca, non sapevo neppure chi fosse. Avevo provato ad inviare Ceramica ad un concorso, ma purtroppo non riuscì nemmeno a superare la prima selezione. Qui lo trovate riportato in tutta la sua acerbia perché, nonostante tutto, è stato un passo importante per me.
1.
Myra stava tornando a casa dopo aver trascorso il pomeriggio assieme ad Ylena, la sua migliore amica. Camminava con brio, leggera come una libellula. Ogni volta che la vedeva si sentiva meglio. Ylena era precisa, attenta, puntuale, la sapeva rincuorare quando ne aveva bisogno, le dava coraggio in ogni occasione. Era una ragazza speciale. La sua pelle era bianca come la porcellana, i suoi occhi verdi come smeraldi e i capelli – ah, quei suoi bei capelli – lisci, morbidi, di colore castano chiaro. Rise, rise divertita. I compagni di scuola utilizzavano in genere altri termini per descriverla – meno poetici ma più concreti. Nonostante questo, nessuno si era mai fatto avanti, nemmeno per proporle di uscire a prendere un gelato.
Myra si fermò ad ammirare l'azzurro intenso del cielo. Un motivo c'è, in fondo. Sospirò. Le nuvole assomigliavano ad enormi batuffoli di cotone, sospesi in aria, guidati dal vento. Leggere, impalpabili, morbide come zucchero filato. Ylena era come quelle nuvole.
Lontanissima ed irraggiungibile.
La ragazza abbassò lo sguardo. La sua attenzione fu attirata dai possenti generatori atmosferici che mantenevano intatto quello spettacolo, una volta offerto esclusivamente dalla natura. I macchinari sbuffavano rumorosamente, un muggito continuo di sottofondo a cui non era semplice abituarsi. Per lei erano solamente un dolce respiro, un possente borbottio che l'accompagnava per gran parte della giornata. Però era rassicurante. Se faceva rumore, allora funzionava. Era il silenzio a preoccuparla, non il frastuono: per tutta la vita aveva associato il brusio delle voci, il ronzio dei motori, gli sbuffi di vapore, la musica, il caos, alla vita. L'assenza di tutto ciò era un pallido spettro, l'esatto contrario dell'esistenza.
Le due torri di emissione erano alte si e no un centinaio di metri, a prima vista. Ricordava di aver visto una foto di come fosse quello stabilimento quasi due secoli prima. In precedenza lì era situata un'importante centrale a carbone, il principale impianto di produzione di energia elettrica della regione. Nel 2104 la società che la gestiva se n'era liberata, giudicandola come un investimento in perdita, così una cooperativa ambientalista aveva rilevato il complesso a prezzo tracciato e l'aveva riconvertito a fabbrica di ozono per gli strati alti dell'atmosfera. Le ciminiere, dipinte a righe rosse e bianche per essere visibili agli elicotteri, erano rimaste in piedi.
Erano il simbolo del passato, un passato non così diverso dalla situazione attuale: in due secoli di evoluzione l'uomo aveva fondamentalmente migliorato le condizioni del proprio pianeta, a scapito dell'esplorazione del cosmo. Una decisione difficile da accettare, ma che si era rivelata vincente.
La Terra non era mai stata così in forma.
Myra tornò ad osservare il cielo. Ylena era esattamente come quello strato di ozono che la proteggeva dalle radiazioni solari.
Riprese il suo cammino, con tranquillità. Di sicuro, la sua amica stava dormendo. Si stancava molto facilmente, quasi quanto lei, quasi allo stesso modo. Quasi. Una leggera forma di microcitemia aveva impedito a Myra di praticare alcuni sport, ma Ylena... bé, per lei il discorso era diverso.
Già, Ylena... da quanto tempo la conosceva? Vent'anni? Sospirò. Il loro primo incontro...
Myra aveva solo tre anni, l'aveva praticamente vista nascere – un esserino così piccolo e indifeso, assopito in quella culla scura...
Tornò al presente, al cielo azzurro, alle pozze d'acqua scintillante.
Pensò a cosa avrebbe fatto il pomeriggio successivo. L'avrebbe vista di nuovo? Certo, in fondo vivevano nella stessa casa, solo a due piani diversi. In effetti, perché pensare il contrario? Aveva forse paura che se ne andasse di punto in bianco, senza dirle nulla?
No, impossibile. Non ne è capace.
In effetti, Ylena era molto remissiva. Non disobbediva ad un suo ordine diretto, non era in grado di farlo. Myra sorrise compiaciuta. Si sentiva – almeno in quell'aspetto – migliore di lei. Come si può non essere invidiosi? Ammirò la propria immagine riflessa in una pozzanghera. Capelli neri lunghi fino alle spalle, occhi verdi, lineamenti delicati... ma vicino a lei, tutta la sua bellezza sfioriva, inevitabilmente. Sbuffò con disappunto. Si era trattato di sicuro di un errore, un grosso errore... ma era stato questo a legarle in modo così forte. Myra l'aveva difesa sin dal primo giorno dai duri attacchi dei suoi genitori. Ylena non era ciò che si aspettavano, non lo era affatto. Era troppo diversa, troppo bella fin da piccola. Evidentemente, qualcuno aveva sbagliato. ma non era giusto che ci rimettesse lei. Cosa ne poteva? Non aveva chiesto di essere messa al mondo, si era trovata lì, in quella casa, in quella situazione, con quell'aspetto. Già a sei anni mostrava tutti le caratteristiche fisiche che ne avrebbero decretato la fortuna nei sogni proibiti dei suoi compagni di corso.
Myra guardò l'orologio, un disco di metallo lucente privo di cinturino, applicato al polso come un adesivo. Erano le diciannove e trentadue. Casa sua non era molto lontana, ancora dieci minuti e sarebbe arrivata. Ylena era già là da un pezzo. Era tornata alle sette, come al solito.
Ylena...
Myra ricordava ancora l'unica volta che avevano litigato. Lei aveva appena spifferato il suo segreto più importante, a tutti quelli che conosceva, per gelosia – o forse per ripicca? – e la sua migliore amica aveva pianto chiedendole il motivo di quel gesto, dicendo che da lei non si sarebbe mai aspettata un tradimento del genere. Per fortuna la discussione si era spenta sul nascere. Le era bastato chiederle perdono – o meglio, ordinarle di perdonarla. Perché, in fondo, lei non poteva che eseguire i suoi ordini, soddisfare i suoi desideri.
Nonostante fosse dotata di libero arbitrio, Ylena aveva le mani legate.
Non poteva decidere cosa fare, solo come farlo. Ylena era stata costruita apposta per lei, per affiancarla come una sorella.
Ylena era come uno specchio. Non era un essere umano, anche se ne rifletteva l'aspetto. Non era una creatura di carne e ossa, ma di ceramica e carbonio. Bioceramica, per la precisione, morbida al tatto ma estremamente fragile. Ylena non poteva praticare sport, proprio no. Sarebbe stato troppo costoso ripararla. Una dama da compagnia di ceramica poteva costare svariate decine di migliaia di euro, solo pochi potevano permettersene una.
Tra quei pochi, la famiglia Lantieri.
Comunque, era sorprendente come Ylena fosse indistinguibile dalle sue coetanee. In effetti, se lei non avesse sparso ai quattro venti la verità, nessuno se ne sarebbe accorto. Rise divertita. Ylena l'aveva perdonata, era quella la cosa importante. Forse soffriva ancora per quell'episodio ma chi poteva dirlo? Myra non aveva intenzione di chiederglielo.
La mente di Ylena era umana al cento percento, era il risultato della scansione cerebrale di una bambina di sei anni morta in seguito ad un incidente, con qualche piccola modifica. Doveva obbedire a tutti i comandi di Myra, solo ed esclusivamente ai suoi ordini, tutti, nessuno escluso. Non poteva rifiutare. Era stata costruita per lei, appositamente per lei. Aveva un unico difetto. Il suo aspetto esteriore era troppo ben curato rispetto a quello della sua padrona. Per questo, i suoi genitori avrebbero voluto farla distruggere e sostituire. Loro se lo sarebbero potuto permettere. Ma Ylena era viva, non era solo una bambola in scala uno a uno. Ylena mangiava e dormiva, parlava, ascoltava la musica, leggeva le notizie e si faceva delle opinioni. Non era solo una bambola, era molto intelligente. Era cresciuta leggendo Shakespeare e i classici latini e greci, le leggende e le favole la appassionavano. Ne aveva scritto anche qualcuna. Myra le ascoltava volentieri quando era bambina, con una punta di invidia. In fondo, Ylena aveva due anni meno di lei, eppure era straordinariamente dotata in ogni campo che non impegnasse il suo fragile corpo. Immaginava, pensava, decideva, criticava, era capace di provare emozioni, sentimenti, invidia, odio, amore. Era in grado di consolarla, quando ce n'era bisogno, cercava sempre di trovare il lato positivo in ogni situazione. Il suo cervello era un perfetto replicato simil-organico di quello di una ragazza normale.
Normale...
Cosa poteva essere definito normale, nel 2214? Ciò che era normale due secoli prima? No, certo che no. Decise di rimandare la discussione a dopo. Ormai aveva raggiunto l'uscio della sua dimora, un bel palazzo costruito nel centro di Vado Ligure. Suo padre era il primo fornitore di energia della regione. Possedeva metà delle centrali eoliche situate sulle colline e la quasi totalità degli impianti fotovoltaici di massa. La sua fortuna era dovuta principalmente ai brevetti di un suo avo, che aveva impiegato la quasi totalità del suo capitale nello sviluppo delle celle fotovoltaiche, un investimento che gli aveva permesso, con il tempo, di recuperare con gli interessi tutto il denaro speso, fino a diventare leader del settore delle energie rinnovabili. Myra sorrise. Nel 2052 nessuno avrebbe sperperato denaro a fondo perduto in progetti idealistici. Lui lo aveva fatto, ed ora il risultato era sotto gli occhi di tutti. Poche altre persone in Italia erano stimate quanto Roberto Lantieri, il pioniere che aveva gestito il mercato delle rinnovabili per anni, trasformandolo da affare lucroso a mezzo per garantire l'indipendenza energetica del Paese. Molti avevano imitato il suo modello aziendale, a cominciare dalla vicina Francia, dove il suo cognome era pronunciato con ammirazione.
Si avvicino al campanello ed attese. Lo sportello scorrevole protettivo si abbassò lentamente emettendo il solito ronzio metallico. Posò delicatamente l'indice e il medio della mano destra sul display azzurro del selettore e scandì lentamente il suo nome e cognome. Lo schermo si colorò di verde, poi lo sportellino si richiuse e si aprì quello dello scanner per il controllo della retina. Myra avvicinò l'occhio destro al lettore. Il dispositivo emise un sonoro bip di conferma. La porta si aprì con uno scatto improvviso.
“Ciao, ma'! Sono tornata!”
Una donna sui quarant'anni scese da un'ampia scalinata in stile barocco. Aveva gli stessi capelli della figlia, neri, lunghi fino alle spalle, il viso ancora fresco, nonostante le prime rughe si stessero facendo prepotentemente strada tra le pieghe della sua pelle; occhi verdi, curiosi ma allo stesso tempo colmi di un inspiegabile risentimento verso qualcuno... o qualcosa. Un lungo abito azzurro fasciava quella figura densa di autorità ed eleganza.
“Myra! non saresti dovuta tornare alle sette con...”
“Ylena? No, ho deciso di fare ancora due passi. In fondo è estate. Fa ancora caldo a quest'ora.”
La ragazza sospirò. Aveva notato il tono con cui sua madre stava per pronunciare il nome della sua amica di ceramica.
“Capisco, ma questo non ti autorizza ad andare in giro senza maglietta. Sai che la polizia è molto severa da questo punto di vista.”
“Ci sono ventisette gradi fuori, mamma! E poi un bikini non ha mai scandalizzato nessuno...”
“Pensi che un agente ti faccia un favoritismo solo per il tuo cognome? Ma figuriamoci! Anzi, spero che le norme vengano inasprite, specie contro... contro...”
Si fermò. Era chiaro chi fosse il bersaglio di quell'invettiva.
“Insomma, hai capito. Ora scusami, ma ho da fare. Devo dare direttive ai domestici per la cena.”
“Comprare un paio di automi no, eh? Ah, scusa, è vero, non ce li possiamo permettere, in fondo siamo solo la famiglia più ricca di tutto il Nord Italia e...”
“Quei ferrivecchi costano un patrimonio e si rompono in continuazione! Con tutta franchezza sono solo catorci. Dopo la scoperta della bioceramica, sembra che nessuno sia più interessato a sviluppare robot in senso stretto...”
“Non iniziamo con questo discorso, mamma! Ylena per me è come una sorella maggiore!”
“Maggiore... Esatto. Una sorella maggiore. Ma non era questo il suo ruolo. Tu la consideri più di quello che è, Myra. Questo prima o poi lo capirai.”
“A proposito, dov'è ora? Sta riposando come al solito?”
“Sì. È nella sua stanza. Non penso voglia essere svegliata.”
Myra sospirò.
“Devo forse ricordarti che deve eseguire ogni mio ordine? Voglio parlarle, quindi dovrà svegliarsi.” Il volto della madre si contrasse in un sorriso cinico, quasi crudele.
“Bene. Mi fa piacere che almeno da questo punto di vista la pensiamo allo stesso modo. Ricordati che alle otto e venti mangiamo. Mi raccomando, non tardare.”
Myra le rivolse uno sguardo di rimprovero, poi si diresse verso la camera di Ylena. Aprì la porta, piano piano, senza fare rumore. Ylena era dolcemente adagiata sul letto Respirava in modo regolare, rannicchiata in posizione fetale. Indossava una t-shirt bianca a tinta unita ed un paio di jeans, le scarpe e le calze sparpagliate sul pavimento, senza un preciso ordine. Myra provò un misto di invidia e gelosia. Sembrava un angelo, con quella sua pelle delicatamente bianca anche d'estate e quegli occhi di un verde così intenso da oscurare i suoi. Sì, era invidiosa, invidiosa della sua bellezza. Ylena era perfetta, troppo perfetta. Nonostante avesse teoricamente due anni meno di lei, era stata ammessa alle medie e alle superiori con un anno d'anticipo grazie alle eccellenti votazioni riportate negli esami. Alla fine si erano ritrovate in classe insieme. Fino ad allora, Myra aveva difeso Ylena da ogni accusa ed angheria, ma quando tutti i suoi compagni avevano iniziato a corteggiarla...
Scrollò la testa. Ylena l'aveva perdonata. Punto. Non c'era altro da dire su quella vicenda. Si avvicinò alla sua amica e le prese la mano.
“Ylena. Svegliati, per favore. Sono io, Myra.”
La ragazza sembrò ignorare completamente la richiesta. Si limitò a girarsi su se stessa, come se niente fosse.
“Svegliati immediatamente! È un ordine!”
Le palpebre si spalancarono. Cercò di visualizzare l'ora sulla radiosveglia, per capire cosa stesse succedendo. Aveva dormito solamente mezz'ora, troppo poco per ricaricarla. Il minimo indispensabile per permetterle di rimanere in perfetta attività erano due ore, centoventi minuti. Non di meno.
La sua voce delicata assunse un tono svogliato e lamentoso.
“...perché? Lo sai che ho bisogno di riposare...”
“Lo so, lo so, ti stanchi più facilmente di me, ma ora ho bisogno di parlarti. Tutto qui.”
Ylena si stropicciò gli occhi e si mise a sedere sul letto, senza protestare troppo. Negli ultimi tempi, Myra era diventata ancora più intrattabile del solito, litigava spesso con sua madre e l'argomento della discussione era legato a lei, nel novanta percento dei casi. Ogni tanto, le liti ricadevano sui rapporti tra Myra e i suoi coetanei. La madre l'avrebbe voluta vergine fino al matrimonio, con estremo disappunto della sua padrona. Ylena preferiva non partecipare al dibattito, temeva di rimanere – suo malgrado – invischiata nella questione.
Una bella carriera, da bambola da compagnia a controllore di istinti primordiali e spia al soldo di sua maestà, la signora Lantieri.
Come se ciò non bastasse, Myra aveva preso il vizio di svegliarla senza motivo perché aveva bisogno di parlare.
Forse si sentiva sola.
“Vorrei sapere come passi le giornate ora che sei libera dai vincoli dello studio. Sai, da quando vado all'università, non ci vediamo praticamente più.”
Non rispose, si chiuse in un ostinato silenzio, gli occhi fissi sul pavimento. Myra non riuscì a trattenere il suo disappunto.
“Cosa c'è ora?”
“Lo sai benissimo. Devo forse ricordarti che non ho smesso di studiare per mia volontà ma per cause di forza maggiore?”
“Ah, già, scusami.”
“Non è un po' troppo semplice così?”
“Sai benissimo che devi scusarmi.”
“Questo non implica che io desideri perdonarti.”
“Ma se io ti ordino di desiderarlo, tu non puoi opporti, no?”
Ylena sospirò sconsolata.
“No.”
Si stiracchiò per eliminare gli ultimi residui di sonno.
“Sai, mi sarebbe piaciuto andare avanti, imparare, costruire la mia cultura passo dopo passo... ma tuo padre ha deciso che io non ne ho bisogno. D'altronde, non è il caso di pagare la retta anche per una macchina, se lo stai già facendo per tua figlia, no?”
Myra non rispose. In effetti, per Ylena sarebbe stato impossibile guadagnare abbastanza da pagare le tasse universitarie. Nessuno le avrebbe mai offerto un posto pagato. Quelli come lei erano utilizzati da tempo per lavori pericolosi senza la minima retribuzione, erano stati progettati apposta per quello.
Un centinaio di anni prima, il fisico russo Dmitri Oroev era riuscito a sintetizzare un materiale artificiale, leggero e discretamente resistente che poteva essere prodotto a basso costo ed utilizzato al posto della plastica in svariate applicazioni. Lo aveva ribattezzato, senza molta fantasia, plasticeramica. Myra rise tra sé e sé. Solo per quel nome sarebbe dovuto essere arrestato. Poteva inventarsi qualcosa di meglio, in fondo. La plasticeramica fu utilizzata dapprima nell'aeronautica, poi nella medicina per la costruzione di protesi. Fu allora che un medico, di cui ora non ricordava il nome, aveva provato a modificarla per renderla simile alla pelle umana. Ci riuscì, ma a prezzo di un drastico calo della resistenza.
L'idea piacque comunque alla multinazionale guidata dall'imprenditore Ivan Moss, un'industria all'avanguardia nella progettazione dei primi automi. I tecnici di Moss elaborarono il materiale sintetizzato dal medico e riuscirono a renderlo leggermente più resistente. Inoltre, elaborarono un metodo di congiunzione con i neonati scanner cerebrali, capaci di simulare alla perfezione un cervello umano una volta ricevuto un imprinting tramite la “scrittura” dei primi anni di vita. Moss ebbe l'idea di costruire uomini di ceramica per i lavori di manutenzione che richiedevano un notevole dispendio di vite umane. Se se ne fosse rotto uno... non sarebbe accaduto nulla di irreparabile in fondo.
Detto fatto.
Il ricco industriale abbandonò la progettazione di automi e grazie alla consulenza dello stesso Oroev riuscì nell'impresa. Al mondo esistevano attualmente circa trecentomila – o erano cinquecentomila? – individui come Ylena. Di questi, il 90% era utilizzato in lavori ad alto rischio. Un automa non sarebbe stato in grado di compierli. Era necessario un uomo, possibilmente sacrificabile. Poiché le vendite avevano superato le più rosee previsioni, Nikolaj Moss, l'erede che aveva preso in mano le redini della società, aveva infine deciso di proporre le creature del suo bisnonno come dame da compagnia, figli surrogati o tutori. A questo scopo erano stati destinati soltanto venticinquemila individui. L'industria li costruiva secondo le indicazione del facoltoso cliente, utilizzando screening cerebrali di persone decedute in giovane età. Il costo approssimato era di circa duecentomila euro. Non tutti potevano permettersi di spenderli. In Liguria se ne contavano ventidue.
Una era Ylena.
“Scusa, non volevo toccare questo tasto. Sono proprio una stupida.”
“Non fa niente. Ci sono abituata.”
“Quindi, nessuna novità?”
Ylena sospirò.
“Ad essere sinceri, una sì. Mi hanno chiamato verso le sette, quando sono tornata a casa. Ho iniziato a saltare e cantare dalla gioia! Tua madre deve aver pensato che mi si fosse bruciato il cervello.”
“Come mai? Cosa ti hanno detto?”
“Ho trovato lavoro come barista, Myra! Sono riuscita a farmi assumere! Capisci? Lo stipendio non è granché ma mi consentirà di iscrivermi a lettere antiche.”
Myra strabuzzò gli occhi.
“Come hai fatto ad ottenere il posto?”
“Ho trovato qualcuno che pensa fuori dagli schemi... e mi considera un essere umano come tutti gli altri.”
Myra non sapeva se sentirsi felice per lei o tremendamente risentita. Ylena era sempre stata a sua disposizione. E lei era la sua unica amica.
“Ho già concordato gli orari. Lavorerò solo quando tu sarai all'università, così sarà come se nulla fosse cambiato. Sai, non volevo che per te fosse un problema. In questo modo sarò sempre libera quando avrai bisogno.”
L'aveva anticipata. La ragazza sorrise.
“Torna pure a riposare, Ylena... e grazie di aver pensato a me... come sempre.”
2.
“... ora l'ultima frontiera è lo spazio! Lo spazio infinito! Nonostante duecento anni di evoluzione, non siamo ancora riusciti ad allestire una spedizione in grado di fondare una colonia su Marte. Noi che siamo stati in grado di ricreare la vita, dobbiamo forse arrenderci, piegarci ad una sentenza, ad una legge ingiusta e iniqua che limita la nostra libertà, la nostra legittima aspirazione a modellare il cosmo a nostra immagine e somiglianza? Dio ha creato l'uomo e gli ha concesso il dominio del mondo. Ora possiamo andare oltre, abbiamo il diritto di raggiungere le stelle ed espanderci, colonizzando l'intero universo! Le difficoltà tecniche non sono insormontabili, e dopo tutti questo tempo, il nostro comune sogno diverrà realtà. La Moss Technologies ha infatti intenzione di stabilire sul nostro vicino di casa – quello che dai più nostalgici tra voi è ancora definito pianeta rosso – una colonia stabile di bioceramici. In questo modo, potremo studiare le reazioni di un gruppo di esseri umani – almeno come mentalità – alle difficoltà di una vita reclusa, lontano dal proprio luogo d'origine e da ogni contatto esterno...”
Uno studente alzò la mano. Nikolaj Moss lo osservò perplesso, cercando di trasmettergli il massimo sdegno possibile ed indurlo a ritrattare il proprio intervento. Lo studente non cedette alla pressione psicologica. Moss sorrise cinicamente e giocò l'ultima carta.
“Bene, vedo che fra voi c'è qualcuno che ritiene di avere conclusioni così importanti per il genere umano da non poter attendere la fine di questo seminario per esporle... avanti, mi dica, come pensa di espandere la nostra conoscenza su argomenti di cui – ahimé – pensa io sia digiuno? Parli liberamente, sono sicuro che il suo intervento sarà preziosissimo per accrescere la nostra cultura.”
Il ragazzo non si scompose. Moss si irrigidì. Non era riuscito a scoraggiarlo.
“Chiedo scusa, signor Moss, ma lei pensa che sia giusto tutto questo?”
Il relatore non riuscì a trattenere una risata.
“Cosa avrei detto di così immorale, se posso permettermi?”
“Come giustamente ha fatto notare, siamo in grado di costruire la vita, ma le sembra giusto subordinare creature così simili a noi al nostro volere?”
“Ah, capisco... lei è uno di quei moralisti convinti che affermano l'uguaglianza tra un uomo e un bioceramico... questi discorsi sono stati spazzati via dalla sentenza Thorren del 2189. Se la ricorda o devo aggiornarla anche su questo?”
“La sentenza che lei ha citato le permette solamente di continuare la produzione ed effettuare gli screening cerebrali, non le dà il diritto di sfruttare queste creature come meglio crede.”
“Punto a suo favore. In effetti, per ora non ne ho alcun diritto. Ma può forse farmi causa? Non mi sembra di ricordare che esista una carta dei diritti e dei doveri di un essere artificiale.”
Nikolaj Moss assunse un atteggiamento di sfida. Lo studente non si arrese.
“Lei prima ha affermato che Dio ha creato l'uomo e gli ha concesso un mondo. Perché noi non dovremmo fare la stessa cosa?”
“Dio ha creato l'uomo dall'argilla. Io ho creato dalla stessa argilla un servo intelligente per l'uomo. È questo il punto. Un servo, non so se capisce. Non è un automa, certo, e neppure uno stupido robot, incapace di scegliere e decidere autonomamente, ma è comunque una nostra creatura, e come tale non può accampare diritti.”
“Se Dio avesse seguito la stessa linea di pensiero, allora saremmo completamente sottomessi a lui. Invece eccoci qui, a giocare con la vita.”
“Questo è quello che succede se il padrone allenta la sorveglianza e lascia troppa libertà ai servi. Non succederà, può scommetterci. Una ribellione – prima che lei sollevi l'argomento – è una pura utopia. Loro sono molto più fragili di noi e non superano il milione di unità sparse per il mondo. Non sarebbero in grado neppure di organizzarsi. Qui a Genova, quanti ce ne sono? Me lo dica, forza. Lo sa quanti bioceramici sono stati venduti qui? Lo sa? No, non può saperlo, i dati di vendita sono riservati. Allora glielo dico io. Tre unità. A Genova sono operative tre unità. Un numero spaventoso! Che paura se si ribellassero! Aiuto! Tre mostri di ceramica ci stanno attaccando! Come possiamo fare?”
Moss accompagnò le sue parole con gesti teatrali e studiati. L'aula scoppiò in una violenta risata. Il relatore mise la mano a mo' di pistola.
“BANG! BANG! Oh, no! I proiettili sono inutili! Aiuto! Chiamate l'esercito! Sono solo stati ridotti in polvere dalle nostre cannonate!”
Le risate proseguirono ininterrotte.
“Bene, è questo che intendeva lei? Guardi, in confidenza non penso che possano essere un pericolo; anzi, a dirla tutta, non penso che siano neanche in grado di sostenere discorsi di questa portata. Lei cosa ne pensa? È ancora della sua idea?”
“Quante unità ha detto che sono operative qui a Genova?”
“Tre. Non una di più.”
“Allora potrà dirmi chi sono le altre due.”
L'aula sprofondò in un silenzio di tomba. Moss rimase in silenzio. La voce gli rimase bloccata a livello dalla laringe.
“Ora può continuare il suo discorso, signor Moss. Grazie per aver chiarito i miei dubbi.”
Dall'anello più esterno dell'aula magna, un vecchio osservò la scena divertito.
La creatura che si libera tramite il discorso... molto filosofico, ma poco attuale.
Si guardò attorno. Quel luogo non era cambiato molto negli ultimi duecento anni. Le apparecchiature erano state aggiornate, le lavagne sostituite con lastre sensibili al tocco a proiezione tridimensionale, ma l'edificio era sempre lo stesso – un palazzo storico considerato all'avanguardia all'epoca della sua costruzione, ora relitto di un passato lontanissimo.
Come Moss, del resto.
Il Dipartimento di Fisica dell'Università di Genova era stato ben felice di poter ospitare una conferenza tenuta da Nikolaj Moss, uno dei più grande imprenditori dell'epoca nel campo della biorobotica.... eppure fino a quel momento, il seminario era stato particolarmente deludente. Ogni volta che qualcuno desiderava intervenire, il relatore lo zittiva o lo invitava a desistere, persistendo nella sua spiccata ideologia utilitaristica. Moss era l'ultimo baluardo del capitalismo vecchio stile, prodotto di una società ormai in declino. Parlava un italiano quasi perfetto, nulla da dire su questo punto, ma le idee che esponeva erano quantomeno opinabili.
Poi, la sorpresa.
Un giovane studente del terzo anno era riuscito a farlo tacere. Non uno studente qualsiasi: una creatura delle sue stesse industrie.
Il vecchio rise divertito. In quel momento Moss doveva sentirsi come un antico Dio vendicativo che veniva messo in discussione dal suo stesso figlio. Questo aveva aggiunto un po' di sugo a quell'insipido monologo sulla superiorità dell'uomo e sul suo diritto di dominare l'universo. Se quell'idiota avesse saputo...
Idiota.
Esatto.
Non esisteva un altro termine per definire Nikolaj Moss.
La ricchezza, dopotutto, non è sinonimo di intelligenza...
La sua presenza era quasi un insulto ad Ettore Pancini, il fisico a cui l'aula magna era dedicata. Si sarebbe rivoltato nella tomba se avesse saputo che che un giorno un ignorante, arricchitosi grazie all'idea geniale del bisnonno, avrebbe dettato legge all'interno del glorioso istituto genovese? Moss aveva praticamente acquistato in blocco la facoltà. Quella mossa gli era stata consentita dalla legge che permetteva l'impiego di capitali privati nelle università. Il vecchio sospirò. La ricerca doveva seguire le sue linee guida...
Allontanò i pensieri che lo tormentavano e si concentrò nuovamente sul monologo interrotto. Moss riprese a fatica la parola.
“Vuole... vuole forse farmi credere che lei è uno dei tre? Ma mi faccia il piacere! Se era uno scherzo, nessuno ha riso. Tragga le dovute conclusioni.”
Lo studente si alzò in piedi.
“Signor Moss, lei è libero di non crederci, ma le assicuro che è così. Chieda al direttore del corso di studi, se non ne è convinto.”
Il vecchio si sentì chiamato in causa. Era lui la persona citata dallo studente. Alto, smilzo, occhi azzurri sempre in movimento, mai fermi, capelli grigi, lisci, piuttosto lunghi, acconciati in una coda dietro la nuca. Naso prorompente, qualche ruga di troppo, labbra asciutte, affilate, zigomi sporgenti. Noah Iuvarra aveva assunto quella carica solamente sei anni prima. Di origini torinesi, aveva frequentato l'università normale superiore di Pisa e si era laureato in fisica nucleare e subnucleare con il massimo dei voti. Aveva iniziato ad insegnare giovanissimo, dopo essersi dedicato alla ricerca per un po' di tempo. Infine, gli era stata assegnata la cattedra di professore ordinario all'università di Genova per il corso di Fisica Generale 3. Questo era accaduto trentacinque anni prima. Ormai Iuvarra aveva più di sessant'anni, ma il suo cervello ne mostrava quaranta di meno.
Alzò la mano per intervenire.
“Sì? Ora chi è che vuole... oh! Professor Iuvarra! Che sorpresa. Non pensavo assistesse a questa conferenza. Sa, gira voce che lei sia una persona particolarmente riservata e che detesti questo genere di incontri culturali...”
“C'è sempre una prima volta, signor Moss. Comunque vorrei solamente confermare la versione dello studente che è intervenuto...”
“Che ha avuto l'ardire di intervenire, se vogliamo essere precisi.”
“Come vuole lei. Dunque, lo studente che ha avuto l'ardire di intervenire dice la verità. Il suo nome è nel registro delle biomacchine. Tutto qui. Non ho altro da aggiungere, se non che è uno dei miei allievi più dotati, senza offesa per i biologici, naturalmente.”
“Naturalmente...”
Moss gli fece eco. Non andava d'accordo con Iuvarra. Era... antico. Sì, non esisteva un termine migliore per definirlo. Un sognatore, forse. Credeva ancora nella libera ricerca.
Un personaggio scomodo.
Non era riuscito ad allontanarlo dall'università, era molto influente: aveva addirittura vinto il premio Nobel per la fisica con Jorge Steiner e Ricardo Laza per una scoperta importante nel campo delle interazioni fondamentali – anche se di preciso non aveva mai capito quale – e questo aveva consegnato il suo nome alla storia. Troppo, troppo influente. Sarebbe scoppiato uno scandalo se lo avesse mandato via senza una grave motivazione. L'equivalente di allontanare dalla facoltà un Newton o un Einstein, privando l'Università di Genova di un nome importante, un nome in grado di attirare ingenti finanziamenti pubblici e privati, finanziamenti che sarebbero spariti nel nulla, inghiottiti dallo scandalo, se Noah Juvarra fosse stato congedato per un semplice capriccio o una divergenza di opinioni. Moss aveva fatto due conti approssimativi ed era giunto alla conclusione che licenziare Juvarra gli avrebbe fatto risparmiare circa seimila euro al mese e contemporaneamente gli avrebbe causato un danno economico di circa due milioni di euro all'anno. Il gioco non valeva la candela. Per due milioni di euro, si può sopportare chiunque.
Una filosofia che Moss aveva fatto propria da molto tempo. Venir meno alla propria linea di pensiero solamente per liberarsi di un vecchio insegnante imbecille sarebbe stato inutile ed allo stesso tempo dannoso. Per questo motivo aveva deciso di continuare a sopportarlo.
Ancora per un po', almeno.
“Se nessuno ha altre obiezioni di carattere etico o filosofico, torniamo a parlare di scienza pura e semplice.”
Sì, come no... Forse sarebbe il caso di iniziare a parlare di scienza. Iuvarra scosse la testa contrariato, stando ben attento a non farsi notare.
“Dunque, dicevamo... potremo mandare una spedizione su Marte che possa fornirci dei dati certi sulla possibilità per l'essere umano di sopravvivere in ambienti ostili... certo, potremmo dover pagare un costo in termine di vite artificiali, ma è un prezzo trascurabile rispetto all'opportunità di sviluppo della nostra specie. Questo penso possa essere condiviso da tutti voi, anche da chi non sembra gradire la mia presenza qui nonostante debba la propria esistenza a me. Non mi aspetto gratitudine ma almeno un po' di comprensione. Chi sono io per fermare il progresso?”
Un buffone. Quello non era un discorso, era una sorta di autocelebrazione narcisista. Iuvarra ne era assolutamente convinto. C'erano due o tre cose che Moss aveva, per così dire dimenticato di riportare. Per esempio, il trattato sull'esplorazione spaziale firmato dai funzionari di ogni paese civile in seguito al disastro della Ganzfield. Una simpatica omissione. In fondo non diceva nulla di così importante. Vietava solamente alle aziende non statali di finanziare e/o portare a termine progetti astronautici con equipaggio. E Moss voleva raggiungere Marte, terraformarlo? Un tentativo patetico di farsi pubblicità. Quel suo esperimento malato si sarebbe presto trasformato in un secondo caso Ganzfield se avesse deciso di utilizzare un equipaggio umano. Con i bioceramici aveva aggirato la legge. Nessuno scopo umanitario, nessuna salvaguardia di vite umane. Gli sarebbe costato molto meno inviare un'equipe di esseri biologici, solo che l'opinione pubblica non avrebbe condiviso. Con le biomacchine era tutto molto più semplice, da un certo punto di vista.
Il suo punto di vista.
Avrebbe cercato di parlargli, una volta terminato il seminario ma... sarebbe riuscito a resistere fino alla fine della conferenza? Doveva farlo, la posta in gioco era troppo alta. Cautela, vecchio mio, cautela. Non esporti troppo o finirai i tuoi giorni in una casa di riposo per scienziati. Per quanto Moss fosse estraneo all'ambiente accademico, era pur sempre il principale finanziatore del polo di scienze matematiche, fisiche e naturali. Un diverbio avrebbe potuto causare la prematura fine della sua carriera accademica. Iuvarra si sentiva vecchio solo nel fisico, per cui dal suo punto di vista aveva ancora molto da dare a quella generazione di nuovi ricercatori. Attese pazientemente che l'uomo terminasse il proprio sproloquio teatrale, seguito dagli applausi più o meno forzati dei suoi colleghi e degli studenti che erano venuti ad assistere. Solo l'allievo che era intervenuto a metà del discorso aveva avuto il decoro di non battere le mani. Lo stesso Iuvarra era stato costretto dall'etichetta ad un timido riconoscimento delle capacità oratorie di Moss. Era una questione di convenienza: non poteva mostrare ostilità prima di aver attaccato.
L'uomo prese la sua cartella e si avvio verso l'uscita dell'aula. Il vecchio lo seguì.
“Signor Moss, vorrei discutere con lei del suo intervento. Da quanto è emerso sembra che affrontiamo il problema da due punti di vista diversi...”
L'oratore gli dava le spalle.
“Il confronto è alla base della conoscenza. Dunque, come posso aiutar...”
Moss si voltò e impallidì. Oh, cielo! Perché proprio a me?
“Professor Iuvarra... Quale sarebbe il problema, se posso permettermi? Dove ho sbagliato questa volta? Non mi sembra di aver detto nulla se non quello che il pubblico vuole.”
“Qui non siamo in un'aula di parlamento, Moss. Questa è una libera università. Il suo è stato un discorso da politico più che da cultore della scienza.”
“Perché, volete farmi credere che nessuno prima di me si sia comportato così? Io sono un industriale e parlo secondo i miei interessi. Andiamo, in quale punto del mio intervento avrei urtato la sua sensibilità di libero pensatore?”
“Non faccia l'ipocrita. Lo sa benissimo.”
“Non si riferirà al diverbio che è incorso tra me e quello studente? Andiamo, è ridicolo! Comunque mi stupisco di lei. Perché ammettere una simile creatura al suo corso? Non le sembra immorale?”
“Immorale sarebbe stato non ammetterla, Moss. Finché sarò direttore del corso di studi, l'unico requisito per studiare fisica sarà la passione per la materia. Non ho intenzione di discriminare nessuno se è in possesso delle facoltà mentali necessarie per eccellere in questo campo e, prima che me lo chieda, non esiste alcuna legge che lo vieti. Solo dopo che il parlamento l'avrà votata, rivedrò la mia posizione. Non prima.”
“Lei è un uomo ostinatamente antico, Iuvarra. Non si rende conto che sono nostre creature? Noi possiamo disporre della loro vita come il nostro Signore può con noi!”
“Questa è pura ipocrisia! L'unico Dio che le interessa è il denaro”
“Vuole farmi la morale come la maestra delle elementari o pensa di passare a discorsi più edificanti, egregio professore?”
“La spedizione su Marte.”
Moss fu preso in contropiede.
“Cosa c'entra con il resto?”
“Le sembra un comportamento umano destinare esseri così simili a noi a morte certa? Perché non inviare degli automi?”
“Proprio perché non sono simili a noi. Iuvarra, lei deve capire che l'uomo non può rischiare in prima persona. Rifletta un attimo, rifletta e mi dica come testare le nostre reazioni su un mondo largamente sconosciuto senza sacrificare vite umane, che al giorno d'oggi sono considerate il bene più prezioso. Se decidessi di mandare degli astronauti normali, avrei tutta l'opinione pubblica contro. Se il test avrà i risultati sperati non ci saranno perdite di alcun genere e l'uomo potrà colonizzare finalmente il nostro vicino di casa color pomodoro.”
“Mi sembra la storia di Hillary e Tenzing. La conosce, signor Moss?”
“Veramente...”
Iuvarra sospirò.
“Hillary fu il primo scalatore a raggiungere la vetta dell'Everest. Fu il primo uomo a metterci piede. Questo è quello che tramandano i libri di storia. Non tutti sanno che in realtà il primo uomo a violare quella vetta proibita fu Tenzing, il suo portatore sherpa. Eppure alla storia è passato Hillary. Riesce a capire come questo sia legato al nostro discorso o devo tracciarle uno schemino?”
“L'ho capito benissimo, invece... le mie creature toccheranno per prime il suolo marziano ma l'unico nome ricordato sarà quello del primo astronauta umano, non è così? È lì che voleva arrivare? Ma non può che essere così! Si ricordano gli uomini, non gli animali o le cose. Gli uomini fanno la storia.”
“Eppure di Lajka, di Spirit e Opportunity si ricordano tutti. Erano forse umani?”
“No, ma il loro contributo, per quanto importante, è stato molto modesto...”
Noah Iuvarra sorrise.
“Mi risulta che almeno uno dei due rover sia rimasto in attività per più di vent'anni e abbia permesso di mappare con buona precisione una parte del suolo marziano. Certo, è stato un puro miracolo, visto che dovevano durare appena tre mesi...”
Moss perse la pazienza.
“Perché sta continuando a tergiversare su argomenti di cui io non so nulla? È possibile che trovi sempre il modo di farmi mettere un piede in fallo? Lei pensa che io sia un ignorante, non è vero?”
“Allora non è così stupido come cerca di apparire in pubblico, signor Moss. Arrivederci e grazie delle precisazioni.”
Iuvarra se ne andò senza attendere la risposta del relatore e si avvicinò allo studente che aveva avuto l'ardire di interrompere il discorso de l'uomo più influente del mondo. Ventuno – ventidue anni, capelli neri lisci, a caschetto, due ciuffi a coprire la fronte, occhi azzurri orientaleggianti, viso affilato, pelle bianca, pallida – al limite del cadaverico. Indossava una maglia nera con il logo dei Synthestesia – un gruppo rock-wave di qualche anno prima – jeans ordinari, scarpe nere a strisce bianche fluorescenti.
Il ragazzo ricambiò timidamente il saluto.
“Mi è piaciuto il tuo intervento, lo hai messo alle strette. Diciamo che se l'è meritato.”
“Grazie professore ma io, insomma... lo so, non avrei dovuto, ma... è stato più forte di me.”
“L'animo umano non ha bisogno di spiegazioni, Lyo. Hai fatto quello che ti sentivi di fare, tutto qui.”
“In teoria dovrei provare riconoscenza per Moss... ma proprio non ci riesco. Mi è profondamente antipatico per il modo in cui parla di sé e del suo impero. Non riesco a sopportarlo.”
“Non devi giustificarti, Lyo. Se fossi stato in te avrei fatto la stessa cosa. A proposito, io vado a mangiare un panino al Pit Stop, la mensa è chiusa oggi... Vuoi essere mio ospite?”
“Uh? No, la ringrazio, professore, ma non penso di...”
“Non mi dirai che hai paura di me, Lyo!”
Non era esattamente paura. Quando Lyo si ritrovava con i suoi compagni al di fuori di quelle mura ormai così familiari, non faceva altro che prendere in giro i professori, scimmiottando i tic di questo, le ansie di quest'altro, le espressioni celebri del prof di geometria... e le bizzarrie di Iuvarra. Sembrava una sorta di meccanico tuttofare. Ogni domanda su qualsiasi questione pratica si risolveva in una visita al suo studio, dove in generale si trovava un aggeggio in grado di risolvere esattamente quel problema.
– Prof, potremmo creare un raggio della morte per spaccare in due la Terra?
– Guardi, se vuole venga nel mio studio dopo le lezioni, che ho una macchina che fa questo mestiere.
Iuvarra era una sorta di elemento di rottura: un fisico sperimentale con il cuore di teorico. Una vera autorità nel suo campo.
Quando non aveva lezione, lo si poteva trovare al settimo piano, nell'Arboretum, come gli piaceva chiamarlo – l'unica sezione della facoltà in cui si potevano trovare affiancati vecchi strumenti di ricerca e alberi decorativi. Un piccolo museo allestito in secoli di attività. Vacuometri, termometri a mercurio, guide d'onda, persino un trabiccolo di legno utilizzato da alcuni studenti per un esame di laboratorio. Tutto perfettamente conservato sotto vuoto. Il Sole illuminava i muri bianchi dei piani alti con una singolare lucentezza, rendendoli simili ad una sorta di Paradiso, se confrontati con la pittura nera che caratterizzava i piani inferiori.
Lo studio di Iuvarra era particolarmente disordinato. Libri ovunque, i volumi cartacei de la Fisica di Feynman su uno scaffale, quelli della Fisica di Landau sull'altro. Al centro, la foto di Carlo Maria Becchi, un fisico che aveva praticamente scritto la teoria dei campi, affiancata da una serie di immagini più piccole, raffiguranti i docenti che lo avevano preceduto. A fianco, manuali d'uso di LabView e Microcap, programmi ormai troppo vecchi per essere utilizzati con i moderni hardware. Iuvarra era un amante del vintage. Sul suo PC aveva installato un emulatore di Windows 8, un sistema operativo vecchio di duecento anni, per il solo gusto di studiare il funzionamento di quei vecchi programmi di acquisizione dati e simulazioni di circuiti, chiedendosi ogni volta come avevano fatto i suoi predecessori a scoprire quello che li aveva resi famosi senza poter ricorrere a calcolatori potenti come quelli a sua disposizione. C'era una punta di invidia nelle sue parole. Diceva sempre di essere un nano in confronto a Newton o Fermi, nonostante avesse contribuito in modo significativo allo sviluppo della fisica moderna.
Lyo avrebbe pranzato assieme al direttore del corso di studi, nonché suo ex-professore. Avrebbe dovuto cercare di rimanere più serio possibile. Oppure avrebbe potuto inventarsi una scusa. Il vecchio docente lo tolse d'impiccio, prendendo l'iniziativa.
“Comunque penso che anche tu debba mangiare qualcosa... e poi cosa ti costa farmi compagnia? Il mio esame l'hai già dato, no? Trenta con lode, se non ricordo male. Il professor Giacometti ha quasi avuto un infarto quando si è accorto di aver appena dato il massimo dei voti ad un bioceramico. Sai come la pensa, no? È particolarmente arretrato.”
Giacometti era l'esercitatore di Fisica 3. Da quel momento non lo aveva più rivisto. Sospettava che lo evitasse di proposito, ma francamente non gliene importava nulla.
“Certamente, però non sono in grado di distinguere i sapori e...”
Iuvarra rise.
“Balle. Al Pit Stop fanno panini così buoni da resuscitare i morti. Vedrai che almeno questa volta sentirai la differenza. Andiamo, offro io.”
Lyo sorrise e lo seguì verso l'uscita dell'edificio. Dall'altro lato del piano, si respirava un'aria completamente diversa. Moss era letteralmente infuriato. Quello stupido studente prima e Iuvarra dopo lo avevano umiliato. Cercò qualche matricola, bidello o addetto alle fotocopie da insultare ed angariare per scaricarsi e ribadire il proprio controllo su quel posto.
Controllo.
Esatto.
Era stato messo in discussione il suo dominio assoluto sul dipartimento. Nessuno poteva attaccarlo gratuitamente e sperare di farla franca. Chiuse gli occhi. Si sforzò di trattenere tutto l'odio e il disprezzo che provava verso la riverita persona del direttore del corso di studi per non scoppiare. Quando li riaprì si trovò davanti un uomo alto, imponente, dai lineamenti duri e squadrati. Occhi scuri, attenti, fissi su di lui. Una fronte ampia, contornata da pochi capelli neri. Non lo aveva mai visto in vita sua.
“Buongiorno, signor Moss. Lei probabilmente non mi conosce...”
“Non ne ho il piacere.”
“Ho seguito con interesse il suo intervento e devo ammettere che sono del suo stesso parere.”
Il volto dell'uomo si illuminò.
“Davvero? Con chi ho l'onore di parlare in questo momento?”
“Non penso le possa interessare un nome che dimenticherà una volta uscito da questa stanza, signor Moss...”
Giusto, esattamente quello che pensavo, però...
“Capisco, ma non è mio costume intavolare una conversazione con qualcuno di cui non conosco le generalità.”
“Mi chiami Roth, allora, se è questo che vuole. Mi piacerebbe discutere con lei di alcuni degli argomenti che ha esposto.”
“Dica. Sono pronto a rispondere ad ogni sua domanda.”
Purché sia una domanda intelligente, ovviamente...
“Precisando che condivido appieno il suo punto di vista, vorrei sapere cosa farebbe se fosse lei la creatura e non il creatore.”
“Immagino sia un richiamo all'intervento che ha spezzato la mia relazione a metà.”
“Precisamente. Vorrei che lei provasse ad immedesimarsi. Cosa avrebbe fatto se lei fosse stato quello studente?”
“Avrei rispettato il ruolo che questa società mi ha fornito. Non mi sarei certo ribellato verso il mio creatore.”
“Ne è certo? Diciamo... se io fossi per ipotesi il suo creatore e le dessi del decerebrato, utilizzando altri appellativi che ora non mi sovvengono ma non sono per nulla eleganti, lei se ne starebbe zitto e buono, con il carattere che ha?”
Cielo! Un altro moralista...
“Penso di no, in effetti. Ma nel mio discorso io non ho utilizzato nessuno dei termini che lei mi ha esposto. Ho solamente detto che per consentire all'uomo di compiere un passo avanti di portata galattica, è necessario qualche sacrificio. Non mi sembra di aver offeso la sensibilità dei presenti.”
“Qualche sacrificio... a senso unico. Lei non ha parlato mai di esseri umani.”
“Insomma, vuole continuare su questa strada? Se è così, la saluto. Non ho alcuna intenzione di affrontare questo argomento. Se crede di poter incentrare questa conversazione sull'etica, me lo dica subito, così che io possa organizzarmi.”
“D'accordo. Parliamo di scienza. Come ci è riuscito?”
“Prego?”
“Come avete fatto a creare la vita, Moss? È stato un risultato straordinario Non ho la minima idea di come possiate aver concepito un'idea del genere.”
“Il merito è tutto del mio bisnonno Ivan Moss. È stato lui ad avere l'intuizione geniale di utilizzare la plasticeramica di Oroev, modificata da Lercari, per costruire esseri almeno apparentemente vivi. In effetti, respirano, mangiano, bevono, dormono, ma ovviamente non possono riprodursi. Sarebbe un errore permettere loro di diffondersi, non trova?”
“In effetti è lo stesso problema che ci siamo posti anni fa...”
“Prego?”
“No nulla, lasci perdere. Quindi, mi diceva, queste creature sono fatte di ceramica. Un materiale completamente diverso dalle ossa e dalla carne, eppure...”
“Già, già.”
Ormai era evidente che quell'uomo, Roth o come diavolo si chiamasse, non aveva seguito una sola parola del suo intervento. Doveva essersi svegliato solamente durante il dibattito.
“Senta, Moss, le sue idee mi piacciono. Il creatore deve essere libero di disporre di coloro a cui ha dato la vita. Non poteva forse il pater familias romano vendere i propri figli come schiavi? Perché noi non dovremmo avere lo stesso diritto? E per quale motivo ampliare le loro libertà? Non sono nati per essere liberi, Nikolaj. Sono stati creati per servirci. ”
“Mi sembra di capire che l'argomento le stia a cuore, Roth...”
“Diciamo che mi sono trovato nella sua stessa situazione. È imbarazzante, sa? Essere corretti da una propria creatura. Tutti i tuoi pari ti sfottono, perché non sei riuscito a farti rispettare come padrone...”
“Francamente non capisco. Non ho mai sentito il suo nome legato alla costruzione di automi o amenità simili.”
“Non parlavo di automi, signor Moss. Comunque, se ora le ordinassi di seguirmi, lei cosa farebbe?”
Moss rise di gusto.
“Non mi muoverei assolutamente da qui, nemmeno di un millimetro. Io sono un uomo, non prendo ordini da nessuno, tantomeno da lei. Perché dovrei, poi? Mi dia un buon motivo per farlo.”
Il voltò di Roth divenne paonazzo. Moss se ne accorse, ma non riuscì a decifrare la sua espressione. Cercò di cambiare argomento.
“Scusi, lei mi ha accennato prima di aver vissuto una situazione simile alla mia. Quando è stato? Voglio dire... in che occasione?”
“Adesso, Moss. Esattamente in questo momento. Mi permetta di salutarla. Ora devo andare, ma sono convinto che ci rivedremo. Le lascio il mio numero personale. Vorrei chiarire qualche aspetto del nostro incontro.”
“Certo, si figuri...”
Un altro fanatico invasato... Ora mi tocca pure dargli il mio numero per correttezza. Potrei dettarglielo sbagliato? Sì, farò così.
Roth gli dettò il numero.
“Bene ora mi faccia uno squillo.”
“Prego?”
“Uno squillo, per sicurezza. Sa, potrei aver commesso qualche errore... meglio premurarsi di averle fornito un recapito corretto.”
Maledetto, mi ha fregato...
Moss premette il tasto di chiamata. Il display del cellulare dell'uomo si illuminò.
“Grazie. In questo modo posso anche memorizzare il suo numero senza disturbarla. Ora mi devo assentare, affari urgenti mi reclamano. A dopo, Moss. Mi farò vivo io.”
VSC Ganzfield
(redirect from: Ganzfield)
La Veico Space Cruiser (VSC) Ganzfield è un veicolo progettato dalla Leonov Ships per la navigazione spaziale in orbita bassa. I lavori di costruzioni iniziarono nel maggio 2089 e terminarono nel settembre 2091, nei cantieri Piaggio/Baglietto.
La Ganzfield fu consegnata assieme a due navi sorelle, la Sheldrake e la Kramer. È entrata in servizio nel gennaio 2092. Ha al suo attivo sessantaquattro voli – sessantuno con passeggeri, tre col solo equipaggio. È stata ritirata nel 2104, a seguito dell'incidente che porta il suo nome.
Particolari tecnici [mostra]
Servizi offerti [mostra]
L'incidente e il ritiro[nascondi]
Nel marzo del 2102, al comandante Seif Haven fu diagnosticato un tumore maligno all'apparato respiratorio. Nell'aprile dello stesso anno, altri quattro membri dell'equipaggio furono ricoverati in seguito a diagnosi simili. Entro i primi mesi del 2103, tutti coloro che avevano lavorato sulla nave per più di dieci anni contrassero malattie croniche. Analisi tecniche della struttura portarono alla conclusione che la nave non era sufficientemente schermata dai raggi cosmici.
La Veico Space fu citata in giudizio per negligenza.
La sentenza di primo grado condannò i dirigenti della società a risarcire le famiglie delle vittime ed impose lo stop alle crociere orbitali.
La Veico ricorse in appello l'anno successivo.
Nel 2106 il giudice ribaltò la sentenza constatando che la Ganzfield era stata costruita a norma di legge, seguendo tutte le più recenti direttive, e sollevando di fatto la Veico dall'obbligo di risarcimento. L'azienda è stata comunque diffidata dall'organizzare altre crociere fino a che un'opportuna commissione non avesse accertato le cause dell'incidente. La sentenza ha messo in luce una generale carenza nelle normative vigenti in fatto di schermature per astronavi da crociera.
Il caso è passato in giudicato nel 2112, con la conferma della sentenza di secondo grado.
Nel 2116, l'ONU ha deliberato il divieto assoluto di sfruttamento dello spazio extra atmosferico e la gestione di voli prolungati con equipaggio umano da parte di enti non statali non autorizzati, precludendo di fatto lo sviluppo di tecnologie adatte all'esplorazione spaziale.
Voci Correlate[nascondi]
Veico Space
Decreto sull'usufrutto dello spazio extra atmosferico
Direttive generali sui metodi di schermatura
Raggi cosmici
Crociere spaziali
Organizzazione delle Nazioni Unite
(fonte: Wikipedia)
3.
Il Pit Stop era una sorta di istituzione per gli studenti della zona. Un locale identico a se stesso da oltre duecento anni. Era situato nei pressi della scalinata Papigliano, subito prima della strada in salita che portava alla facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali. La gestione era passata di mano in mano, senza che il locale subisse modifiche evidenti. Il volume di affari era particolarmente consistente, soprattutto nei giorni in cui le mense ARSSU erano chiuse, come quello. Un buon motivo per assumere un giovane volenteroso per servire i clienti più velocemente. Damiano Serranti aveva pubblicato la notizia su alcuni quotidiani online, limitandone la diffusione in Liguria, per non dover pagare troppo di trasferta.
Nessuna esperienza richiesta, solo cortesia, affabilità e un bel sorriso. Perché si sa, i clienti spendono più volentieri se il cameriere sorride. Non era stato difficile trovare gente disposta ad accettare quel lavoro, aveva dovuto fare una piccola selezione. E non poteva che essere soddisfatto della ragazza che aveva assunto. Chiuse gli occhi.
Ragazza? Posso chiamarla così?
In effetti, almeno esteriormente ci assomigliava molto e il suo aspetto fisico meritava davvero più di un'occhiata fugace, ma in realtà era un essere bioceramico, una sorta di macchina umanoide. Solo quello.
Uno spreco, un vero spreco.
Un corpo da favola, un viso da brava ragazza, con occhi particolarmetne espressivi, una delicatezza nei movimenti tale da paragonarla ad una ninfa. Ma era finta. Era come prendersi una cotta per un manichino. Solo che in questo caso, il manichino parlava, respirava, camminava ed era in grado di ragionare meglio di molti esseri umani veri.
Che peccato...
Tornò con la mente al colloquio di due giorni prima. Ylena era entrata nel bar e si era seduta al tavolo. Con una timidezza forse un po' eccessiva aveva chiesto di lui e lo aveva messo al corrente della sua condizione. La famiglia che l'aveva fatta assemblare non le avrebbe mai pagato gli studi, così aveva deciso di trovarsi un lavoro. Ovviamente, nessuno l'aveva ancora assunta.
Già, perché spendere denaro per un automa? È già programmato per lavorare gratis.
Damiano abbozzò un sorriso.
Si riteneva un uomo di larghe vedute e si era comportato di conseguenza.
O meglio... perché no? In fondo è di bella presenza. Per i clienti basta questo.
Così l'aveva assunta. Ora si rendeva conto di quanto avesse guadagnato da quel contratto. Ylena era la dipendente che tutti avrebbero desiderato. Ventun'anni appena compiuti, diligente, cortese, gentile ma decisa ad eseguire al meglio il suo compito. Erano soldi ben spesi.
Peccato. Un vero peccato che non sia umana...
La porta del locale si aprì. Damiano si voltò verso il potenziale cliente. Era una vecchia conoscenza, il professor Noah Iuvarra.
“Noah! Che piacere vederti! Quanto tempo è passato dall'ultima volta che ci siamo visti?”
“Circa due settimane, Damiano. Sai che non resisterei troppo a lungo senza i tuoi panini.”
“Solito tavolo con vista olovideo? C'è un programma particolarmente interessante, adesso. Musica pop degli anni '90. Roba da intenditori.”
Il vecchio professore rise divertito.
“Non è esattamente il mio genere. Il synthcore suonato dai computer non mi ha mai entusiasmato così tanto. Penso che mi accomoderò su un divanetto. Ho ospiti a tavola oggi.”
Solo allora il barista notò che il suo amico era accompagnato da uno studente che avrà avuto sì e no una ventina d'anni.
“Un tuo studente? Per quale motivo, se posso...”
“No, niente di particolare... non avevo voglia di mangiare da solo e ho trovato questo ragazzo con lo stesso problema.”
“Capisco. Vi mando Ylena ad attivare i menù.”
“Ylena?”
“La nuova assunta. Avevo giusto bisogno di una mano.”
“È italiana?”
“Sì, sì, abita a Vado, vicino ai generatori atmosferici...”
“Toglimi una curiosità: quella Y nel suo nome indica quello che penso?”
“Non ne ho idea. Che cosa ti passa per la testa, Noah?”
“Puoi immaginarlo, Damiano.”
“Sì, ok, ho capito. Stai facendo riferimento alla legge sulla denominazione delle...”
“Esatto.”
“Ottimo spirito di osservazione. Hai vinto.”
“Non ne dubitavo.”
Lyonar lo osservò perplesso.
“Che cosa significa, prof?”
“Nulla, nulla, stai tranquillo. Nessuno capisce i nostri discorsi. Non sentirti inferiore per questo.”
“Guardi che penso di aver capito benissimo. Il suo amico faceva riferimento alla legge sulla denominazione delle biomacchine dell'otto settembre 2191, la quale obbliga a porre una Y all'interno del identificativo del soggetto. Pensa che Ylena sia una bioceramica?”
“Non ne ho idea. Vorrei vederla, prima.”
Iuvarra sospirò. Quella Y era una sorta di marchio d'infamia. La legge vietava l'utilizzo di quella lettera nei nomi destinati agli esseri umani convenzionali nati dopo la sua approvazione.
“Sediamoci, forza. Il locale si riempirà entro pochi minuti. Approfittiamo dello spazio che abbiamo a disposizione.”
Lyonar diede un'occhiata veloce al bancone. La ragazza che se ne occupava non sembrava particolarmente attraente. Scosse la testa. Non aveva senso preoccuparsi di queste cose. Nessuna ragazza sarebbe uscita con un sintetico. La porta di servizio si aprì. Una seconda ragazza raggiunse la prima, applicò un display ovale al polso sinistro e si diresse verso di loro.
Però... questa invece non è per niente male... anzi...
Scosse di nuovo la testa, in modo più violento. Cosa diavolo gli saltava in mente?
La ragazza sfiorò il tavolo con l'indice destro. Un tripudio di luci e colori animarono la superficie di finto legno, mostrando la lista completa dei panini e degli ingredienti. Il prezzo era scritto in piccolo, in modo da essere visibile ma non troppo.
“Lei è il professor Iuvarra? Piacere, sono Ylena. Damiano deve averle già parlato di me...”
“Ah! Il caro Damiano non avrebbe potuto trovare una perla più bella, ragazza mia!”
Ylena arrossì. Era abituata a ricevere complimenti per il suo aspetto fisico, ma in quella voce c'era qualcosa di diverso, una sorta di affetto paterno.
“Scusami non volevo metterti in imbarazzo. Questo è Lyonar, un mio studente. Forza, Lyo, saluta Ylena, non essere timido!”
Lyo sarebbe voluto sprofondare nella sedia. Ylena sorrise dolcemente. Le erano bastati pochi secondi per inquadrare il professor Iuvarra. Un ventenne imprigionato nel corpo di un uomo di sessant'anni suonati. Lyo invece non aveva ancor aperto bocca. Non sapeva nemmeno che voce avesse.
“Piacere...”
Le lettere uscirono lentamente dalle sue labbra, strascicando ed incespicando. Si sentiva in imbarazzo.
“Chiamatemi quando avete deciso. Io torno al bancone.”
Ylena voltò loro le spalle e se ne andò.
“Ragazzo mio, cosa mi combini? Io ti presento ad una bellezza del genere e tu non riesci a dire nulla se non piacere?”
“In generale le ragazze mi evitano per la mia natura. Ho solo un paio di amici fidati che mi conoscono da quando ho tre anni e che non si sono mai fatti guidare dai pregiudizi.”
“Ne sono consapevole, ma vedi... io penso che quella ragazza...”
“Sì?”
“No, niente, lascia fare a me. Aspettiamo che torni da noi. Cosa prendi? Io ti consiglio uno Zio Sam... è il meglio per chi ha molta fame. Oppure un Gola Profonda: pomodoro, lattuga, cotto, uova sode, maionese, tonno e chi più ne ha più ne metta. Non farti problemi, per questa volta offro io.”
“Grazie, prof, ma mi sembra di averle già spiegato che io non sento i sapori né gli odori. È un limite sensoriale che non posso superare.”
“Molto triste, a dir la verità. Mi dispiace davvero, Lyo. Vorrà dire che ordinerò io per te. Ylena!”
La ragazza attivò il microdisplay appiccicato al suo polso e raggiunse il tavolo dove i due si erano accomodati.
“Avete deciso?”
“Un Gabry per Lyo e uno Zio Sam per me... ah, mi raccomando, voglio il ketchup sulle patatine. Da bere, portaci una naturale da un litro, ok?”
Ylena sfiorò nuovamente il tavolo. Il menù interattivo si spense, lasciando il posto a finte nervature.
“Perfetto. Porto subito la vostra ordinazione a...”
“Scusa, Ylena, posso farti una domanda?”
“Uh? Ok...”
“Sei sintetica, vero?”
Se avesse potuto diventare più pallida di quanto già non fosse, il suo volto sarebbe sbiancato. Lyo sgranò gli occhi.
“Va bene, precisiamo meglio i termini della questione. Questa è una domanda diretta e, se ho visto giusto, tu dovresti essere obbligata a rispondere.”
La ragazza esitò. Sembrava indecisa, confusa e imbarazzata.
Non anche qui, ti prego...
“Ylena?”
“Sì. Lo sono. Lo ha capito dal marchio d'infamia, vero?”
“Esattamente. La Y nel nome. Ma non è il caso di chiamarla così. È una lettera elegante che risale addirittura all'antica Grecia. Il tuo nome è particolarmente melodioso, come del resto tutta la tua persona. Una tale perfezione non è di questo mondo. Dovresti rallegrartene.”
Rimase in silenzio. Non sapeva cosa dire. Iuvarra si rese conto di averla messa in difficoltà.
“Scusami, non volevo ferirti... era solo una banale curiosità. Sai, anche il qui presente Lyonar è sintetico al cento percento e...”
Lyo sprofondò ulteriormente nella sedia. Ylena lo osservò incuriosita, poi sorrise.
“Era l'ultima cosa che pensavo potesse accadere! Incontrare un altro essere come me così lontano da casa mia...”
“Sono certo che tra voi possa nascere una bella amicizia. Ehi, per favore, non fraintendetemi! Sicuramente potreste trovarvi più a vostro agio che con un biologico bacchettone ed idiota convinto di essere superiore agli stessi umani solo perché, senza alcun merito da parte sua, ha ereditato e sta dirigendo una multinazionale già avviata dal bisnonno, dal nonno e dal padre... non faccio nomi, ma ogni riferimento a Nikolaj Moss è puramente voluto.”
L'imbarazzo si sciolse in una risata collettiva. Iuvarra aveva questo dono di natura. Riusciva sempre a trovare le parole giuste al momento giusto.
“Ok, professore. Ci vediamo dopo. Faccio preparare subito i vostri panini.”
Lyo era visibilmente indeciso sul da farsi.
“Cos'hai?”
“Niente... sono solo stupito. Io non avrei mai detto che lei fosse come me.”
“Allora dovevi proprio avere la testa tra le nuvole! Pazienza, meno male che il vecchio caro professor Iuvarra è qui per aiutarti a costruire delle relazioni sociali!”
La porta del locale si aprì. Entrò un uomo sulla cinquantina, dai lineamenti rudi e marcati. Una corona di capelli neri incorniciava la sua ampia fronte scura. Iuvarra cercò di ricordare dove lo avesse già visto. Era forse presente alla conferenza di quella mattina? Di certo, lo aveva già visto almeno una volta.
L'uomo si sedette da solo in un tavolo appartato. Ylena attivò il menù ottico. Lui ringraziò, poi si mise ad esaminare i panini in lista. Aveva uno strano accento. Il vecchio professore non ricordava di averne sentito uno simile. La ragazza tornò al loro tavolo per portare la bottiglia d'acqua richiesta.
“Lo conosci, Ylena? L'uomo seduto là in disparte... è un vostro cliente abituale?”
“Io lavoro qui solo da un paio di giorni, comunque posso dirti che ieri c'era. Non so quanto possa essere importante. Per quale motivo mi ha fatto questa domanda?”
“Curiosità. Pura e semplice curiosità.”
No, non era vero. Non lo avrebbe mai ammesso ad anima viva, ma quell'estraneo lo inquietava. Era come se esercitasse una sorta di attrazione di tipo mistico in ogni cliente del locale. Anche solo per un attimo, tutti si erano voltati per tentare di squadrarlo. Era riconosciuto come un elemento di disturbo, come un ospite che nessuno si ricorda di aver invitato alla festa. Forse era troppo sospettoso, ma il primo impatto non era stato dei migliori. Iuvarra si voltò nuovamente verso Lyo. Poteva tranquillamente disinteressarsene per una buona mezz'ora. Il gigante si guardò attorno, con circospezione, poi estrasse il cellulare dalla tasca del giacchetto – un modello piuttosto vecchio, a dir la verità, tanto che Iuvarra si chiese come fosse possibile che sopravvivessero ancora certi pezzi d'antiquariato... – e compose un numero. Fece un po' di fatica. Le sue dita enormi scorrevano sulla tastiera, priva di risposta al tocco. Era una situazione grottesca, sembrava una vignetta comica della Settimana Enigmistica. A fatica, terminò di comporre un numero, poi premette un altro tasto per inoltrare la chiamata. Il suo cellulare non era solo vecchio. Era antico. Sembrava essere uscito dai filmati sulla vita nei primi anni del ventunesimo secolo. In effetti, l'industria non era progredita troppo da quel momento. La decisione pressoché mondiale di salvaguardare il pianeta e, per così dire, risparmiarlo, aveva dato buoni frutti ma aveva arrestato in parte lo sviluppo tecnologico. I cellulari moderni erano comunque apparecchi a basso consumo con processori paragonabili a quelli di un computer. Si appoggiavano ad una rete leggermente diversa da quella che per circa un secolo aveva trasmesso informazioni via etere, per cui anche se esteriormente sembrava un ferrovecchio, quell'apparecchio non poteva essere così superato. Non sarebbe stato possibile effettuare una chiamata, altrimenti.
Forse la Nokia o qualche altra casa produttrice aveva deciso di immettere sul mercato una linea dal gusto retro, progettando qualche replica funzionante dei vecchi 3310 e 3410 – risalenti all'alba della telefonia mobile. Schermo in bianco e nero, memoria per dieci messaggi, peso non trascurabile. Però erano robusti, o almeno così gli sembrava di aver letto sulle enciclopedie digitali. Non che Iuvarra si intendesse troppo di telefoni: si limitava a cambiarne uno ogni tanto, senza impegno. Sospirò. Nonostante i suoi buoni propositi non era riuscito a tenere a freno la curiosità e si era nuovamente sintonizzato sullo sconosciuto. L'uomo portò il telefono all'orecchio destro e si mise in attesa. Dopo alcuni secondi la sua voce permeò l'interno del locale. Una voce particolare, difficile da descrivere. Nessuno sembrò in grado di farsi i fatti propri. Il gigante monopolizzò l'attenzione degli avventori, come se si fosse trovato al centro del palco e i tavoli fossero la platea o le gradinate. Un silenzio irreale sostituì quasi completamente il brusio di voci indistinte. In sottofondo, solo l'olovisore dava segni di vita, trasmettendo la versione remixata di una canzone dei primi anni duemila – Lyo vi aveva riconosciuto un pezzo di Battiato, ma in quel momento momento non sembrava importare a nessuno.
“Pronto? Sì, sono io. Lo so, non si aspettava che la contattasi così presto, ma ho urgente bisogno di parlarle. Possiamo incontrarci domani alle tre davanti alla facoltà? Come? Ha deciso di partire in mattinata con il suo jet privato? Oh, nessun problema, ma sono sicuro che lei alle tre sarà davanti alla facoltà. È un ordine. Come dice? Riesce a rinviare la partenza? Va bene... ok... perfetto. A domani.”
Riagganciò e ripose il ferrovecchio – in quale altro modo poteva essere definito? – in tasca. Lyo era stato attento al tono di voce con cui lo sconosciuto si era rivolto al suo interlocutore. Era pressappoco lo stesso con cui i suoi genitori si rivolgevano a lui per obbligarlo a fare qualcosa, quindi dall'altro capo del ricevitore doveva esserci un bioceramico... ma non aveva mai sentito parlare di bioceramici con un aereo personale a disposizione. C'era qualcosa di strano e allo stesso tempo straordinario in quell'uomo seduto in disparte. Sembrava soddisfatto, come se avesse rimediato ad un torto subito.
Ordinò da mangiare e da bere, come se niente fosse. Iuvarra lo osservò con attenzione. Sembrava abbastanza impacciato nella sua imponenza: un gigante con i riflessi di un bradipo e la grazia di un elefante. Questa era l'impressione, a prima vista. Tutto sommato sembrava un tipo a posto, normale, assolutamente ordinario... ma forse era proprio quello ad inquietarlo maggiormente. Timori infantili si stavano materializzando sotto forma di un immenso uomo nero, seduto a pochi tavoli di distanza da lui.
I suoi pensieri furono interrotti dall'arrivo di Ylena.
“Ecco i vostri panini. Un Gabry per il tipo timido e uno Zio Sam per l'anziano galantuomo!”
“Grazie mille. Siete stati velocissimi. Ricordami di lasciarti una mancia alla fine...”
La cameriera sorrise timidamente.
“Perché un così bel fiore non studia nella mia facoltà?”
“Lavoro proprio perché voglio pagare la retta. Vorrei iscrivermi a lettere classiche, ma la famiglia che mi ha fatto assemblare non ha intenzione di sostenermi economicamente, nonostante sia tra le più ricche della Liguria...”
“Sono contento che tu abbia deciso di arrangiarti in questo modo. Vorrà dire che raddoppierò la mancia. Per la conoscenza si fa questo e altro.”
“Grazie... se tutti fossero sensibili come lei...”
“Purtroppo hanno buttato via lo stampo, ragazza mia! Io sono unico.”
Ylena tornò al bancone. Il flusso di clienti era aumentato in modo esponenziale. Era l'ora di punta. Iuvarra e Lyo si erano messi a discutere della necessità o meno per un essere umano completo di poter assaporare il cibo.
“Io non posso percepire i sapori, voi sì. Questa è una differenza bella e buona!”
“Se una creatura pensa come un essere umano, allora è un essere umano, a prescindere dal materiale con cui è stato costruito! Qualunque animale percepisce i sapori, ma non può – non potrà mai – arrivare al tuo livello di autocoscienza!”
“Chi le dice che il mio cervello-computer non stia solamente simulando un comportamento umano? Può essere che anche i miei sentimenti siano artificiali! Potrebbe distinguere un robot che finge di essere un uomo da un vero uomo?”
“Ovviamente no, ma questa non è una buona ragione per pensare che tu stia solo fingendo di discutere con me, solo per assomigliare ad un essere umano!”
Venti minuti buoni di dialogo non erano riusciti a metterli d'accordo. Erano rimasti stoicamente, più per orgoglio che per altro, sulle loro posizioni, trincerandosi nelle proprie convinzioni, senza arretrare di un passo. Lo sconosciuto, nel frattempo, aveva terminato il suo pasto e si era diretto verso l'uscita. Non vi era nulla di strano. Aveva terminato il suo pasto, svuotato una bottiglia d'acqua e riposto educatamente i piatti uno sull'altro, in modo da facilitare il compito del cameriere. C'era un solo dettaglio fuori posto. Se ne stava andando senza pagare. Ylena lo notò indispettita.
“Aehm... signore? Ci sarebbe il conto da pagare. I panini non sono gratis, e nemmeno l'acqua.”
“Lasciami andare.”
Ylena si avvicinò all'avventore.
“Non prima di aver pagato.”
L'uomo assunse un'espressione sorpresa.
“Non può essere, a meno che...”
Le afferrò il braccio con uno scatto degno del miglior pugile ed incominciò a stringere la presa. Ylena urlò per il dolore. La sua voce spezzò il brusio, attirando l'attenzione dei presenti. Lyo non ci pensò neanche un secondo. Si alzò, corse verso di lei, seguito a ruota di Iuvarra. Un crepitio, un rumore simile a quello di un vaso che andava in frantumi. Per un attimo le urla disperate della ragazza furono sovrastate da un sinistro scricchiolio, uno stridio acuto e penetrante. L'uomo lasciò la presa, soddisfatto. Ylena non aveva ancora avuto il coraggio di riaprire gli occhi. Quel dolore poteva significare solamente una cosa. “Dio, fa che non sia vero...”
Si fece coraggio.
Trattenne un grido di terrore, cercando in ogni modo di ricacciarlo in gola. Se non ci fosse riuscita, tutto il suo coraggio si sarebbe frantumato come il suo avambraccio. Una grossa crepa ne minava la stabilità, ramificandosi verso il gomito, verso il dorso della mano. Si accucciò a terra, cercando di coprire al meglio la ferita, poi abbassò velocemente la manica, chiudendo gli occhi per non piangere.
“Come pensavo. Non sei umana.”
Un ghigno soddisfatto fece la sua comparsa sul volto trionfante, il volto di un uomo consapevole di aver interpretato i segnali nel modo corretto. Damiano Serranti si avventò sull'aggressore.
“Ma come si permette di comportarsi così? Le ha solo chiesto di pagare!”
Il gigante si voltò verso di lui. Lo osservò perplesso.
“Mi sembra di essere stato abbastanza chiaro, ieri. Non è necessario che io vi paghi.”
“Cosa diavolo sta dicendo? Non le sembra di aver un po' esagerato? Non penso che a casa sua lei si comporti così.”
“No, infatti. Ma non è né il luogo, né il momento di discuterne. Io non pagherò. Lei mi lascerà andare. Tutti voi qui presenti mi lascerete andare. E nessuno di voi mi seguirà o denuncerà. Anzi, la maggior parte di voi si dimenticherà sicuramente dell'accaduto. Gli altri non avranno motivo di preoccuparsene, almeno per le prossime tre ore.”
Damiano sembrò impietrito. Lo stesso Iuvarra rimase fermo come un pesce bollito. Lyo cercò di soccorrere Ylena, ma lei lo respinse con forza.
“Posso cavarmela benissimo da sola! Lasciami!”
Piangeva, ma cercava di mostrarsi più forte di quanto non fosse in realtà. L'uomo si allontanò nell'indifferenza generale. Nessuno sembrava intenzionato a mettersi sulla sua strada.
“Allora, arrivederci. Prima o poi tornerò a farvi visita. I panini non erano così male, dopotutto.”
Imboccò l'uscio e fece perdere le sue tracce.
Dopo un paio di minuti, il barista rinvenne dallo stato di shock.
“...cosa è successo, esattamente? Non riesco a collegare gli ultimi avvenimenti...”
Il vecchio lo seguì.
“Ma come è possibile? È scappato? E noi... non abbiamo fatto nulla?”
Ci vollero ancora trenta secondi prima che si ricordassero della ragazza e della spaccatura che stava pericolosamente compromettendo la sua mobilità articolare.
“Ylena, fammi vedere la ferita, per favore. Forse possiamo ripararla senza troppi problemi.”
“No, vi prego, non qui... davanti a tutti! Non voglio...”
“Rilassati. Nessuno vuole danneggiarti. Cosa c'è, hai paura di essere emarginata? Solo perché non sei un essere umano?”
“Sì, cioè no, cioè...”
Inspirò profondamente.
“Lo ammetto. Ho paura. Paura di rimanere sola di nuovo.”
Lyo la aiutò a rialzarsi. Questa volta non lo respinse, si limitò ad accennare un sorriso. Iuvarra le alzò la manica della maglia. La crepa era lunga si e no venti centimetri. Non sarebbe stato semplice sistemarla. Il trucco era non darlo a vedere, altrimenti Ylena gli sarebbe collassata davanti, procurandosi ferite ben più gravi.
Bisogna agire in fretta, la bioceramica è molto fragile e la frattura si potrebbe espandere, interessando l'intero braccio e la mano.
“Ci vuole un collante speciale. Ne dovremmo avere un po' in laboratorio... Lyo, corri in facoltà e prendine un flacone. Aula 404, armadietto del docente. Ecco le chiavi. Fai in fretta, non c'è un secondo da perdere.”
“Se mi fermasse Rinaldi?”
“Mandalo a quel paese da parte mia. Prendi quella diavolo di colla e portala qui più velocemente possibile! E non ti fare problemi, maledizione! Rinaldi è il tecnico più imbecille che abbia mai avuto come assistente, ma non può dirti nulla se hai le chiavi del mio armadietto. Ora corri! Vai!”
“Volo, prof!”
Il ragazzo mise le ali ai piedi. Iuvarra tornò ad occuparsi della ferita.
“Senti dolore, Yle?”
Scosse la testa, visibilmente confusa.
“Meno ora... ma scusate, come fate ad avere il prodotto che...”
“Alcuni bracci meccanici che usiamo nei laboratori del secondo anno sono rivestiti in platiceramica espansa. I metodi di manutenzione sono gli stessi.”
Circa gli stessi. In effetti i prodotti utilizzati nell'uno e nell'altro caso erano leggermente diversi, ma non era il caso che Ylena lo sapesse.
Iuvarra dovette attendere per sette minuti circa. Un tempo sufficiente alla folla di curiosi per radunarsi attorno all'infortunata e scambiarsi opinioni e consigli non richiesti. Il suo studente aveva volato sul serio. Il vecchio stappò la bomboletta e ne applicò il contenuto sulla ceramica bianca. Un lieve formicolio attraverso le fibre sensoriali e raggiunsero la matrice neurale della ragazza, infastidendola. Era come se qualcuno la stesse torturando facendole il solletico. Iuvarra la tranquillizzò.
“Non avrai pensato che fosse indolore! Forza, un po' d'animo. Stai per tornare come nuova!”
La plasticeramica espansa fece presa in modo più che dignitoso, riempiendo le crepe e le microfessure che si erano formate nel frattempo.
In trenta secondi scarsi, la spaccatura svanì così come era comparsa.
“Perfetto. Non poteva andare meglio. Sei sana come un pesce ora.”
Ylena fissò l'area dell'intervento. Non notava differenze tra la sua pelle ed il cicatrizzante che l'aveva ricompattata.
“...non so come ringraziarla... se non fosse stato per lei...”
“Sciocchezze. Se proprio vuoi mostrarmi la tua gratitudine, accetta questa mancia ed inizia a studiare il prima possibile. Da parte mia avrai tutto il sostegno possibile.”
Iuvarra le allungò una banconota da cento euro e gliela mise in tasca prima che lei potesse rifiutare, poi uscì dal locale dopo aver salutato Damiano.
Lyo invece aveva occhi solo per lei. La salutò e seguì a malincuore il suo mentore. Aveva già deciso che non sarebbe più tornato in mensa.
“Professor Iuvarra, posso chiederle una cosa?”
“Dimmi, non farti problemi.”
“Perché quell'uomo è potuto fuggire senza che nessuno facesse nulla per fermarlo?”
“Non ne ho la minima idea. So solamente che mi sono sentito come... bloccato. Non riuscivo a muovere un muscolo. È difficile da ammettere, ma temo di essermi fermato in seguito al suo ordine. Non chiedermene il motivo. Decisamente non è stata una bella esperienza.”
“Prima parlando al telefono, ha utilizzato lo stesso tono verso il suo interlocutore. Sono riuscito solamente a capire che voleva incontrarlo alle tre di domani pomeriggio davanti al polo di scienze.”
“Non sono affari che ci riguardano... al massimo potremmo avvisare la polizia.”
“Io non ho eseguito il suo ordine, né mi sono sentito in qualche modo costretto a farlo. Quelle parole non hanno avuto effetto su di me.”
“Va bene, ok, anche se fosse vero, cosa avresti intenzione di fare? Quell'uomo è grosso come un bisonte e ha riflessi da pugile. Ti polverizzerebbe in cinque secondi netti.”
“Prof, forse può sembrarle un particolare insignificante, ma inizialmente chi stava dall'altra parte della cornetta non aveva la minima intenzione di incontrarlo, se lo ricorda?”
Il vecchio si fermò.
“Ora che mi ci fai pensare... sì, ha detto qualcosa del genere. La situazione è cambiata quando lui gli ha imposto di venire. Chiunque ci fosse dall'altra parte della cornetta, sarebbe dovuto partire da Genova domani mattina con il suo jet privato...”
Iuvarra sgranò gli occhi. L'unico aereo privato in stazionamento al Cristoforo Colombo era quello di...
“Nikolaj Moss?!”
“Cosa?”
“Temo che tu abbia ragione, ma temo ancora di più che Moss possa essere coinvolto suo malgrado nella vicenda...”
Iuvarra fece scivolare le dita sulla mediastation adesiva sul suo polso sinistro, ne estrasse l'auricolare, scorse velocemente la rubrica.
“Nikolaj Moss. Ecco qui.”
Premette il tasto di chiamata.
Synthcore
Genere musicale nato attorno al 2190. È caratterizzato dalla presenza di un compositore sintetico (in generale un computer), opportunamente modulato da un manovratore. Generalmente, una canzone synthcore non è mai identica in due esecuzioni successive. L'abilità del manovratore sta proprio nel rendere unica ogni esibizione[1].
Origine[nascondi]
Nel 2187, Malcolm Rizing e Sofia Ertzigova fondarono il primo gruppo universalmente riconosciuto come synthcore, gli Appleseed. Il nome del gruppo è legato all'utilizzo di un MacBook Pro modificato come esecutore materiale di alcune canzoni. I critici stroncarono il duetto[2], puntando il dito contro l'utilizzo di un elaboratore come compositore principale.
Lo scandalo suscitato dalle reazioni delle major discografiche causò un notevole interesse nel gruppo, che sfociò in un notevole successo commerciale.
Gli Appleseed furono seguiti in breve tempo da decine di altri gruppi che mantennero sostanzialmente la stessa struttura.
Caratteristiche[nascondi]
Il synthcore si articola come un genere estremamente vario, con sonorità molto vicine al pop giapponese del ventunesimo secolo, mescolato ad arrangiamenti orchestrali e tracce dubstep. Ogni manovratore è libero di impostare il seed (l'algoritmo di creazione su cui la macchina è impostata), creando armonie e ritmi diversi di volta in volta. La voce è generalmente pulita, con alcune importanti eccezioni, ed è l'unico elemento non gestito dal computer durante le esibizioni.
Influenze[mostra]
Critiche[mostra]
Eredità[nascondi]
Il synthcore è ormai considerato un genere sorpassato, nonostante l'enorme impatto sul panorama discografico mondiale.
Alcuni gruppi synthrock moderni, come i Synthestesia hanno recentemente assegnato alcune parti dei loro pezzi ad un manovratore, con l'obiettivo di costruire sottofondi musicali in perenne mutamento[3].
Collegamenti esterni[nascondi]
Appleseed
Seed
Macintosh
Note[mostra]
(fonte: Wikipedia)
4.
L'acqua della piscina era freschissima. Myra si sentiva come in paradiso. Era proprio quello che ci voleva dopo una giornata di studio così intensa. Nuotò fino al bordo esterno e si sedette a guardare il cielo. Ylena sarebbe arrivata a momenti. Il suo secondo giorno di lavoro era terminato. La ragazza chiuse gli occhi. C'era qualcosa che non andava in facoltà. Un uomo aveva chiesto del rettore, poi aveva ordinato a tutti di dimenticare quella conversazione. Tutti quanti, dal primo all'ultimo, si erano comportati come se nulla fosse accaduto. Myra scivolò nuovamente nell'acqua eterea e scintillante. Effettivamente, già di per sé, il fatto era inquietante, ma non era questo a preoccuparla. Per lei la parte più strana e sconvolgente della storia era un'altra. Ricordava tutto. Era l'unica ad avere memoria di quell'evento. I suoi compagni l'avevano guardata in modo strano, come se avesse detto chissà quale fesseria. Sospirò. Aveva già avuto difficoltà a spiegare loro, all'inizio dell'anno, di non essere sintetica, che il suo nome conteneva una Y perché lei era nata poco prima dell'applicazione della legge sul marchio d'infamia. Sorrise. Ad essere precisi, era nata esattamente lo stesso giorno dell'entrata in vigore della legge, ma questo non comportava nulla. Era umana al cento percento, forse addirittura al centouno. Ciononostante, i suoi compagni di corso non la consideravano molto. Difficile che uno di loro si fermasse a fare due parole con lei. Alcuni non la salutavano neanche. Per quale motivo? Cosa aveva combinato? Cercò di ritornare con la mente all'episodio scatenante di quella ostilità. Non riuscì a trovare una spiegazione sensata. Non ricordava di aver mai fatto nulla per meritare quel trattamento. All'improvviso, la sua mente fu attraversata da un flashback insignificante. Il suo svenimento durante la lezione di energetica. Perché proprio quell'evento? Non aveva alcun senso. Fece ancora un paio di vasche, poi tornò al bordo della piscina. Il Sole del pomeriggio accarezzava la sua pelle con delicatezza. L'estate era la sua stagione preferita. Ylena, invece... preferiva l'inverno. Due punti di vista opposti, completamente diversi. Le piaceva la neve. Myra rabbrividì. Neve? La sola idea la raggelava. Non aveva assolutamente senso. Perché la neve? La Liguria è sul mare, un bellissimo mare...
Non si poteva desiderare altro. La sola idea di vivere circondata da un anello di montagne altissime, lontano dall'acqua la rendeva irrequieta. No, non aveva proprio senso. Lassù si poteva nuotare solo in piscina, in strutture coperte e riscaldate artificialmente. Molti pensavano che non ci fosse nulla di meglio di quel surrogato di Mediterraneo. Una mera illusione che si scioglieva come neve al Sole – la loro neve – quando vedevano per la prima volta l'immensa distesa blu. Davanti a quella visione, nessuno poteva rimanere indifferente. Nessuno. Era uno spettacolo che non si poteva raccontare, solo vivere. Alzò la testa verso il cielo e chiuse gli occhi, assaporando il tepore delle calde giornate estive. Presto le lezioni sarebbero finite e sarebbe iniziato il periodo di esami.
Non avrebbe avuto più così tanto tempo libero, per cui valeva veramente la pena godersi quel pomeriggio di luce e dimenticarsi di avere ancora una trentina di pagine da studiare per la settimana successiva.
“La giornata giusta per fare una nuotata, vero?”
Myra si voltò.
“Ylena! Mi hai fatto prendere un colpo! Come è andata oggi?”
“Quasi tutto bene. Ho avuto un leggero infortunio, ma niente di grave.”
La ragazza assunse un'espressione preoccupata.
“Un infortunio? Cosa ti è successo? Sei caduta? Hai battuto la testa?”
“Un cliente.”
Myra la guardò stupita.
“Un cliente ha cercato di andarsene senza pagare. Io l'ho raggiunto per contestarglielo, lui mi ha afferrato per il braccio e ha stretto la presa fino a frantumare una parte della mia pelle.”
“Figlio di...”
“Per fortuna, sono stata soccorsa da un professore dell'università. Sai, aveva a disposizione un flacone di plasticeramica espansa in laboratorio...”
“E con quel bastardo come è finita?”
“Da non crederci!. Se n'è andato senza tirare fuori un soldo.”
Strabuzzò gli occhi.
“Come ha fatto? Voglio dire... si è dileguato nella confusione generale, o...”
“Ha semplicemente ordinato a tutti i presenti di evitare ritorsioni verso di lui. Sono rimasti tutti come pietrificati. Strano, vero?”
La ragazza deglutì.
“E tu? Tu... hai fatto quello che ha detto?”
“Sai benissimo che sono stata condizionata in modo da eseguire solo i tuoi ordini. Io non mi sono sentita in dovere di soddisfarlo, ma ero ferita e la crepa continuava ad allargarsi. Non immagini il dolore!”
“Io non mi sono mai fatta male. Non posso saperlo.”
“Già, anche questo è vero.”
“Sei l'unica che è rimasta indifferente alle disposizioni di quel tizio?”
“No, un altro ragazzo, Lyonar – un bioceramico come me – si è chiesto per quale motivo tutti gli uomini e le donne nel locale si siano fermati di colpo.”
Myra impallidì.
“Puoi... descrivermi quel bastardo? Insomma, te lo ricordi?”
“Certo. Era alto e imponente. Pelle scura, capelli radi neri. Stempiato. Naso spigoloso. Occhi piccoli e stretti. Se tu lo vedessi...”
“L'ho già visto.”
“Come, scusa?”
“L'ho già visto, ti dico! Stamattina, un uomo identico a quello che mi hai descritto è venuto da noi a chiedere dove fosse il rettore. Una volta ottenuta l'informazione, ha ordinato a tutti, con tono autoritario, di comportarsi come se lui non fosse mai comparso. E tutti hanno obbedito. Sembrava quasi che non si ricordassero nemmeno di averlo visto.”
“Mi stai prendendo in giro?”
“No! Per qualche strano motivo, io non ne sono stata influenzata!”
Ylena rimase in silenzio. La connessione logica degli ultimi eventi avrebbe potuto portare Myra ad azzardare un'ipotesi scomoda. Sperò con tutto il cuore che un pensiero del genere non le attraversasse la mente. Assunse un'espressione crucciata, senza nemmeno accorgersene.
Myra non aveva potuto non notarla.
“...Yle... non starai pensando che io... sì insomma, che...”
Mentì spudoratamente, cercando di dissimulare al meglio la sua sua preoccupazione.
“Ma figurati! Non mi permetterei mai di insinuare una cosa del genere... mi conosci, no?”
“Proprio perché tu sei la persona che mi conosce di più a questo mondo io.... oh, niente, scusami. Argomento chiuso. Non voglio più parlarne. Io sono biologica. Non ci sono dubbi. Ho anche visto il mio certificato di nascita. Non potrei esserne più certa. Basta dubitarne, non ha senso farlo.”
Ylena le indirizzò uno sguardo severo.
“Perché mi guardi così, Yle? Cosa ti ho fatto?”
“Nulla di particolare. Diciamo che ho avuto una sensazione di dejà-vu. Sai, i tuoi genitori non mi hanno detto subito che io ero, diciamo, finta. L'ho scoperto con orrore da sola a sei anni, quando la maestra delle elementari ha raccontato a tutti del marchio d'infamia e mi ha additato come esempio. Io non volevo crederci, allora alla fine della lezione sono corsa fuori in cortile. Volevo farmi male per poter mostrare una ferita normale, una ferita che un bioceramico non avrebbe potuto avere. Presa da questi pensieri, caddi a terra e colpii il terreno con il ginocchio. Per la prima volta sentii dolore. Mi rialzai a fatica. La maestra, nel frattempo, mi aveva seguita per scusarsi. Pensava che io fossi a conoscenza della mia condizione. Riaprii gli occhi e guardai il mio ginocchio destro, sperando di vedere un taglio, un livido o comunque una sbucciatura. Ricordo ancora che mi misi a piangere come una fontana. L'unica ferita visibile era una lunga crepa frastagliata che risaliva parte della gamba; per terra, al posto del sangue, c'erano solo cocci e polvere bianca. Io quel giorno sono letteralmente morta. Ho perso tutte le mie certezze. Non avevo mai provato una sensazione di annientamento così forte! Mi sono resa conto di essere una cosa, un oggetto... e tua madre si è comportata di conseguenza, trattandomi come tale.”
Occhi lucidi, prossimi al pianto.
Myra era stata assalita da una strana sensazione di sconforto. Si era, in qualche modo, immedesimata in lei.
“Dopo che sono stata, per così dire, riportata in condizione di agire, la maestra si chinò su di me e mi abbracciò. Mi chiese di perdonarla, non era al corrente della mia situazione, era sicura che io sapessi. Continuai a piangere e singhiozzare per almeno mezz'ora. Ricordo solamente che non volevo smettere. Però... per quanto buio possa essere, c'è sempre una flebile luce a guidarti. Quell'esperienza mi ha fatto crescere sai? Potremmo quasi dire che sono diventata adulta a sei anni. La mia insegnante, tornando in classe con me, disse ai miei compagni che si era sbagliata, che la legge sul marchio era stata introdotta dopo la mia nascita, che la Y del mio nome non significava nulla. Fece tutto il possibile per aiutarmi... e in qualche modo ci riuscì. Io mi sentivo così diversa, ma allo stesso tempo così uguale agli altri da poter vivere come un essere umano normale. Sai, io devo molto alla mia maestra delle elementari. Ogni tanto vado a trovarla, so che le fa piacere...”
Myra sorrise.
“Una storia con un lieto fine, allora... non dovresti abbatterti così!”
“La storia non ha un lieto fine. Tu lo sai meglio di me. Ancora oggi mi chiedo il perché del tuo gesto. Fino all'inizio delle superiori, nessuno eccetto te e poche altre persone erano a conoscenza della mia vera natura. All'improvviso, da un giorno all'altro, sembrava che tutta la scuola ne fosse a conoscenza. Tu... tu avevi sparso la voce, per gelosia, o forse per ripicca! Perché? Me lo sono chiesto molte volte, senza riuscire a trovare una risposta! Mi hai obbligata a perdonarti, ma questo non significa che io lo abbia fatto davvero.”
La ragazza arretrò.
“Senti, so che ho sbagliato, ma il primo errore è stato tuo! Dal giorno del tuo primo infortunio, hai smesso di comportarti come una bambina normale, per lo meno a casa. Sembravi un automa. È per questo motivo che mia madre ha iniziato a provare odio per te! Lei ti ha accolto come una figlia e tu hai rifiutato, rifugiandoti nella tua diversità. Io non c'entro! Se tu... vedi, io...”
Ylena alzò improvvisamente la voce.
“Smettila di arrampicarti sugli specchi, per favore! Sai meglio di me com'è andata!”
Myra si sedette sul bordo della piscina.
“E va bene, lo ammetto. È stata tutta colpa mia. Ero invidiosa, tutto qui. Nient'altro. Tu eri perfetta e io... vivevo nella tua ombra. Da qualche parte del mio inconscio devo aver pensato che l'unico modo per poter uscire alla luce del Sole fosse quello di... sì, insomma, di delegittimarti... e devo aver ceduto all'ira.”
Ylena la osservò con aria di rimprovero.
“Sono dovuti passare sette anni, ma alla fine ci sei riuscita. Meglio tardi che mai. Ora, però, voglio metterti in guardia da te stessa, Myra.”
“Cosa vuoi dire?”
“Devi accettarti per come sei. Non fingere di essere diversa. Ora scusami, ma vorrei riposare un po'. È stata una giornata tremendamente pesante.”
“Non vuoi fare un tuffo con me?”
“Devo ricordarti che non so nuotare?”
“Puoi sempre imparare, no?”
La ragazza di ceramica rise divertita.
“Ma più o meno so già affondare! Che bisogno c'è di stare a galla?”
“Te la goderesti di più.”
“Ci penserò, allora... ci vediamo dopo! Buona nuotata!”
Ylena si allontanò in silenzio. Myra la osservò con occhio critico, ma non riuscì a trovare alcun difetto in lei. Era praticamente impossibile. A ben vedere, l'unica sua mancanza era quella di non saper nuotare. L'aveva vista provare ad immergersi un paio di volte quando era più piccola, ma dopo l'incidente non ne aveva più voluto sapere. Aveva paura di annegare, temeva che l'acqua potesse rovinarle i circuiti. Aveva paura di morire, insomma.
Paura dell'acqua.
Un timore quasi viscerale che, assieme alla sua scarsa resistenza alla fatica, l'aveva allontanata in modo quasi irreversibile dalla grande madre azzurra. Qualche volta era andata a spiaggia, quello sì. Ma solo qualche volta. La sua pelle era molto, molto pallida – al limite del bianco – ed era praticamente impossibile non rendersi conto della sua natura. Gli esseri umani si abbronzano, la loro pelle si scurisce. La bioceramica è sempre, irreversibilmente, bianca. Si poteva colorare, certo, anche solo per brevi periodi, con tinture naturali, ma Ylena non ne aveva mai sentito il bisogno. Stava bene così, probabilmente. Viveva la sua emarginazione con distacco. Se gli altri non la consideravano, era un problema loro, non suo. Un problema di mentalità.
Non erano molte le persone che portavano rispetto verso i bioceramici. La maggioranza li trattava alla stregua di bambole di lusso o costosi oggetti da arredamento. Ultimamente, tra i ricchi annoiati si era diffusa la moda di comprare bioceramiche di sesso femminile per...
Myra scosse la testa. Era triste. Veramente triste. Non respiravano forse anche loro? Non mangiavano, non bevevano anche loro? Meritavano rispetto. Avevano una dignità personale. Ylena era quasi più umana di un essere umano. Nessuno si sarebbe mai sognato di trattarla come un oggetto. E lei? Lei come l'aveva trattata? Era diversa da Ylena, su un altro piano. Era... era normale. Normalissimo.
Myra non era una bioceramica. Non lo era. No. Per niente. Ma allora perché tutte quelle coincidenze? Perché?
Lavò via ogni pensiero con un tuffo. Rimase sott'acqua per una decina di secondi, assaporandone la freschezza, poi riemerse in un ventaglio di spruzzi. Era umana. Umana al cento percento. Chissà perché quei pensieri avevano attraversato la sua mente...
Umana...
Si tuffò dal trampolino basso, immergendosi con eleganza. Nuotava con l'agilità di un delfino, rapida, sicura. Si sentiva a suo agio nell'acqua, era come se fosse parte di lei. Una madre, una madre che l'accoglieva nel suo grembo, una sorta di utero primordiale in cui rifugiarsi nei momenti di paura, di timore, di insicurezza. Rimase immersa, in posizione fetale, come se stesse nascendo, nascendo di nuovo. Ogni tuffo era un viaggio verso l'ignoto, ogni emersione era un ritorno alla vita, la vita vera. Nuotare, distrarsi, dimenticare la domande che ti affliggono, essere un tutt'uno con l'acqua, con la sostanza che ti ha generato.
I bioceramici non nascevano dall'acqua. Venivano assemblati, costruiti in capsule fredde e buie, piccole come culle. Claustrofobiche. Una volta le aveva viste e aveva avuto paura. Aveva tre anni, in fondo. Aveva assistito alla nascita Ylena, con i suoi occhi. L'avevano estratta da un minuscolo guscio sferico. La Culla degli Orfani. Così piccola, tenera, indifesa. Nessuno avrebbe mai scommesso che lei sarebbe diventata così popolare tra i suoi coetanei.
Ma perché ci stava pensando? Che motivo c'era di riportare alla mente quell'episodio? Forse voleva distinguersi da Ylena. Lei poteva dire di essere stata cresciuta in un utero vero, l'utero di sua madre. Era stata la prima e l'ultima ad essere nutrita dal suo liquido amniotico, ad essere stata parte di lei. Si raggomitolò nuovamente, cercando di ricordare quei momenti, ben conscia di non esserne in grado. Anche lì dentro doveva essere buio, proprio come nelle capsule di crescita, ma era un buio diverso. Un buio caldo di vita, non freddo di morte. Si immerse nel fresco azzurro e passò da un lato all'altro della piscina, senza riemergere per prendere fiato. Quella vasca era un capolavoro di ingegneria. Bordi antiscivolo, pareti gommate, angoli smussati. Era praticamente impossibile farsi male. Impossibile. E lei non si era mai ferita. Mai. Ylena l'aveva sempre protetta e aiutata, in modo che non dovesse provare dolore. Era stata la sua ombra per parecchi anni.
Myra aveva solo un rimpianto, quello di non essersi mai sbucciata un ginocchio, di non essersi mai tagliata. Di non aver mai visto il proprio sangue, insomma. Un'esperienza del genere avrebbe sicuramente spazzato via ogni suo dubbio residuo.
Ma quale dubbio e dubbio?
No, non era il caso. Non aveva senso.
Devo essere un po' stanca, tutto qui.
Decise di concedersi ancora una decina di vasche, prima di tornare al dovere. I suoi erano al lavoro, nessuno l'avrebbe rimproverata se non si fosse messa a studiare subito. D'altronde, erano solo problemi suoi. All'università nessuno può dirti quello che devi fare. Sta a te regolarti. Se non sei in grado di gestire il tempo che hai a disposizione sei fregato. Non c'è bisogno che qualcuno ti obblighi a fare qualcosa. Se non vuoi farlo, semplicemente ne paghi le conseguenze all'esame. Sospirò e si rituffò in acqua.
Dopo una buona mezz'ora uscì a malincuore dal suo mondo limpido e trasparente per tornare alla vita reale. Prese l'accappatoio e lo indossò, poi si diresse verso la porta di casa.
Ylena dormiva, per cui si mosse più lentamente possibile per evitare di disturbarla. La sua esperienza non doveva essere stata delle più belle, aveva rischiato di perdere un braccio ed era logico che fosse spossata.
Si mosse a piedi nudi, un passo dopo l'altro, con molta calma. Raggiunse la cassettiera e la aprì, estraendone una maglietta bianca, un paio di slip, un reggiseno e un paio di pantaloni di tuta. Si allontanò piano come era entrata, senza far rumore, chiuse la porta e si diresse verso la doccia. Il telo di protezione la riconobbe in base alla matrice di identificazione e si aprì, mostrandole l'interno della vasca bianca. Prima di entrarvi, si guardò allo specchio. Chiuse gli occhi spaventata. Li riaprì. Si tolse il costume bagnato e lo lanciò a terra con finta noncuranza, poi osservò nuovamente la sua immagine riflessa. Lo specchio la rifletteva nella sua interezza, permettendola di analizzare ogni singolo dettaglio del proprio corpo, ogni piega della pelle, ogni capello fuori posto. C'era qualcosa di sbagliato. Non poteva essere altrimenti. La pelle – la sua pelle – era chiara, troppo chiara, quasi cerea. Pallida come quella di sua sorella. La stessa tonalità di bianco. Non ci aveva mai fatto caso. In generale, evitava gli specchi. Erano impietosi, privi di tatto: ogni volta le ricordavano che Ylena era molto più bella di lei. Allora... cosa le era scattato in mente? Per quale motivo aveva deciso di osservare la propria immagine?
Si avvicinò alla lastra di vetro. La sua mano tremava visibilmente. Non c'erano dubbi. Tutta la sua pelle condivideva lo stesso colore biancastro che più volte aveva invidiato. Scosse la testa. Una coincidenza. Solamente una stupida coincidenza. Oppure uno strano effetto di luce. Sì, doveva essere quello. Lei era umana. Aveva visto il suo certificato di nascita. Lei era umana. Punto. Non c'era nulla da discutere. Proprio nulla. Non aveva senso farsi domande. Non aveva senso porsi problemi.
Varcò la soglia del telo azzurro, entrò nella doccia, aprì il rubinetto. L'acqua lavò via i suoi dubbi e i suoi problemi. Era solo una coincidenza. I suoi occhi l'avevano ingannata. Sì, doveva essere andata così. Si era sbagliata, si era sicuramente sbagliata. Forse era solo il caso di risistemare le lampade dello specchio, avevano già dovuto farlo una volta. Solo un problema di lampade. Tutto qui.
Lei era umana.
Lasciò che la sua pelle fosse accarezzata delicatamente dalle gocce che scendevano in modo lento e continuo dall'erogatore. Umana. Cosa significava quella parola a cui aveva scoperto di essere così legata? Probabilmente era sinonimo di biologica, di uguale agli altri... ma era veramente necessario condividere qualcosa con il genere umano che non fosse la propria mente? In fondo, appartenere ad un genere, forse non era così importante...
L'acqua era troppo fredda. Myra allungò la mano e premette il tasto del miscelatore, portando la temperatura a quaranta gradi. Accarezzò i suoi capelli neri. Erano morbidi e setosi. Non potevano essere artificiali. Non era proprio possibile. Aprì gli occhi all'improvviso. Ora la temperatura era troppo alta, doveva aver sbagliato comando. Non era la prima volta che succedeva. Si sporse nuovamente verso l'interruttore. Troppo. Perse l'equilibrio, scivolò. Cercò di appendersi a qualcosa, ma le pareti della doccia erano completamente lisce.
Non ebbe il coraggio di guardare.
Lo schianto fu spaventoso. Cadde sul suo braccio destro, poi rimbalzò indietro e atterrò sulla schiena. Un dolore lancinante percorse il suo corpo. Myra non riuscì a trattenersi e gridò disperata. Chiuse gli occhi. Non voleva vedere la sua ferita. Aveva paura di impressionarsi, sicuramente si era fatta molto male. Non riusciva a muovere l'arto su cui era caduta. Si mise in posizione seduta, aiutandosi con il braccio sano. A tentoni cercò di trovare la contusione. Partì dalla spalla. Con sollievo, si rese conto di non provare dolore. Scese lungo l'omero, poi giù fino al gomito. Nulla. Si tranquillizzò fin lì era tutto a posto. Cercò di tastare l'avambraccio per verificare che non vi fossero problemi. Nulla.
La mano non riuscì a sfiorare nulla.
Sotto al gomito non c'era più nulla.
Sentì solamente una sensazione pungente alle dita della mano. Aveva sfiorato qualcosa di frastagliato. Il terrore la assalì. Si voltò dall'altra parte, poi aprì lentamente le palpebre. Continuò a tentare invano di posare il palmo sul suo avambraccio destro. Si fece coraggio. Incominciò a ruotare molto lentamente il collo.
Per favore, dimmi che non è vero! Dimmi che sto sognando! È solo un incubo, uno stupido incubo. Ora mi sveglio e...
Urlò a squarciagola, svuotando completamente i suoi polmoni dall'aria che aveva accumulato. Lo spettacolo era terrificante. L'arto ferito terminava al gomito. La parte inferiore si era staccata di netto e giaceva immobile davanti ai suoi occhi. Era piena di crepe e si era rotta in più punti. Mosse freneticamente la mano restante e la testa per capire se erano presenti altre fratture di quel genere. Non ne trovò, ma fu solo un sollievo momentaneo. Sembrava completamente annientata. Si muoveva a scatti, come una bambola con le giunture arrugginite. Il pavimento della doccia era cosparso di cocci bianchi e polvere. Ne prese uno, lo esaminò. Sembrava quasi che non avesse colore.
Eppure, era un frammento di lei.
Della sua pelle.
Delle sue certezze, sgretolatesi come l'avambraccio che aveva perso.
Si lasciò scivolare a terra. Il suo corpo assunse una posa innaturale. Aveva gli occhi sbarrati e non riusciva più ad emettere alcun suono. Sotto shock. L'acqua continuava a scorrere, come pioggia nera dopo un massacro. Perché in quella doccia era avvenuto un assassinio.
Myra era morta.
La porta del bagno si aprì. Ylena entrò di corsa.
“Myra! Tutto bene? Ti ho sentito gridare... Myra? Ci sei?”
Nessuna risposta. Il rubinetto era ancora aperto e questo poteva significare solo una cosa. Doveva aver perso i sensi. Aprì la tenda, senza attendere un secondo di più.
Ylena si portò velocemente una mano alla bocca per non urlare. Ai suoi piedi giaceva Myra, sdraiata in posizione scomposta, con gli occhi aperti a fissare il vuoto, priva di tutto ciò che anatomicamente si trovava sotto al gomito destro. Non aveva mai assistito ad una desolazione simile. I resti frammentari dell'avambraccio giacevano a poca distanza dal corpo esanime, come cocci di un vaso di porcellana.
“Myra! Oddio! Cosa... cosa è successo? Aiuto! Devo chiamare aiuto! Cosa posso fare? Il pronto soccorso? Ma sono attrezzati?”
La sua mente tornò all'incontro avvenuto quel pomeriggio.
“Iuvarra! Lui, forse... devo... subito... oh, accidenti! Myra!”
Ylena chiuse il rubinetto, poi la sollevò a fatica e la sdraiò sul divano del salotto. Non reagiva agli stimoli.
“Per favore rispondimi, non è nulla di grave, rispondimi, ti prego!”
Era come istupidita.
“Diavolo! Dov'è il telefono?”
La coprì con un lenzuolo, poi premette un tasto sul muro. Un apparecchio telefonico comparve da un vano scorrevole. Ylena gridò il nome dell'uomo che l'aveva soccorsa. L'apparecchio rovistò nella sua memoria interna e si collegò al sito delle Pagine Bianche. La ricerca ebbe esito negativo. Iuvarra non aveva un numero fisso.
“Oh, no! Ora cosa... il cellulare! Ma ho il numero? Serranti lo ha di sicuro...”
Ylena chiese all'apparecchio di chiamare il suo datore di lavoro. Il numero comparve sul display e il selettore avviò la chiamata.
“Pronto? Bar Pit Stop! Come possiamo servirla?”
“Diana! Sono Ylena, passami Damiano! È urgente!”
Attese per un interminabile minuto.
“Pronto, Yle? Cosa c'è? Tutto a posto?”
“No, per niente! Ho bisogno del numero del professor Iuvarra. Non ho tempo da perdere, è una situazione grave! Per favore!”
Era sconvolta.
“Va bene, te lo detto... però calmati, mi sembri veramente fuori di te...”
La ragazza scrisse il numero su un foglio di carta che aveva sottomano.
“Grazie, grazie mille!”
“Posso fare qualcos'altro per te?”
“No, no, a dopo! Grazie ancora!”
Compose manualmente il numero del vecchio professore. Si mise in attesa, sperando in una risposta in tempi brevi. Qualcuno rispose.
“Pronto? Chi è?”
“Professor Noah Iuvarra?”
“Sì? Chi mi cerca?”
“Sono Ylena, la barista del Pit Stop. Ho bisogno di aiuto! Una mia amica bioceramica si è... frantumata a livello del gomito! Cosa posso fare? Mi aiuti, la prego!”
“Calmati, raccontami tutto dal principio. Cosa è successo?”
“Quello che le ho detto! Ora non risponde agli stimoli, l'ho sdraiata sul divano di casa, ma è incosciente! Ho provato a chiamarla, ma...”
“Frattura superficiale?”
“No, si è proprio staccata una parte del braccio! Non so... non...”
“Non è il caso di agitarsi. Per quanto fragile, non sarà questo ad ucciderla. Non può morire dissanguata.”
“Dove posso farla riparare? Conosce qualcuno che...”
“Questi interventi vengono effettuati solo dalle fabbriche di Moss e in genere costano parecchio. Senti, fai così. Fasciale il gomito in modo che la zona di frattura non subisca ulteriori danni, poi prendi il primo treno e portala qui da me. Non è il momento migliore, ma spero di riuscire a rendermi utile almeno in questo, dopo quanto è successo questo pomeriggio.”
Ylena non capì il significato di quelle parole. Ringraziò e chiuse la chiamata.
“Yle... io sono umana, vero?”
Si volò di scatto. Myra continuava a guardare nel vuoto.
“Io... non sono una bambola. Io sono viva... io ho visto il mio certificato di nascita. Dove ho sbagliato, Yle? Io non sono una bambola di porcellana...”
Ylena la fece sedere e si accomodò accanto a lei, stringendola a sé.
“Stai tranquilla. Risolveremo tutto, ho già contattato un amico. Fidati di me.”
“Adesso mi sveglio... e non è successo niente, vero? È solo un incubo...”
“Sì, è solo un brutto sogno, ma ora devi collaborare, se vuoi uscirne, ok? Devi fare quello che ti dico, se vuoi che tutto torni normale!”
“Io... eseguire i tuoi ordini? Ma non è il contrario? Per quale motivo...”
Respirò profondamente.
“Va bene...”
Ylena sorrise.
“Per prima cosa, devi tranquillizzarti un po'. Non andiamo da nessuna parte se non riesci a capire questo.”
“Ok...”
Ylena attese un quarto d'ora. In quel periodo di tempo, il respiro di Myra tornò regolare. Chiuse gli occhi un paio di volte. Tornò in qualche modo alla normalità. La ragazza le fasciò il gomito con uno spesso strato di garza, poi la rivestì, in modo che fosse presentabile.
“Ora seguimi. Andiamo alla stazione. Conosco una persona che può fare qualcosa per te.”
“Un medico? Perché io... insomma, non un... un meccanico, vero? Io sono... non sono...”
“Un amico. Punto. Non è né un medico né un meccanico, però è l'unico che possa veramente fare qualcosa. Forza, in piedi!”
Myra si alzò vacillando. Ylena raccolse una buona parte dei cocci, compreso l'avambraccio, e li mise in un sacchetto di tela, poi prese la ragazza per mano e la trascinò fuori dalla porta di casa. Inserì il sistema d'allarme, poi si allontanò quasi di corsa. Non era abituata agli sforzi fisici, ma non avevano altra scelta. Per raggiungere la stazione avrebbero dovuto attraversare una zona densamente abitata. Se qualcuno avesse notato il braccio mancante, Myra sarebbe stata segnata... o almeno così lei credeva, nella sua ingenuità. La gente era troppo impegnata nello svolgere le proprie faccende per accorgersi di quelle due ragazze di circa vent'anni, vestite in modo poco appariscente, che si stavano dileguando nella folla.
Ylena non si premurò nemmeno di nascondere la ferita agli occhi dei passanti. In quel momento non era prioritario. La salute di Myra era ben più importante. Se qualcuno avesse scoperto la sua natura, quale sarebbe stato il problema? Massimiliano Lantieri dava lavoro a tutta la città, più una buona parte del circondario e dell'hinterland savonese. Nessuno lo avrebbe denunciato per una cosa del genere. Nessuno avrebbe pensato una cosa del genere. Molto probabilmente, si sarebbe sparsa la voce che il signore dell'energia rinnovabile aveva comprato una nuova bambola bioceramica, uguale a sua figlia, e che probabilmente si era rotta. In effetti, trascinare suo padre in uno scandalo avrebbe causato non pochi disagi alla comunità locale, per cui meglio pensarla in questo modo, no?
D'altronde, in Italia ci si fa i fatti propri.
Qualcuno doveva aver esordito con una frase del genere, qualche anno prima. Una grottesca fotografia della realtà contemporanea, spacciata per battuta. Nascondere la verità nella risata... un mezzo per esprimere concetti scomodi senza causare sollevazioni popolari.
No, non era il momento di divagare, doveva riprendere il controllo dei suoi pensieri. Entrò in biglietteria ed esaminò l'orario.
Partenze e arrivi scorrevano sullo schermo sotto le precise indicazioni della ragazze. Centinaia di treni regionali fecero la loro comparsa, uno dopo l'altro, per le destinazioni più disparate. Ylena selezionò la tratta richiesta. In meno di un secondo, il terminale visualizzò la lista dei convogli disponibili.
“C'è un treno che parte tra due minuti. Siamo fortunate. Rimani con me, ora compro i biglietti.”
Premette un paio di pulsanti sullo schermo sensibile al tocco, poi attese il responso. Inserì una banconota da venti euro all'interno dell'apposita fessure e premette un'ultima volta il pulsante. La macchinetta stampò due biglietti di andata e ritorno e le restituì parte dei soldi. Ylena raccolse il resto e si diresse verso il marciapiede, trascinando con sé la sorella.
Myra si faceva trasportare come una bambola a grandezza naturale. Non sembrava avere più una sua volontà. Gli occhi erano costantemente aperti.
Non sbatteva nemmeno le palpebre.
“Oh, no, di nuovo! Base Terra chiama Myra! Ci sei? Forza, un po' d'animo! Non sei in pericolo di vita.”
“Yle, io sono già morta...”
Un lungo silenzio accompagnò quella crudele sentenza.
“Ma che diavolo stai dicendo, scema? I morti non parlano! Non si muovono! Non camminano!”
“Perché, io mi muovo? Sei tu a portarmi. Non sono quasi in grado di camminare...”
Ylena la scosse leggermente.
“Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Myra, stai tranquilla, non ti preoccupare... ci sono io con te. Non sei da sola, capito? Non sei da sola!”
Una voce piatta e monotona le interruppe, annunciando l'arrivo del treno sul binario due.
Ylena decise che non era il caso di continuare la discussione in quel momento. Portò la creatura impaurita e ormai priva di ragione di vita con sé, verso le porte della freccia d'argento. La motrice si fermò esattamente nell'istante in cui raggiunsero il marciapiede. Ylena tirò un sospiro di sollievo. Se l'avessero perso, avrebbero dovuto aspettare per almeno mezz'ora.
“Ci siamo. Coraggio, Myra.”
Salirono nei vagoni di testa, dove era più facile trovare posto a sedere, lontano da sguardi indiscreti. Entro venti minuti sarebbero arrivate alla stazione di Genova Brignole. Lì avrebbero trovato ad attenderle il professor Iuvarra. Aveva pianificato tutto al secondo. In quei venti interminabili minuti, Ylena avrebbe provato a tranquillizzare la sorella. Myra versava in condizioni pietose, non poteva andare da nessuna parte, era quasi totalmente scollegata dal mondo esterno. Continuava a fissare il vuoto, senza una precisa ragione.
“Perché sono così fragile, Yle? Mi sembra di essere un soprammobile, sai, una di quelle statuette di cristallo preziose, che si puliscono con cura e si cerca di proteggere da ogni caduta accidentale. Quando infine si rompono per uno strano scherzo del destino... cosa ne rimane? Solo frammenti che vengono buttati via, nella spazzatura... nessuno si prende la briga di ripararli. Basta sostituirli, no?”
“Io la rimetterei assieme, costi quel che costi.”
Myra sorrise, senza distogliere gli occhi dal soffitto.
“Grazie, sorellina...”
5.
Il vecchio era preoccupato, molto preoccupato. Eh, sì. Di sicuro stava aspettando una giovane donna che si faceva desiderare. Tutti così gli anziani a quell'età. Bavosi pervertiti a caccia di nuove emozioni. Alcuni di loro avevano più di un amante. Tanto c'era la pillolina blu, no? Lui lo sapeva bene. Era edicolante. E gli edicolanti sanno tutto di tutti. Basta un'occhiata in fondo. Un singolo sguardo ti permette di capire chi è e che cosa nasconde una persona. Se lavori a contatto con la gente da vent'anni, prima o poi te la fai una cultura e tutto diventa più semplice. I clienti diventano dei bei libri stampati, da leggere al volo. Un flash gli attraversò la mente. Rise. Rise divertito. Sì, non c'erano dubbi. In quel momento, lui era il ritratto perfetto del giornalaio che compariva in Watchmen, un fumetto pubblicato negli anni '90 del novecento da Alan Moore. Watchmen... un classico della letteratura. Lo studiavano persino a scuola. Eppure, all'epoca, i fumetti non erano considerati così importanti, come strumento di cultura. Ma chi era il giornalaio, in Watchmen? Corrugò la fronte per pensarci meglio, in fondo l'aveva letto per l'ultima volta dieci anni prima, quando ne era uscita una riedizione e aveva potuto darci un'occhiata a scrocco nel suo chioschetto. Riuscì a focalizzare l'immagine. Il tizio in questione era un personaggio secondario che moriva nell'esplosione di New York, se non ricordava male...
Scosse la testa. Lui era vivo. Bastava questo a renderlo di buon umore.
Un giovane lo raggiunse, porgendogli un panino. L'edicolante schioccò le dita. Si era sbagliato. Di sicuro non era in attesa di una bella ragazza che soddisfacesse i suoi più proibiti desideri. Peccato. Ci avrebbe scommesso volentieri una decina di euro. Tornò ad occuparsi delle sue faccende, la situazione non era più così interessante.
Iuvarra osservò il giornalaio. L'uomo lo stava fissando da almeno un paio di minuti, mentre faceva finta di sistemare alcune riviste negli espositori. Scrollò le spalle.
Gente incapace di farsi gli affari propri.
Non se ne curò più di tanto, aveva altro a cui pensare. Lyo gli porse un sandwich appena comprato al bar della stazione. Iuvarra lo afferrò e gli diede un primo morso nervoso. Si guardò attorno senza troppa convinzione. Il complesso di Brignole era stato completamente rinnovato negli ultimi anni. Il palazzo storico che ospitava un tempo la stazione era stato adibito a museo delle Ferrovie dello Stato. Il nuovo edificio era stato costruito a tempo di record – dieci anni tra ritardi, interruzioni, appalti e subappalti – e ora ospitava una della più moderne strutture di tutta la Liguria. Con i suoi venticinque binari aveva ampiamente superato l'estensione della sua sorella/rivale, lontana solo cinque, sei chilometri. Non era chiaro per quanto sarebbe durato il primato. Anche Genova Palazzo del Principe – o Piazza Principe, nessuno sapeva quale fosse il nome corretto – stava per essere modernizzata. C'era da scommettere che avrebbero posato perlomeno un binario in più e che li avrebbero numerati dall'undici al trentasei, così come sembrava essere tradizione. Il problema era un altro, onestamente. Erano veramente necessarie due stazioni così grandi su una linea che in molti tratti non era ancora stata dotata del terzo binario? Lo snodo di Voltri era ancora fermo a sette binari ed era la stazione più grande nell'arco di trenta chilometri dal cuore di Genova. Forse era solo un'ostentazione, un delirio di onnipotenza, quasi come l'idea di costruire un ponte sullo stretto di Messina senza prima sistemare le autostrade che dovrebbero collegarlo al resto dell'Italia. Qualcuno in passato doveva aver proposto qualcosa del genere, anche recentemente.
“Grazie, Lyo, ne avevo proprio bisogno, è stato un pomeriggio tremendo. Prima la vicenda Moss, ora questo...”
“Può svelarmi qualche dettaglio in più?”
“Non che ne sappia molto. Pare che una bioceramica, amica di Ylena, si sia fratturata un braccio in modo non esattamente superficiale. Vedremo cosa possiamo fare.”
“Viene anche lei?”
“Chi?”
“Ylena.”
“Sì, non poteva far viaggiare da sola quella poveretta.”
Il volto di Lyo si illuminò. Iuvarra non ci fece caso.
“Se ho capito bene, dovrebbero essere sul regionale che arriverò al binario cinque tra sette minuti. Incominciamo ad avviarci. Nel frattempo, raccontami tutto quello che sei riuscito a trovare su questo fantomatico signor Roth e sulla dinamica dell'incidente che è avvenuto oggi alle tre...”
Il professore addentò il panino, poi si diresse verso le scale mobili.
“Dunque... dopo che lei ha chiamato Moss per avvertirlo di fare attenzione, data la natura della persona che lo stava aspettando, il diretto interessato si è recato con otto guardie del corpo all'appuntamento, nel luogo e all'ora concordati. Alle quindici e ventiquattro, la portinaia del DIFI ha sentito dei rumori e degli spari, poi ha chiamato la polizia. Gli agenti sono arrivati alle quindici e ventinove. Dai loro database risulta che la scorta di Moss è stata sterminata. Colpo di pistola alla tempia. Per tutti. Ha i connotati di un suicidio collettivo. Inspiegabile.”
“La nostra versione l'abbiamo data quando ci hanno interrogato. Noi lo abbiamo solo messo in guardia e abbiamo denunciato quanto era accaduto al bar pochi minuti prima. La polizia ha già verificato la nostra estraneità ai fatti avvenuti.”
“Solo una cosa, professor Iuvarra... che fine a fatto Moss? Sembra che nessuno si sia preoccupato di rintracciarlo.”
Il vecchio mandò giù un altro boccone del sandwich.
“Dici? Non sei stato attento, allora. In realtà, hanno fatto circa una decina di tentativi di connettersi in modo diretto o remoto al suo cellulare o al GPS portatile, ma senza alcun risultato. Probabilmente sono stati spenti o distrutti. Non esiste altra spiegazione plausibile.”
I due rimasero fermi ad aspettare. Il treno sarebbe arrivato a momenti.
Una freccia d'argento, lunga e scintillante fece capolino dalla galleria. Iuvarra sorrise. Negli ultimi anni, il servizio ferroviario era migliorato in modo significativo. Merito degli investimenti giapponesi in Italia. Da quel punto di vista, ogni partecipazione estera era ben accetta. Non era stato semplice curare un malato terminale come il sistema tranviario italiano, c'erano voluti più di trent'anni per rimettere in sesto la situazione. Allo stato attuale delle cose, era praticamente impossibile trovare un convoglio con più di cinque minuti di ritardo, una situazione impensabile fino a solo mezzo secolo prima.
“Lyo, hai già spiegato la situazione ai tuoi... genitori, se vogliamo utilizzare questo termine?”
“Sì, stia tranquillo. Sono già al corrente di tutto. E comunque, li avrebbe avvisati il commissariato.”
“Bene. Questo semplifica le cose.”
L'elegante creatura, frutto dell'ingegno dell'uomo, frenò dolcemente fino a fermarsi del tutto. Le porte si aprirono come ali di farfalla. C'era poca gente. Non era un orario molto frequentato dai pendolari.
Lyo cercava Ylena, muovendo gli occhi freneticamente a destra e a sinistra, fissando ora una porta, ora quella successiva. Ne era rimasto abbagliato e come il cervo ha bisogno dell'acqua della fonte, lui necessitava di quello sguardo. Moss era scomparso dai suoi pensieri. Iuvarra... chi era Iuvarra?
Lui cercava Ylena, in quel momento. Era l'unico pensiero autorizzato dalla sua mente.
Un vecchio gli posò la mano sulla spalla. Cosa voleva da lui quell'uomo? Chi era? Come si permetteva di...
Tornò alla realtà. Era il suo insegnante.
Era Noah Iuvarra.
Era la persona che lo aveva portato lì.
Scosse la testa. Si era perso nel mare dei suoi pensieri, dimenticandosi della situazione corrente.
Ma forse per Ylena ne valeva la pena.
“Eccole, Lyo. Sono là in fondo, verso la fine del convoglio!”
Il ragazzo si voltò di scatto. Era vero. L'oggetto dei suoi desideri camminava lentamente accanto ad un'altra ragazza che doveva avere circa la stessa età. Aveva un sacchetto con sé, ma non era possibile capire cosa contenesse da quella distanza. I suoi occhi non volevano saperne di staccarsi dal corpo della ragazza, ma un dettaglio, un particolare fuori posto forse, lo distrasse e lo portò ad interessarsi della sua amica.
C'era qualcosa che non andava, qualcosa di sbagliato. Lentamente, comprese quale fosse la causa del suo turbamento: le mancava metà del braccio destro, dal gomito in giù. Anche Iuvarra se ne accorse. Sgranò gli occhi in modo vistoso.
“Bontà divina! Mi hai preso per un centro riparazioni, ragazza mia? Io non penso di essere in grado di aggiustare la tua amica!”
Ylena lo guardò in modo severo.
“Professore, le chiedo solamente di cercare di essere positivo. È sotto shock per ragioni che mi premurerò di spiegarvi più avanti. Non deve peggiorare la sua situazione!”
La seconda ragazza sembrava persa nel suo mondo. Si muoveva quasi a scatti. Un burattino, una marionetta a grandezza naturale. Lyo si precipitò ad aiutarla a reggersi in piedi.
“Cosa le è successo? Non ho mai visto un arto rompersi in questo modo...”
“Una stupidaggine. È caduta mentre faceva la doccia.”
Il ragazzo la osservò meglio. In fondo, non era male... capelli neri, lineamenti delicati, occhi verdi – ma meno di quelli di Ylena. Provava compassione per lei. In generale, i bioceramici con ferite di quell'entità non venivano riparati e dovevano arrendersi al proprio destino di creature artificiali. La Moss Technologies non tentava nemmeno di sistemare fratture del genere. Si limitava a demolire l'esemplare e a sostituirlo con un nuovo modello, generalmente dotato di una matrice cognitiva differente. Era una sorta di condanna a morte. Alcune persone, molto affezionate ai loro bioceramici, avevano deciso di non rivolgersi al produttore e di tenerli così, procurandosi protesi e stampelle per ripristinare le loro capacità motorie.
Iuvarra si avvicinò ed esaminò il moncherino.
“La crepa si sta lentamente espandendo. Se vogliamo che rimanga qualcosa del suo braccio dobbiamo perlomeno stabilizzarla, se non eliminarla del tutto. Forza, seguitemi. Ho l'auto parcheggiata qui sotto. Vi porto alla mia officina.”
Myra sembrò rianimarsi.
“Yle, mi avevi promesso che non mi avresti portato da un meccanico... io... non... io ho bisogno di un medico. Sono... solo una ragazza con un braccio rotto...”
Iuvarra la osservò attentamente e pesò ogni singola parola.
Non può essere vero...
“Sicuramente non è capace di intendere e volere in questo momento. Dimmi una cosa, Ylena... lei sa di essere una bioceramica?”
La ragazza abbassò lo sguardo.
“Fino ad un'ora fa non ne era consapevole.”
Lyo sgranò gli occhi.
“Come diavolo è possibile? Non esiste che una bioceramica non sappia di esserlo! La legge sul marchio d'infamia...”
“Lei è nata proprio il giorno stesso dell'applicazione della legge, per cui, in qualche modo, ne ha schivato parte delle implicazioni. È una storia lunga e non è il caso di raccontarla adesso!”
“Ora che abbiamo risolto la situazione, cosa ne dite di muoverci? Forza!”
Iuvarra notò le difficoltà di deambulazione dell'amica di Ylena.
“Lasciate fare un attimo a me, ok? Finché è in questo stato non possiamo combinare granché. Devo parlarle un attimo.”
Il vecchio si avvicinò.
“Allora, come ti chiami?”
“Io? Chi parla? Chi mi sta cercando?”
“Non mi vedi?”
“Vedo solo buio e luce... non vedo altro... Ylena! Dov'è Ylena?”
“Stai tranquilla. È qui con me. Io sono Noah. Voglio solo aiutarti. Però devo avere la tua piena collaborazione. Come ti chiami?”
La ragazza deglutì.
“Le cosa non hanno nome... io ho un nome... allora non sono una cosa, vero?”
“E qual è questo nome?”
“Myra. Io sono Myra. Myra Magdalen”
“Va bene Myra. Pensi di riuscire a camminare in modo normale?”
“Non lo so... ho le gambe, vero? Le ho ancora?”
Iuvarra roteò gli occhi.
Diavolo! Tutte a me devono capitare oggi? Questa è veramente andata! Devo riuscire perlomeno a riportarla alla ragione.
“Sì. E hai anche un braccio. Dell'altro te n'è rimasta solo metà, ma siamo qui per ripararlo.”
“Ripararlo? Allora... sono un oggetto?”
“Non voglio mentirti. Lo sei. Ma non per questo devi sentirti inferiore. Sai parlare? Sai ragionare? Allora esisti! Non lo hai studiato Cartesio?”
“Cogito... ergo sum?”
“Esatto! Pensi? Dimmi la verità. Sei in grado di pensare?”
Myra si fermò a riflettere per un attimo.
“Sì... o almeno credo.”
Iuvarra espirò profondamente. Il caso era più difficile di quanto pensasse. Il problema principale non era l'arto spezzato. Era la sua mente ad aver subito la ferita più grave. Sembrava una sorta di crisi esistenziale. Le classiche domande chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo in versione 2214. Sospirò.
“Ascoltami, Myra. Anche l'uomo è una cosa. È un'impalcatura di ossa e muscoli, di sangue e carne. Solo questo. Cosa lo distingue da te? Solo il materiale di cui è fatto. Basta. Non esiste alcun'altra distinzione. Spero che tu lo capisca.”
“Forse sì...”
“Ora... partiamo dal presupposto che tu sia effettivamente una sorta di macchina. Cosa cambierebbe per te?”
“Sarei emarginata...”
“No, diavolo, no! Ti sembra che Ylena lo sia? È integrata benissimo nella società! Puoi farlo anche te, allora! Pensi che lei sia meglio di te?”
“Lo è sempre stata... io ero invidiosa. Molto invidiosa... che stupida che sono stata...”
“Calmati. Tu hai le se stesse possibilità, d'accordo? Partiamo da questo presupposto.”
“Io volevo Ylena solo per me... ero gelosa degli altri...”
“Non è questo l'argomento, Myra. Ora dobbiamo riuscire a riprenderci, va bene? Altrimenti io non posso aiutarti.”
“Forse sarebbe il caso di cambiare argomento...”
Lyo intervenne per evitare che il suo mentore perdesse la pazienza, già duramente provata dalla vicenda Moss.
“Cosa ne dice se raccontiamo loro quello che è accaduto oggi pomeriggio?”
Si svegliò. Era come intontito. Riusciva a malapena a capire di essere adagiato su una vecchia sedia di legno in un locale buio e senza finestre. Il luogo adatto per custodire un ostaggio. La testa gli ronzava in modo tremendo. Come aveva fatto a trovarsi in quella situazione? Cosa era potuto andare storto? La scorta avrebbe dovuto difenderlo. Invece si erano suicidati tutti ad un solo ordine di quel maledetto gigante scuro! Per quale motivo, poi? L'uomo non può e non deve eseguire gli ordini di un suo pari, specie se riguardano questioni importanti come la vita! Cercò di muoversi. Con estrema sorpresa, realizzò di essere praticamente libero. Non era legato né imbavagliato.
Alzò lo sguardo. Roth era in piedi di fronte a lui.
“Se si fosse fidato di me, non saremmo arrivati a tutto questo. A che pro portare così tante guardie del corpo, Nikolaj? Temeva forse che avessi intenzione di ucciderla? Ma andiamo, se avessi voluto farlo avrei avuto almeno una dozzina di occasioni migliori di quella...”
“Chi sei tu in realtà? Sei forse il diavolo in persona?”
“Quello non so nemmeno se esiste, sai, essendo ateo... io sono abbastanza concreto e reale, Moss. Pensavo che se ne fosse accorto quando l'ho colpita per errore con quel gancio destro allo stomaco.”
Per errore?
“Non credere di intimorirmi! Nonostante tu sia una persona abbietta e meschina, io non cederò alle tue richieste, qualunque esse siano!”
“Ora mi stai offendendo, Nik.”
“Detesto quel diminutivo! Non chiamarmi così!”
“Forse non ci siamo capiti, Nik.”
Roth si portò a meno di un metro di distanza.
“Qui comando io. E se ti ordino di fare quello che voglio... tu lo fai, mi sono spiegato?”
Moss non poté che rispondere un malinconico Sì, padrone.
“Bene, ora siamo nell'ordine di idee corretto per intavolare la nostra conversazione.”
Moss si riprese dallo stato di stordimento in cui si era trovato per un attimo. Scosse la testa. Aveva davvero detto quelle parole?
“Sei un ipnotizzatore o qualcosa del genere? Come diavolo hai fatto...”
“Una lunga storia. Se vuoi te la spiego, tanto più che la dimenticherai non appena te lo chiederò.”
Si guardò attorno contemplando lo scantinato in cui si trovavano.
“Devo ammettere che ci sapete fare con le costruzioni, amico... palazzi splendidi, torri di vetro alte fino al cielo, vaste reti di gallerie sotterranee, fabbriche imponenti, addirittura rifugi a prova di attacco atomico, come quello in cui sei rinchiuso ora. Ne avete fatta davvero molta di strada. Nessuno di noi si sarebbe aspettato uno sviluppo simile.”
“In che senso? Non riesco assolutamente a capire...”
“Vorrà dire che ritirerò tutti i complimenti che vi ho fatto. Non è questo che vi rende così interessanti, Moss. Anche le termiti costruiscono strutture imponenti, così come i castori. I ragni tessono una tela molto resistente. Ma l'uomo è unico. Ha costruito un essere a sua immagine e somiglianza, Moss. Si è fatto Dio a sua volta.”
“Buffo che un ateo parli di Dio, Roth.”
“Hai ragione. È per questo motivo che non esistono atei veri, Nik. Anche gli atei credono in qualcosa: nell'assenza di Dio. Per cui, sotto un certo aspetto, non possono definirsi non credenti. Allora il modo giusto per definirmi è non credente in una divinità superiore, ok? Diciamo che in questo modo siamo pari.”
“Cosa vuoi da me? E perché ti ostini ad utilizzare il voi? È un modo per schernirmi?”
“Ti dai troppa importanza, Nik. Il voi non era riferito a te come persona, ma all'uomo in generale.”
“Ma per favore! Non dirmi che sei un alieno! Io non credo a queste stronzate!”
“Infatti non lo sono, Nik. Ma non sono esattamente come te.”
“Spiegati meglio.”
Moss era quasi affascinato dal modo di parlare di quell'uomo. C'era qualcosa di arcano... di strano e straordinario allo stesso tempo nella sua voce.
“Dammi un buon motivo per farlo, Nik.”
“Beh, te l'ho chiesto io.”
“Questo non è un buon motivo.”
Moss sospirò.
“Va bene, allora almeno dimmi perché mi hai rapito.”
“Non ti ho rapito. Mi hai seguito di mia spontanea volontà.”
Lo colpì al torace con un pugno. L'imprenditore cadde sulla sedia.
“Se non l'hai ancora capito, tu per me sei come i bioceramici per voi, Nik. Io ho assoluto dominio su tutti gli uomini biologici. Non puoi opporti alle mie decisioni.”
“Non... può essere... sei davvero... Satana o chi per lui”
“No di certo, Moss. Io esisto. E posso essere molto, molto più pericoloso. Posso apparire in mondovisione ed ordinare a tutto il mondo di suicidarsi, Moss. Il tuo tempo è finito. China il capo, per favore. Non costringermi a punirti più del necessario.”
“Cosa hai detto di voler...” “Ora tu mi offrirai un discorso in diretta olovideo, Nik, in prima serata, a reti unificate. È questo che voglio da te, chiaro? Non accetto discussioni. Fai tutto quello che puoi per garantirmi questa opportunità.”
“Sì, padrone...”
“Bene, ora ti libero, Nik. Tu dovrai dimenticare questo incontro. Inoltre, una volta libero, dovrai convocare una conferenza stampa internazionale sul tuo rapimento. A quel punto interverrò io, ufficialmente per annunciarti, e terrò il mio discorso all'umanità. Ci siamo capiti, Moss?”
“Sì, padrone...”
Roth sorrise.
“Perfetto. Ah, un'ultima cosa, Nik. Sai perché non credo in alcun essere superiore a me?”
L'uomo si riprese dallo stato di shock dovuto all'ordine.
“Per quale motivo, verme?”
“Perché non ne esistono.”
Roth gli diede le spalle e si incamminò lentamente verso l'uscita. Moss perse i sensi e crollò a terra come un pupazzo. Roth lasciò la porta del rifugio semiaperta. Non voleva che la sua preziosa pedina trovesse troppi ostacoli di fronte a sé. Scoppiò in una risata improvvisa. Era riuscito a fargli credere di essere Dio... e in che modo, poi!
“Nik, sei proprio un sempliciotto... è stato davvero banale raggirarti.”
Guardò l'orologio.
“Il tempo è giunto. Presto questo posto sarà la mia casa.”
Si diresse verso la stazione ferroviaria. Un torrente di pensieri attraversò la sua mente. Perché non aveva dato disposizioni direttamente al direttore del network olovisivo più importante della nazione, piuttosto che agire in quel modo avventato? Sorrise tra sé e sé.
Logico. Sono un cacciatore. La cosa più eccitante è prolungare la battuta fino a quando la preda non si sente al sicuro, al riparo, ansimante dopo una fuga infinita. Nel momento in cui crede finalmente di aver seminato il suo inseguitore... beh, in quel momento è spacciata.
Un modo di fare un po' rozzo e sotto certi aspetti particolarmente snervante, forse inutile, ma era il riassunto intimo e intrinseco della sua stessa essenza. Scienza e politica non facevano per lui. Si serviva delle armi migliori: intelligenza e acume. Non tutti erano d'accordo con questa sua visione della realtà.
Gli scienziati, ad esempio, non potevano vivere fuori da un laboratorio, erano sempre intenti a trafficare con le loro provette, i loro giochetti con biglie in movimento e strane linee colorate che zigzagavano sui display degli oscilloscopi. Certamente bellissime, ma profondamente inutili.
Almeno dal suo punto di vista.
Sempre loro, avevano avuto la brillante idea di provare un nuovo sistema. Inviare le solite sonde era troppo scontato. Tanto valeva testare il progetto culmine della gloriosa scienza nazionale. L'ultimo ritrovato in fatto di colonizzazione. Un metodo facile e sicuro, privo di pecche al novantanove virgola sette percento. Presentato così faceva un bell'effetto.
La verità era un'altra: quel processo, così decantato dai pagliacci in camice verde, non era mai stato provato in precedenza, neppure su una luna vicina, facilmente controllabile. No, avevano deciso di iniziare in modo spettacolare, uno spot mediatico per esaltare la grandezza della Scienza con la S maiuscola. Per convincere chi, poi?
Non lo aveva ancora capito.
I fondi destinati alla ricerca erano sufficienti, non c'era bisogno di un simile sotterfugio per ottenere qualche beneficio in più.
Inoltre, che lui sapesse, non esistevano altre popolazioni che avrebbero potuto mettere in dubbio la loro supremazia. Ad essere onesti, non esistevano altri pianeti abitati.
Allora... perché? Perché inventarsi un meccanismo così complicato? Era indubbiamente un sistema ingegnoso, ma era come utilizzare un bazooka per schiacciare una mosca.
Strutture proteiche a sviluppo lento, con contorno di basi azotate... davvero un bel cocktail. L'ideale per popolare un mondo e renderlo abitabile. Le piante, in effetti, sono solo il primo passo del processo di costruzione di un ambiente adatto ad ospitare molti miliardi di essere viventi. Poi si manda un asteroide a colpire il pianeta in questione quando le condizioni diventano favorevoli e il gioco finisce. I vegetali muoiono, gli animali idem, però l'atmosfera ormai si è creata, i pochi alberi rimasti provvedono a mantenerla ed è finita lì. Veloce – si fa per dire – e indolore. Peccato che sessantacinque milioni di anni prima – secolo più, secolo meno – il classico meteorite non era bastato ad annientare tutta la popolazione vivente del piccolo corpo celeste. I mammiferi si erano salvati. Roth scosse la testa.
Se almeno non fossero stati programmati per evolvere in quel modo...
Qual era stata la reazione degli scienziati?
Ah, sì.
Errore sperimentale. Quel dannato zero punto tre percento che nessuno sembrava aver considerato, un'eventualità statisticamente improbabile. Molto divertente. Davvero. Allora, che si poteva fare? Lanciare un altro asteroide? Impossibile, si sarebbe sprecato un ottimo pianeta per un piccolo errore. Qual è l'unica altra possibilità? Semplice. Uno di loro sarebbe dovuto partire e raggiungere il pianeta prima che l'uomo stesso lo rendesse inabitabile per riconsegnarlo a chi di dovere. Per fortuna, il tempo era solamente un opinione per lui. Certo, forse ne avevano aspettato troppo, ma la colonia più vicina era su Titano, a distanza di monitoraggio. Una base popolata da coloni mancati, da gente illusa che era partita molti cicli prima per raggiungere la Terra Promessa.
Quanti ne erano morti durante il viaggio?
Quante generazioni erano passate, prima di arrivare in vista della Stella?
Cosa dovevano aver detto i comandanti di spedizioni quando gli era stato ordinato di stabilirsi sull'unica base automatizzata disponibile, in attesa di ulteriori sviluppi?
Dovevano essere scoppiate delle rivolte, non era assolutamente possibileil contrario. Chi mai desidererebbe vivere su uno stupido scoglio bagnato da idrocarburi liquidi dopo aver attraversato lo spazio per secoli? Per trovare cosa, poi?Una struttura inospitale. Vuota. Priva di vita. Solo robot. Macchine senz'anima e senza pensiero. Roth era abitante di sedicesima generazione di Base Maris, in stazionamento sull'oceano di metano.
I suoi antenati erano stati illusi, erano sicuri di trovare una nuova casa, un luogo dove fondare una nuova civiltà, lontano dalla madrepatria. Era esattamente una colonizzazione come le altre, tutto qui. Solo il metodo era sbagliato. Un metodo che aveva portato più di diecimila persone all'esilio forzato, su una scheggia orbitante inadatta alla vita. Quello stupido avamposto non era progettato per accogliere un numero così grande di occupanti, lo avevano dovuto modificare, ampliare, ricostruire. Tutto per il miraggio di una prossima partenza verso la Terra. Allora si era fatto avanti. Il progetto terzo pianeta era di un importanza relativa, ma lo sviluppo imprevisto di una civiltà intelligente aveva causato qualche perplessità nei tecnarchi. Poteva costituire un pericolo. Si era offerto volontario per partire, per raggiungere da solo il pianeta, per trovare spazio. Certo, gli uomini erano fragili, molto fragili. Non vivevano più di un secolo, erano la loro brutta copia, nulla di più. Questa era l'unica certezza, la sua unica consolazione.
Sospirò.
Se Moss avesse agito nel modo in cui sperava – gli aveva lasciato comunque un certo margine di libertà – tutto si sarebbe concluso entro un paio di giorni. Solamente due giorni e quel posto sarebbe diventato un luogo diverso. Un luogo migliore.
Un mondo perfetto.
6.
“Ho chiamato Moss personalmente una volta che quel tizio è uscito dal locale. Lui mi ha confermato di aver rimandato la partenza per un impegno inderogabile. Gli ho esposto i miei dubbi in proposito, ma lui mi ha liquidato dicendo che avrebbe portato con sé le sue guardie del corpo...”
“Per quanto gli sono servite...”
Lyo interruppe il discorso del suo mentore.
“Tutte morte?”
“Tutte. Ma non sono state uccise. Si sono suicidate.”
Ylena sgranò gli occhi. Myra era spaventata. Non riusciva nemmeno a ricollegare tra loro gli ultimi venti minuti trascorsi assieme a quel vecchio e al suo amico studente...
Chi sono questi due? Perché Yle non mi ha portato in ospedale?
“Non avete scoperto altro?”
“Assolutamente nulla. Mezz'ora dopo la mia chiamata, Moss è scomparso, senza lasciare traccia.”
Ylena sbadigliò senza troppa convinzione.
“Sono abbastanza stanca. È stata una giornata tremenda... e non è ancora finita. Fra poco i genitori di Myra arriveranno a casa, troveranno i cocci e...”
A quelle parole la sua amica si animò.
“... mi butteranno via come un vaso rotto. Magari compreranno un'altra Myra da qualche parte...”
Ylena le tirò uno schiaffo.
“Basta! Non dire idiozie! Non ce la faccio più a sentirti parlare così! Vuoi darti una calmata? Tu sei importante per loro! Capisci? Sei importante! Altrimenti, perché tenerti nascosta la tua natura? Perché, secondo te? Volevano proteggerti. Volevano che tu vivessi come una persona normale. Era questo che volevano!”
Lyo aprì un sacchetto di patatine e ne mangiò qualcuna. Iuvarra lo schernì.
“Si vede che non senti i sapori... ci vuole coraggio a mangiare quella roba!”
“A me piace. Tanto non ingrasso.”
“Ma se non sai di cosa sanno...”
“Non mi fraintenda prof, mi piacciono i cibi croccanti, per il rumore che fanno e per la facilità con cui si masticano, soprattutto. Non ho un altro metro di valutazione.”
Il vecchio rise, poi controllò il suo orologio.
“Si sta facendo tardi. Venite, salite sulla mia automobile. Vi porto nei laboratori del DIFI. Lì dovrei avere un po' di materiale per operare un rammendo di fortuna.”
L'auto di Iuvarra era una Fiat Alba del 2202. aveva dodici anni e li mostrava tutti. Non disponeva nemmeno di ugelli per la levitazione, solo di ancoraggi per le strade a rotaia.
Era un pezzo d'antiquariato.
“Passeremo da corso Gastaldi. È la via più veloce per raggiungere la facoltà.”
Ylena si accomodò sul sedile posteriore. Lyo aiutò Myra a prendere posizione, poi si sedette accanto al guidatore. Il cruscotto del veicolo si animò una volta riconosciuta l'impronta digitale del suo proprietario. Una miriade di luci e di sensori si attivarono all'unisono. Iuvarra ruotò il volante e portò l'auto verso la rotaia principale, quella che attraversava praticamente tutta Genova. La Fiat si agganciò al percorso magnetico ed emise un sonoro bip di conferma.
“Ok, prossima fermata: via Dodecaneso. Mettetevi comodi, è questione di minuti.”
Il viaggio non sarebbe durato neanche dieci minuti. Lyo ammirò il Sole al tramonto, rapito dalla bellezza di quello spettacolo, poi i suoi occhi indugiarono sullo specchietto retrovisore. Myra si era addormentata tra le braccia di Ylena. Non era riuscita a reggere. Il suo sistema nervoso aveva dato l'ok per il riposo dopo aver avuto la certezza di essere al sicuro. Non era però la convalescente ad attirare la sua attenzione. Ylena... quando l'aveva vista in quel bar... e aveva scoperto che era una bioceramica... non era più riuscito a trattenere le sue emozioni.
Quella creatura era vera, non era un sogno. Ed era lì, dietro di lui. Da quella posizione avrebbe potuto accarezzarle la mano, sfiorarle la guancia delicatamente, scostare i suoi capelli dal viso e poi...
“Ehi, cos'hai, Lyo? È entrato in azione lo screen saver?”
Maledizione! Non poteva aspettare ancora un po'? Mi ha interrotto sul più bello!
“Uh? Sì, diciamo di sì... stavo pensando.”
Il vecchio rise di gusto e fece un cenno, quasi impercettibile, con il capo in direzione delle due passeggere.
“Eh, già! Quando mai ti capiterà di nuovo di poter conoscere due pupe così?”
Se avesse potuto, Lyo sarebbe arrossito e si sarebbe nascosto sotto il cruscotto. Iuvarra aveva la straordinaria capacità di capire a cosa stesse pensando ogni volta. Ylena sembrava divertita.
“Lo prendo come un complimento!”
Lyo dimenticò tutto il resto quando la vide sorridere. Non riusciva a capacitarsi del fatto che lei fosse artificiale. Era troppo bella per esserlo. Myra aveva un buon motivo per provare invidia nei suoi confronti.
Il viaggio non poteva essere definito emozionante. La lunga rotaia principale era costellata da semafori automatizzati per la gestione del traffico. Quando si attivavano, i veicoli in coda agganciavano la guida di metallo, fermandosi sul posto.
“Ma porca di quella... Quei catorci sono veramente snervanti! Sempre rossi! Mai che si riesca a trovarne uno del colore giusto!”
“Dove siamo, prof?”
“All'inizio di corso Europa. Mancano ancora circa cinque minuti, semafori permettendo. Non è molto.”
Il ragazzo si voltò verso le loro ospiti, più per osservare Ylena che per altro, in effetti.
“Come sta Myra? Dorme ancora?”
“Sì.”
“Fra un po' dovresti svegliarla.”
“Capisco, ma per ora preferisco lasciarla riposare. È ancora in stato di shock”
“Sì, decisamente sì. Non penso che sia ancora entrata nell'ordine di idee di non essere biologica.”
“Più o meno il problema è quello.”
Iuvarra disattivò il magnete e deviò verso una strada secondaria, diretto verso il parcheggio della facoltà. Le ruote gommate emersero dalla carlinga, tastarono l'asfalto, libere di muoversi. La sbarra di un ampio piazzale si aprì di fronte a loro, Frecce olografiche verdi indicarono al conducente dove lasciare la propria auto in stazionamento. Una volta raggiunto il posto assegnatole, la Fiat Alba si spense.
“DIN-DON! Gentili passeggeri, vi informo che siamo arrivati.”
Myra aprì gli occhi. Era tra le braccia della sua migliore amica. Era stato tutto un sogno? Si guardò un po' intorno, frastornata. No. Quella era la macchina del vecchio che le aveva accolte alla stazione... sbadigliò rumorosamente.
“È qui che sarò smaltita?”
“Riparata, non buttata via. Stai tranquilla. Perché hai così tanta paura?”
“Ti ricordi Francys?”
Gli occhi di Ylena si spensero di colpo.
Ci avevo messo sei anni a rimuoverlo. Possibile che quel ricordo debba tormentarmi ancora?
“Sì. Come fare a dimenticarlo? Francys era uno dei miei migliori amici. Era un bioceramico, proprio come me.”
“E allora? Cos'è successo?”
Myra cercò di capire chi fosse intervenuto. Era quel simpatico ragazzo, Lyonar o come si chiamava. Anche lui sintetico. Notò che i suoi occhi erano puntati verso sua sorella. Sembrava rapito. Sorrise malinconicamente.
Yle, hai fatto colpo di nuovo...
“Non è una vicenda di cui amo parlare. Un pomeriggio di sei anni fa, eravamo in giro per Savona. Mentre attraversavamo la strada, Francys fu investito da un motociclista. Le sue gambe andarono in frantumi. Il centauro si fermò per soccorrerlo, ma, quando si rese conto di aver ferito un bioceramico, tirò un sospiro di sollievo, inforcò nuovamente la sua moto e fuggì a tutto gas. Ero disperata. Francys mi implorava di fare qualcosa. Lo portai immediatamente al pronto soccorso più vicino, ingenuamente. Credevo che potessero fare qualcosa per lui. Gli infermieri si misero a ridere. Mi dissero che era inutile, che i bioceramici sono costruiti apposta per essere sostituiti in caso di rottura e non riparati.”
“E quindi? Che cosa...”
“Ho chiamato con un telefono i padroni del mio amico. Ci raggiunsero lì, con calma. Quaranta minuti di attesa. Dopo averlo visto mi liquidarono con una risata.”
Ylena chiuse gli occhi.
– Vai pure, ce ne occupiamo noi. Tu hai fatto fin troppo. E non fare quella faccia... presto avrai un nuovo amico per riempire la tua vuota esistenza.
– E Francys? Di lui cosa ne sarà? Per favore, non ditemi che...
– Quello non è un tuo problema...
“Solo... solo dopo due giorni ho scoperto la verità. Il mio amico era stato disattivato e rottamato come un ferrovecchio. Non ne è rimasto nulla. Penso di aver pianto molto per quell'episodio. Ora non ricordo. Myra... è stata l'unica a starmi vicina in quel periodo. Quando... quando l'ho sentita pormi quelle domande, la mia mente è tornata a quel giorno. Per questo motivo ho chiamato lei, professor Iuvarra. Non volevo che facesse la stessa fine di quel ragazzo...”
“Non penso che la tua amica avrebbe corso questo rischio. Se i suoi genitori le hanno tenuto nascosto tutto per anni, significa che in qualche modo tengono a lei. Comunque non è il caso di parlarne ora. Scendiamo, forza. I laboratori non sono distanti.”
Iuvarra si sottopose allo scanner dell'iride per accedere al piano terra dell'enorme complesso. Un edificio totalmente sconclusionato, per i più. Un palazzo storico che assomigliava pericolosamente alle famigerate lavatrici di Pra, un complesso edilizio demolito circa un secolo prima, eppure era molto funzionale. Si adattava allo scopo per cui era stato creato – certo, la totale ristrutturazione degli interni aveva permesso di migliorarne l'efficienza.
“Dunque... il laboratorio dell'INFM dovrebbe essere qui a destra...”
“INFM?”
“Istituto Nazionale di Fisica della Materia. Ne abbiamo un distaccamento. Sapessi che fatica a convincere il Consiglio di Amministrazione!”
Iuvarra sgombrò un bancone e lo utilizzò come lettino.
“Sdraiati qui, Myra.”
La ragazza obbedì placidamente.
“Mi ingesserete il braccio?”
“Qualcosa del genere.”
Ma come cavolo possiamo ingessare qualcosa che non c'è più? Siamo veramente al surreale!
Iuvarra aprì alcune credenze e prese la bombola dell'azoto liquido. Ne riempì un dewar, poi cercò le bombole di plasticeramica spray e l'applicatore.
“Ylena, toglile la fasciatura e la maglia. Devo assicurarmi che la crepa non sia risalita lungo il braccio. In questo caso, il lavoro sarebbe estremamente più lungo.”
Myra rimase immobile, come una bambola, mentre Ylena seguiva le indicazioni del professore.
Iuvarra si avvicinò ed esamino la ferita.
“Come pensavo. La spaccatura ha raggiunto la spalla. La prima cosa da fare è stabilizzarla. Lyo, passami una bomboletta di plasticeramica.”
Lo studente non se lo fece ripetere due volte. Iuvarra agitò il contenitore e spruzzò parte del contenuto sulla spalla della ragazza.
“Senti qualcosa?”
“No, per ora no...”
“Bene.”
Il vecchio ripeté l'operazione più volte, fino ad eliminare ogni crepa residua al di sopra del gomito. “Perfetto. Ora sei al sicuro. Il pericolo era che ti spaccassi completamente. In quel caso, neppure il padreterno avrebbe potuto fare qualcosa per te.”
“Ora che si fa?”
“Si aspetta, Lyo. Dobbiamo attendere almeno un'ora che la plasticeramica si solidifichi a dovere. Agire prima sarebbe troppo rischioso per lei. Se la sua struttura presentasse ancora qualche microcrepa, il contatto con l'azoto liquido le sarebbe letale.”
“Azoto liquido? Per quale motivo?”
“Le giunture devono essere riparate a freddo. Una temperatura più bassa sarebbe ottimale, ma i – 196 °C dell'azoto dovrebbero bastare. Non abbiamo molte altre alternative, comunque. Abbiamo finito l'elio liquido e fino a lunedì prossimo non me ne arriva altro.”
“Nell'attesa, cosa facciamo?”
“Voi non lo so, io accendo l'olovisore. Voglio vedere se c'è qualche notizia su Moss.”
Lyo non riusciva a credere all'opportunità che si era trovato davanti. Un'ora con Ylena... come l'avrebbe sfruttata? Avrebbe potuto attaccare discorso in qualche modo e poi...
“Yle... non mi lasciare, ti prego... aiutami... non voglio che mamma e papà lo scoprano...”
La ragazza sospirò.
Lo sanno già...
“Stai tranquilla, sorellina. Non ti lascio.”
“Non sapevo che foste sorelle...”
Sorrise.
“Non nel senso stretto del termine. È più una sorta di rapporto spirituale. Io e lei siamo legate da un'amicizia che dura da una vita. Sono più di vent'anni che ci conosciamo e condividiamo lo stesso tetto...”
“Posso riposare ancora un po'?”
Ylena le prese la mano con delicatezza.
“Sì. Non ti preoccupare. Vedrai che andrà tutto bene.”
Myra si addormentò in meno di dieci minuti. Lyo si avvicinò.
“Ma esattamente, cosa le è successo?”
La ragazza scrollò le spalle.
“A quanto ho capito, è scivolata mentre faceva la doccia. Non ti so fornire altri dettagli. L'ho trovata in uno stato pietoso.”
“Capisco... ma tu eri a conoscenza della sua vera natura?”
Ylena emise un lungo respiro, poi abbassò lo sguardo.
“Sì. Lo sapevo. Dal mio primo giorno di vita. La direttiva con cui sono stata – per così dire – programmata era esegui gli ordini di Myra e fai tutto il possibile affinché non sappia di essere bioceramica. Questo è il mio unico compito. Ho fatto del mio meglio, ma evidentemente non è bastato.”
Lyo le prese la mano.
“Non devi assumerti responsabilità che non hai. Non avresti potuto fare niente per lei! Mica puoi seguirla ovunque!”
“...”
“Dai, ora non dirmi che per tutta la tua vita non hai fatto altro che proteggerla... avrai pure avuto qualche amico, ti sarai presa qualche cotta, no?”
“No. Ero l'oggetto del desiderio per molti miei coetanei, ma nessuno di loro ci ha mai provato con me.”
Ovvio, sapevano che io non ero biologica...
“E tu? Non hai mai desiderato nessuno?”
Ylena rise divertita.
“Non ti ho già risposto? No, mai. Mi sentivo isolata, non avevo alcuna intenzione di guardarmi intorno. Tanto sapevo benissimo che non sarei mai riuscita a costruire una relazione duratura.”
“Ah.”
Lyo le lasciò la mano.
Non ho speranze, allora? Devo arrendermi senza lottare? Non sembra avere alcun interesse per me...
“Lyonar! Vieni qui immediatamente! Ho bisogno del tuo aiuto.”
Iuvarra interruppe come di consueto i suoi pensieri.
“Arrivo, arrivo...”
Il vecchio stava armeggiando con alcuni tester.
“Posso parlarti in privato un momento?”
Il ragazzo assunse un espressione stupita.
“In che senso, scusi?”
“Pensi che non mi sia accorto del tuo interesse per lei? È troppo palese.”
Lyo lo guardò con gli occhi sbarrati.
“Come diavolo fa a sapere cosa mi passa per la testa? Non è possibile che ogni volta lei riesca...”
“So leggere i segni, Lyo. Hai lasciato troppe tracce.”
“Va bene, punto a suo favore... per quale motivo mi ha chiamato? Voleva solo farmi partecipe della sua scoperta?”
“Più o meno sì. Devi stare attento, però... Ylena potrebbe non essere come sembra. C'è qualcosa che non riesco ancora a capire...”
“Non mi sembra che ci sia tutto questo mistero... sui documenti...”
“Aspetta un attimo. Cosa hai detto? Documenti?”
“Sì, ma non vedo come...”
“Ylena, devo chiederti una cosa. Come fa Myra ad aver visto il suo certificato di nascita? I bioceramici hanno un'attestazione sostitutiva e...”
“La storia è abbastanza complicata, professore. Non so se vuole conoscerla nei dettagli...”
“Insisto per sapere. È un fatto a dir poco singolare.”
Ylena sospirò.
“Dunque, da dove iniziare? Ah sì...”
7.
– Com'è la situazione? È maschio o femmina?
– Femmina. Una bellissima bambina. Nascerà il prossimo 8 settembre, in concomitanza con l'applicazione della nuova legge sulla vita biomeccanica. Siete fortunati, potrete ancora darle il nome che volete senza censure.
– Quali censure, scusi?
– I bioceramici dal prossimo settembre dovranno essere distinti da una Y nel nome.
– Capisco. Ad ogni modo, per noi non sarà un problema.
L'uomo uscì dallo studio del medico assieme alla moglie.
– Non sei contento? Stai per diventare papà!
– Sì.. sì, quello che mi preoccupa sono le tue condizioni di salute. Sai che non potrai avere altri figli, vero? È già stato un miracolo che questa gravidanza sia andata a buon fine...
Il volto della donna perse vitalità.
– Lo so. Io però non voglio che nostra figlia cresca da sola. Non possiamo ordinare una biomacchina che sia per lei come una sorella?
– Costano molto.
– Da quando per noi i soldi sono un problema?
– Ho capito, ma non mi sembra il caso di sprecarli così.
– Non sarebbe uno spreco. E poi, io ho sempre desiderato avere due gemelle.
L'uomo la guardò negli occhi.
– Va bene. Se è per farti stare meglio, si può fare. Contatterò oggi stesso la ditta che le produce perché sia pronta entro la data di nascita della nostra bambina, ok?
– Sei un tesoro. Grazie!
L'uomo e la donna si abbracciarono.
***
– Allora, signor Moss... pensa di riuscire in quanto le ho chiesto?
– Non c'è neanche bisogno di chiederlo, signor Lantieri. Il campione di DNA che mi ha fornito sarà sufficiente. La nostra creatura sarà tale e quale a sua figlia. Crescerà allo stesso modo.
– Quanto mi verrà a costare tutto questo?
– Mezzo milione netto più le tasse. Non è molto. Una bioceramica è un bene di lusso, paragonabile ad uno yacht. Qui lei può decidere ogni dettaglio. Sesso, altezza, peso, età di partenza, lineamenti del viso, colore degli occhi, dei capelli, forma del naso... ogni particolare è sotto controllo.
– Ciò per voi giustifica il prezzo?
– Non è obbligato a portare a termine questa trattativa.
– Lo faccio solo per mia moglie.
– Perfetto. Allora... il 10% come anticipo, il resto entro due settimane dalla consegna. Può esercitare il diritto di recesso entro questo periodo.
– Lo terrò presente. Ecco, questi sono i 50.000 euro che mi ha chiesto. Posso avere una ricevuta?
– Certamente. Io sono un uomo d'affari onesto.
***
– Domani è il grande giorno, caro. È il giorno stabilito per il parto. Sono così emozionata.
– Domani dovrò pagare quella vipera di Moss per il favore che crede di averci fatto.
La donna lo squadrò con aria severa.
– Promettimi che non discriminerai la creatura che avrà le fattezze di tua figlia. Promettimelo.
– Come faccio ad essere sicuro di riuscirci?
– …
– E va bene! Te lo prometto! Ora vai a riposare. Domani sarà una giornata lunga.
– Aspetta solo un attimo. Come abbiamo deciso di chiamarla?
– Nostra figlia? Pensavo che avessimo deciso per Myra...
– Non parlavo di lei, parlavo della sorella.
– Per me potrebbe anche non avere un nome, comunque ne parleremo domani, ok?
– Non mi sembri molto entusiasta...
– Sborseremo mezzo milione di euro per un giocattolo poco più avanzato di una bambola parlante! Ti sembra poco?
– Guarda che a tutti gli effetti è simile ad un essere vivente! È solo composta di un altro materiale!
– Per me rimarrà sempre un oggetto. Ci puoi giurare. Non riuscirò mai a far valere la mia promessa.
***
– Che cosa è successo? Perché c'è questo andirivieni di medici? Me lo dica per favore! Prima mi avete allontanato dalla sala parto, poi...
– Voglio essere sincero. Ci sono state serie complicazioni e sua figlia è in fin di vita. Stiamo facendo il possibile, ma temo che...
– Santo cielo! Mia moglie! Come sta mia moglie?
– Per lei nessun problema, ma capisce che...
– Lei lo sa? Ne è al corrente?
– Non glielo abbiamo ancora detto. Potrebbe essere troppo scioccante per lei.
– Come è potuto accadere? Questo è il miglior ospedale della Liguria!
– Appunto. Ci lasci lavorare. È già tanto se la madre non ha subito danni alla propria salute. Le faremo sapere. Ora la piccola è in terapia intensiva.
I minuti trascorsero con lentezza inesorabile. Ogni secondo pesava come una pietra tombale.
Dopo mezz'ora un medico dall'aspetto cereo, quasi come quello di un becchino, si avvicinò.
– Mi dica, per favore! Non mi lasci in sospeso così! Che cosa...
– È morta. Non abbiamo potuto farci nulla. Abbiamo già avvisato sua moglie. Mi creda, anche per noi è stato un duro colpo. Ci siamo sentiti veramente impotenti davanti a questo caso. Alcuni dei miei collaboratori sono sotto shock.
L'uomo cadde a terra in lacrime, poi si rialzò e raggiunse la moglie. Voleva piangere assieme a lei. Non poteva lasciarla sola nel dramma.
– Lei è il signor Lantieri?
– Chi...
– Sono l'inviato della Moss Technologies. Abbiamo portato la sua ordinazione come richiesto.
– La mia... ordinazione?
Il corriere gli porse un fagotto con una bimba addormentata. Sembrava appena nata.
– Questa è la bioceramica che avete richiesto. Ovviamente potrete esercitare il diritto di...
– No. Non ne ho intenzione.
– Dobbiamo procedere alla programmazione, ovvero instillarle obbedienza verso di lei e...
– No, grazie. Non voglio che sia vincolata in questo modo.
– Come scusi? Non è molto regolare, io...
– Le bastano quattromila euro? Sono tre mesi del suo stipendio.
– Uh... ehm... ok, la programmazione è stata completata con successo. Le lascio il certificato. Buona giornata!
Il corriere se ne andò di gran carriera con la mazzetta in mano. L'uomo con la bimba sottobraccio entrò nella camera della moglie. La donna era annientata, ma la vista del fagotto la incuriosì.
– Cosa... chi hai tra le braccia?
– Nostra figlia.
– Nostra figlia è morta!
– Non sua sorella.
La donna accennò un sorriso che per un attimo spense le lacrime.
– Capisco... è arrivata adesso, vero?
– Lei sarà nostra figlia a tutti gli effetti. Faremo in modo che creda di esserlo. Sarà la nostra bambina.
– Come la chiamiamo?
– Myra. Semplicemente Myra.
– Preferirei un nome diverso...
– Oh, io credo che sia perfetto, invece... Myra Magdalen... ti chiamerai così piccola! Ti piace?
La minuscola creatura emise un debole vagito.
– Lo prendo come un sì...
– E per i documenti?
– Lascia fare a me.
***
– Quello che mi sta chiedendo di fare non è molto legale... in pratica, dovrei far sparire un certificato di morte.
– Esatto. Vedo che ha capito in fretta.
– Si rende conto dell'imbarazzo che questa cosa potrebbe crearmi? Sa, io...
– Lo so. Ma è di vitale importanza.
– Di chi sarebbe questo documento?
– Mia figlia. Myra Magdalen Lantieri. È morta il giorno stesso del parto.
– E per quale motivo vorrebbe che questo decesso non venga registrato? Non vedo alcuna ragione...
– Va bene. Vuoterò il sacco. Avevo commissionato a Moss una bioceramica del tutto simile a lei, una sorta di gemella. Nessuno lo sa, eccetto le industrie che l'hanno prodotta. Voglio che lei pensi di essere mi figlia.
– Commovente... ma sfortunatamente, la legge sulla regolamentazione della vita artificiale è entrata in vigore oggi. Non posso già infrangerla.
– Ho studiato il testo della legge. È effettivamente entrata in vigore oggi, ma non si applica alle biomacchine assemblate prima. Myra è stata terminata ieri. Guardi, ho il certificato. Questo mi dà la facoltà di non iscriverla al registro.
– In definitiva, se ho capito bene, si tratta solo di compiere una buona azione, non è così?
– Esatto.
– Va bene, lo farò. In fondo, lei mi ha aiutato molte volte in questi anni. È giusto che io paghi il mio debito...
8.
Il metano liquido tutto attorno rifletteva in modo spettrale i pochi raggi di sole che raggiungevano Titano. Venn non poteva fare a meno di esserne affascinato. Erano almeno seicento anni che quello spettacolo si mostrava ai suoi occhi ogni giorno, ma ogni volta provocavano in lui la stessa meraviglia. Sospirò. Era la sua unica distrazione. Base Maris era tutto tranne che un posto divertente. Era solamente un avamposto scientifico molto lontano dal suo pianeta natale, se di pianeta si poteva parlare. Venn era un colone di diciottesima generazione. Era nato su Titano, non aveva mai visto la Madre. Base Maris era tutto quello su cui i suoi occhi si erano posati in quegli anni. Avrebbe voluto trascorrere la propria adolescenza in un luogo più felice, ma quando si è figli di un colone di diciassettesima generazione...
“Ehi, Venn! Stai perdendo ancora il tuo tempo osservando il mare di metano? Guarda che è sempre uguale!”
Il ragazzo si voltò.
“Neike... cos'altro potrei fare? Non mi sembra che abbiamo molte alternative.”
“Solo aspettare comunicazioni da Roth, ma dubito che possano arrivare in tempi utili.”
Venn si avvicinò all'oblò.
“E pensare che su quel pianeta potevamo esserci noi! Almeno avremmo vissuto in un'atmosfera compatibile... e non saremmo rinchiusi tra quattro mura.”
“Che vuoi farci? Gli scienziati sono degli imbecilli, Venn. Anche l'idea di inviare Roth... mi sembra una forzatura. Ora la specie dominante sulla Terra è l'Uomo.”
“Ma l'Uomo è una nostra creatura, Neike! Questo non significa che la Terra è nostra?”
Neike scosse la testa.
“Roth è stato inviato proprio per verificarlo. Ma a mio parere è una spedizione completamente priva di senso. Non abbiamo bisogno di un pianeta in più. Direi che siamo già abbastanza sparpagliati nella galassia.”
“Dunque qual è la decisione dei nostri governatori?”
“Se Roth ha successo, ci stabiliamo là. Se Roth fallisce, rimaniamo qui. Non ci sono vie di mezzo, non ci sono alternative. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è una guerra. Tendenzialmente non abbiamo mai avuto una propensione per le armi...”
“Già. Ma prima o poi, l'Uomo arriverà su Titano... e ci troverà?”
“L'Uomo non arriverà mai qui di persona. Anche se condivide il nostro stesso aspetto, è un essere finito la cui vita non dura che un centesimo della nostra. È una sorta di drone biologico... ne abbiamo solamente perso il controllo per un errore di calcolo, tutto qui.”
“Sarà... ma io in questo momento lo sto invidiando. Da quando sono nato non ho mai visto l'alba né il tramonto. La luce del sole qui non arriva. Non so cosa darei per poter vedere quella stella sorgere. I racconti di Roth mi hanno sempre affascinato... gli alberi, gli animali, i monti, i laghi, i fiumi... le nuvole! Io non ho idea di cosa siano, Neike. Le posso solo immaginare. Prima o poi andrò là!”
“Smettila di sognare. Hai solamente venti cicli di età. Per un viaggio del genere devi aspettarne almeno altri dieci.”
“Ho capito: non vedrò mai la Terra.”
“Abbi fiducia in Roth. Dipende tutto da lui.”
“Appunto. Io non vedrò mai la Terra.”
Sospirando, Venn si diresse verso la sala di controllo, sognando l'azzurro ed il verde così vicini e, allo stesso tempo, così irraggiungibili.
“Una storia davvero interessante, Ylena. Questo spiega molte cose. Quindi, almeno ufficialmente, Myra è una ragazza come tante altre...”
“Sì, proprio così.”
“Non è un problema semplice. Se la riportassimo alla Moss Technologies per farla riparare... penso proprio che la arresterebbero con l'accusa di falsa identità biologica. Suo padre sarebbe condannato perlomeno a sei anni di galera e lei... beh, lei sarebbe sicuramente rottamata. Purtroppo il codice penale prevede questo. Per i bioceramici il furto di identità è il reato più grave in assoluto. Dobbiamo agire con cautela e...”
“Professore! Venga, presto! Alla OV! C'è Moss! Vivo!”
Iuvarra si alzò di scatto.
“Ma non è possibile! Sei sicuro che non sia uno show demenziale che stia ironizzando sulla vicenda o un servizio con immagini di repertorio?”
“Venga a vedere, se non ci crede!”
Il vecchio e la ragazza raggiunsero Lyo. Sul televisore capeggiava una ripresa ravvicinata di Nikolaj Moss, accerchiato da una mezza dozzina di giornalisti. Il titolo del telegiornale era Liberato?.
Iuvarra sorrise amaramente. Qualcosa non quadrava neppure per i giornalisti. L'ex-scomparso iniziò a parlare.
“Non intendo rilasciare dichiarazioni sulla mia presunta scomparsa.”
“Ma le sue guardie del corpo...”
“Chiarirò tutto in una conferenza stampa in mondovisione in cui annuncerò importanti novità. Sarà un evento di portata mondiale.”
“Signor Moss, sicuramente saprà che è in corso un'indagine sul caso. È già stato ascoltato degli inquirenti?”
“Non penso ce ne sia bisogno. Non ho ricevuto alcun avviso di garanzia.”
“Un'ultima domanda! Possiamo conoscere il nome del suo salvatore?”
L'uomo rise di gusto. “L'unico salvatore che conosco è Gesù Cristo. Non so chi vi abbia raccontato questa panzana... salvarmi da cosa, poi? Poniamo che io sia stato rapito... vi sembra meno assurdo che io abbia pagato un riscatto o che qualcuno mi abbia, per così dire, salvato? Certo che ne avete di fantasia voi giornalisti. Ad ogni modo, la mia scorta sarà sostituita temporaneamente dal qui presente Roth Gerand.”
Ylena impallidì.
“L'uomo del bar! È lui! Quello che mi ha rotto il braccio!”
“Non è possibile! Come fa Moss a fidarsi di un tipo del genere?”
Il giornalista non si diede per vinto.
“Scusi... ma un solo uomo può fare le veci di otto agenti scelti?”
“A quanto pare sì. Comunque saprete tutto durante il mio intervento. Non ho intenzione di rispondere ad altre domande.”
L'immagine scomparve. Le telecamere dello studio si riaccesero. Il mezzobusto inamidato prese la parola.
“A quanto pare il magnate non è deciso a rilasciare altre dichiarazioni. Sapremo finalmente la verità sulla vicenda nella conferenza indetta dallo stesso venerdì? L'evento sarà in diretta su questa rete all...”
Lyonar spense l'olovisore.
“Tutte balle! Sono pronto a scommettere che sia stato Roth a rapirlo e a manovrarlo come un burattino. Vi ricordate cosa è successo al locale?”
“Lyo... la cosa preoccupante è che non è la prima volta che succede! Anche il rettore dell'Università è stato contattato dal fantomatico signor Roth.”
Iuvarra osservò Ylena abbastanza stupito.
“Non penso sia possibile... me lo avrebbe detto...”
“Mi creda, mi è stato riferito da Myra. Roth ha chiesto del rettore ma, non trovandolo ha ordinato a tutti di dimenticarsi di lui.”
“E loro avrebbero obbedito?”
“Come voi avete fatto al Pit Stop.”
“Pura fantascienza!”
Lyo prese la parola.
“Ma è ciò che è effettivamente accaduto. Mi ricordo la sua conversazione con Moss al telefono, proprio questa mattina. Si rivolgeva a lui come un biologico rispetto ad una biomacchina.”
“Secondo il tuo ragionamento, Moss dovrebbe essere artificiale.”
“No, non ho mai detto nulla del genere, ma l'analogia è evidente. C'è qualcosa che ancora non mi torna, ma penso di avere una mezza idea di quello che stia succedendo, prof.”
“Ok, Lyo, allora parla. Come pensi si evolveranno gli eventi?”
“Secondo me, Roth ha in qualche modo condizionato Moss per ottenere quella stupida conferenza in mondovisione a reti unificate. Lo sa meglio di me, durante una diretta globale tutti gli oloschermi sparsi per la città si attivano, tutti gli olovisori nelle case private si accendono come da copione. Durante la conferenza, probabilmente Moss cederà la parola alla sua guardia del corpo per un annuncio. Riuscite ad immaginarvi le conseguenze?”
“Se come voi dite quell'uomo ha la capacità di comandare le persone a bacchetta, sì. Potrebbe addirittura dare ordini come, cosa ne so, ora siete tutti miei schiavi, suicidatevi in massa o roba del genere.”
“Propenderei per la prima. Mi sembra veramente stupido richiedere la morte di nove miliardi di individui.”
“Dipende fortemente dal tuo scopo.”
Ylena assunse un'espressione crucciata.
“Ho notato che non ha alcun ascendente sui bioceramici. Io, Lyo, persino Myra... nessuno di noi si è sentito in dovere di obbedirgli. Davvero, non riesco a capire come funzioni...”
“Ci penseremo più tardi. Ora dobbiamo provare a risaldare il braccio della tua amica. Ormai la crepa dovrebbe essersi saldata. Andiamo a controllare...”
Myra giaceva ancora addormentata sul lettino.
“Uhm... sì, direi che siamo riusciti a bloccarne l'espansione. Lyo, rabbocca il dewar di azoto liquido, poi portamelo qui.”
“Non sarebbe meglio sedarla?”
“Non ho idea di come si possa fare. Non sono così pratico di biomacchine, Lyo. Spero solo che i recettori si siano lesionati a causa della caduta. Ylena, portami i frammenti che hai raccolto.”
La ragazza gli porse l'avambraccio di Myra.
“Uhm... non sembra così in cattivo stato. Pensavo peggio. Bene, iniziamo.”
Iuvarra pose l'estremità del pezzo di plasticeramica nel dewar per una decina di secondi, poi lo estrasse velocemente.
“A temperature basse questo materiale acquista una buona rigidità, che è quello di cui abbiamo bisogno. Per fortuna la giuntura è – per così dire – rimasta attaccata al corpo. Ora spostatevi. Devo allineare le componenti.”
Iuvarra avvicinò i due tronconi del braccio di Myra fino a trovare almeno un punto in cui le zigrinature corrispondessero in modo esatto.
“Per prima cosa dobbiamo riconnettere l'ossatura di carbonio e i muscoli. Non sarà un lavoro semplice. Passami l'SGC.”
“Il saldatore per giunti meccanici al carbonio? Quello che si usa per le macchine industriali?”
“Sì, proprio quello. Collegalo alla presa di corrente e settalo su High.”
La punta dello strumento iniziò a riscaldarsi.
“Ci vorrà un paio di minuti prima che raggiunga la temperatura di regime. Nel frattempo, Ylena... puoi spiegarmi come ha fatto Myra a non accorgersi della sua natura? Non si è mai ferita? Nemmeno uno stupido graffio?”
“Non è stato facile. Io ho vigilato su di lei fino a quando ho potuto, stando attenta che non cadesse, che usasse oggetti appuntiti, che si tagliasse... I suoi vestiti sono stati tessuti con una stoffa sintetica speciale, antiurto, d'estate l'ho sempre seguita per evitare il peggio. Certo, qualche piccola frattura se l'è rimediata, ma siamo riusciti a rimuoverla dalla sua mente, grazie ad un intervento non invasivo. Sa com'è, si trattava solo di cancellare una minuscola sezione del suo memory core. Nulla di così grave, comunque. Con la scusa della microcitemia, l'abbiamo tenuta lontana da quasi tutti gli sport – escluso il nuoto. Si stanca meno di me, comunque. Prima che compisse un anno di vita, mio padre le ha fatto modificare il generatore interno, in modo da avere un rendimento più elevato. So che può suonare incredibile, ma in tutta la sua vita non ha mai avuto bisogno di cure. Tutto qui.”
“Grazie per il riassunto. Lo terrò a mente, in caso di bisogno.”
Iuvarra afferrò l'SGC e ne utilizzò la parte posteriore per spaccare la pelle attorno al punto di contatto. Era l'unico modo per agire sulle strutture interne.
Myra emise un gemito strozzato.
“Si sta svegliando?”
“No, no... è stata una reazione normale. Evidentemente i recettori sono ancora in funzione. Questo complica le cose. Sentirà dolore. Parecchio. Spero solo che riesca a resistere.”
Dopo mezz'ora, il vecchio professore riuscì a ricompattare l'ossatura. Myra si era svegliata nel frattempo, per svenire subito dopo davanti ai loro occhi.
“Non esistono alternative, Ylena. So che ti preoccupi per lei, ma questo è l'unico modo che abbiamo per permetterle di tornare alla normalità. Ora viene la parte più difficile. Dobbiamo ricostruire la sua muscolatura. Come minimo, avremo bisogno di due ore di lavoro. Come ti sei organizzata con i suoi genitori, Ylena?”
“Ho avvertito che avremmo mangiato fuori e ci saremmo trattenute fino a tarda ora. Non ho riferito altri dettagli.”
“Se vuoi andare a riposarti...”
“No! Io resto qui! Io sono qui per lei! Non voglio abbandonarla proprio ora! Sarebbe contro ogni mio principio!”
“Molto bene. Apprezzo il tuo spirito di sacrificio. Lyo, portami il rifilatore per cavi metallici, dovremo tessere la trama delle sue miofibrille in modo da renderle di nuovo utilizzabili. Fortunatamente, i tendini e i muscoli si sono solamente strappati. Mettiamoci al lavoro.”
Iuvarra e Lyo unirono con pazienza ogni componente interna alla sua omologa nell'avambraccio. Più di una volta dovettero tagliare e ricucire parti già collegate in precedenza.
“Qui facciamo notte, Lyonar. Spero che tu non abbia problemi di alcun genere.”
“Sono ospite alla casa dello studente. Nessuno ha mai avuto qualcosa da ridire sui miei orari.”
“Perfetto. Meglio fare una piccola pausa. Mi si stanno incrociando gli occhi.”
Ylena rimase vicino alla sua amica e le strinse la mano.
“Myra... come ti senti? Ti prego, rispondimi...”
“Non penso di essermi mai sentita peggio, ma ho fiducia in loro. Il dolore è insopportabile...”
“Nessuno sa come anestetizzare una bioceramica, Myra. Resisti, cerca in qualche modo di non pensare al dolore... tra meno di un'ora sarai come nuova! Sarà come se non fosse successo niente!”
“Per te forse non è successo niente. Io sono morta oggi, Ylena. Tutto quello in cui credevo è morto! Io non sono viva! Sono uno stupido ammasso di bulloni, viti e chissà cos'altro! Spiegami come posso vivere... il mio mondo è cambiato. Non so più cosa fare, Yle...”
“Non ti preoccupare. Ti insegnerò io. Convivo con questo peso da molto più tempo e so cosa significhi essere diversa. Lascia fare a me.”
“Io non voglio essere diversa, Ylena! Io voglio tornare a vivere come prima! Non... non accetto di essere una stupida macchina! Io...”
Ylena sospirò.
“Senti, Myra. I casi sono solamente due. O accetti la realtà dei fatti e e le conseguenze che essa comporta, oppure decidi di rifiutarla e continuare a vivere nella tua ottusa esistenza, senza sapere cosa sei veramente. Questa caduta è stata provvidenziale, ti ha offerto la verità su un piatto d'argento. Sta a te scegliere se la vuoi o no.”
“Tu... tu cosa faresti se fossi in me?”
“Io ho già sostenuto il peso di questa scelta. È ora che te ne faccia carico anche tu, sorellina. Io sono diventata adulta a sei anni, in questo senso. Tu sei ancora una bambina adesso. La tua scelta potrà cambiare la tua condizione.”
La ragazza sorrise.
“Quindi... sta a me decidere se questo è solo un brutto sogno o no?”
Myra chiuse gli occhi e rimase ferma per alcuni minuti. All'improvviso sollevò le palpebre. Si guardò intorno, come frastornata, poi assunse un'espressione pensierosa. Ylena la fissò incuriosita.
“Puoi spiegarmi questo tuo comportamento?”
“Volevo essere sicura che non fosse un incubo. Ho analizzato tutti i passaggi per trovare qualche pecca logica, ma invano. Temo che tu abbia ragione.”
“Allora hai deciso?”
“Più o meno. Quanto tempo ho ancora?”
“Tutta la vita, direi.”
“Uhm, troppo poco... temo che non deciderò mai, allora...”
“Dai, non scherzare! So benissimo che ora stai meglio. Prima sembravi veramente un cadavere!”
“Diciamo che è inutile piangersi addosso... io... sono una macchina. E devo accettarlo. Punto. Non posso vivere nell'illusione. Sarebbe un peso troppo... grande. Una fuga senza senso alcuno dai miei problemi. Nient'altro. E io... io non voglio fuggire in eterno. Abbracciami, ti prego, Ylena. Stringimi forte. Ho... ho paura.”
Myra si sciolse in lacrime tra le sue braccia. Il loro abbraccio durò alcuni interminabili minuti. Myra sembrava un fiume in piena, eppure sorrideva. Era una situazione irreale. Anche Ylena sorrideva. Sua sorella aveva superato il momento critico e trovato risposta alla sua crisi esistenziale. Al massimo ora rischiava una crisi depressiva, ma a quella si poteva porre rimedio, col tempo.
Lyo e Iuvarra entrarono in quel momento. Il ragazzo non riuscì ad interpretare la scena.
“Ehi, cosa sta succedendo? Tutto bene?”
“Non potrebbe andare meglio!”
“Per quale motivo, se è lecito?”
“Myra è viva. Non rischia più l'annientamento. Ha accettato la sua essenza.”
Lyo osservò Ylena con curiosità.
“Non penso di averci capito molto...”
“Lyo, hai ancora da imparare sulla mentalità femminile. È particolarmente contorta a questa età. Dubito che qualcuno al di fuori di loro possa comprenderla.”
Iuvarra si avvicinò.
“Per favore, Ylena, stendila nuovamente sul lettino. Devo terminare di collegare i muscoli. Prometto che mi basterà un'ora.”
Le due ragazze si lasciarono a malincuore. Myra sembrava spaventata.
“Ti assicuro che andrà tutto bene. Devi solo stare tranquilla.”
“Va... va bene.”
Iuvarra si mise nuovamente ad armeggiare con i cavi di metallo che non erano riusciti a resistere all'urto col terreno. Lyo puntò la torcia verso la ferita, illuminando ogni anfratto della cavità.
Dopo quarantacinque minuti e numerose imprecazioni che fecero sgranare gli occhi ad Ylena più di una volta, il vecchio professore si alzò dal tavolo operatorio.
“I muscoli e le ossa sono a posto. Manca solo la pelle, ma dovrebbe essere una pura formalità a questo punto. Portami la bombola di plasticeramica, Lyo”
Iuvarra inserì una sorta di cilindro di plastica a protezione delle parti appena ricostruite, poi applicò il contenuto della bombola su di essa. Avanzava lentamente, avendo cura di ricoprire ossa e muscoli con altri schermi che ne impedissero il contatto con la nuova pelle. Eseguì il lavoro con estrema cura e nell'arco di mezz'ora riuscì a completare l'opera. Iuvarra si alzò con un espressione di trionfo stampata sul viso.
“Finito. La ferita è a posto. Sei come nuova, Myra. Dobbiamo solo attendere ancora un'oretta perché tutti i collegamenti si saldino con efficacia, ma direi che il più è fatto.”
Guardò l'orologio. Era l'una e venti.
“I tecnici di Moss ci avrebbero messo molto meno, in effetti...”
“Non dica cavolate, prof! È stato perfetto!”
“Avresti dovuto vedermi trent'anni fa, Lyo. Ora sono solamente un rudere che fa il simpatico per evitare di pensare al suo breve futuro... l'uomo non ha ancora superato il limite del secolo di vita ed io sono un po' troppo vicino a questa frontiera.”
Lyo lo osservò stupito. Per la prima volta, quell'uomo si mostrava in tutta la sua fragilità.
“Dovrei pensare al bene della mia anima, ma in questi anni mi sono convinto che non esista nulla al di fuori della vita materiale, Lyo. Non è una gran consolazione per un condannato che si avvicina al patibolo... ma lasciamo perdere questi discorsi! È ora di festeggiare! Vi offrirò qualcosa in un pub qui vicino, quando Myra potrà alzarsi da lì. Vi va?”
Ylena sorrise. In effetti, quell'uomo era una continua sorpresa. Un anziano bambino che non si decideva a crescere... pur avendo salvato più di una vita, quella notte.
9.
“Venn! Vuoi smetterla di rompere? Non ho ancora notizie! Lo sai che i segnali si propagano al massimo alla velocità della luce? Ma soprattutto, hai idea di quanto siamo lontani dalla Terra? Anche se Roth si mettesse in contatto con noi, le nostre comunicazioni sarebbero rallentate al massimo!”
“Scusami, Neike... ero solo curioso di sapere se...”
“Lo so, lo so, tu vuoi andartene da questa stupida base ai confini estremi della nostra civiltà! Ma cosa pensi, che io abbia mai visto altro nella mia vita? Non ho mai avuto occasione di uscire da Titano! La mia esistenza è legata indissolubilmente a Base Maris. Qui sono nato e – a meno che non intervenga un fatto nuovo – qui morirò! Non che questo mi faccia piacere, Venn... solo che è così. Mi sono rassegnato.”
“Non è giusto, Neike. Ai nostri avi avevano promesso una colonia abitabile, non un pianeta abitato. Non è assolutamente giusto. Eppure lo sapevano che sulla Terra si era sviluppato l'uomo!”
“Diciamo che il disco d'oro della loro sonda – mi pare che si chiamasse Voyager 2 – ha chiarito molti dubbi. I nostri linguisti si sono prodigati per tradurne tutto il contenuto. Dovremmo essere contenti. Abbiamo creato una civiltà piuttosto evoluta.”
“Certo, come no. Come se per noi fosse importante.”
“Potremmo nasconderci in mezzo a loro. Esteriormente siamo uguali. Chi noterebbe la differenza?”
“Non ci tengo, grazie. Voglio solo quello che ci è stato garantito.”
“La politica è fatta di belle parole, Venn. Solo di quelle. Non ti porre altre domande e vai a controllare i saturatori...”
“E se fosse accaduta la stessa cosa per noi?”
L'uomo si voltò.
“Come scusa? Di cosa accidenti parli?”
“In fondo, non abbiamo prove né un'idea certa sulla nostra creazione. Se anche noi fossimo stati delle sonde biologiche inviate da qualcuno? Cosa ne pensi?”
Neike lo osservò perplesso.
“A mio parere è una colossale scemenza. La smetti di farti questi viaggi allucinanti? Perché noi dovremmo essere sottoprodotti di qualche altra civiltà?”
“Perché dovrebbero esserlo gli abitanti della Terra, allora?”
“Perché lo sono. È la realtà dei fatti. Lo sono. Noi invece...”
“Puoi esserne così certo, Neike? Ti ci giocheresti qualcosa?”
Contrasse il suo volto in una smorfia.
“Vai a controllare i saturatori. Dalla metafisica non dipende la nostra vita, da quei dannati macchinari sì. Se ne salta anche solo uno, addio Base Maris. Riprenderemo dopo la nostra discussione.”
“Certo, certo.”
Tipico di Neike. Se un argomento non gli va a genio, impartisce un ordine improrogabile.
“E a che valore dovrei settarli?”
“Centoquaranta. Non uno di più, non uno di meno. Mi raccomando, non sbagliarti.”
Venn si diresse verso la sala macchine secondaria, dopo aver indossato la tuta di protezione. I saturatori sembravano enormi colonne d'acciaio affusolate su cui erano montati una miriade di microcontrolli e pannelli. Venn scosse la testa. Base Maris era una colonia ormai vecchia. Di sicuro sul suo pianeta – si fa per dire – natale avevano già ideato dei selettori telepatici. Avevano perso il contatto con la madrepatria da millenni. Il ragazzo premette alcuni interruttori e ruotò un paio di manopole. Il valore era centotrentasette. Troppo basso. Aprì il serbatoio di metano e lo convogliò nel dotto dell'apparato. Il numero aumentò, con un lentezza esasperante. Dopo una decina di minuti, il contatore si stabilizzò al valore richiesto. Venn chiuse il serbatoio ed attivò il comando di riempimento della cisterna. Disattivò il pannello di controllo e si apprestò a raggiungere il suo alloggio. Pensò alla serata – il periodo tra la cena ed il momento di chiudere le luci ed andare a dormire – che lo attendeva. Shami si sarebbe volentieri intrattenuta con lui.
Venn sorrise. Era una bella ragazza. Segretamente sperava che potesse nascere qualcosa tra loro due, ma non ci sperava più di tanto. Erano quei pensieri che ti mantenevano in vita su una stazione spaziale lontana da ogni punto di riferimento. Sì, quella sarebbe stata una serata veramente piacevole. Si tolse la tuta protettiva e si diresse verso il ponte due.
“Venn! Presto! Vieni qui!”
Il ragazzo si voltò. Era Neike, trafelato.
“Cosa diavolo è successo? I saturatori sono forse...”
“No, no, anzi. Ottimo lavoro... il punto è che abbiamo un segnale!”
“Roth si è fatto sentire?”
“Sì, dice di essere ad un passo dal successo e ci invita a raggiungerlo!”
“Neike! Siamo oltre dodicimila persone! Non possiamo partire senza essere certi del risultato...”
“Hai ragione, infatti abbiamo deciso di inviare solamente due di noi in ricognizione. Indovina su chi è caduta la scelta.”
“Neike! Sono felice che ti sia stato assegnato questo...”
“Non hai capito nulla, come al solito. Non partirò io.”
Il corpo del ragazzo fu scosso da un fremito.
“Sarà la tua prima missione operativa. Vedrai la Terra, Venn. Il tuo sogno si avvera.”
“Temi davvero che prima o poi Myra capisca che...”
“Ylena non lo ha forse fatto, Lori?”
L'uomo sorseggiò il vino dal suo calice.
“Comunque, perché mi fai questa domanda?”
La donna era visibilmente preoccupata.
“Ylena mi ha avvisato che sarebbero state fuori fino a tardi stanotte. Il suo tono di voce, però, non mi ha convinta del tutto. Era come... spaventata. Dev'essere successo qualcosa.”
Massimiliano Lantieri sospirò profondamente.
“Va bene, dimmi. Cosa credi che sia accaduto a nostra figlia, Lori?”
La donna gli porse un sacchetto di plastica.
“In bagno ho trovato questi. Nella doccia, ad essere precisi.”
Il marito la guardò sorpreso, poi mise la mano dentro alla busta ed estrasse un frammento di porcellana. Non disse nulla.
“Capisci cosa intendo, ora? Temo che Myra sia caduta mentre si faceva la doccia e si sia ferita.”
“Dici? Questo frammento non prova nulla. Potrebbe anche essere il coccio di un vecchio vaso...”
“Oh, io non lo credo. Guarda, è dello stesso colore della sua pelle.”
“Che ogni estate facciamo colorare di nascosto per restituirle una sorta di abbronzatura artificiale? Ma fammi il piacere...”
“Non abbiamo ancora incominciato il ciclo quest'anno. Da quanto tempo non vedi tua figlia?”
“Un po' troppo in effetti. Ma sono stato particolarmente impegnato col lavoro, e...”
“Capisco, capisco, ma sono sicura di quello che ti dico. Questo coccio proviene dal suo corpo, ne sono certa.”
“E se fosse un pezzo di Ylena? Te ne importerebbe qualcosa?”
Loredana Torri osservò il consorte con occhi sbarrati.
“Cosa c'entra ora questo argomento?”
“Ylena. Tu la detesti. L'hai sempre detestata. Mi hai anche implorato di farla sostituire con un altro modello. Eppure Myra l'ha sempre difesa. Per lei ormai è come una sorella.”
“Non è il momento adatto per parlare di questo argomento.”
“Perché la odi così tanto?”
“Ho le mie ragioni.”
“Molto bene. Me le spiegherai un'altra volta. Ora vediamo se riusciamo a rintracciarle.”
L'uomo si alzò e si diresse verso il telefono. Premette un tasto sul muro e l'apparecchio comparve davanti a lui.
“Ultimi tre numeri chiamati, per favore.”
“Professor Noah Iuvarra – numero inesistente – Bar Pit Stop Genova – durata tre minuti e mezzo – numero di cellulare sconosciuto – memorizzato come Noah Iuvarra – durata otto minuti.”
“Evidentemente c'è qualcosa che non va.”
“Chi è Noah Iuvarra?”
“Un professore di fisica, credo. Ne ho sentito parlare.”
“Cosa facciamo? Proviamo a chiamarlo?”
“Sì, direi che è una buona idea. Componi l'ultimo numero.”
Lantieri prese il ricevitore e lo portò all'orecchio. Il telefono squillò a vuoto per un paio di secondi.
“Pronto? Il professor Iuvarra in questo momento è im...”
L'uomo riconobbe la voce dall'altro capo della cornetta.
“Ylena! Cosa sta succedendo?”
“Signor Lantieri? Scusi, non avevo riconosciuto il...”
“Lascia perdere il cerimoniale e rispondi alla mia domanda. C'è anche Myra con te?”
“Sì.”
“Dove siete?”
“A Genova.”
La risposta di Ylena lo sorprese.
“Cosa diavolo ci fate a Genova? Che cavolo è successo?”
“Myra...”
L'uomo rimase pietrificato per un attimo. Era accaduto qualcosa a sua figlia.
“Myra è caduta mentre faceva la doccia e... sì, insomma, l'avambraccio si è staccato dal resto del corpo. Io non ho potuto farci niente.”
“Come sta? Dimmi che è viva! Dimmelo!”
“Certo che lo è! Per una frattura non è mai morto nessuno!”
Lantieri sembrò tranquillizzarsi. “Ora cosa facciamo? Sai benissimo che non possiamo portarla dai tecnici della Moss Technologies! Probabilmente la disattiverebbero e la butterebbero tra i rottami.”
“Nessun problema, signore. Un amico ci ha aiutato.”
“Noah Iuvarra?”
“Sì, lui. È riuscito a sanare la ferita.”
“Ma come cavolo... insomma... ci vogliono conoscenza specifiche e...”
“L'ho conosciuto oggi al lavoro. Ha riparato il mio polso. Per questo mi sono ricordato di lui quando Myra si è fatta male. Ho cercato il suo numero e l'ho contattato.”
“Grazie, Ylena. Sei sempre preziosa. Se non fosse stato per te...”
Ylena non riuscì a rispondere. Era il primo complimento che riceveva dai suoi padroni.
“Ylena? Tutto a posto?”
“Oh? Sì, sì... non potrebbe andare meglio. Ora siamo nel laboratorio della facoltà di fisica, su a San Martino. Stiamo solo aspettando che la plasticeramica faccia presa. Tra mezz'ora Myra sarà come nuova. Le garantisco che non si notano i segni dell'intervento. È come se non fosse successo niente.”
“Avverti il professor Iuvarra che lo voglio incontrare di persona e che la sua facoltà avrà un sostanzioso finanziamento da parte mia. Myra è tutto quello che ho. Se è vero quello che mi hai detto... le avete salvato la vita. Tutti e due.”
“Il mio dovere è proteggere Myra ed eseguire i suoi ordini. Sono nata per questo.”
“Hai fatto di più, questa volta. Sei stata veramente una sorella per lei. Perdonami se ti abbiamo sempre giudicata male. Se non fosse stato per te... comunque, quando siete a Vado, chiamatemi. Se volete rimanere a dormire lì, fate pure. Prima di intraprendere il viaggio, assicuratevi che Myra sia in condizione di farlo.”
“Perfetto. Allora ci vediamo... spero il più presto possibile, signore.”
Lantieri riattaccò il ricevitore. Un sospiro di sollievo.
“Allora?”
“Ylena ha salvato nostra figlia. Non c'è altro da dire.”
“Non vedo come questo possa cambiare la sua posizione... l'abbiamo comprata per quello, no?”
“Ora basta con questa storia!”
L'uomo aveva improvvisamente alzato la voce.
“Cos'hai contro di lei? È vero, io le sono sempre stato ostile, ma non quanto te! Il tuo atteggiamento nei suoi confronti è mutato di colpo dopo che lei ha scoperto di essere artificiale! Prima la consideravi come una figlia. Voglio sapere perché la odi così tanto!”
“Perché lei si considera così poco! Rifletti, Massi! Da quel momento ha smesso di comportarsi come una persona e ha iniziato ad agire come una macchina! Ha iniziato a chiamarci padroni, non più mamma e papà! È diventata una perfetta estranea! Da un giorno all'altro! Quel giorno io sono andata a parlarle, le ho chiesto cosa fosse andato storto e lei... lei sai cosa mi ha risposto? Nulla, mamma. Ho solo scoperto di non essere tua figlia. Io sono solo una macchina. Era in lacrime. Io ho cercato di consolarla, di aiutarla, ma non c'è stato verso! Quali ordini devo eseguire? Per cosa sono stata costruita? Da quel momento, per me è morta e io devo essere morta per lei.”
“Siete due cretine! Tu sei stata una stupida a troncare i tuoi rapporti con lei per così poco e lei è stata così ingenua da credere che noi non le avremmo voluto bene lo stesso. Ora, promettimi che cercherai di ricomporre la frattura. Promettimelo. Non sono disposto a tollerare altri colpi di testa!”
La donna balbettò qualcosa di incomprensibile.
“Allora?”
“E sia! Lo prometto. Ma non ti aspettare dei risultati!”
“Per ora mi basta la tua parola. Ora cosa facciamo? Le raggiungiamo a Genova?”
“Non so se è il caso... penso che possano cavarsela da sole.”
“Ok, ma teniamo accesi i telefoni. In caso di necessità dobbiamo essere reperibili.”
“Va bene.”
L'uomo riprese il calice di vino e lo alzò al cielo.
“Alle nostre figlie.” Sorseggiò lentamente il nettare rosso, poi ripose il bicchiere sul tavolo.
“Abbiamo davanti a noi la sfida più difficile, Lori. Dobbiamo evitare che si produca una frattura tra noi e Myra. Sarà difficile, certo, ma non abbiamo alternative, se vogliamo che nostra figlia rimanga tale. Psicologicamente sarà distrutta. Dobbiamo offrirle tutto il nostro sostegno.”
“Va bene. Non mi tiro indietro.”
“Dobbiamo rimettere a posto il puzzle della nostra famiglia. Non possiamo permettere che si sfasci così senza motivo...”
“Per quale motivo dovrei concederle una conferenza in mondovisione a reti unificate, Moss? Lei è potente, certo, ma non capisco come questo possa conferirle l'autorità di fare ciò che vuole con la pubblica informazione...”
Il garante delle comunicazioni era particolarmente seccato. L'uomo che aveva di fronte aveva abusato della sua pazienza in modo eccessivo.
“Ovvio che non può capire. Lei non è me.”
“Ha una così alta opinione di se stesso, Moss?”
“Effettivamente sì. Io e il mio ego andiamo molto d'accordo.”
Il garante scosse la testa.
Perché proprio a me? Cosa ho fatto di male per meritarmi questo?
“E sentiamo... perché dovrei concederle questa opportunità? Lei sa, vero, qual'è il costo dell'operazione, quali sono le difficoltà tecniche e via dicendo, non è così? Inoltre bisogna rispettare tutte le procedure e...”
“Sono sicuro che per me si possa fare un'eccezione senza problemi.”
L'uomo si irritò.
“Ma insomma! Chi si crede di essere? Vada in America, se vuole aggirare le procedure! Qui ci sono delle regole specifiche che non possono essere modificate a piacimento e...”
“Davvero? Pensavo che Italia venalia cuncta.”
“Divertente parafrasi di Sallustio, ma le garantisco che non è così. In Italia non tutto è in vendita.”
“Lei deve pagare un mutuo per la casa, non è così?”
“Queste sono informazioni che non la riguardano.”
“Se io le pagassi le rate rimanenti?”
“Non vorrà corrompermi! Non oserà...”
“Stia tranquillo, era solo una battuta. Vuole conoscere il motivo della mia richiesta? Vuole davvero saperlo? Ok, glielo dirò. Siamo riusciti a migliorare la bioceramica. Le nostre nuove creature saranno praticamente indistinguibili dagli esseri umani, per cui è mia intenzione proporre l'abolizione del marchio d'infamia. Abbiamo già preso contatti con la NASA per quella spedizione su Marte di cui avevamo parlato, si ricorda, vero?”
“Così lei vuole...”
“Voglio annunciare al mondo l'inizio di una nuova era spaziale. Quale modo migliore di farlo?”
Il garante abbassò lo sguardo. In effetti, era un annuncio veramente importante. Avrebbe rivoluzionato la mentalità ed il pensiero, il concetto stesso di uomo. Era un evento epocale.
“Lei si prende carico di quello che eventualmente dirà durante questo evento?”
“Mi carico di tutta la responsabilità. Dove devo firmare?”
“Non così in fretta. Devo mettermi d'accordo con i miei colleghi di mezzo mondo...”
“Capisco. Entro quando avrò una risposta?”
“Due giorni al massimo. Domani se tutto va bene. Le garantisco il massimo risalto possibile. In effetti, questo è un evento di portata più che planetaria, come lo sbarco dell'uomo sulla Luna.”
“L'uomo che crea l'uomo... e lo manda in sua vece a conquistare lo spazio. Bello il paragone, non trova?”
“Non potrei essere più d'accordo, Moss.”
“Allora attendo fiducioso una risposta.”
“Non dovrà aspettare molto, comunque... spero che durante l'evento lei spieghi cosa le è successo durante la sua scomparsa-lampo.”
“Farò il possibile per far luce anche su questo.”
Il garante prese il suo palmare e posò l'indice su alcune icone.
“Dunque... se ho capito bene, vuole la disponibilità per venerdì, il giorno in cui ha indetto la conferenza per chiarire le circostanze della sua reclusione...”
“Esattamente. C'è qualcosa che la turba?”
“Sarà presente anche la sua nuova guardia del corpo?”
Moss lo fissò incuriosito.
“Per quale motivo mi pone questa domanda?”
“Non so, mi scusi, è una sorta di... timore infantile. Sì, non potrei definirlo altrimenti. Quell'individuo mi incute un misto di soggezione e paura. Dove lo ha trovato? È... estremamente inquietante.”
L'imprenditore scrollò le spalle.
“Io non la penso così. È un tipo a posto. Un elemento fidato.”
“Sì, ma... insomma... è comparso dal nulla. Sembra che nessuno lo conosca qui in Italia...”
“Logico. È straniero. Ha un ottimo accento, invero. Se la mia presenza non è più richiesta, io me ne andrei. Sa, ho alcune pratiche urgenti da sbrigare...”
“Certo, certo, non la trattengo oltre...”
Anche se vorrei farlo. Moss varcò l'uscio e si diresse verso la propria automobile. L'autista lo fece salire, poi partì a gran velocità. Il funzionario lo osservò sfrecciare verso la sopraelevata. Sospirò. Mi sono cacciato in un guaio più grande di me. Il pubblico ministero Martini gli aveva chiesto di scoprire qualcosa sull'identità del fantomatico Roth. Per fare ciò, il garante aveva mobilitato tutta una serie di conoscenti, informatori, giornalisti e via dicendo senza tuttavia venire a capo di nulla.
Roth Gerand era un uomo senza passato. Non era nato, né cresciuto. Non abitava, non mangiava, non viveva.
Una ricerca incrociata sul suo nominativo non aveva portato ad alcunché. Non era neppure morto, fatto da non trascurare... se fosse stato un ex-mercenario coinvolto in qualche guerra in Medio Oriente o giù di lì, si sarebbe potuto far passare per deceduto per intraprendere una nuova attività, ma la sua foto era risultata nuova anche per gli attuali signori della guerra a pagamento. In conclusione, quell'entità era semplicemente sbucata fuori dal nulla. Lo aveva sentito parlare una volta sola. Mostrava una perfetta padronanza dell'italiano, come Moss stesso, e sembrava possedere un accento molto particolare – slavo forse, ma non ci avrebbe giurato – che ne rendeva ancora più difficile la collocazione geografica. Eppure quel dannato imprenditore si fidava ciecamente di lui.
Com'è possibile? Io non ci capisco più nulla...
Solo una cosa era certa. Roth Gerand avrebbe avuto ancora una volta le telecamere puntate addosso. Un brivido freddo percorse la schiena dell'uomo. Lo sguardo di quel gorilla dai modi cortesi perforava gli obiettivi. Era un'impressione comune a tutti i suoi collaboratori. Non era normale... proprio no. Il garante fece una promessa a se stesso.
Non sosterrò il suo sguardo nemmeno per un secondo. Quel maledetto non avrà i miei occhi.
Chiuse le pratiche nel cassetto, poi inviò una mail al coordinatore principale di Roma, da girare a tutti i suoi colleghi localizzati nel globo terracqueo. Avrebbe volentieri rifiutato, ma la bestia glielo aveva ordinato un mese prima. Lui doveva accettare la richiesta di Moss. Non poteva opporsi. La belva era troppo forte rispetto a lui, povera marionetta senza burattinaio...
Roth abbassò il binocolo e sorrise. Il piano procedeva a meraviglia. Presto ogni tassello sarebbe tornato al suo posto. Sperava soltanto che Base Maris ricevesse in tempo la sua comunicazione. Era l'unica incertezza nella sua strategia perfetta. L'uomo scese le scale e si portò all'ultimo piano del palazzo su cui era appostato, poi prese l'ascensore.
Nella breve durata del viaggio, riportò alla sua mente la prima volta che aveva visto il mare.
Una sensazione indescrivibile. Il vuoto cosmico non era nulla in confronto, gli oceani di metano perdevano qualunque significato in confronto a quello spettacolo.
Roth chiuse gli occhi. Poteva ancora sentire lo stridio dei gabbiani e la salsedine. E pensare che tutto quello poteva essere anche suo...
Un campanello accompagnò l'apertura delle porta, ridestandolo dal suo stato di contemplazione. Scosse la testa. Non era il momento di lasciarsi prendere dai sentimentalismi.
Varcò deciso la soglia e si diresse verso l'uscita.
10.
“Questo è il secondo panino che riesce a propinarmi oggi, prof!”
“Non ti lamentare, Lyo! È un alimento sano e nutriente.”
“Oh, non lo metto in dubbio, ma diciamo che non è la mia dieta ideale...”
“Ma se non puoi – per tua stessa ammissione – riconoscere i sapori!”
“Intendo dire a livello di calorie...”
“Sbattitene. Per due sandwich nessuno si è mai fatto male.”
Ylena osservò divertita la scena. La parte meccanica di Lyonar era tornata alla ribalta dopo essere rimasta addormentata praticamente tutto il giorno. Era quella serie di servocontrollori che permettevano di regolare una dieta adeguata all'androide. Un eccesso di carboidrati produceva un gran numero di rifiuti che dovevano essere eliminati. Iuvarra notò lo sguardo della giovane.
“Dì, sei d'accordo con me o con lui? Avanti! Non accetto mezze risposte!”
“Tecnicamente dovrei essere d'accordo con Lyo... ma umanamente parlando, ha ragione lei, signore.”
Il vecchio rise di gusto.
“Vedo che invece tu non ti sei fatta pregare. Hai spazzolato il tuo Cambridge in un batter d'occhio.”
“E non l'ha mai vista mangiare a casa, dottor Iuvarra!”
Myra si era introdotta nel discorso per cercare di tornare minimamente ad essere se stessa. Era solo una maschera, e lo sapevano bene tutti quanti. La sua psiche era completamente distrutta. Quella che parlava era una sorta di finta Myra che cercava di convincersi che in realtà non era accaduto nulla. Gli occhi di Lyo indugiarono nuovamente su Ylena. Non gli sembrava possibile di esserle così vicino. La ragazza si accorse del suo interesse non propriamente spirituale per il suo corpo e cercò di intavolare una conversazione per costringerlo ad abbandonare la sua postazione.
“Non penso che qui a Genova ci siano molti bioceramici... sapete mica il numero esatto?”
“Tre. Non uno di più, non uno di meno. Escluse voi due, ovviamente.”
Lyo aveva risposto con una velocità incredibile, come se soddisfare la richiesta di Ylena avesse potuto avvicinarla a lui.
“Me lo ha confermato Moss stamattina. Ha tenuto una conferenza da noi.”
“Capisco... e tu conosci gli altri due?”
“No, non ne ho mai avuto occasione... anzi, a dir la verità, temevo di essere l'unico...”
Iuvarra notò la tristezza celata in quella frase. Effettivamente, Lyo era cresciuto da solo.
I suoi occhi indugiarono sul quadrante dell'orologio. Erano quasi le due di notte.
“Sapete cosa mi è venuto in mente? Che sono in piedi da quasi venti ore. Stamattina – anche se sarebbe più corretto dire ieri, ormai – mi sono alzato alle sei. Una cosa del genere non mi capitava da molti anni...”
Le sue parole caddero nel vuoto. Il professore sgranò gli occhi. Myra sembrava in uno stato di apatia completa, Lyo aveva lo sguardo perso, fisso su Ylena, mentre la ragazza tentava in ogni modo di sottrarsi alle sue attenzioni. Iuvarra si pronunciò in un colpo di tosse imbarazzato.
“Ehm... qualcuno di voi ha fatto caso alle mie parole?”
La prima a rispondere fu Ylena.
“No, mi dispiace. Stavo pensando alla vicenda in cui è rimasto coinvolto Moss. Tra quanti giorni è la conferenza?”
“Tre, oggi compreso. Ma temete veramente che quel Roth-o-come-si-chiama abbia la facoltà di comandare gli uomini? Io la ritengo un'interpretazione forzata... non potrebbe utilizzare un qualche trucco da prestigiatore illusionista o roba del genere?”
“Io non ho alcun dubbio. Se lei avesse potuto vedere la sua faccia al Pit Stop questo pomeriggio, sarebbe della mia stessa idea.”
“Come pensa che si muoverà ora?”
“Non si mostrerà in pubblico fino al giorno fissato ed eviterà ogni contatto con la stampa. Mi sembra la linea più prudente da seguire.”
“Sono d'accordo. Io mi comporterei così.”
Gli occhi di Lyo si erano scollati dal corpo della giovane e ora fissavano fieri quelli del suo professore.
“Va bene, ma a che pro? Ci sono milioni di modi per diventare re del mondo con un simile potere, senza dover ricorrere a simili sotterfugi. È davvero un modo stupido per raggiungere il proprio obiettivo, non trovate?”
“In effetti...”
“Myra, tu cosa ne pensi?”
Iuvarra si voltò verso la seconda ragazza. Il posto a sedere era vuoto. Ylena non si era accorta di nulla.
“Dov'è Myra?”
“Un... un attimo fa era qui... cosa...”
Lyo ed Ylena si alzarono simultaneamente.
“Non può essere lontana! Ci siamo distratti sol per un attimo...”
Un tuono interruppe il suo discorso. Stava piovendo molto forte fuori. Un temporale improvviso, un tipico acquazzone estivo, forse. Ylena aprì la porta del locale e si diresse fuori.
Myra era lì.
In piedi, in mezzo alla strada, a contemplare il cielo sotto la pioggia.
Le gocce scorrevano sul suo corpo, accarezzandole la pelle e i capelli.
“Myra!”
Un lampo squarciò il cielo. Ylena la raggiunse a la abbracciò.
“Cosa ci fai qui? Torna dentro! Non ha senso...”
“Non la senti anche tu?”
Ylena la osservò stupita.
“Che cosa?”
“Chiudi gli occhi, Yle... e ascolta.”
Myra aprì le braccia verso il cielo, come per poter offrire alla pioggia una superficie maggiore.
“Ascolta, sorellina... questa è vita. L'acqua... com'è dolce il suo abbraccio...”
Ylena imitò sua sorella, assunse la stessa posizione.
“Il cielo sta piangendo... cosa gli abbiamo fatto, Yle? Lo sai?”
Sorrise.
“Ti ricordi ancora le storie che ti raccontavo quando eravamo piccole, vedo... Il cielo è in lacrime perché ha perso la terra, perché sono stati separati dal destino infame. Prima erano una cosa sola. Ora... il tutto si è diviso. E ogni volta che le nuvole si addensano, formano i suoi occhi, che guardano, osservano la compagna perduta. E così, piange. Con tutte le sue lacrime, svuotando l'oceano, essiccando mari e fiumi, perché non basta tutta l'acqua dell'universo per placare il suo dolore. Così il cielo piange, riportando la vita sulla terra arida. È il suo dono più grande al suo amore scomparso.”
Anche Myra stava piangendo. Le lacrime rigarono le sue guance ceree.
“Io sono viva, Yle. Il resto non importa. Io so di essere. Cammino, vedo, tocco, ascolto, parlo, mangio... io sono veramente viva. Non importa se sono fatta di ceramica, se sono una bambola, se sono finta. Io sono viva e lo sarò sempre. Tutto il resto non importa.”
Ylena la strinse ancora più forte.
“Ti voglio bene, sorellina... non dimenticarlo mai. Io ci sarò sempre.”
Lyo e Iuvarra si erano fermati sulla soglia del locale.
“Fanno tenerezza, non trovi?”
“Forse. Ora sarebbe meglio dir loro di tornare al sicuro, dentro il locale...”
“No, aspetta. Lascia che la pioggia lavi via le loro preoccupazioni...”
Un altro lampo. Gli occhi di Iuvarra si illuminarono.
“Sai perché ho scelto di studiare fisica, Lyo? Lo sai?”
“Veramente...”
“Sin da piccolo mi sono chiesto cosa fosse quella luce intensissima che illuminava la notte a giorno, provocando un rumore assordante... ora che lo so – non è altro che una scarica elettrica dovuta ad un elevatissima differenza di potenziale tra le nubi ed il suolo – preferisco vederla come un segnale divino. Strano, non trovi? Non riesco a vedere il fulmine come tale. Per me rimarrà sempre il messaggero luminoso che mette in collegamento Dio con noi poveri esseri umani.”
“Un punto di vista discutibile, prof...”
“Già, già. Ma è il mio punto di vista ed io credo fermamente che un po' di fantasia non faccia mai male. Guai a perdere il senso del mistero e del sovrannaturale. Se tutto fosse spiegabile con la ragione... beh, che mondo noioso sarebbe! Più mi incammino nei meandri della conoscenza, più il mio desiderio di conoscere aumenta, ma paradossalmente diminuisce quello di sapere.”
“Come si può conoscere senza sapere?”
“Buona domanda. È il quesito che mi pongo da cinquant'anni. Fammi sapere se trovi una risposta.”
Lyo contemplò in silenzio quella scena. Le due ragazze erano strette in un abbraccio fraterno sotto la pioggia battente, con gli occhi chiusi...
Quasi come se stessero dormendo... o più probabilmente sognando. Un viaggio onirico verso la libertà. La loro libertà.
Agli occhi del ragazzo, Ylena in quel momento non era solamente bellissima. Era un essere di una dolcezza straordinaria. Unica. Inimmaginabile. Immensa. La sua mente si era concentrata su di lei da quella mattina ormai... non riusciva in nessuno modo a cambiare il nastro. Il film che scorreva davanti ai suoi occhi – lui e lei, mano nella mano al tramonto – continuava a ripetersi all'infinito, ogni volta con nuovi dettagli. Lyo la desiderava ardentemente.
“Ehi, ci sei? Cos'è, è entrato di nuovo in funzione lo screensaver?”
“Stavo pensando.”
“Certo. E il tuo pensiero ha una forma pressappoco simile a quella, non è vero?”
Iuvarra allungò il braccio indicando le due ragazze. Il giovane non rispose. Si limitò a perseverare nel suo silenzio.
“Credimi, Lyonar... ti capisco... non voglio prenderti in giro. Solo che... insomma, in questo momento delicato non è il caso. Ecco tutto. Aspetta che i tempi siano maturi. La conosci solo da stamattina...”
“... e sono già perso. Non penso di aver mai provato un sentimento così forte e improvviso, prof.”
Il vecchio scosse la testa.
“In questo momento è impossibile farti ragionare. Ne riparleremo più avanti.”
Un altro strale cavalcò l'aria cupa. Lyo strabuzzò gli occhi.
Cosa diavolo... No, è stato solo uno stupido scherzo della stanchezza...
Aveva visto qualcosa che lo aveva fortemente turbato.
Sono stanco. Ecco tutto. La mia vista mi ha ingannato.
Il possente attacco della quinta sinfonia di Beethoven sorprese tutti loro. Era la suoneria del cellulare di Iuvarra.
“Pronto? Spero che chiunque lei sia abbia un motivo più che ottimo per disturbarmi a quest'ora di notte...”
“Iuvarra? Grazie al cielo! Sono Moss! Nikolaj Moss! La sto... chiamando... da una cabina telefonica... lei... lei è l'unico che ha risposto.”
“Moss? Come... cosa...”
“Ascolti... non mi rimane molto tempo... Sto morendo...”
“Che diavolo sta dicendo? Dove si trova ora? È a Genova?”
“Non importa... non ora. Roth... mi ha sparato, professor Iuvarra... registri la comunicazione! Voglio che la usi come prova contro quel cane!” Premette un tasto sull'apparecchio. Una piccola icona verde fece la sua comparsa sul display.
“Fatto. Mi dica tutto per filo e per segno.”
“Quel maledetto... bastardo... mi ha sparato tre colpi. È... Roth Gerand... la mia... guardia del corpo... per favore... andate dai carabinieri e...”
La comunicazione cadde all'improvviso.
“Moss? Moss! Mi sente?”
Iuvarra fermò il registratore.
“Lyonar... penso che dovrò coinvolgervi ancora una volta. Era Moss.”
“Questo lo avevo capito, ma cosa è successo?”
“Nulla di particolare... è solamente morto.” Le sue parole furono come lame gelate.
“Non è possibile...”
Ylena si voltò verso di loro.
“Moss... è stato ucciso?”
“Sì. Dallo stesso uomo che ti ha ferita all'ora di pranzo.”
“Ora cosa facciamo?”
“Vi porto a casa mia. Dovete dormire, tutti quanti. Prima, però, faremo tappa al commissariato, vicino a piazzale Kennedy. Devo portare questa registrazione a chi di dovere.”
Iuvarra estrasse il memory stick dal telefono. Lyo pagò il conto, poi lo raggiunse, assieme alle due ragazze.
“Ah, giusto... prima ho notato un'espressione strana sul tuo volto. Cosa è successo?”
“Nulla. Assolutamente nulla. Solo la mia immaginazione.”
Immaginazione, se così si poteva chiamare... per un attimo gli era sembrato di vedere le labbra delle due ragazze sfiorarsi. La sua ossessione per Ylena si stava iniziando a manifestare in modo marcato. Ora temeva addirittura che Myra potesse portargliela via.
La sua mente proiettava su di lei tutti i possibili ostacoli che si potevano frapporre tra lui e la bioceramica che animava i suoi sogni.
Venn aveva sempre sognato quel momento, e ora che il suo desiderio si era realizzato era parecchio deluso. Si aspettava qualcosa di più dai viaggi spaziali. Il TZH con cui avrebbe raggiunto la Terra era particolarmente affidabile e dotato di una discreta velocità. Il problema principale era un altro.
La noia.
Aveva trascorso gli ultimi due giorni a parlare con il computer di bordo – ribattezzato per l'occasione Zeo – e con la sua compagna di viaggio.
Sorrise.
L'unico aspetto piacevole della sua missione era la presenza di Shami a bordo della sua stessa navicella. Prima missione anche per lei. Una coincidenza incredibile. Chiuse gli occhi. In fondo non aveva nulla da fare, se non aspettare. Zeo li avrebbe portati sani e salvi alla meta senza problemi. All'occorrenza, Venn era in grado di pilotare il TZH, ma era un'eventualità talmente remota da risultare impossibile. Zeo possedeva perlomeno sei sistemi di sicurezza ridondanti che ne prevenivano qualsiasi malfunzionamento. I controlli manuali erano essenzialmente un optional che forniva un livello di sicurezza ancora maggiore.
Venn si guardò intorno, per l'ennesima volta. La nave era un capolavoro di ingegneria. La sua velocità di crociera era stabile sui duecentomila chilometri all'ora. Le distanze siderali non erano per nulla ridotte. Pur con quella velocità, ne sarebbe dovuto ancora trascorrere molto di tempo nella solitudine del vuoto. Zeo aveva una personalità complessa, ma pur sempre sintetica. Era semplicemente un computer impostato per avere una parvenza di umanità – senza troppo successo, a dirla tutta – ma comunque in grado di sostenere senza problemi una conversazione.
“Tutto ok, Venn? Il viaggio è di tuo gradimento?”
“No, Zeo, ma tu non puoi farci nulla. È lo spazio a inquietarmi.”
“Capisco, Venn.”
Un brivido lo percorse. Tutta colpa dei segnali televisivi terrestri. Qualche tempo prima avevano intercettato un film – li chiamavano così laggiù – il cui titolo doveva suonare come 2001 – A space Odissey o qualcosa del genere. Venn era stato rapito da quelle immagini. I linguisti di Base Maris avevano fornito una rozza traduzione dei dialoghi per permettere la comprensione del filmato a tutti gli interessati. Il ragazzo se lo ricordava bene, era stato uno dei pochi momenti di svago sulla stazione flottante. In buona sostanza, gli astronauti della finzione scenica si dirigevano verso Saturno dove era stato rilevata la presenza di una sorta di monolite nero, all'insaputa dell'equipaggio. Il computer di bordo dell'astronave si chiamava HAL-9000. Era un congegno molto più umano di Zeo... così umano da non voler essere disattivato. Venn ripensò alla scena in cui la macchina legge il labiale dei due astronauti e decide di eliminarli per sopravvivere. Sperava vivamente che Zeo non fosse programmato in modo simile. Purtroppo la voce del loro pilota era spaventosamente piatta e monotona, una sorta di cantilena priva di picchi che ricordava lo stesso HAL. Venn sorrise. Quella non era l'unica parte interessante del film. Da quanto avevano capito, il monolite rappresentava Dio, pur essendo frutto di un'intelligenza aliena che aveva deciso di donarlo all'umanità per guidarne il cammino evolutivo.
In un certo senso, avevano azzeccato le loro previsioni.
Le trasmissioni televisive e radiofoniche terrestri erano preziose. Avevano permesso agli studiosi di ricostruire i diversi idiomi parlati sul pianeta azzurro con una buona precisione. Venn aveva imparato un po' di inglese e qualche frase in italiano. A livello melodico preferiva quest'ultima lingua, nonostante fosse utilizzata in una zona ristretta del mondo. L'inglese era molto più diffuso. Il ragazzo sospirò. Non era portato per lo studio a memoria, a differenza di Shami, che in quattro anni aveva imparato a padroneggiare l'inglese, il francese lo spagnolo e il russo alla perfezione.
“A cosa stai pensando?”
“A te. A cos'altro potrei pensare?”
La ragazza sorrise divertita.
“Sempre più galante. Quanto manca all'arrivo?”
“Molto. Siediti comoda che ne avremo ancora per un bel po' di tempo.”
“Capisco.”
Shami si sedette accanto a lui.
“Com'è la Terra? Tu ne hai mai visto qualche immagine?”
“Solo dai programmi televisivi, con una qualità non proprio eccelsa. I nostri sistemi di decodifica delle onde radio non sono pienamente compatibili con le loro emittenti.”
“Io non vi ho mai prestato molta attenzione. Più che altro ascoltavo le trasmissioni radiofoniche, per imparare a parlare nella loro lingua. Solo audio, per non distrarmi...”
“Allora hai perso la parte migliore. Laggiù hanno oceani d'acqua, Shami! Acqua, capisci? Non metano! Acqua! Limpida e trasparente! Ah, e il cielo è azzurro, azzurro intenso, contornato di nuvole bianche...”
“Nuvole? Intendi dire... quelle formazioni di vapore acqueo che...”
“Sì, sì!! Quelle! E si vede il Sole! Come una piccola sfera luminosa in cielo... e la Luna! Di notte loro sono accompagnati da un satellite naturale che riflette la luce del Sole.”
Shami chiuse gli occhi e provò ad immaginare tutto quello che le aveva detto Venn.
Li riaprì delusa. Non ne era in grado.
“Quando saremo là, Shami, voglio farti vedere uno spettacolo speciale, ok? Ricordamelo.”
“Va bene, ci conto! Guarda che ti prendo in parola!”
Zeo interruppe la conversazione.
“Mi dispiace che questa nave non abbia un impianto di ricezione visiva, ma spero capiate che lo scopo di questa missione è tutt'altro...”
“Zeo, non ti preoccupare. Va tutto bene.”
Shami tornò con la mente a Base Maris. Era nata lì, circa seicento anni prima. Aveva passato la maggior parte della sua vita a non fare nulla, perché effettivamente non c'era nulla da fare, se non lavorare per tenere in piedi la loro bolla di vita. Lavorare o non fare nulla. Era una situazione a dir poco intollerabile. La radio era stata per lei il più grande dei doni. Si era dedicata allo studio delle lingue per avere un po' di svago, sentirsi in qualche modo utile. L'ingegneria non faceva per lei, i numeri e i conti risultavano troppo difficili da comprendere. Gli idiomi, invece, le erano risultati subito familiari. Le piaceva molto cercare di decifrare i caratteri strani che costituivano l'alfabeto di molti popoli sulla Terra. In un primo momento le erano sembrati incomprensibili, ma con il tempo aveva imparato a tradurli a prima vista.
“A quanto pare, l'inglese è la lingua più diffusa sulla Terra. In effetti non è per nulla strano. Ha una grammatica decisamente semplificata ed un numero di vocaboli sufficientemente ampio da costituire una buona alternativa a tutte le altre... inoltre, il numero ridotto di lettere contribuisce a renderlo abbastanza semplice da imparare. Tu cosa ne pensi, Venn?”
“Non lo so. Non ho mai imparato a scriverlo. Certo, mi so esprimere correttamente, ma non ho seguito alcun corso specifico...”
Shami sospirò.
“Ora capisco perché mi hanno affiancato a te. Tu sai come far funzionare questo coso e hai delle nozioni precise di cosa ci aspetterà al momento dello sbarco. Io so comunicare correttamente. Ci completiamo a vicenda, è questo la verità. Tu eccelli nei campi in cui io sono una frana e viceversa.”
“Già, è proprio vero. In fondo siamo complementari.”
Venn si avvicinò e le diede un bacio furtivo sulla guancia. Shami lo osservò stupita ed imbarazzata.
“Cosa significa questo? Non è un gesto di cui io riesca a capire il significato...”
“Oh, niente... è un usanza comune sulla Terra.”
“Vuoi forse farmi credere che loro portano abitualmente le labbra unite a contatto con le guance delle ragazze?”
“No, non abitualmente... solo se la ragazza in questione è importante per loro.”
Shami lo fissò a lungo.
“Interessante... ti sei documentato bene, a quanto pare.”
“Se l'argomento mi interessa, divento un drago.”
La ragazza rise.
“Questo è assolutamente vero, te lo devo concedere.”
Venn rise a sua volta. Aveva stabilito un primo contatto con lei, e questo non sembrava averla turbata. Zeo li riportò all'ordine.
“Dovresti controllarti, Venn. Questa è una missione seria. Io dovrò riferire eventuali carenze, omissioni od infrazioni commesse durante il viaggio. Non costringermi a prendere provvedimenti, Venn.”
“E se cercassi di disattivarti?”
“Fossi in te non lo farei, Venn.”
Un flash gli attraversò la mente. Lo spettrale occhio rosso di HAL si mostrò con tutta la sua forza inespressiva davanti ai suoi occhi. Scosse la testa.
“Stai tranquillo, non ne ho la minima intenzione!”
Certamente non lo avrebbe mai fatto. Il fantasma di quel vecchio film era un deterrente più che sufficiente.
11.
Lyo non riusciva a togliersi dalla testa l'ultima immagine che aveva impressionato la sua retina. Era solamente una chimera, come sospettava? Poteva esserne certo? No, per niente. L'unico modo per estirpare i suoi dubbi alla radice sarebbe stato quello di chiedere conferma alle dirette interessate...
Uff, neanche questa soluzione mi piace... devo mettermi il cuore in pace. La mia vista mi ha ingannato.
In quel momento, Ylena gli sembrava più lontana che mai...
“Davvero non riesco a crederci, Lyo! Moss... morto! Era l'ultima cosa che mi sarei aspettato dalla giornata di oggi. Proviamo a fare un breve resoconto. Stamattina, Moss tiene una conferenza nell'aula magna del dipartimento – del mio dipartimento. Dopo il suo intervento possiamo supporre che abbia incontrato Roth per la prima volta. I due si scambiano il numero di telefono. Andiamo a pranzare al Pit Stop. Roth si siede, prende da mangiare ed effettua una chiamata, in cui si rivolge a qualcuno in tono autorevole. Gli ordina di farsi trovare davanti alla facoltà alle tre e mezza. Questo qualcuno ha un jet privato e l'unica persona che possiede un tale gingillo nei paraggi è lo stesso Moss, quindi è ragionevole pensare che sia lui il destinatario del messaggio. Roth se ne va senza pagare, rompe il braccio di Ylena e scappa senza che nessuno faccia nulla. Ripariamo la ferita, usciamo dal locale. Chiamo Moss per avvertirlo dell'effettiva pericolosità dell'uomo che – noi presumiamo – deve incontrare. Lui mi risponde di non preoccuparmi, che non sono affari miei. Alle quattro, Moss scompare e le sue guardie del corpo vengono trovate morte suicide. Alle sei e mezza Ylena mi chiama disperata a causa di un incidente che ha coinvolto Myra, quindi la porta da me. Andiamo al mio laboratorio e la sistemiamo. Alle otto il telegiornale mostra le immagini di Nikolaj Moss, vivo e vegeto accanto a Roth. È stato liberato dopo un'ora, se ho capito bene. Alle sei richiede al garante delle comunicazioni una conferenza in mondovisione per venerdì. Il garante la concede – o almeno, dovrebbe averlo fatto – ora sono le due e mezza di notte e veniamo a scoprire che lo stesso Roth ha assassinato il suo nuovo datore di lavoro. Manca qualcosa?”
“C'è tutto professor Iuvarra. Il suo racconto è preciso alla virgola. Non sono solo convinta di alcuni orari, ma per il resto...”
“Vuole esporre questa versione agli inquirenti?”
“Cambierò solamente un piccolo dettaglio. Sarà Myra ad aver portato te da me, ok? In questo modo, non avrà grane.”
“Ricevuto.”
Parcheggiò la macchina nei pressi del commissariato.
“Speriamo che a quest'ora ci sia ancora qualcuno...”
Si diresse verso il portone. I tre giovani lo seguirono a ruota.
Suonò il campanello. Uno scanner retinico fece capolino da sopra l'interruttore. Dopo un paio di secondi, emise il suo verdetto.
“Iuvarra, Noah. Nato il 12/02/2147, a Torino. Residente a Genova. Incensurato.”
Il portone si aprì solo dopo che lo scanner ebbe controllato tutti i presenti. Un agente dall'espressione stanca li accolse senza troppa enfasi.
“Ispettore Celnili. In cosa posso aiutarvi?”
Si vedeva lontano un miglio che li sopportava appena.
“Verrò subito al dunque. C'è stato un omicidio, probabilmente premeditato.”
“Un omicidio, dice... Ha delle prove o è l'unico testimone del fatto? Perché in tal caso...”
“Ho capito, lei non ha alcuna voglia di compilare il verbale, ma la situazione è difficile. La vittima è Nikolaj Moss.”
“Chi?”
Accidenti! Possibile che al giorno d'oggi ci sia ancora qualcuno che non lo conosce?
“Nikolaj Moss! Il più grande industriale di questo secolo! Non ne ha mai sentito parlare?”
L'ispettore si grattò la testa pensieroso.
“Ah, sì! Quello diventato ricco per... la bioplastica, o qualcosa del genere...”
La sua espressione si fece cupa.
“Mi state prendendo in giro? Moss... morto? E voi sareste i testimoni? Che cavolo...”
“Le farò ascoltare questa registrazione, d'accordo? Direi che è una prova sufficiente.”
“Una registrazione?”
Il poliziotto non riuscì a trattenere una risata.
“Ma lo sa che al giorno d'oggi non è una prova plausibile? Chiunque, con un sintetizzatore vocale potrebbe creare un reperto falso.”
Iuvarra lo osservò perplesso. C'era qualcosa di meccanico nei suoi movimenti... qualcosa di innaturale. Sembravano studiati ad arte. Cosa vado a pensare... sarà la stanchezza...
“Sentite, ascolterò il contenuto del memory stick, già che vi siete prodigati non poco per portarmelo a quest'ora della notte, ma non aspettatevi che possa essere considerato una prova. Accomodatevi qui, per favore.”
L'ispettore aprì una porta di metallo e fece loro segno di entrare nel locale retrostante. Era una sorta di sala di attesa, arredata con qualche poltroncina che sembrava essere stata rubata da un treno di vecchia generazione. L'uomo attese che entrassero tutti, poi chiuse la porta alle loro spalle, all'improvviso. I blocchi di sicurezza entrarono in funzione e serrarono l'uscio.
“Bontà divina! Perché ci ha chiuso dentro? Lei è uno stramaledetto deficien...”
Uno sparo, poi un tonfo sordo, come di un corpo morto che cade a terra.
“Si è suicidato? Per quale motivo?”
“Non ha senso!”
“Ylena voglio tornare a casa...”
“Ma siamo sicuri che non abbia sparato a qualcun altro?”
“Non ci capisco più nulla!”
“Cosa gli abbiamo fatto?”
“Ho paura, Yle...”
“Qualcuno vuole spiegarmi cosa è successo?”
“Molto volentieri, professor Noè Iuvarra.”
I quattro si voltarono. Davanti a loro, si stagliava un uomo alto, dai lineamenti duri con la pelle abbronzata e una sottile corona di capelli neri a contornare il viso.
“Noah Iuvarra. Noah. Non Noè.”
“Scusi, ma non ho avuto tutto il tempo per documentarmi come avrei voluto.”
Un accento molto forte, seppur sconosciuto, accompagnò l'ultima frase.
“Era una trappola?”
“In un cero senso sì. Dovevo catturare due piccioni. Ne ho presi quattro. Pazienza.”
Roth Gerand era fermo, in piedi. Stava puntando una pistola contro il vecchio docente.
“Non fate movimenti bruschi o gli faccio saltare il cervello.”
Rilasciò la sicura dell'arma. Lyo arretrò di alcuni metri. Myra era paralizzata dalla paura.
“Come sapevi che saremmo venuti qui?”
“Dopo la telefonata di Moss era l'unico posto in cui potevate esservi diretti, o almeno così speravo. Sapevo dove eravate, ho tracciato il suo cellulare tramite il sistema di localizzazione della polizia, sapevo che avrebbe raggiunto il commissariato più vicino – l'unico in questa zona. Avevo una buona probabilità di sbagliare, ma per fortuna è andata bene.”
“Perché hai ucciso Moss? Rispondi! Che motivo avevi di farlo?”
“Nessuno.”
“Cosa?”
Lyo sgranò gli occhi, incredulo.
“Che senso ha?”
“Voglio tranquillizzarvi. Non sono uno psicopatico. Solamente un cacciatore. E questa è stata una battuta piuttosto soddisfacente. Era da tempo che non mi divertivo così.”
“Sarai ricercato dalla polizia di tutto il mondo! Che ironia... sarai tu ad essere la preda.”
“E di preciso... quale sarebbe l'accusa?”
Iuvarra lo osservò sbigottito.
“Omicidio premeditato, forse?”
“Acqua.”
“Come sarebbe a dire acqua? Lei ha fatto fuori una persona a cui dava la caccia da...”
“Neppure.”
“Ma diavolo! Allora chi era il tuo obiettivo? Non ti è bastato eliminare lui? Era solo un passaggio intermedio necessario per raggiungere il tuo scopo?”
L'uomo rise.
“Mi scusi, professor Iuvarra, ma per essere accusati di omicidio bisogna prima averlo commesso.”
Il vecchio alzò la voce.
“Ma ne abbiamo le prove, e tu lo sai benissimo!”
“Voi avete le prove che ho ordinato a Moss di fornirvi, caro il mio luminare.”
Ylena lo osservò sbigottito.
“Quindi... era tutta una farsa?”
“Ho un certo ascendente sulle persone, burattino. Una come te però non può capirlo. Sulle marionette le mie parole scivolano via come pioggia. Non mi ascoltate neanche. Comunque è perfettamente logico. Non siete state programmate per farlo.”
Myra e Lyo lo fissarono con sguardo truce.
“Cosa c'è ora? Vi ho forse offeso chiamandovi marionette? Lyo... tu lo sai fin dalla tua infanzia. Sei solo il surrogato di un figlio mai nato, per i tuoi genitori. Non sai quanto avrebbero voluto un bambino vero. Perché tu non lo sei, Lyo. Sei solo un involucro di ceramica che crede di essere vivo. Quanto a te, Myra... davvero triste la tua storia. Hai davvero creduto fino ad oggi di essere quello che non sei? Che stupida. Come hai fatto a non accorgertene? Non ti sei mai ammalata, non ti è mai sembrato strano questo? E le tue ferite... ah, giusto, non ti sei mai ferita. Ylena ti ha sempre protetto. Ecco il motivo. La tua amica del cuore ha sempre rischiato di rompersi per te. Peccato. Allora è colpa sua se la tua illusione è durata così a lungo. I tuoi compagni di università lo sanno da tempo, da quando sei svenuta di colpo in classe. Nella caduta, hai riscontrato piccole lesioni su diverse parti del corpo, microfratture e crepe che sono state riparate sul momento dall'insegnante con un po' di spray. Mi fai pena, in fondo. Una creatura che pensa di essere il creatore... ma non dimentichiamoci di te, Ylena! Tu sei senza dubbio il caso più interessante. Le industrie di Moss non si facevano scrupoli all'epoca della tua costruzione. Tu lo sai vero, da dove proviene la tua splendida mente? Da una bambina, povera ed indifesa, trovata sul margine della strada. I ricercatori avevano bisogno di una matrice neurale infantile, per cui sai che cosa hanno fatto? L'hanno uccisa, Ylena. Hanno ucciso quella creatura e ne hanno copiato il cervello per costruire uno stupido simulacro da vendere ad una ricca famiglia di imprenditori. Tu vivi sulla morte di un'altra persona, Ylena. Lo sapevi, non è così? O forse... ah, già, che stupido. Tu non hai accesso ai dati confidenziali della Moss Technologies, a differenza di me.”
Roth si fermò per assaporare le espressioni stupefatte e sconvolte delle persone che aveva di fronte.
“Vi ho scioccato, vero? Spero proprio di sì. E non ho ancora finito.”
Iuvarra cercò di articolare qualche parola di senso compiuto.
“Come... cosa... insomma, per quale motivo ti sei informato... così accuratamente, diciamo... su di loro?”
“Semplice. Devi conoscere il nemico prima di affrontarlo. I miei ordini non funzionano sui bioceramici, Noah.”
“Non mi sembra di averti permesso di chiamarmi per nome.”
“Invece me lo concederai, ne sono sicuro.”
Ylena non sembrava aver fatto una piega. Roth la osservò, deluso e ammirato allo stesso momento.
“Non credevo che la tua psiche potesse reggere questo peso, Ylena. Mi hai piacevolmente sorpreso. Sei strana, forse unica. Se le persone dovessero essere giudicate dall'aspetto esteriore, beh, il mio giudizio sarebbe dieci. Però sei finta. Lo sai. Non sei nulla più di un guscio. Credi di provare emozioni. In realtà il tuo pensiero è una serie interminabile di 0 e 1 posti in modo tale da illuderti di poter ragionare. È un programma. Solo un programma.”
“Uno solo di quegli 0 vale molto di più di te.”
L'uomo rimase allibito.
“Non cedi, eh?”
Iuvarra scrutò attentamente l'espressione della ragazza.
Come sospettavo. È in piena crisi. Si sta mostrando così forte per permetterci di prendere tempo. Devo fare qualcosa.
“Io sono un cacciatore e ora tu sei la mia preda, Ylena. Mi piacciono le sfide. Vedrai, spezzerò le tue certezze una ad una, fino a quando non crollerai in lacrime per terra cercando di raccoglierne i frammenti polverizzati. Ho ancora molte frecce nella mia faretra e...”
Qualcosa attirò la sua attenzione.
“Maledetti! Volevate fregarmi?”
Sparò in direzione della maniglia. Iuvarra e Lyo stavano tentando di aprire la porta blindata. Il rumore della detonazione li fece trasalire. Il proiettile si era conficcato ad una decina di centimetri da loro.
“Era un trucco troppo scontato per riuscire. Non vi muovete o premo di nuovo il grilletto... dopo aver puntato l'arma verso uno di voi, ovviamente.”
“Perché non tagli corto e non ci dici qual è il tuo scopo?”
“Perché dovrei farlo? Per permettervi di intralciarmi? Io non sono un cattivo dei fumetti, Lyonar. Solo un imbecille rivelerebbe alle uniche persone in grado di ostacolarlo tutti i dettagli del proprio piano senza averlo già messo in atto. E questa parte mi manca ancora.”
“Allora vuoi ucciderci?”
“Mi pare di avervi garantito che non vi avrei torto un capello... forse mi sono dimenticato di specificarlo. Voglio solo che ve ne stiate buoni qui fino a venerdì. Ci sono delle scorte di cibo sufficienti per quattro persone.”
“Perché non farci fare la fine dell'ispettore Celnili, allora?”
“Non avrebbe senso, per ora. Non sono un assassino. Diciamo che sacrificare una pedina fa parte del gioco, ma far fuori la preda è contro le regole, le mie, perlomeno.”
Roth si avvicinò alla porta.
“Ah, Yle... per quanto riguarda la questione precedente... non ti dannare troppo per Myra. È una causa persa. Non è necessario sprecare così tante energie per lei.”
“Come hai avuto tutti questi dati?”
“Oh, non è stato troppo difficile. È bastato chiedere...”
L'uomo si pronunciò in un sorriso malizioso.
“Chiedi e ti si apriranno tutte le porte... un vecchio detto delle mie parti. Fino al mio arrivo qui a Genova, non mi ero accorto di quanto fosse vero.” “Tu sei un mostro, non è così? Un esperimento fallito o qualcosa del genere. Solo questo spiegherebbe le tue facoltà.”
“Fa molto sci-fi anni '50 del 900. Film totalmente sconclusionati senza un minimo di veridicità, eppure apprezzabili. Sono anch'essi frutto dell'ingegno umano.”
Roth chiuse gli occhi. Su Base Maris il suo passatempo preferito era guardare vecchie trasmissioni provenienti dalla Terra. C'era qualcosa di magico in quelle rappresentazioni degli extraterrestri e dei dischi volanti. C'era fantasia. Un concetto spazzato via dagli effetti speciali.
“No, non sono un mostro, Lyo. Non nel senso stretto del termine. Comunque non pensate che io vi riveli qualcosa. Non sono diventato ancora così stupido. Quando uscirete di qui, sarà già tutto finito. A quel punto potrò spiegarvi tutto, sempre se avrete ancora voglia di ascoltarmi. Addio.”
L'uomo aprì il portellone con la chiave, poi lo trascinò indietro con sé, sigillandolo. Roth uscì dal commissariato e si diresse verso la vettura che aveva affittato gratuitamente per l'occasione. Non era ancora giunto il momento di rilassarsi. Doveva ancora istruire Moss sul da farsi. Tutto si doveva svolgere alla perfezione, non erano permessi errori. Aveva un unico tentativo. Allacciò la cintura di sicurezza e accese il motore. Il veicolo emise una sorta di muggito strozzato, poi partì a tutta velocità verso la sopraelevata.
“Cosa stai facendo, Venn?”
“Studio le mappe che ci sono state fornite, Zeo. La zona dell'atterraggio è già stata decisa?”
“L'aeroporto di Genova. Il TZH che sto pilotando è in grado di simulare un piccolo aereo da turismo e di rendersi visibile ai radar solo quando sarà necessario. In questo modo, nessuno potrà sospettare nulla.”
“Perfetto.”
“Shami sta dormendo?”
“Sì. È il mio turno di veglia.”
“Quella ragazza ti piace, Venn.”
“E tu che ne sai, Zeo? Sei una macchina, un computer...”
“Non serve essere dotati di connessioni poco più che basicamente logiche per accorgersene. Era palese.”
“Punto per te. Non è il caso di discuterne ora. Non posso combinarci nulla adesso. Se questa missione fallisse per una mia negligenza, non potrei più tornare su Titano.”
“Diciamo che non ne avresti il coraggio. La nostra legge è particolarmente severa.”
“Quello che volevo dire.”
“Bene, lieto che le circostanze siano state chiarite. Ho ricevuto una comunicazione da Roth.”
Gli occhi del ragazzo si illuminarono.
“Spara.”
“Il messaggio più o meno è questo: nonostante il vostro scetticismo, sto per completare il compito assegnatomi. Entro quarantotto ore terrestri il problema sarà risolto. Confido in un arrivo numeroso di coloni.”
Venn scosse la testa.
“Siamo ancora troppo lontani... e comunque siamo solo in due. Per quale motivo hanno inviato solamente noi?”
“Non ci arrivi, Venn? Nessuno crede veramente che lui possa farcela. Secondo te, perché hanno affidato la missione a due reclute? Non aveva senso sprecare piloti esperti o linguisti affermati per un'impresa senza speranza. Siete vittime sacrificali, Venn. Se tutto andrà male, sarà colpa vostra e non potrete tornare. Se tutto andrà bene, sarete dimenticati e il merito sarà tutto dei capi spedizione. Anche Roth sarà dimenticato. Non escludo che possa essere addirittura eliminato. È questa la realtà dei fatti. Mancano meno di sette rotazioni complete della Terra attorno al suo asse al nostro arrivo. Ora posso dirtelo con franchezza, tanto non puoi più tornare indietro.”
“Non credo ad una sola parola di quello che hai detto.”
“Allora rispondimi. Perché inviare due novellini alle prime armi per gestire una questione così delicata? Te lo sei mai chiesto?”
Venn non aprì bocca. Le parole di Zeo avevano avuto l'effetto di una doccia fredda.
“Non permetterti di fare lo stesso discorso a Shami, Zeo. Non voglio che lei senta questa cose.”
“Credi di proteggerla in questo modo? Lo verrà a sapere lo stesso. Quale sarà la sua reazione, allora? Ti ringrazierà per averglielo tenuto nascosto o ti chiederà come hai potuto tradire così la sua fiducia celandole queste informazioni, Venn? Dimmi, qual è lo scenario più probabile?”
“Suppongo il secondo, in effetti. Non hai tutti i torti. Ma perché dirmelo ora?”
“Perché ormai i dati di atterraggio sono stati inseriti ed il protocollo di avvicinamento è stato avviato. Da questo momento, nulla può impedire al TZH di raggiungere la sua meta. Dovevo essere sicuro che non poteste invertire la rotta, Venn, altrimenti mi avrebbero deassemblato. Questa unità è troppo importante per essere disattivata.”
“Ti ha programmato un fan di Kuberic, Zeo?”
“Kubrick, semmai, se intendi il creatore di film terrestre. Non ne ho idea. Per quale motivo mi poni questa domanda, Venn?”
“Ti comporti come HAL-9000, il computer di 2001. Questa unità è troppo importante affinché tu possa manometterla, Dave. Il tuo discorso suonava all'incirca così. Da quando le macchine hanno un istinto di sopravvivenza, Zeo? Pensavo fossi solamente un simulatore di conversazione, a dir la verità. Nulla di più, nulla di meno.”
“Potrebbe anche essere così, Venn. Ma saresti disposto a scommetterlo?”
“Indicare versione e matrice tecnica.”
La voce di Zeo si trasformò in una piatta cantilena di dati tecnici.
“Elaboratore sintetico ZK-15, studiato per simulare un'interfaccia umana. Versione: 2.0.1.2. Programmatore: Abel Nest. Capo progetto: Neike Orland. Direzione ricerca e sviluppo...”
Venn sorrise. Nest era uno dei linguisti più abili di Base Maris e aveva una sorta di predilezione per 2001 – A Space Odissey. Era stato lui a tradurlo e ad impostare il sottotitoli. Era quasi ovvio che Zeo si comportasse in quel modo.
Il ragazzo si pronunciò in un sospirò di sollievo. Era tutto uno scherzo, allora...
“Ok, ok, può bastare. Ho avuto le risposte che cercavo.”
“Ne sei sicuro, Venn? Come potrei essermi accorto del tuo malcelato interesse per Shami se io fossi esclusivamente un simulatore di conversazione. Pensaci bene.”
“Evidentemente hai analizzato la mia espressione facciale, notando i suoi cambiamenti quando lei è nei paraggi, poi hai tirato le somme. Non mi sembra che esista un'altra spiegazione, Zeo. A dopo. Ora vado a svegliare la mia compagna di viaggio, il mio turno è finito.”
“Va bene, Venn. Come vuoi. Mi comporterò di conseguenza.”
L'astronauta si diresse verso gli alloggi tubolari rimuginando sulle parole del computer.
Sperava con tutto il suo cuore che non fosse vero, ma dentro di sé sapeva che Zeo non era programmato per mentire.
12.
“Forse siamo fortunati, prof. Il proiettile che Roth ha sparato prima ha impedito alla serratura di chiudersi del tutto. Non ne sono sicuro, farò un paio di tentativi di aprirla.”
“Bisogna agire in fretta. Sarebbe imbarazzante dover spiegare la nostra situazione agli agenti del prossimo turno.”
Lyo osservò il portellone. Il blocco di sicurezza era fermo a metà.
“Un paio di spallate e dovrebbe cedere, solo che... non sono sicuro che la mia struttura possa reggere.”
“Ah, non guardare me. Io sono vecchio, ragazzo mio. Rischio di smontarmi. Neppure le ragazze possono esserci d'aiuto, ora e...”
Iuvarra si voltò Ylena era inginocchiata per terra. Sembrava distrutta. Myra era abbracciata a lei e cercava di consolarla.
“Yle... non fare caso alle sue parole. Io sarò qui sempre per te...”
“Abbracciami, Myra... abbracciami forte, per favore...”
Lyo rimase perplesso.
“Cosa diavolo...”
“Stai zitto per favore. Non riesci proprio a comprendere? Lasciale sole...”
Lyo obbedì malvolentieri. Non avrebbe voluto scollarle gli occhi di dosso.
“Dunque... cosa possiamo fare? Nessuno di noi è in grado di sfondare questo portellone.”
“Chiamare aiuto col cellulare? Dovrebbe esserci campo...”
“In effetti sarebbe una buona idea... per farci arrestare subito. C'è un morto aldilà di questa soglia, abbiamo con noi una bioceramica che si è sempre finta umana, l'abbiamo riparato... ce n'è abbastanza per sbatterci dentro tutti e buttare la chiave dalla finestra. No, non possiamo correre questo rischio.”
“Eccomi, Yle. Non ti lascio sola. Non ora.”
Iuvarra si voltò. Myra e Ylena formavano un tutt'uno, una nelle braccia dell'altra, come due sorelle spaventate.
“Professore? Ha qualche idea?”
“Meno di zero. Temo che uno di noi dovrà rimetterci una spalla.”
“Solo una domanda, professore. Se gli agenti scoprissero che Myra ha vissuto come un'umana finora...”
“La procedura regolamentare è quella di disattivarla e rottamarla entro una settimana dalla contestazione del reato.”
Ylena si alzò tremante da terra.
“Allora butterò io giù quella porta.”
“Non posso permettere che questo succeda.”
“Non dirai sul serio! Ti frantumerai in mille pezzi! Cosa serviresti a Myra, in quello stato?”
“A nulla, ma tanto se rimaniamo qui la mia utilità sarà comunque zero. Voglio provarci.”
Lyo le si parò davanti.
“Neanche per scherzo! Piuttosto lo farò io!”
“Ma non mi dire... per quale motivo? Forse perché ti piaccio? Mi dispiace, ma non provo assolutamente nulla per te, quindi non fare gesti avventati per guadagnarti la mia stima. Non avrebbe alcun senso.”
Lyo non riuscì a muoversi. Era rimasto come pietrificato dall'impatto di quelle parole.
“Per... come... per quale motivo...”
“Solo un cieco non se ne sarebbe accorto. Al pub mi mangiavi con gli occhi, Lyonar, ma ti ripeto che non sono interessata a te se non come amico. Mi dispiace.”
Gli occhi del ragazzo si inumidirono per un attimo.
“Capisco. Non riuscirò a farti cambiare idea. Ok, fallo pure se vuoi. Io resterò a guardare.”
Iuvarra, che era rimasto in silenzio fino a quel momento, non poté fare a meno di intervenire.
“Calmatevi, vi prego. Non è il momento né il luogo per porre rimedio alle vostre beghe amorose. Dobbiamo pensare a come uscire.”
“Io stavo appunto per sfondare la porta...”
“Forse non sarà necessario. Ho qui un coltellino abbastanza affilato. Potremmo provare a rimuovere il blocco di sicurezza, in fondo è scattato solo a metà per colpa del proiettile. Anzi, sapete che vi dico? Ci provo subito.”
“Ma perché le è venuto in mente solo ora?”
“Non avevo ancora osservato il meccanismo di chiusura con la dovuta attenzione. Pardon, me ne scuso. È colpa mia. Ora lasciatemi lavorare.”
In realtà l'ho fatto apposta. Volevo vedere come evolveva la situazione... peccato, speravo che finisse meglio per Lyo. Ylena l'ha trattato come un cane...
In una decina di minuti di lavoro meticoloso e preciso, l'uomo riuscì a far scattare il controllo e a liberare la porta dal blocco. Un solenne CLACK seguito da un fastidioso cigolioaccompagnò l'apertura dello sportello.
“Signori... ecco a voi la piacevole aria della libertà.”
Myra prese per mano Ylena e la portò fuori. Lyo le seguì a passi trascinando le gambe. Sembrava uno zombie. Iuvarra si fermò non appena ebbe attraversato l'uscio. Ylena coprì gli occhi della sua amica con la mano. Il cadavere dell'ispettore Celnili era riverso su una pozza di sangue scuro. Lyo ebbe un conato di vomito.
“Ok, muoviamoci con cautela senza lasciare tracce... dobbiamo evitare il contatto con il corpo!”
“Un momento! Il computer ha registrato il nostro ingresso! Se uscissimo ora, dopo la morte di quest'uomo...”
“Certo, saremmo accusati di omicidio.”
“Ma... i video delle telecamere di sorveglianza? Non potrebbero scagionarci?”
“Sì, ma questo non risolverebbe il problema. Gli agenti potrebbero contestarci il fatto di non averli chiamati.”
“Allora facciamolo. Chiami il 112.”
“Questo significa che dovremo attendere qui mentre Roth mette a punto gli ultimi dettagli del suo piano.”
“Ora mi spiego il suicidio...”
“Cosa?”
“Ma sì, era un'ulteriore precauzione. Nel caso poco probabile che ci fossimo liberati, avremmo comunque dovuto aspettare gli agenti per dare la nostra versione dell'accaduto. Quell'uomo ha previsto tutto.”
“Una scaltrezza allucinante...”
Lyo non aveva più proferito sillaba. Osservava senza troppa convinzione i monitor di sorveglianza.
“Roth comparirà nei filmati?”
“Ne dubito. Conoscendolo, avrà accuratamente evitato di farsi riprendere.”
Ylena aprì la porta dell'edificio e uscì all'aria aperta.
Perché questa dannatissima giornata sembra non finire mai? Cosa ci aspetta ancora?
“... e se si fosse fatto registrare apposta per ordinare qualcosa a chi esaminerà il nastro?”
“Lo escludo. In virtù delle leggi in vigore, l'audio non può essere registrato dalle telecamere di sorveglianza, per cui...”
Il volto di Iuvarra si illuminò. “Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima? La soluzione era sotto i nostri occhi...”
“Non riesco a capire...”
“Nessun problema, vi sarà tutto chiaro a tempo debito. Ora lasciatemi chiamare la polizia. Non abbiamo più problemi di tempo.”
Tempo. Ecco quello che mancava. Tempo. I preparativi per la conferenza erano ancora in alto mare. L'uomo si asciugò la fronte con un fazzoletto. L'agitazione gli stava giocando un brutto tiro. D'altronde, erano anni che si preparava a quel momento. Un operatore gli si avvicinò.
“Signor Gerand? È arrivata una mail della polizia. Dovrebbe presentarsi immediatamente al commissariato.”
L'uomo assunse un'aria stupita.
“Per quale motivo? Cosa avrei fatto di così grave?”
“A quanto pare, ieri notte un agente è stato ucciso e lei è stato convocato come persona informata dei fatti.”
L'uomo roteò gli occhi.
Un altro contrattempo... vediamo di sbrigare in fretta questa seccatura.
“Ah, sì? E per quale motivo?”
“Non ne ho idea, ma una volante sarà qui tra meno di cinque minuti.”
“Capisco. Voi continuate con i preparativi. Il resto lasciatelo a me.”
“Sì signore.”
Roth era evidentemente seccato. Percorse il corridoio con passi lunghi e pesanti, ritornando con la mente agli eventi che lo avevano coinvolto nelle ultime dodici ore. Aveva commesso qualche errore? No, nessuno. Aveva addirittura ordinato a quel sempliciotto di Celnili di spegnere le telecamere a circuito chiuso. Sorrise. Non una pedina era fuori posto. L'unico agente rimasto al commissariato era quello stupido di un ispettore. Gli altri sbirri erano stati richiamati da emergenze create ad arte grazie all'aiuto involontario di alcuni operatori di settore altrui, come amava definirli. Otto rapine ad altrettanti obiettivi sensibili... questa improvvisa emergenza gli aveva permesso di svuotare la caserma. Non c'era lo straccio di una prova contro di lui. Neppure il risultato della scansione retinica. Celnili lo aveva cancellato sotto sua precisa direttiva. Inoltre, almeno sedici persone, tra cui lo stesso Moss, potevano confermare l'alibi che si era costruito. Non era umanamente possibile incastrarlo. Una botte di ferro sarebbe stata meno sicura.
“Signor Gerand? Siamo gli agenti Molinari e Pallavicini. Abbiamo l'ordine di portarla al commissariato.” I due poliziotti in divisa lo strapparono dal flusso dei suoi pensieri.”
“Eccomi. Arrivo subito.”
L'uomo salì sulla volante – un Alfa Romeo 327 del 2208 – e si sedette con la massima tranquillità possibile. Pallavicini al posto di guida, Molinari dietro con il passeggero.
“Devo dedurre che temete la mia fuga? Non siate ridicoli...”
“Sono le procedure, signor Gerand.”
“Di grazia, cosa è successo? Per quale motivo sono stato prelevato in questo modo poco ortodosso?”
“Non è nostro dovere spiegarglielo.”
“Ma è un mio diritto.”
“Il commissario Caselli le chiarirà ogni dubbio.”
Roth sospirò e sprofondò nel sedile posteriore. Non aveva senso ordinare loro di lasciarlo andare, il commissario ne avrebbe mandati altri. Avrebbe dovuto convincere troppe persone per non lasciare tracce, meglio trattare direttamente con il loro superiore e convincerlo della propria estraneità ai fatti. Due minuti di discorso e sarebbe tornato libero come l'aria.
L'auto si fermò davanti allo stesso edificio da cui l'uomo era fuggito quella notte.
“Va bene, vi ho seguito fin qui, ma ora fatemi il piacere di spiegarmi la situazione.”
“Si avvicini al portone, signor Gerand. Dobbiamo verificare la sua identità tramite scanner retinico e impronte digitali.
“Perfetto. Non mi tiro certo indietro.”
Un altro punto a mio favore. Roth aveva fatto aggiungere la sua scheda al database che registrava tutti i cittadini muniti di carta di identità il giorno stesso del suo arrivo. Il computer lo avrebbe identificato come...
“Gerand, Roth. Nato il 29/02/2172, a Tallin, Estonia. Residente a San Pietroburgo, Russia. Incensurato.”
“Ok, entri. Non si faccia attendere.”
Roth sorrise e varcò la soglia con decisione. Molinari lo guidò verso una stanza chiusa a chiave, aprì la porta passando la sua key card e lo accompagnò all'interno del locale. Era completamente buio.
“Si sieda e attenda qui.”
“Va bene. Niente di più facile. Devo fare altro? Cosa ne so, contare fino a tre, raccontarvi una storiella della buona notte...”
“Non faccia lo spiritoso. Questo potrebbe peggiorare la sua situazione.”
“Quale situazione? Io non ho commesso alcun reato.”
“Questo, se permette, lo deciderò io. Buongiorno, signor Gerand. Sono il commissario Caselli.”
La voce contraffatta proveniva da un altoparlante.
“Quante precauzioni... cos'è, temete che io sia un pazzo psicopatico che necessiti solamente del volto e del nome di una persona per ucciderla? Ma andiamo!”
“Nessuno l'ha ancora accusata di nulla. Questa è solamente la procedura standard in caso di interrogatori.”
“Interrogatorio? E di grazia... quale sarebbe la vicenda di cui io sarei un testimone chiave?”
“Noi preferiremmo definirla esecutore materiale... Sa com'è, ieri qui un agente è stato ucciso con un colpo di pistola alla tempia.”
“Già scartata l'ipotesi di suicidio? Voglio dire... Prima di accusare un libero cittadino di aver commesso un delitto...”
“In effetti le perizie balistiche puntano verso quest'ultima ipotesi, ma un testimone diretto dell'accaduto ha confermato la sua presenza sulla scena del crimine.”
“Solamente illazioni. Nulla di più. Ho partecipato per tutta la notte ai preparativi per la conferenza di domani. Come potrei essere stato io? Molte persone possono confermare il mio alibi.”
“C'è almeno un bioceramico tra di essi?”
“Prego? Per quale motivo dovrebbe...”
“I testimoni si possono comprare, signor Gerand. I bioceramici, per quanto artificiali, non possono mentire se sottoposti ad interrogatorio diretto...”
“Chi lo dice? Basta modificare le impostazioni della loro scheda...”
“Già verificato, signor Gerand. Non risulta manomessa. Abbiamo chiamato i migliori tecnici della Moss Technologies per verificarlo.”
“Immagino che avrete dovuto smontare e sezionare la bioceramica in questione...”
“Chi le ha detto che è una ragazza, mi scusi?”
Roth si morse la lingua.
“Un lapsus. Un piccolo lapsus, nulla di più...”
“Sarà... comunque no, pare che abbiano utilizzato i test di Roken-Millia. Sa a cosa mi riferisco?”
“Certo... sono serie di domande di carattere tecnico che permettono di riconoscere o meno una manomissione, ma...”
“A prescindere, abbiamo da una parte la testimonianza di una ventina – dico bene? – di esseri umani e dall'altra quella di una bioceramica. Le versioni sono discordanti. Lei cos'ha da dire a proposito?”
“Tra i testimoni a mio favore c'è Nikolaj Moss. Le dice niente questo nome?”
“Una persona come un'altra. Essere ricco e potente non è indice di sincerità a parer mio.”
“Oh, ma lei potrebbe cambiare parere, non le pare?”
“No.”
Roth rimase come pietrificato.
“Come sarebbe a dire no? Le ho chiesto di cambiare idea...”
“Mi scusi...io dovrei farlo perché me l'ha ordinato lei? Non le sembra particolarmente assurdo?”
“Lei cambierà idea e rifiuterà la testimonianza di quella macchina!”
“Si calmi, signor Gerand. Non peggiori la sua posizione. Su di lei pende l'accusa di istigazione al suicidio.”
Roth deglutì rumorosamente. Il suo piano perfetto si stava sciogliendo come neve al Sole.
“Lei... è un bioceramico, ispettore?”
“Cosa glielo fa pensare?”
“No, nulla... è solo una domanda.”
“Qui le domande le faccio io. Cosa può dirmi di questa registrazione?”
Gli altoparlanti diffusero nell'aria le parole di un Moss morente, accasciato accanto ad una cabina telefonica. Roth sorrise.
“Una pregevole imitazione. Niente di più, direi.”
“Per quale motivo dovrebbe essere una imitazione?”
“Il signor Nikolaj Moss è vivo e vegeto. Direi che basta questo per smontare le vostre congetture, non vi pare?”
“Effettivamente abbiamo pensato anche noi ad un falso, ma le testimonianze di due bioceramici e il riscontro oggettivo della chiamata danno ben più di un indizio sulla sua autenticità.”
“Riscontro oggettivo? Ma di che diavolo sta parlando?”
“Come ben saprà, le cabine telefoniche necessitano delle impronte digitali e della scansione retinica per essere attivate. È una norma introdotta circa vent'anni fa per evitare che fossero utilizzate da eventuali ricattatori o poco di buono.”
Il volto dell'uomo si irrigidì.
“Impronte? Retina? Volete farmi credere che avete la prova che Moss abbia utilizzato una certa cabina per telefonare al testimone? Ma figuriamoci!”
“Sì. Sappiamo da dove e a che ora è stata inoltrata la chiamata.”
“Non vedo, comunque, come questo sia collegato a me. Se Moss è vivo, io non posso averlo ucciso, non vi pare?”
“Ovvio. Ma non è questo il punto. Noi siamo dell'idea che lei abbia influenzato Moss.”
“Io? Ma vi sembra possibile che io possa avergli ordinato di agire in quel modo?”
“Non è la stessa cosa che ha provato a fare con me? Lei potrebbe essere un buon illusionista, signor Roth...”
“Non penserà davvero che io sia in possesso di qualche potere paranormale?”
“Lo stesso che le avrebbe permesso di sbarazzarsi delle guardie del corpo di Moss quando lo ha rapito e di provocare il suicidio dell'ispettore Celnili.”
Roth rise vigorosamente, liberandosi delle sue preoccupazioni.
“Di sicuro avrete delle prove che possano confermare le vostre supposizioni, commissario...”
“Certo. Il filmato del suo colloquio con Celnili e la registrazione esatta di quello che vi siete detti.”
Il suo sorriso si spense.
“Come, prego?”
“Abbiamo una registrazione in cui lei ordina all'ispettore di chiudere nella stanza blindata il professor Iuvarra e successivamente di togliersi la vita. Direi che è una prova sufficiente, non trova?”
“Non è possibile che... insomma, io non ero qui...” “
Davvero? A noi risulta il contrario.”
“Quel filmato non può esistere! Le vostre telecamere non hanno l'audio in presa diretta! Per la legge sulla privacy...”
“Peccato che ne sia provvista la telecamera d'emergenza che entra in funzione quando le altre vengono disinserite. Neppure Celnili ne era a conoscenza. Era una precauzione aggiuntiva.”
Roth sprofondò nella sedia. Il suo piano perfetto aveva una falla e lui non se n'era accorto. Ormai era troppo tardi. Era finita. Bluffare non aveva più senso.
“Lasciatemi andare.”
“Come prego?”
“Ho detto di lasciarmi andare, capito? Lasciatemi! Io devo intervenire alla conferenza di Moss! Lasciatemi andare! Non provate a fermarmi, capito? Non provateci!”
“Temo che questo non sia possibile.”
“Io... io devo andare! Perché non obbedite? Perché? È un ordine! Un ordine!”
“Si calmi. Lei è ora ufficialmente indagato per istigazione al suicidio e al sequestro di persona, accesso illegale al database della polizia, modifica dei dati in esso contenuti...”
“No... non a un passo dalla metà. Io... io ero pronto. Tutto era pronto.”
“Tutto quello che dirà potrà essere usato contro di lei.”
“Avete vinto, va bene? Siete riusciti ad incastrarmi. Ma almeno... datemi la possibilità di vedervi in faccia. Voglio sapere a chi devo la mia sconfitta.”
Era l'ultima carta che gli restava da giocare. Dare un ordine diretto al commissario. Non poteva tentare altro.
“Mi scusi, ma perché dovrei? Se lei fosse in grado di influenzare le altre persone, potrebbe essere particolarmente rischioso e controindicato. Pensi che il suo processo si svolgerà in modo identico...”
Roth chinò il capo, sconfitto.
“Maledizione... se non fosse esistita quella telecamera... se quell'idiota ne fosse stato al corrente...”
“Ora confessi e ci racconti tutto dall'inizio. Non ha alternative.”
Roth sbatté con violenza il pugno sul bracciolo della sedia.
“Questo mai. Non saprete nulla da me. Altri concluderanno la mia opera.”
“Capisco. Lei è un duro.”
Roth rimase immobile per un interminabile minuto. Era tutto perduto. Non aveva più possibilità. Non sarebbe neppure riuscito a mettersi in contatto con Base Maris per evitare che altri partissero. La sua missione si era conclusa con il peggior fiasco possibile. Tutto per colpa di...
“Un momento! Mi sono fregato da solo...”
Si alzò di colpo, scattando come una molla. Sbatté violentemente il pugno sul tavolo.
“... quel video... quella registrazione... non poteva esistere... perché io avevo ordinato a Celnili di cancellare tutti i dati sui computer memorizzati dopo il mio arrivo. Tutte le telecamere sono collegate al server centrale... per cui...”
“Effettivamente ha ragione. Ora che ha confessato e che le sue parole sono state salvate in formato digitale posso dirglielo. Non è mai esistito alcun filmato.”
“Volete... volete dire... che è stata tutta una farsa per indurmi a confessare?”
“Le è sembrata convincente, signor Gerand? Non è stato semplice architettare questo piano. Non avendo prove, l'unica nostra possibilità era farle credere di averne. Direi che non possiamo lamentarci del risultato.”
“Come avete fatto a ricostruire il discorso tra me e quel cretino dell'ispettore?”
“Era l'unico ordine che poteva avergli dato... in effetti, c'era una buona probabilità di sbagliare, ma per fortuna ci è andata bene questa volta.”
Roth strabuzzò gli occhi.
“Questa frase...”
L'uomo fece alcuni passi in direzione dell'altoparlante.
Dannazione! Non può essere un caso...
“Lei non è il commissario Caselli. È solo un burattino, una marionetta che conosco bene... non è vero, Ylena?”
“Possiede una notevole intelligenza, signor Gerand... alla fine ci è arrivato.”
“Solo un bioceramico non avrebbe obbedito ai miei ordini... d'altronde, nessun bioceramico avrebbe potuto raggiungere una posizione così alta nella polizia. Inoltre, le ultime parole che hai pronunciato... sono le stesse con cui ci siamo lasciati. Interessante, mi hai sorpreso.”
“Perché dovrei essere Ylena e non Myra o Lyonar?”
“Istinto di cacciatore. Myra sembrava una coniglietta spaventata in quella stanza, Lyo non ha avuto il coraggio di muovere un muscolo. L'unica che ha provato a reagire sei stata tu. Ti ho giudicato troppo in fretta. Bella quanto intelligente... ma finta. Dimmi, ho fatto centro? Almeno vorrei sapere questo, prima di essere condotto dietro le sbarre.”
La parete di fronte a lui iniziò a cigolare in modo sinistro, poi, lentamente si abbassò, rivelando il complesso artificio creato per incastrarlo.
13.
Roth non riusciva a credere ai suoi occhi.
“Incredibile...”
Dietro alla parete era stato allestito un centro di controllo protetto da un cristallo antiproiettile. Lei era seduta davanti ad un computer. Un paio di cuffie provviste di microfono incoronavano il suo volto serafico.
L'angelo della morte.
Ylena.
Accanto a lei, un uomo di mezza età provvisto di cuffie isolanti chino su uno schermo.
“Immagino che lei sia il vero commissario...”
“Non può sentirti, Roth.”
“Dovevo aspettarmelo...”
“Un sistema ingegnoso, non trovi? Lo ha ideato il professor Iuvarra.”
“Il vecchio...”
L'uomo rise nervosamente.
“Complimenti per l'inventiva. Lasciatemi indovinare... tu ascoltavi ciò che dicevo, poi lo scrivevi sul computer in modo che il commissario potesse leggerlo e darti la risposta in tempo reale. In pratica, tu eri solo il filtro tra me e lui. Geniale, ma non abbastanza. Io ho fallito, è vero... ma dubito che questo trucchetto possa funzionare di nuovo. Avete fatto un errore a mostrarmelo.”
“Sai che rischi fino a vent'anni di carcere?”
“Sì, ne sono consapevole, ma pensi che me ne importi qualcosa? Venti dei vostri anni non sono nulla.”
“Dei vostri anni? Cosa significa?”
“Non risponderò ad una marionetta. Non potresti capire. Il tuo quoziente intellettivo è alto ma comunque limitato. Parlerò solo al commissario.”
Ylena chiuse gli occhi e scosse la testa.
“Richiesta respinta, Roth. Sappiamo tutti e due dove vuoi arrivare.”
“D'accordo, allora rinunciate a conoscere la verità. Mi sembra un prezzo congruo per la vostra sicurezza. Hai perfettamente ragione. Chi vi può assicurare che io non tenti il tutto per tutto?”
“Se sei così convinto di ciò che dici, perché fai queste domande?”
“Non sono preoccupato per me, ma per altri. Su di me contavano più di diecimila persone.”
“Spiegati meglio...”
“Mi dispiace, ma non saprete altro, a meno che non mi facciate parlare con un essere umano.”
Noah Iuvarra si fece avanti.
“Tutto qui? Molto bene, verrò io. Non ho paura di sostenere una conversazione con te.”
“Che piacevole sorpresa, professor Iuvarra... non sapevo che lei fosse qui.”
“Il piacere è tutto tuo. Dunque, cosa volevi dirmi? Prima che tu compia qualsiasi sorta di gesto avventato, sappi che questi agenti hanno l'ordine di sparare al primo movimento sospetto. Non sperare di poterti fare scudo del mio corpo, Roth.”
“Vedo che non ha paura di passare a miglior vita...”
“Alla mia età? Sono terrorizzato dalla morte, se devo essere sincero, ma voglio andare a fondo in questa vicenda. Capisci cosa intendo? Voglio mettere le cose in chiaro una volta per tutte!”
“Mi sembra giusto. L'ho coinvolta a titolo personale, mi sono servito di Moss, eccetera, eccetera... vuole sapere veramente tutta la storia? Dovrà essere pronto a vincere i suoi pregiudizi e le sue idee più radicate.”
“Perché volevi parlare con un essere biologico?”
L'uomo sorrise malinconico.
“Detesto le macchine, dottor Iuvarra. I bioceramici, poi... se fosse per me, sarebbero già tutti sbriciolati in una discarica. Non li posso soffrire. Prenda Ylena, per esempio. Un tale fiore, una bellezza unica... non le dico cosa ho pensato la prima volta che l'ho vista in quel locale, il Pit Stop. Ma vede, quando ho scoperto che era finta, ha perso ogni fascino. Diciamo che il loro aspetto... ti illude. È questo il problema. Ti trovi davanti un essere uguale a te... che però è solo frutto dell'intelligenza umana. Una bella fregatura.”
“Ok, va bene. Parliamo di altro. Chi sei tu in realtà?”
“Roth Gerand. Né più, né meno. Solo questo.”
“Perché chiunque ascolti i tuoi ordini non può fare a meno di eseguirli?”
“Quanto è disposto ad aprire la sua mente? Saprà accettare la risposta?”
“Proviamo. A settant'anni non sia ha più molta elasticità mentale...”
“Allora io dovrei essere rigido come un blocco di cemento, professore.”
“Prego?”
“Ho duemilacentosettantadue dei vostri anni.”
“E io dovrei crederti? Te ne darei al massimo cinquanta.”
Roth scosse la testa.
“Confermo. Ne ho duemilacentosettantadue. Ho contato ogni secondo dal giorno della mia partenza da casa per raggiungere questo meraviglioso pianeta.”
Iuvarra roteò gli occhi.
“Un alieno? Certo, certo... continua a prenderti gioco di questo povero vecchio!”
“Non sono mai stato più serio, Noah. Io sono nato su Titano, hai presente? Certo che lo hai presente, sei stato anche astrofisico, no? Titano, uno dei più grandi satelliti di Saturno, la mia casa, professor Iuvarra. Ho passato la mia vita ad aggiustare batterie di condensatori e circuiti elettrici, regolare termostati e studiare le vostre lingue.”
“Continua...”
“Quello sputo di roccia, ghiaccio e metano orbitante... non era la nostra vera meta. Noi ci eravamo messi in viaggio molto tempo prima per raggiungere un altro corpo celeste.”
“La Terra?”
“Esatto. Il progetto era sostanzialmente diviso in due parti: la prima era rendere abitabile questo sasso spaziale corroso dai miasmi della lava e dai gas tossici atmosferici; la seconda era raggiungerlo e colonizzarlo. Sfortunatamente, ci siamo fermati al punto uno. Ma noi – o meglio, i miei avi – eravamo già in viaggio per raggiungere il terzo pianeta dal Sole. Non si poteva più tornare indietro. Per questo, una volta riconosciuto il fallimento, abbiamo deciso di stabilire una base su Titano.”
“Come avevate intenzione di rendere abitabile la Terra?”
“Questa è la parte più divertente... d'altronde, lei non sarebbe qui di fronte a me se ciò non fosse accaduto. Abbiamo inviato un asteroide artificiale carico di proteine ed amminoacidi autoreplicanti, oltre che di DNA ad evoluzione programmata. Il nostro DNA, ovviamente modificato e semplificato. Dopo l'impatto, le molecole si organizzarono in cellule e costituirono i primi vegetali... sa come vanno le cose, no? Le piante si sviluppano, ripuliscono l'atmosfera dall'anidride carbonica e rendono l'atmosfera respirabile per noi... poi si sviluppano gli animali e poco per volta si arriva all'uomo, grazie al DNA programmato.”
“Ma il pianeta non doveva essere colonizzato da voi?”
“Centro. Sarebbe dovuto essere colonizzato. Il punto è proprio questo. Il meteorite artificiale inviato per distruggere la vita animale... non è mai arrivato. Si è schiantato contro un corpo celeste della fascia degli asteroidi, deviandone uno – di dimensioni notevolmente minori – contro il bersaglio prescelto. Quell'impatto è stato a malapena sufficiente per estinguere i dinosauri, non è bastato ad eliminare tutta la fauna locale. Quando siamo arrivati...”
“C'eravamo già noi, giusto?”
“Esatto! Voi! Stupide macchine biologiche create per esplorare pianeti lontani! Voi avete il nostro DNA, ma siete pateticamente più deboli, vivete appena cent'anni! Noi arriviamo fino a seimila. Esistono altre differenze minori, ma non sono rilevanti ai fini del mio racconto.”
“In pratica tra me e te c'è la stessa differenza che intercorre tra un essere umano e un bioceramico...”
“Esatto. Non avrei saputo spiegarlo meglio.”
Iuvarra lo osservò perplesso. Poteva credergli?
“Alla fine... abbiamo preso una decisione. Avremmo avuto il nostro posto su questo pianeta, con le buone o con le cattive. Così, eccomi qui.”
“Qual era il tuo piano?”
“Ve lo spiegherò in due parole. Avvicinare un personaggio famoso – in questo caso Moss – per poi rapirlo e sfruttare la conferenza in mondovisione per ordinare a tutti gli esseri umani di sottomettersi ai nostri ordini... tutto qui.”
“Perché rapire un personaggio influente?”
“Lei guarderebbe l'intervista in mondovisione di un illustre sconosciuto, professor Iuvarra?”
“Uhm... credo proprio di no.”
“Vede che si è risposto da solo? Ad ogni modo, io non ho alcun rimpianto, se non quello di avervi sottovalutato. Il problema è che una navetta è già partita da Titano parecchio tempo fa. Io dovevo attendere gli occupanti ed accoglierli, ma ora temo per la loro incolumità. Senza di me, avranno vita breve.”
“Nobile proposito... ma temo che tu non possa fare altro che sperare che se la cavino da soli.”
“Noi siamo solo dodicimila... ci basterebbe una città! Non chiediamo un mondo intero! Per favore, cerchi di capirmi, professore! Lei cosa avrebbe fatto se si fosse trovato il paradiso davanti... e non lo avesse potuto raggiungere? Titano è ostile e pericoloso... io ho perso un fratello a Base Maris per colpa di un manometro guasto. Un errore, anche banale, nelle regolazioni potrebbe portarci tutti alla morte. Vogliamo solo vivere, dottore. Non abbiamo alcun interesse nel dominare il vostro pianeta. Ho detto vostro, vero? Sì, perché questa è la verità. Noi non abbiamo più diritto ad abitarlo, però...”
L'uomo respirò profondamente.
“... però anche noi abbiamo diritto di vivere. Abbiamo diritto a vedere questi colori, a respirare quest'aria, a nuotare in questi mari. Lei... lei non sa quanto vi invidio. Sono anni che ricevo le vostre trasmissioni televisive... ho imparato la vostra lingua grazie ad esse. Lei... lei non può capire l'emozione che ho provato a vedere i vostri paesaggi... e a confrontarli con i mari di metano di quello stupido scoglio ghiacciato.”
Iuvarra si era chiuso in un religioso silenzio. Nessuno degli agenti aveva fiatato. Ylena aveva ascoltato tutto senza dire nulla. Myra e Lyo erano rimasti in disparte.
“Non so cosa può pensare di me, professor Iuvarra. Davvero non lo so. Chiedo solo che le mie azioni vengano giudicate in base allo scopo che volevo raggiungere. Non avevo intenzione di uccidere degli innocenti, ma questo era l'unico modo che avevo per portare a termine il mio piano.”
“Quando arriveranno i tuoi compari? Dodicimila individui dotati della tua stessa abilità...”
“No. Ne hanno inviati solo due. Non si fidavano di me. Devo ammettere, mio malgrado, che avevano ragione.”
“Se ho capito bene, non siete così tanti... perché cercare di impadronirsi di un intero pianeta?”
“Professor Iuvarra, io la ritenevo una persona intelligente. faccia un attimo due più due e mi renda partecipe del risultato. Noi siamo uguali – almeno esteriormente – ma in realtà, la distanza che ci separa è molto, molto più elevata. Lei avrebbe mai accettato dei vicini così diversi? Sa, perché i miei ordini abbiano effetto, devono essere pronunciati in una lingua comprensibile a chi ascolta.”
“Ho capito. Un gruppo multietnico costituito anche solo da ventimila persone armate non vi avrebbe lasciato scampo.”
“Esatto. Un rischio non indifferente, non trova? L'unica possibilità era questa.”
“Cosa faresti ora se ti dessero l'ergastolo, Roth? Potresti vivere quanto vuoi, ma passeresti tutto questo tempo in una cella di tre metri per quattro.”
“Nessun problema. È un rischio che sono disposto a correre. Sa... su di me contavano davvero poche persone. Nessuno credeva veramente a questo progetto. Posso solamente dire che è stata colpa mia. Mi sono fregato con le mie stesse mani.”
L'uomo chinò il capo, sconfitto. Iuvarra gli mise una mano sulla spalla.
“Il fine non giustifica i mezzi, Roth... ma credo che per voi si possa fare qualcosa.”
Il gigante lo fissò negli occhi.
“Mi sta forse prendendo in giro? Ormai è finita! Quale governo pensa che possa essere d'accordo con...”
“Penso di conoscere un luogo che potrebbe fare al caso vostro, sempre che vi vada bene.”
“Qualunque posto sarebbe meglio di Titano, ma non credo che...”
“Oh, non è necessario che lo sappia qualcuno... o almeno, non è necessario che si sappia la verità.”
“Per quale motivo sono sicuro che lei abbia qualcosa in mente, professor Iuvarra?”
“Questa mente non ha preso il premio Nobel per nulla, Roth. Il vecchio che è seduto di fronte a te è ancora in forma!”
L'uomo assunse un'espressione interessata.
“Sentiamo...”
“Per prima cosa tu dovrai pagare il tuo debito con la giustizia. Nove morti non sono una bazzecola.”
“Nove?”
Roth rise.
“Mi sembra che solamente una vittima sia riconducibile a me...”
Iuvarra sgranò gli occhi.
“In effetti... non hai tutti i torti.”
“Dunque... quanti anni possono darmi, di carcere, intendo?”
“Una trentina al massimo, considerando le attenuanti generiche e non.”
“Va bene. Poniamo che io riceva il massimo della pena. Dopo? Cosa mi attenderebbe?”
“Adesso ti spiego...”
Lyo attendeva nervoso fuori dalla stanza blindata. Iuvarra e Roth non volevano che qualcuno ascoltasse le loro conversazioni. Si era appoggiato al muro con la schiena e stava valutando l'idea di sdraiarsi da qualche parte. Aveva sonno. Molto sonno. Troppi fatti erano accaduti nell'arco di ventiquattr'ore. Chiuse gli occhi, facendosi cullare dal silenzio che impregnava l'aria del commissariato. “Tutto a posto, Lyonar?”
Sollevò lo sguardo per inquadrare il suo interlocutore. Erano due. Non uno solo. Respirò con fare rassegnato. Myra ed Ylena erano di fronte a lui e lo osservavano incuriosite.
“No, per niente. Non sto bene.”
Si voltò di lato. Non voleva più vedere la ragazza dal cuore di ghiaccio che lo aveva freddato appena due ore prima.
“Mi dispiace aver ferito i tuoi sentimenti, Lyo... ma tra noi non può funzionare. So che è difficile riprendersi da una delusione così. Tu...”
“Io pensavo di essere la persona più fortunata di questo mondo, stamattina, ma a quanto pare mi sono sbagliato. Tutto qui. Tu non sei interessata a me. Amen.”
Ylena gli rivolse uno sguardo dolce e compassionevole.
“Lyo... io non sono l'unica. Non è ancora finita per te. Ci sono altre bioceramiche. Devi solo... trovare quella giusta.”
“Tu eri quella giusta. Ma mi rendo conto che questo è valido solo per me.”
“Ascolta, io non avevo intenzione di farti così male, ma in quella situazione...”
“Smettila di giustificarti. Non serve. Piuttosto... rispondi ad una mia domanda. E fallo in modo sincero.”
“Come se potessi mentirti.”
“Sotto la pioggia... fuori dal pub...”
le parole uscivano a fatica dalla bocca del ragazzo.
“... tu... e lei... vi siete baciate? Perché... vedi... io... ho visto questo, e... insomma... se voi due foste... per così dire... lesbiche... per me no, non ci sarebbe alcun problema, però... che spreco... cercate di capirmi...”
Myra arrossì violentemente.
“Ma come fai a pensare una cosa del genere?”
“Suppongo... che sia stata la mia ossessione per Ylena... a farmi avere una visione così... distorta della realtà... ti vedevo come una rivale, Myra... sempre abbracciata a lei, vi scambiavate parole dolci... poi quel... quel bacio...”
“Lyo, dovresti farti revisionare l'apparato visivo.”
“Già, già... forse... forse sì. Ma questo spiegherebbe molte cose: il fatto che tu Myra... fossi gelosa e volessi Ylena solo per te, quando hai sparso quella voce; il fatto che nessuna di voi due abbia mai avuto un ragazzo; l'ostilità che prova tua madre per lei...”
Scosse la testa sconsolato.
“Perdonatemi se ho divagato un po' con la fantasia, ma in quel momento...”
Ylena rimase in silenzio, continuando a fissarlo negli occhi. Vide solo dolore e rassegnazione.
“Se ti rispondessi di sì, per te cosa cambierebbe? Ti sentiresti meglio... perché saresti stato rifiutato non per colpa tua ma per colpa mia?”
Lyo non disse una parola.
“Forse. Non lo so neanch'io.”
“E se ti dicessi di no? Il tuo morale scenderebbe sotto i tacchi?”
“Credo di sì. Non ne ho idea, ma forse è come dici tu.”
“In pratica... tu pensi che io abbia preso a cuore a tal punto il mio compito da arrivare ad amare veramente Myra, giusto? Pensi che lei mi ricambi... e che per questo motivo sua madre mi odi, corretto?”
“Sì.”
“Tu speri di avere ragione, perché se tu avessi torto... per te sarebbe un fallimento, non è così?”
Lyo abbassò la testa.
“Mi rendo conto che il discorso non è dei più simpatici, ma penso che tu abbia afferrato al volo. Hai davvero una mente straordinaria.”
Un silenzio pesante si frappose tra di loro.
“E va bene. Hai vinto. Hai ragione. Io amo Myra. Non ci posso fare nulla. Per me è stato naturale, quasi dal primo momento. Avresti dovuto vedere la mia espressione di sorpresa quando ho scoperto di essere ricambiata. Non lo avrei mai sperato...”
Lyo sgranò gli occhi.
“Sai? Penso che quello sia stato uno dei pochi avvenimenti felici della mia vita sintetica. In fondo, non commettevamo nessun reato, no? Lei era umana – o almeno, così credeva – io bioceramica... e non c'era nessuna legge che potesse impedirci di stare insieme, non trovi? Sua madre non ci ha messo molto a scoprirlo, il padre no, era sempre via per lavoro... ed è per questo motivo che ha iniziato a discriminarmi. Mi riteneva responsabile di questa sorta di deviazione dalla retta via di sua figlia, sebbene io non mi fossi mai apertamente dichiarata a lei, né lei a me... oddio, è stato tutto così naturale! È questa l'unica colpa che ho. Sei sollevato adesso? Stai meglio?”
Lyonar la osservò stupito, poi si mise a ridere.
“Accidenti che spreco! La natura è proprio una vacca certe volte... creare un oggetto con queste fattezze, per poi negarlo a chi lo attende desideroso! Lo avrei dovuto capire subito... eri... troppo perfetta. Almeno un difetto dovevi averlo, almeno uno... ma non mi sarei mai aspettato che fosse questo! In caso cambiassi idea – cosa ne so, sai non c'è nulla che non si possa cambiare – sai dove trovarmi... ma per ora, una bella amicizia è il massimo che posso chiederti, date le condizioni. Ora scusatemi, ma devo sistemare alcune cose. Ci vediamo dopo!”
Il cuore di Lyo si era liberato di un peso. Aveva ancora qualche possibilità, dopotutto... era stata solo sfortuna.
Ma guarda te se mi dovevo imbattere nelle uniche due bioceramiche difettose... vabbé, dai statisticamente la prossima volta andrà meglio, e se è vero che a Genova ci sono ancora due come me e complessivamente in Italia ne esistono molti di più. Non sono condannato alla solitudine. Questo è già qualcosa, no?
Ylena lo osservò con attenzione. Camminava quasi saltellando. Scosse la testa sorridendo. Myra era ancora paonazza in volto.
“Ma ti rendi conto di cosa gli hai detto? Ora mi spieghi perché...”
“L'ho trattato come un cane, Myra. Mi sentivo responsabile... in qualche modo.”
“Ma così secondo me hai peggiorato la situazione! Se a Lyo sfuggisse qualcosa... saremmo rovinate...”
“Rilassati. Non dirà nulla. L'importante sarà non contraddire questa versione in sua presenza, non trovi?”
“Immagino che dire la verità sia difficile quanto mentire in modo convincente.”
“Lui in questo momento ha le risposte che stava cercando. Che siano vere o false... non penso gli importi. Certamente col tempo cercherà di appurarlo, ma per ora è soddisfatto così.”
“Ok... ma ti devo fare presente che gli argomenti che hai toccato non sono della minima importanza?”
“E qual è il problema? Siamo bioceramiche! Qualunque voce si diffonda sul nostro conto... chi se ne importa! Noi abbiamo una vita da vivere! Che tu ci creda o no, qualunque storia si diffonda sul mio conto non ha la minima importanza.”
“Sei troppo buona di cuore, Ylena. Piuttosto che deluderlo gli hai raccontato...”
Una spudorata bugia o la sua più intima verità? Avrò sempre questo dubbio... ma Ylena è un angelo a tutti gli effetti, un angelo. Perfetta. Bianca come la porcellana, bella come il sole! Spero che la natura non abbia gettato via lo stampo, con poche parole di conforto ha spazzato via la mia delusione. Solo un angelo si comporterebbe così...
Lyo inserì le monete nella fessura della macchinetta del caffè. Lei e Myra si amavano... non c'era spazio per lui, forse. Perché un barlume di speranza era ancora acceso, in fondo al corridoio oscuro... se lei avesse detto la verità – allora, ok, nessun problema, era così, punto, ma se fosse stata una bugia, lei l'avrebbe detta apposta per tirarlo su di morale, per non lasciarlo perdere nella tristezza, per dargli nuova vitalità... e quindi, sotto sotto, magari provava veramente qualcosa per lui.
Solo il tempo avrebbe chiarito questo punto.
Ylena... grazie, in qualunque caso.
La macchinetta sputò i due euro che aveva cercato di utilizzare per pagarsi il cappuccino. Lyo raccolse la moneta e la osservò. Il ritratto del sommo poeta era inciso in ogni minimo dettaglio, minuziosamente, con una precisione quasi maniacale. La girò tra le sue dita, poi sorrise, sorpreso. Aveva lo stesso disegno su entrambe le facce.
“Praticamente perfetta, di una bellezza incredibile... ma artificiale. Nessuno se n'era accorto.”
Sorrise.
“Sarai il mio portafortuna. Tu rappresenti perfettamente l'oggetto dei miei desideri... chissà, magari questo è un segno del destino.”
Lyo prese il portafoglio e sistemò la moneta vicino alla sua carta di identità sostitutiva per esseri bionici, poi lo richiuse il portafoglio e lo ripose in tasca.
14.
“Shami! Cosa ci fai ancora lì, in riva? Tira una brutta aria qui fuori! Almeno copriti un po' di più! Hai solo il costume da bagno!”
La ragazza si voltò sorridendo.
“Cosa vuoi che me ne importi, Venn? Sto osservando il mare. E le nuvole... e il Sole! Era come dicevi tu! Che stupida sono stata ad ascoltare solo la radio! Mi sono persa il meglio di questo pianeta.”
“Un pianeta che ora possiamo chiamare casa. Mi sembra un sogno!”
Venn si avvicinò a lei e la abbracciò.
“In un modo o nell'altro, Roth ce l'ha fatta.”
“Già... è tutto merito suo.”
Il mare scandiva lentamente il tempo con lo sciabordare delle onde.
“Certo, fa un po' freddo qui...”
“Cosa stai dicendo? Quindici gradi in estate ti sembrano pochi? Su Titano la temperatura esterna era di 94 Kelvin!”
Venn le sorrise dolcemente.
“La Groenlandia non è quello che si dice una meta per turisti!”
“No, infatti. Altrimenti non ci avrebbero permesso di trasferirci in blocco qui, su questa terra dimenticata da Dio e dall'uomo!”
“Trasferirci è una parola grossa. Diciamo che ufficialmente facciamo parte di un esperimento scientifico per perlustrare il fondale della banchisa e, sempre ufficialmente... abbiamo fondato una città di dodicimila abitanti per renderci autonomi in caso di mancate spedizioni... per via del clima, mi sembra, non ricordo le parole esatte. Quello Iuvarna...”
“Iuvarra! Noah Iuvarra! É a lui che è dedicata questa città! La nostra città!”
“Ok, non ti scaldare troppo per una consonante! Ricordati che per chiunque noi qui stiamo compiendo ricerche per l'Università di Jenòva.”
“Genova! GE-NO-VA! Non Jenòva!”
“Sì, sì, ok, va bene! Uff, come sei fiscale!”
“Mi dispiace solo che Roth non possa essere qui con noi.”
“Ci raggiungerà tra una ventina dei loro anni, Shami, ha dei debiti da saldare con la giustizia.”
La ragazza rivolse nuovamente lo sguardo al mare.
“Dove mi porterai quest'anno? Vorrei vedere la Sagrada Familia, a Barcellona! Dicono che sia spettacolare! E poi lo spagnolo è una lingua calda e piena di sentimento...”
Venn fece scivolare la sua mano sul ventre della sua compagna.
“Prima dobbiamo aspettare che il nostro primo figlio si decida a nascere. Sai, non posso portarti in aereo e...”
“Sì, sì, tutte balle. Diciamo che non ne hai voglia! Però io ci voglio andare. Così magari verrà alla luce sotto il Sole caldo, sulle rive del Mediterraneo... non sarebbe un sogno, Venn?”
“No, Shami.”
Un bacio furtivo sulla guancia, sfiorando i suoi bei capelli biondi.
“È realtà.”
I due giovani osservarono il tramonto del Sole, sul mare aperto.
Un mare di vita e speranza.